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WALTER VENCHIARUTTI

Pietre che cantano

MARIUS SCHNEIDER (1903-1982) è stato uno dei più importanti etnomusicologi della nostra contemporaneità. Di origini alsaziane ha esaminato i rapporti esistenti tra le allegorie e i fenomeni musicali presenti nelle civiltà tradizionali (Occidente premoderno, India , Africa). L’autore, negli anni ’80 docente all’Università Berlino, Barcellona, Colonia (1955-68) e Amsterdam (1968-70), in base ai suoi scritti si è fatto conoscere dal pubblico italiano attraverso le traduzioni di Elemire Zolla.

 

 

Numerosi saggi sono apparsi sulla rivista Conoscenza Religiosa (1969-1983). Il prestigioso periodico, sotto la direzione dello storico e filosofo torinese per due decenni ha rappresentato una vera vetrina internazionale ospitando i più famosi nomi di storici delle religioni, studiosi di sciamanismo e conoscitori di lontane tradizioni misteriche. Tra i molti autori sono da ricordare: Henry Corbin, Seyyed Hossein Nasr, Guido Ceronetti, Margarete Riemschneider, Titus Burckhard, Hananda Kentish Comaraswamy , Marco Pallis, Abraham J. Heschel, J. Ducan Derrett, Cristina Campo, Jorge L. Borges, Giuseppe Sermonti , Hans Sedlmayr, Grazia Marchianò, Margarete Lochbrunner, Mino Gabriele, Leo Schaya.

 

 

Nei primi libri : “LA MUSICA PRIMITIVA” e “IL SIGNIFICATO DELLA MUSICA”(1970) Schneider spiega l’essenza musicale dell’uomo, le connessioni esistenti tra rito-sacro-musica e l’alba del mondo generato dal suono La potenza creatrice espressa dalla vibrazione del Verbo poggia su indiscusse basi atte a confermare l’unità trascendente delle religioni ed è : in Egitto il sole cantante, nei Veda l’inno di tre sillabe, nell’Islam il virtuosismo vocale che accompagna la recita del dhikr, l’enunciato evangelico di Giovanni: “in principio era il Verbo” (Gv 1, 1-18). Le origini del canone polifonico primitivo, fondato sull’idea dell’inseguimento e del cacciatore, le imitazioni magiche di voci animali con le quali il musicista primordiale affatturava la selvaggina.

 

Da maestri tradizionali come i tamburini del Marocco, gli stregoni mongoli esperti nelle pratiche di tamburo rituale e da certi maghi negri lo Schneider ha osservato, appreso e descritto l’arte di incantare i serpenti. Nella sua opera la metodologia differisce da quella dei soliti ricercatori occidentali. Il modo d’ascoltare e sentire i ritmi, le linee melodiche, i suoni della natura non assomigliano affatto alle relazioni composte da analoghi studiosi. Inoltrarsi in questa lettura comporta rischi. Non è la solita scorrevole storia della musica e degli esecutori che si è abituati ad assimilare. Con lui svaniscono le certezze, crollano le opinioni prestabilite. Le primitive litanie non avvallano più il giudizio di ripetitive e insignificanti canzoni.

 

Non a torto Zolla afferma quanto sia “abbastanza naturale che l’opera di Schneider generi sgomento”. Grazie alla conoscenza delle scienze sacre scoprì il sistema dei simboli arcaici di origine musicale derivati, con sorprendenti analogie, dalle tradizioni sciamaniche siberiane, dalle cerimonie magiche africane, dalle danze rituali spagnole. Lo sciamano, lo stregone, il miste è colui che ha imparato a conoscere la musica dell’universo e ha acquisito la capacità di farla diventare la sua voce. Le stazioni dell’essere, gli eterni giri danteschi (XXX Purgatorio): nascita/solstizio, vita/malattia, morte/trapasso hanno innegabili corrispondenze e si relazionano alle tre fasi dell’iniziazione: labirinto/notte, battaglia/ascensione, incontro natura divina /umana. L’uomo ritorna alle origini ogni volta che s’accosta alla morte.

 

Una ricerca originale quella di Schneider che non si ricollega a scuole o a lavori precedenti. Si deve poi considerare che lo scritto costituisce una minima parte del corpus dell’insegnamento orale. Ascoltare i ritmi, esaminare i monumenti sapendone trarre le melodie, cogliere i messaggi sonori lanciati della natura costituiscono le fondamenta di una educazione iniziatica orientata a catturare la musica occulta che si cela nell’universo, ma solo “Qui habet aures audiendi, audiat”.

 

“PIETRE CHE CANTANO” è il testo di Marius Schneider che più colpisce, uno dei pochi in grado di segnare la vita di un lettore. La scoperta straordinaria sopraggiunge quando, grazie all’attento esame condotto nei tre chiostri benedettini di stile romanico delle cattedrali catalane di S. Cugat del Vallès, di Santa Maria a Gerona e di Santa Maria di Ripoll, formula il principio secondo cui “ il posto di volta in volta occupato da ogni capitello nella successione delle colonne non è mai casuale , ma è sempre determinato da un ritmo globale musicale o ideologico”(p.2, Archè 1976).

 

Le immagini ornamentali degli animali, tradotte in note compongono la melodia per gli inni gregoriani dedicati a San Cacufane e alla Santissima Vergine. “Gli animali fungono da intermediari tra gli dei e i mortali perché la loro espressione fonetica è più vicina alla lingua originaria di quanto non lo sia il discorso articolato dell’uomo” (p.10). Dalle figure rappresentate sui capitelli assegnando a ciascuna una nota musicale in base alle conoscenze tratte dai testi indù decifrò e compose gli spartiti di altrettanti inni gregoriani.

 

 

Alcuni esempi, pur semplificando notevolmente le corrispondenze nota musicale/animale, si ottengono delle equivalenze tratte dalla tradizione musicale vedica secondo cui : il FA corrisponde alla tigre o alla capra, il DO all’aquila o all’elefante, il SOL alla gru, il RE al pavone, il LA agli uccelli canterini, il MI al toro, il SI al pesce o al cavallo. Il Verbo è il linguaggio primigenio che creativamente prende forma dinamica e concretizza le cose nominandole. Attribuendo ed emettendo un puro suono ritmato si compie un sacrificio di suoni. Così dalla statuaria simbolica è possibile, seguendo il percorso inverso, risalire alle musiche che antichi maestri hanno scolpito e le silenti pietre si trasformano in loquaci veicoli canori.

WALTER VENCHIARUTTI

10 Mar 2020 in

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