E’ molto interessante l’evoluzione che l’atteggiamento morale e la sensibilità psicologica di vasti strati sociali hanno assunto, specie in Italia, nel corso di quest’ultimo decennio. E’ un decennio che coincide con il rapido affermarsi di quello che comunemente viene chiamato il “politicamente corretto” ( P.C.) , un atteggiamento mentale molto diffuso in tutto l’Occidente, ma che in Italia sembra aver attecchito con particolare fortuna sociale. Per la verità la sua presenza non è equamente distribuita all’interno della società civile; il Politicamente Corretto domina soprattutto nelle Università, nelle Case editrici più grandi, negli ambienti artistici, nei media. Al di fuori di tali ambiti, ove il P.C. tende ad operare un dominio deciso a scoraggiare ogni dissenso, gli strati sociali più ordinari e più diffusi e una minoranza di intellettuali e uomini di cultura per lo più marginalizzati tendono ad esprimere, semmai, atteggiamenti “politicamente scorretti”, che ne determinano poi un’ulteriore marginalizzazione.
I dogmi del P.C. sono noti. Essi riguardano temi particolarmente cari alla sensibilità della Nuova Sinistra e di parte del mondo cattolico: diritto dei migranti ad una indiscriminata accoglienza, diritto degli omosessuali a contrarre matrimonio, omogenitorialità attraverso fecondazione eterologa e utero in affitto, nessuna concessione a norme sulla sicurezza che riconoscano maggiormente il diritto del cittadino di difendersi dalla delinquenza, e così via. Il linguaggio con cui il P.C. colora e conferisce forza di suggestione alle sue prediche ideologiche, fa sempre più ricorso alla parola “amore”. Così i migranti devono essere accolti per un dovere d’amore; gli omosessuali devono poter contrarre matrimonio per diritto d’amore, l’omogenitorialità è lecita perché quel che conta è l’amore, e così via.
Quello che colpisce, al di là del merito delle questioni, è proprio il linguaggio, che fa regredire il discorso politico e culturale ad un livello simile a quello che caratterizzava, nell’Ottocento sentimentale e perbenista, le prediche dei pastori d’anime, le litanie delle suorine e delle educande, gli appelli ipocriti di tanti ricchi filantropi. Il fatto è che non siamo più nell’Ottocento, ma in un secolo che avrebbe dovuto sviluppare una consapevolezza seria e responsabile della complessità della vita, della natura profonda dell’essere umano, della delicatezza dei meccanismi e dei processi che caratterizzano la vita della famiglia e della società. Ormai dovremmo sapere che “ l’amore non basta“ e, persino, che il “troppo” amore può essere, specie nell’allevamento dei figli, altrettanto patogeno del deficit di amore.
Da qualche tempo, però, è comparsa, sempre più, nel lessico dei “politicamente corretti”, anche la parola “odio”, che fa da simmetrico pendant alla parola “amore”. E come la parola amore anche la parola odio viene sempre più epidemicamente utilizzata. Così come l’amore viene retoricamente predicato ed esaltato, la parola odio viene invece, naturalmente, esecrata e scagliata come un’accusa infamante contro gli avversari politici e culturali, che non si sottomettono servilmente alla dittatura del P.C. Così autentici bersagli precostituiti sono diventati oggetto di esecrazione perché seminatori di odio: odio contro i migranti, contro gli omosessuali, contro gli avversari politici e contro quasi chiunque si sottragga al coro del P.C. Ad esempio Salvini è di gran lunga il bersaglio preferito, seguito a ruota dai militanti di Casa Pound, che sono stati persino esclusi, in quanto appunto “seminatori di odio”, da Facebook, e non certo, io credo, per il loro certamente criticabile neofascismo, ma perché esprimono un pensiero che si sottrae al coro dei nuovi benpensanti.
In realtà gli odiatori sono proprio coloro che accusano di odio i loro avversari, sui quali proiettano la loro aggressività, accusandoli di un odio che in realtà sono loro stessi ad esprimere. Ma perché?
Credo che la risposta stia nel fatto che, diversamente dai decenni che vanno dalla fine della seconda guerra mondiale all’inizio del XXI secolo non si era mai registrato in Europa, ed in particolare in Italia, un simile sforzo di costruire un blocco politico-culturale, omologante e caratterizzato da valori ritenuti assoluti a cui l’intera società è chiamata a conformarsi. Tali valori hanno appunto trovato la loro codificazione nell’ideologia del cosiddetto Politicamente Corretto. Chi si sottrae appare un Nemico, che viene demonizzato e, moralisticamente e proiettivamente, accusato di essere non solo, come un eretico, portatore di “errore”, ma soprattutto propagatore di odio. Di conseguenza diventa a sua volta oggetto di odio, ma di un odio che viene contrabbandato come una forma morale di “ odio dell’odio”.
Accanto alla retorica dell’amore, ci troviamo così di fronte anche ad una “retorica dell’odio”. Amore e odio, che sono sentimenti grandi e grandi potenze affettive e simboliche, sono così degradati rispettivamente a sentimentalismo e rancore, e sono asserviti ad una campagna di condizionamento e di organizzazione, su larghissima scala, degli atteggiamenti mentali e del consenso politico del grande pubblico. Ciò che più amareggia è che ad orchestrare la campagna siano anche, con poche e lodevoli eccezioni, gli intellettuali, un ceto che dovrebbe coltivare il pensiero critico, ma che, specie in Italia, ha una singolare attitudine a cantare in coro nei palazzi del potere.
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