La trasmissione elettronica ha già dato origine a un nuovo concetto di responsabilità creativa pluralistica, che vede il sovrapporsi delle funzioni specifiche del compositore, dell’esecutore e persino del fruitore. Basta pensare per un attimo al modo in cui i ruoli del compositore e dell’esecutore, un tempo ben distinti, s’intrecciano ora automaticamente nella messa a punto di una registrazione elettronica, oppure, per citare un caso più frequente e meno potenziale, al modo in cui l’ascoltatore, fra le pareti di casa sua, può ora tradurre in pratica parte dei suoi giudizi tecnici o anche grazie a comandi più o meno sofisticati del suo impianto stereo. A mio parere non passerà molto tempo prima che l’ascoltatore dia al proprio ruolo un’impronta più autorevole, prima che, tanto per fare un esempio, il consumatore avveduto di musica registrata provveda personalmente al montaggio del nastro (e chissà che questa non diventi la Hausmusik del futuro…). Mi meraviglierei, anzi, se l’attività dell’ascoltatore si fermasse qui, dal momento che l’idea di partecipazione su più livelli al processo creativo è implicita nella civiltà elettronica.
Glenn Gould, L’ala del turbine intelligente
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Grazie a un leak siamo venuti in possesso di una conversazione, in data imprecisata, che si dice abbia avuto luogo tra Glenn Gould e un vinile grezzo. Il testo apocrifo si sviluppa come segue.
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[Sala di registrazione, circostanza non nota, apparentemente dopo uno dei momenti di reincisione di un passaggio che, all’ascolto della prima esecuzione, era parso all’artista emendabile. Glenn Gould si alza dal piano e raggiunge una postazione munita di cuffie; ascolta il piccolo passaggio appena rieseguito, facendo segno al tecnico al di là del vetro che se ne compiace. Afferra, da uno scaffale vicino, un vinile da stampigliare, da una modesta rastrelliera contrassegnata come Nuove grammature. Si sincera che il suono della stanza in cui si trova non sia registrato o udibile. Tira una tenda: ora la stanza è occultata agli sguardi esterni. Gould, come se fosse tra sé, si rivolge al disco.]
Gould Chi l’avrebbe mai detto, che fosse così prezioso questo Suo involucrare la musica…
Disco La ringrazio, ma non ho mai capito che ci sia di così grande.
G Dato che Ella parla, fatto inatteso ma non così sorprendente, allora non faccia il modesto. Ella è un ricettacolo, ancor più che prezioso, vivo e flessibile. Pur se da quella Sua forma ben poco a prima vista se ne induca.
D Mi hanno detto, Gent.mo, che ne ha scritto. Eppure ancora non ho capito perché: i Suoi colleghi, con licenza, per lo più mi detestano.
G Come dare loro torto?
D Mi scusi se non mi appongo con lucidità: Ella, allora, ne condivide il pensiero? Non che io, come strumento vivo in questa sola conversazione immaginaria, possa troppo dolermene… e tuttavia…
G Sono stato precipitoso, ne convengo. In realtà mi riferivo alle condizioni in cui li costringono, quei cari colleghi, a donarsi alle Sue spirali.
D Ella intende, suppongo, quelle registrazioni dei loro concerti.
G Illusione! Tenebra egiziana…! Come se anche gli omnidirezionali e i Revox più precisi, come se ogni tecnologia immaginabile potesse… potesse… ecco potesse riprodurre quella sensazione istantanea e irripetibile. Né la mia, modestamente, che eseguo, né quella d’altri che, da bravi astanti, in quella porzione indiscernibile dello spazio e del tempo vivono l’oggetto sonoro.
D Ella, Signore, così dicendo mi umilia.
G IO? No, mon cher, non ho migliore amico di te. Se permette, s’intende, la licenza di questo pronome famigliare.
D Si figuri: in fondo Le devo la vita…! Ma si spieghi: in queste conversazioni immaginarie gli autori non fanno noi personificazioni così rapide di mente…
G Amo farti raccogliere il mio suono. Ma da anni quei solchi nascono solo da un montaggio lento, crudele, a suo modo doloroso pur nella bellezza della scoperta della verità.
D Così mi dice che ciò che incide su di me non è avvenuto di fronte a qualcuno? A un pubblico in carne ed ossa? In quella situazione un po’ caotica che spinge i tecnici a… come dicono, ripulire i nastri?
G Suvvia il nostro pubblico non è così male. Tace a sufficienza perché si possa registrare.
D Forse per documentazione, per ragioni storiche. Non per raccogliere l’ARTE – sento dire. Non ho mai capito se io sia il successore evoluto del cilindro musicale…
G Se non ti sconvolge, ti svelo un segreto.
D Più che essere già spossato per questa mia improvvisa coscienza…
G L’unità nel tempo di quanto tu riporti non esiste. Non è mai esistita.
D Ma ciò significa che Ella non ha suonato quanto su di me si sarebbe inscritto?
G Sì e no. All’origine c’è l’atto del suono. Ma esso è poi rimontato, manipolato, perfezionato, purificato, ricomposto fino a quando…
D … fino a quando per una qualche soddisfazione Sua si ritiene che non vi sia altro da aggiungere e che io pertanto possa restare inciso!
G Ben detto, amico.
D Cosicché la mia umile natura non è succedanea bensì originaria.
G E la mia non è esecuzione che interagisce con la viva epperò fuorviante attenzione di un pubblico. Piuttosto è un saggio, uno studio.
D Gentilissimo, se La ringrazio per avermi riscattato da quella condizione subalterna, tuttavia obietto.
G E come?
D Sentesi talvolta, nelle pieghe più estreme dei solchi, il respiro, l’affanno, il battito quasi del cuore di chi era presente a un suono prodotto nel vivo da uomini per uomini…
G Primitivismo. C’è altro che si può fare con te. Ossia…
D Me lo dica. Perché un barlume di proiezione della mia coscienza mi rende un’immagine intristita… sale solitarie… ambienti asettici… individui… niente applausi…
G Forse.
D Che ci sarebbe di più? Dancing fumosi? Piatti dove io e i miei fratelli ci sostituiamo vorticosamente – che mi sembra appaiano in un futuro incombente? Ella sa che lì ciò che produciamo è un fattore, minore, d’altra temperie umana…
G Pensa a quanto controllo ha chi ti riproduce.
D Ah certo. Il preampli. L’equalizzazione. I subwoofer… ma dice sul serio?
G Più che serio. Tu sei ripetibile. Sminuzzabile. Segmentabile. Rallentabile…
D Ella, Signor mio, di rallentamenti sullo stesso spartito pur se ne intende…
G Spiritoso! Ma pensa: a chicchessia è dato di ritornare, riascoltare… tu porti la nostra arte a confinare con la pittura.
D Mi pare Ella non ponga mente a quanto segue: che i miei solchi avvizziscono ai primi ascolti, che la mia statica mi penalizza, che molti impianti mi rendono poca giustizia…
G Ci sarà un futuro migliore. Per te, per un tuo cugino nastro o per qualche altra simile tecnica. La via è tracciata.
D Ma non Le pare, Maestro, così facendo di respingere un aspetto intimo della sua arte, che – lo capisco da quanto mi vibra dentro – è grandissima proprio in quel che sta rifiutando?
G Guai se la freccia non scocca oltre il limite della tua perfezione. Guai se non si libera dalla fragilità di questo supporto umano la verità intima dell’arte. Tu sei questo potenziale.
D Non senza di Lei, Maestro.
G Questo è quanto è vero fino ad oggi. Ma il domani è congiunto, delle macchine e degli uomini.
D La prospettiva mi spaventa. Mi riponga nella custodia senza che sia inciso. Mi rimetta nel mucchio.
G Ma non ti sentivi nobilitato?
D Forse. Ma quanto andrà disperso di quell’arte che Ella vorrà profondervi nella solitudine ossessiva, nell’ascolto privato, nella fruizione distratta del compratore di oggetti?! Io SONO un oggetto.
G Anch’io sul palco, mio caro. Liberiamoci da questa etichetta. Nascondiamo dentro la nostra simbiosi un messaggio per chi potrà coglierlo. C’è un messaggio per il compulsatore di vinili. Osa paragonare. Gould e Arrau, Brendel e Gulda. Tu porterai la mia voce, tuoi simili quelle di altri. Al limitare del vostro suono, vedo la libertà di chi ascolta…
D Maestro, Ella mi adula. Dunque suoni. Torno muto.
G Ma ricorda e lascia che menzioni le mie stesse parole: la tecnologia consente di creare un’atmosfera di anonimato e di dare all’artista il tempo e la libertà di preparare una propria concezione di un’opera al meglio delle sue possibilità, di perfezionare quello che ha da dire senza preoccuparsi di sciocchezze come la paura o un’eventuale nota stonata. Ora, addio: ti risveglierò alla stampigliatura del nome e del titolo; sui tuoi simili, che godranno l’apparenza della gloria. Ho infatti deciso: ti porto via con me; sarai il loro cenotafio.
D Così voglia allora la sorte.
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[Gould esce, saluta il tecnico e gli chiede se non gli dispiaccia che si porti via quel vinile. Il tecnico risponde di averne presi anche lui due o tre, da appendere sotto la veranda per non far svolazzare quelle chiassose tortore… Gould annuisce; il vinile, sotto il suo braccio, è come se vibrasse.]
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Immagine courtesy of & by Kelly Sikkema on Unsplash (https://unsplash.com)
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