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MARINO PASINI

Sciascia, la Sicilia e le ricorrenze.

Leonardo Sciascia, come Simenon era uno che sapeva ascoltare. Bambini della scuola elementare; commercianti; il farmacista del Circolo Unione. Voci di strada, di negozio, durante partitelle a carte. Battibecchi di donne infuriate. Anche i preti ascoltano al confessionale: ma è routine, quella dei peccati. Saper ascoltare è qualità rara. E’ saper distillare, forse; cogliere tra le ombre, i sapori, le ambiguità, gli odori, le cose dette e taciute, il nocciolo delle questioni: così imbastirci un tessuto, umano e sociale. Una storia che va nel profondo. Se poi sai ascoltare e scrivi come sapeva scrivere Leonardo Sciascia, allora è destino; finirai un monumento della letteratura del Novecento. Allora sarà destino che avrai dannatamente addosso tutti, proprio tutti gli spasimanti in lettere moderne della Sicilia, per una raccomandazione editoriale, una bella parola, una prefazione al libro che nessuno vuol pubblicare, un autografo, un’intervista, cos’è la Mafia, se l’Italia è la Sicilia, spiegare i siciliani di scoglio e quelli di terra, se si parlano oppure no.

Ma Sciascia non era un professore; era “soltanto” un maestro; la sua non era scrittura da professori ben impiantati in cattedra, anche se era sopraffina, figlia dei grandi vecchi libri ormai distrutti dall’incuria, condannati a parlare da soli, come i tanto anziani nelle case dei vecchioni. Leonardo Sciascia, la sua lingua la affilava, dice bene Camilleri, la lavorava ogni giorno per farne qualcosa che somigliasse a un bisturi. Forse trattava la letteratura con la stessa attenzione di un chirurgo.

Era un uomo che stava bene in mezzo alle donne, che stava silenzioso ad ascoltarle, come si ascolta la musica, ad accompagnare le ore. Uno scrittore che amava rileggere, perchè ogni volta, il libro, quello giusto, è diverso, è differente. E l’entusiasmo vero del lettore è nella rilettura; un pò come l’incontro con un amico rivisto con gioia dopo averlo perso e quasi dimenticato.

Cosa rileggere, o leggere di Sciascia? Tutto. Leggere Sciascia è storia d’Italia e della Sicilia, come storia della Sicilia sono Andrea Camilleri, Vincenzo Consolo. L’autore delle storie del commissario Montalbano, e lo scrittore siculo-milanese di “Retablo” avevano un’idea diversa della scrittura civile, politica della letteratura, rispetto a Sciascia. Nel maestro di Racalmuto fioriva un’ambiguità di fondo, profondamente siciliana, che non piaceva a Camilleri, a Consolo, nemmeno a Corrado Stajano, quest’ultimo narratore di realtà, e mezzo siciliano di origine. Sciascia pure se voleva restare lontano dai cedimenti alle debolezze del “sicilianismo”, subiva il fascino, il mito della mafia “buona”, della vecchia Cosa Nostra siciliana. Anche se su questo, ci sono opinioni contrastanti: c’è chi sostiene questa tesi, come Paolo Pezzino, Paolo Di Stefano; e chi, invece, dice che non è vero, che è una cattiva lettura di Sciascia, che non era affatto attratto dai vecchi codici d’onore, il fascino di “un modo d’essere” antico, siciliano (Matteo Collura, Massimo Onofri). Di Sciascia si ricorda, forse più che i suoi romanzi e racconti, il famoso articolo pubblicato sul “Corriere della Sera” il 10 gennaio 1987, dedicato ai professionisti dell’Antimafia, che sollevò un polverone, e che piacque moltissimo agli ambienti mafiosi, ai collusi con le mafie, ai politici abituati ad essere eletti con i voti mafiosi. “I lettori, comunque, prendano atto – scriveva Sciascia in quell’articolo – che nulla vale di più in Sicilia, per far carriera nella magistratura, del prendere parte a processi di stampo mafioso”. Fu un colpo basso; e probabilmente male inteso, ma fece il giro dei giornali internazionali, e ancora oggi suscita veleni, dibattiti, pro e contro quell’articolo.

La edizione migliore pubblicata che consiglio sono le opere complete a cura di Paolo Squillacioti, un giovane studioso, pubblicate da Adelphi edizioni. Roberto Calasso ha voluto Sciascia nel catalogo Adelphi, più di chiunque altro scrittore italiano, perchè lo stile Sciascia è uno stile unico. Nell’edizione adelphiana c’è tutto Sciascia, anche i ripensamenti narrativi, le citazioni, le note, il suo amore-ossessione per Pirandello, Stendhal, la Spagna, la lingua francese, la storia letteraria e civile che trasuda dell’idealismo storicista di Benedetto Croce. Narrativa piantata nella storia passata e presente, anche storia eterna. Perchè la Sicilia può essere un’eccezione: l’andazzo sempre quello, pure se aggiornato ai tempi dell’oggi. Per leggere bene Sciascia, forse, bisogna prima rileggere Pirandello. Se non si ha in testa l’autore di “Così è se vi pare”, si parte con l’orecchio male impostato per intendere Sciascia. Sui libri di Pirandello, Sciascia passò molte ore della sua vita. Eretico in politica, anche se l’aggettivo appena citato è ormai applicato a troppa gente, per Sciascia  calza a pennello. Con lui ce l’avevano proprio tutti: dai democristiani, ai mafiosi; dai comunisti, agli extraparlamentari. Un’eresia che lo portò ad avvicinarsi, un pò come fecero Pasolini e Vittorini, delusi dall’altra sinistra, dai comunisti, i socialisti, al Partito Radicale. Una indipendenza dalla politica dei politici, ben raccontata da un giornalista di lungo corso, Felice Cavallaro in “Sciascia l’eretico. Storia e profezie di un siciliano scomodo”, Solferino edizioni 2019.

Leonardo Sciascia è stato uno dei pochissimi scrittori italiani capace di far chiarezza nella nebulosa tra invenzione e realtà; finzione e verità. Come dice Domenico Calcaterra: è riuscito ad essere “saggista nel racconto e narratore nel saggio”.

Di questi tempi ricorre il centenario della nascita di Leonardo Sciascia. La Grande Letteratura, per i giornali è come il panettone, il pandoro, le luminarie: si accendono per le occasioni speciali: il Natale, i centenari, i cinquantennali, le ricorrenze, i decessi, lettere ritrovate di amanti segreti. “Repubblica” rispolvera le  opere di Sciascia in occasione del centenario della nascita; ripubblica Il giorno della civetta”, dopo che lo ripubblicò “Il Corriere della Sera” nel 2002. I giornali cartacei, ormai alla frutta, con sempre meno lettori, si aggrappano alle ricorrenze. Un peccato, che Sciascia, da lassù, non possa commentare, questa letteratura rispolverata dallo scadenziario, farci sorridere, con la sua sublime tragica ironia. Ma se la letteratura è diventata questa cosa qui, e cioè una serie di noterelle sul calendario, di targhe di premi letterari, obblighi scolastici con stiracchianti sbadigli, frustrati blogghisti neo-critici letterari con i loro salottini online e quattro seguaci quattro, tanto varrebbe lasciar perdere e darsi ai cruciverba. Ma in un angolo di qualsiasi piazza, può capitare che passi uno sconosciuto con in saccoccia un grumo di parole, anche di Sciascia, lette, rilette. Tesori. E’ qualcuno che non sai, che inciamperà, che magari leggendo, o rileggendo andrà a sbattere contro un lampione. perchè la letteratura è entusiasmo, è passione o non è niente. E’ cibo, non mentine. E’ indispensabile per vivere, ma non pensabile che si possa reggimentarla, farne un’occasione di ricorrenze.

 

Il mio debito all’archivio personale:

Paolo Pezzino, Sciascia e il mito della mafia buona, Corriere della Sera (ritaglio senza data)

Silvia Truzzi, intervista a Camilleri: “Sciascia non avrebbe mai dovuto scrivere il Giorno della Civetta”, Il Fatto Quotidiano, 20.11.2009

Salvatore Silvano Nigro, Che ossessione per Pirandello!, Il Domenicale del Sole 24 Ore (ritaglio senza data)

Attilio Bolzoni, La caccia al fantasma di Majorana, La Repubblica, gennaio 2009

Piero Melati, Eretici controvoglia, L’Espresso 3.11.2009

Enrico Del Mercato, Una storia non semplice, La Repubblica 16.11.2019

Domenico Calcaterra, La letteratura come frutto di un’agnizione, L’Indice dei libri (ritaglio senza data)

Salvatore Silvano Nigro, Sciascia, l’inventore della verità, Il Domenicale del Sole 24 Ore (senza data)

Anna Maria Sciascia, Allo specchio del padre, Tuttolibri, 20.11.2004

Felice Cavallaro, Quando Calvino bacchettava Sciascia, Il Corriere della Sera, 26.11.2004

Gianluigi Melega, L’Isola dei truci misteri. A ciascuno il suo, La Repubblica 6.8.2002

Rocco Sciarrone, Leonardo Sciascia, le forme e i modi dell’azione antimafia, L’Indice dei libri (senzxa data)

Corrado Stajano, Promemoria, Garzanti 1997, pagina 208.

 

MARINO PASINI

12 Gen 2021 in Letteratura

3 commenti

Commenti

  • In effetti la ricorrenza non è passata inosservata, e forse è già molto! “Sciascia non era un professore; era “soltanto” un maestro…” Ce ne sono esempi eccelsi, e forse la scelta professionale c’entra.

  • Era la seconda metà degli anni ’50, ancora in pieno contesto di dopoguerra, il nonno paterno era siciliano (il mio cognome lo testimonia in modo eclatante!) e d’estate si andava al paese natio del nonno, Fiumefreddo, provincia di Catania, venti minuti di lambretta da Taormina.
    Due giorni di viaggio in treno, un’avventura eccitante per me e mia sorellina e mamma (papà non poteva muoversi, non aveva ancora possibilità di ferie!), dopo un giorno e una notte di viaggio, noi bambini a dormire sulle reticelle delle valige, al mattino al risveglio la stazione di “Paola” (Calabria) con il richiamo “aranciniiiii” (squisite piccole piramidi a base di riso) comprati dalla mamma e passati dal finestrino, poi l’imbarco del treno sul traghetto, a superare lo stretto Reggio-Messina, e l’arrivo a sera alla stazione di “Giardini” (la stazione ferroviaria di Taormina) dove venivamo accolti da una incredibile banda musicale, con strumenti a base di canne di zucca e pifferi vegetali, i cui componenti erano nostri “zii e cucini” (il grado di parentela era magari assai difficile da ricostruire) che venivano a festeggiare l’arrivo dei “continentali”, e ci accompagnavano al paese.
    Il mare era piacevolmente gelido (il paese si chiamava Fiumefreddo per qualche ragione!) e al limitare della spiaggia resisteva un cartello: ATTENZIONE SPIAGGIA MINATA!
    La spiaggia di sassi, sterminata, non aveva alcuna struttura per la balneazione, tranne la tendina blu di “padre don Pippo”, il curato del paese, un omarino nero come un fico, con un incredibile costume maron intero di lana, che fumava anche facendo il bagno, ed il capanno di canne e frasche di bambù che veniva predisposto per noi, e le famiglie dei fratelli di mio papà. Null’altro!
    I pochi km di strada sterrata in discesa, dal paese alla “marina”, si percorrevano in bicicletta, passando davanti al “Palazzo degli schiavi” (che poi rividi in film ne “il Padrino parte seconda”).
    Io e miei cuginetti avevamo portato le prime maschere e pinne che, sconosciute in paese, avevano tentato i ragazzotti locali. Fatto sta che il giorno dopo, maschere e pinne erano sparite dal capanno!
    Lo zio ne parlò al “cucino” Alfio, uomo d’onore, che ci disse di non preoccuparci, non fare nulla, ci avrebbe pensato lui. In effetti, fece in modo che il mattino dopo maschere e pinne tornassero al loro posto nel capanno!
    La mafia, appunto composta da “uomini d’onore”, non si occupava di gestire malaffare, ma anzi interveniva quando necessario, con i suoi “omeni de panza” conosciuti e rispettati in paese!
    So, sappiamo tutti che il tutto si è gradualmente degradato e dire “mafioso” non ha più significato essere “uomini d’onore”!
    Ecco Sciascia questa realtà la conosceva bene e seppe scriverne ancora meglio!
    Grazie Marino per il tuo straordinario, ricco, documentato articolo che mi è sembrato doveroso inserire tra i “saggi” e ha costituito per me occasione di ricordi molto piacevoli.

  • C’è più Sicilia nello scritto di Francesco che nel mio; più sapori, colori, e una storia personale ben raccontata. C’è tanto che Francesco potrebbe raccontare.

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