Se è vero, com’è vero, che i veri amici si riconoscono nel momento del bisogno, allora grazie fratelli Cinesi. Stremata dalla pandemia scatenata dal Coronavirus l’Italia si è vista chiudere la porta in faccia da francesi e tedeschi, seguiti a ruota da spagnoli e austriaci, il tutto mentre arrivava a Torino il primo volo Air China carico di scatoloni contenenti guanti e mascherine con la scritta “Siamo onde dello stesso mare, foglie dello stesso albero, fiori dello stesso giardino.” Sempre dalla Cina stanno arrivando in questi giorni gruppi di sanitari specializzati in Coronavirus. Rianimatori, pediatri e infermieri di comprovata esperienza che avendo già gestito l’emergenza nel loro paese sono venuti «ad aiutare il popolo italiano».
La Cina però è un «paese totalitario», dice qualcuno. Loro sono schiavi di un regime mentre noi occidentali siamo liberi e viviamo in un vaso di vetro. Difatti in occasione dell’attuale pandemia mondiale la Casa Bianca ha dato ordine a tutti i dipendenti federali di trattare le riunioni concernenti il Coronavirus come “classified”, cioè segrete. Una disposizione inspiegabilmente restrittiva per una crisi riguardante la salute pubblica. Per non incidere sui dati economici, è bene non sapere quanti sono i morti per influenza risultati positivi al Coronavirus. Penseranno Apple, Google, Facebook, Amazon e Microsoft a depurare le notizie mantenendo «la verità». Per chiunque viva oggi in Occidente (Stati Uniti, Unione Europea e le loro varie propaggini, come Australia, Nuova Zelanda) la verità è quella che passa il convento, e chi tenta di aggirare l’ostacolo viene liquidato come “teorico della cospirazione.”
Siamo liberi? Oggi c’è un Occidente da difendere, o un Occidente da cui difendersi? Scriveva Georges Bernanos nel 1947 che “l’Europa è tramontata nel momento stesso in cui ha dubitato di sé, della sua vocazione e del suo diritto […] e questo momento ha coinciso con l’avvento del capitalismo totalitario”, sancendo in questo modo “la vittoria del denaro contro l’onore”. Anche se in realtà il destino del Vecchio Continente era stato segnato molto tempo prima, da quando una massa scomposta di invasati di versetti biblici, criminali e asociali aveva lasciato l’Europa per andare a riparare sulle coste del Nuovo Continente. Ci vollero due-tre secoli di gestazione, ma poi la risacca catramosa montata dal sangue dell’olocausto dei nativi americani e ricompattata dallo schiavismo cotoniero tornò al punto di partenza sotto l’etichetta di «ideologia americana». Un pensiero fobico e contorto, tutto avvolto dalla sindrome di rappresentare il Bene e pertanto di poter infliggere agli altri il Male, aiutato nel suo proposito dal fiume di morbosa volontà rieducatoria alimentato da Hollywood e da Mc Donald’s.
Ma la fiaba del lupo travestito da agnello è arrivata all’ultimo capitolo, anche se le menti più lucide del nostro tempo ne avevano indovinato l’epilogo fin dal primo. Già Pasolini negli Scritti corsari avvertiva che qualcosa era mutato nell’uomo del dopoguerra e il peggio doveva ancora venire. La società dei consumi avrebbe intaccato l’umanità nel profondo, infettando il suo modo di vivere, la comunità, la famiglia, il pudore, l’intimità. La democratizzazione della cultura avrebbe prodotto un’omologazione al ribasso, da lui chiamata «borghesizzazione americanizzante». Lo stravolgimento prodotto dal cambiamento di paradigma avrebbe modificato la lingua, dilatato la percezione degli eventi, messo in moto una mutazione antropologica. Favorito per un certo periodo la visione del mondo fascista degli antifascisti.
Chi ha messo nel cuore europeo il tarlo roditore del dubbio di sé? Cosa minava l’antico buon senso europeo, la sua vocazione e il suo diritto esportati in tutto il mondo? Chi aveva in odio la tradizione europea, non comprendeva le sue realizzazioni sociali né un patrimonio culturale che dalle profondità della protostoria era giunto in buona forma fino nel cuore dell’età contemporanea? Parliamo chiaramente dell’America, di quel bacino di formidabili energie distruttive giunte a maturazione utilizzando i letali ingredienti del puritanesimo, del biblismo, del liberismo e del materialismo capitalista. Da questo calderone infernale è uscito il cocktail letale propinato ai popoli europei dopo il 1945. L’elisi dell’abbandono e della dimenticanza.
Il sistema politico sviluppato in Occidente e chiamato “democrazia” abusa attualmente del valore di un termine sovraimposto ad un sistema che non vi corrisponde neanche per sbaglio. Stando al lessico il termine “democrazia” dovrebbe essere l’esatto opposto di “capitalismo”, dato che il primo si radica nel Politico ed è il potere dei Molti mentre il secondo alligna nell’Economico ed è appannaggio dei Pochi. Ma nelle società occidentali contemporanee questo ciò non avviene, essendo il principio ordinatore Economico anziché Politico. Una “vera” democrazia non dovrebbe pretendere di decidere dei destini del mondo senza considerare che vi sono altre culture, altre tradizioni, altre storie. Una “vera” democrazia non avrebbe motivo di uniformare a sé la restante umanità in un’ottica etnocentrica e massificata. Una “vera” democrazia non dovrebbe neppure aspirare ad imporre la regola del pensiero e del modello unico.
Ne consegue che attualmente la società occidentale non è realmente “democratica” ma si trova intrappolata in un sistema pervaso da un’ideologia illuminista “di ritorno” che vede nella fede della ragione l’unica fonte di verità. Si è sviluppata da un simile presupposto la volontà di un governo mondiale in cui stanno per essere cancellate le differenze, il tutto in una logica di determinismo storico per la quale un solo destino è possibile. Peccato solo che non si sia considerato che la Storia non può fare l’uomo, è l’uomo che fa la Storia e il momento di agire è arrivato. Un progetto nuovo, l’“Eurasia delle Patrie”, è possibile. E se le idee scarseggiano, cosa assai frequente di questi tempi, si rispolveri la teoria geostorica dell’Eurasia elaborata alcuni decenni or sono da Jean Thiriat, convinto già allora che la strada da seguire fosse quella di unire le terre comprese tra Lisbona e Vladivostok in un unico continente-nazione con alle spalle una cultura millenaria.
Solo un simile blocco, unito negli intenti ma separato nelle proprie specificità, tradizioni, culture e identità, potrebbe fronteggiare l’unica potenza mondiale, gli Stati Uniti d’America, che domina il mondo attuando politiche militari di terrorismo in territori sovrani. L’Europa, per ora, tentenna e arranca mentre Mosca, Pechino e Teheran sono pienamente consapevoli della posta in gioco. Diplomatici e analisti del trio stanno lavorando a uno scudo per proteggersi l’un l’altro da tutte le forme di guerra ibrida (sanzioni incluse) lanciate contro ognuna di esse. Per gli Stati Uniti questa potrebbe essere davvero l’ultima crociata e, poco ma sicuro, l’Impero non si ritirerà con buona pace dello spirito. Nel periodo di transizione bisognerà mantenersi pertanto attenti e vigili, sempre pronti alla battaglia del secolo.
Proprio dagli eventi storici degli ultimi decenni emerge l’errore di fondo dell’Illuminismo e dei secoli troppo intelligenti che l’hanno seguito, o meglio inseguito, colpevoli di avere gettato via l’acqua sporca con il bambino dentro. Adesso, così, non abbiamo più nulla. Mentre «gli altri» sono stati più previdenti. Se l’Europa globalizzata fa rimuovere i suoi simboli tradizionali dagli edifici pubblici e dalle scuole, in nome di non si sa bene cosa, il Ministero dell’Educazione cinese ha re-inserito nei programmi scolastici lo studio obbligatorio del «canone» confuciano, recentemente adottato anche dalla politica. Non tanto per assicurare banalmente un ritorno del Paese alle proprie radici culturali, quanto piuttosto per affermare la volontà di diffondere tra i giovani concetti morali utili a riempire il vuoto lasciato dal venir meno dei valori maoisti e introdotto da quelli occidentali.
Quello che gli scritti canonici del confucianesimo si propongono d’insegnare ai bambini cinesi, in fondo, è ciò che fino a ieri veniva insegnato anche da noi. Il rispetto verso gli adulti e la casa comune, l’idea che solo all’interno della comunità una persona possa acquistare un senso sviluppandosi in modo compiuto, l’altruismo verso i prossimi anziché verso dei bisognosi virtuali che mai s’incontreranno nella vita, l’idea che una vera riforma della società può partire solo ed esclusivamente dalla rigenerazione del singolo e della famiglia.
Persino in questo nefasto periodo di pandemia da Covid-19 l’Oriente sta puntando tutto sulla variabile implementazione di diversi gradi di autoritarismo e sulla riqualificazione della sanità pubblica come strumento fondamentale della società, mentre l’Occidente ricicla il cosiddetto darwinismo sociale fondato sulla selezione naturale della specie. La prima strategia si fonda sul tradizionale rispetto asiatico verso gli anziani e su principi immutabili come la solidarietà e la benevolenza, la seconda strategia rientra perfettamente all’interno di un mero calcolo di natura economica. Muoiono gli inattivi, cioè i vecchi, vorrà dire che ce ne faremo una ragione.
A tale proposito vale la pena di ricordare che nella lingua cinese non esiste una parola che significhi semplicemente «vecchio». Ci sono invece diversi termini che illustrano in modo quasi poetico differenti aspetti della vecchiaia: l’aspetto di coloro che necessitano di un’alimentazione più ricca (k’i); l’aspetto di coloro che hanno il respiro affannoso (k’ao); coloro che passati i settant’anni hanno il diritto ad essere chiamati lao, rientrano cioè in un ambito in cui l’anzianità diventa sinonimo di venerabilità. A sua volta il termine lao indica il “mettersi a riposo” di chi ha compiuto il gesto rituale di prendere congedo dal proprio capo.
Ogni parola cinese conserva un valore vivente. Evoca un’azione perché solo attraverso l’azione si ricava il massimo dalla gente comune, e così facendo la società si perfeziona. Il cane sciolto che piace tanto alla mentalità scomposta occidentale contribuisce a creare un agglomerato anarchico, ma non sarà mai capace di costituire una società. L’impostazione confuciana trova evidenti analogie anche nella dottrina politica platonica basata sull’idea che ogni comunità può solo fondarsi sul sapere essenziale della filosofia e della Δίκη (giustizia), intesa heideggerianamente come l’insieme delle leggi che dispongono dell’essere dell’ente. Concludendo, l’idea che oggi l’Est sta suggerendo a un’Ovest ancora abbracciato alla sua valigia di stracci è quella che «essere conservatori» non significa affatto dipendere da ciò che è stato ieri, vuole dire vivere ciò che è eterno.
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