Beppe Fenoglio aveva la faccia butterata. Pustole cicatrizzate. Le guardava allo specchio e avrebbe voluto strapparle dalla faccia; anche il naso lo avrebbe smontato, strappato via, che a Fulvia di cui s’invaghi’ quel naso la fredda. Non bastava l’inglese del vocabolario che Fenoglio padroneggiava, come Valentino Mazzola i lanci lunghi nel Grande Torino, a solleticarla, a farle venir voglia di mettergli le mani nei capelli, e non per colpa dell”unto della brillantina. Essere brutti, fa difficile innamorare gli altri, non c’è dubbio.
Beppe Fenoglio era un bell’uomo visto da lontano. Da vicino, la pelle del volto era mossa come un marciapiede spaccato dalle radici delle piante. Una ragazza, a scuola, confidò a un’amica che Beppe era fine, gentile, ma quando lui le parlava a una spanna lei vedeva i piccoli crateri: come dev’essere il pianeta Marte, aggiungeva l’amica, ridendo. E Fenoglio doveva confondersi, quando certe ragazze gli sorridevano, guardandolo con curiosità. Credeva che il sorriso anche se stretto, rapido, significasse: mi piaci, ragazzo. Invece era quella curiosità morbosa, subito spenta come un sbatter di porte d’imbarazzo. Si sbagliava il ragazzo Fenoglio. E come si sbagliava. Si può diventare scrittori anche per ripicca a qualcosa andato storto: una delusione, un rancore che poi vuoi mettere su pagina, e si fa un tormentone e perfino un diamante che brilla.
Molte fotografie ritraggono Fenoglio fra le colline, le sue, langarole, dove il mondo dei vinti di campagna ancora non aveva ceduto il passo ai capannoni, la monocoltura dei vitigni nelle ondulazioni morbide come mammelle; e alle piante che danno nocciole, che Ferrero si apprestava a trasformare in Nutella, nei suoi uffici di Alba. La cittadina, un borgo-mercato come Crema (si fa per dire: un po’ come dire la Grande Juve di Sivori e la Juve Stabia), poco più di trentamila anime che Fenoglio trasformò nel teatro universale, teatro-mondo. Nel catalogo fotografico di Gribaudo editore, Fenoglio lo si vede in giacca e pantaloni intonati, in rugosi cappotti col bavero alzato, la sigaretta in bocca o fra le dita, il ciuffo brillantina tirato all’indietro. Un bell’uomo, visto a distanza come si fa ora per la pandemia, un ufficiale inglese paracadutato in Langa per mettere pace tra partigiani azzurri, rossi, bianchi, e i professorini di Giustizia e Libertà, vestito come un giorno di festa a far visita a un territorio incantevole. Un soldato di Cornwell, in un ritorno al futuro nel 1943, che combatte gli ottusi e sanguinari nazifascisti.
Il kickstart, la partenza di tutto, per chi vuole avvicinarsi alla letteratura della Resistenza, oltre Guglielmo Petroni, è senza dubbio Beppe Fenoglio. Lo capi’ subito Calvino leggendo “Una questione privata”; lo ammette Luigi Meneghello, scrittore raffinato, provinciale del Vicentino, che condivise con Fenoglio l’amore per l’Inghilterra, la sua lingua; per Meneghello, l’esilio, il distacco polemico dall’ambiente culturale del belpaese, l’insegnamento a Reading. Fenoglio, come dice Meneghello aveva una qualità in più della scrittura letteraria, che molti non hanno, nonostante si ostinano a ritenersi scrittori, una virtù senza nome. Che non si può spiegare.
Fenoglio ha saputo raccontare gli odori, i sapori non solo delle cose che guardiamo, ha fatto della realtà la parola scritta. “E portatevi qualcosa da far leva, che’ per il gelo s’è tutto attaccato alla ghiaia”. Un solco preciso nel racconto; un muro fatto solo di tre cose ma che va su esatto, senza addobbi, festoni, fronzoli, aggettivi superflui, quel di più arricciato da latinisti da cucinotto che vogliono marcare qualcosa. Realtà nuda, cruda, sobria, eppure inattesa, che può sconvolgere. Fango come sabbie mobili; proiettili, sibili, mitraglie, sudore e il gelo che morde, i buchi degli spari che rimbalzano nello scrivere: “Corse avanti con le mani protese come a tappar la bocca dell’arma, e cosi i primi colpi gli bruciarono le mani”. E ancora: “Le due mani non gli bastavano più per tamponare il sangue”.
Fenoglio è uno scrittore vero, malato di storie che gli si caricano addosso. Ma come raccontarle? A singhiozzo? A ondate? centellinate e ripassate, tirate e stirate? Con metodo come quando uno dice alla moglie: esco per una boccata d’aria, e lo fa ogni di’, come se lei non lo sapesse che infilandosi la giacca e il cappello pigiato in testa, alle nove del mattino, suo marito, puntuale, va a farsi due passi e poi torna quasi sempre alla stessa ora.
Beppe Fenoglio, per scrivere doveva fumare. Non gli sarebbe venuta una riga decente, senza aspirar nicotina, il gesto della sigaretta portata alla bocca, il tabacco spinto giù e poi fuori, la tenacia inquieta che fa scrivere, traboccare di mozziconi il portacenere.
Rileggere Fenoglio rimette a posto le cose, la letteratura indispensabile come il pane e quella per il sollazzo, che ha la sua dignità ma è altra cosa, dei perdigiorno esperti in sbadigli, di chi farebbe bene a far pratica, prima di ogni altra cosa, di un po’ di aria salutare in fonderia.
Fenoglio di mestiere faceva il corrispondente estero, ma non il giornalista, era dattilografo alla Marengo, che produceva vini e spumanti. Lettere commerciali. Listini prezzi. Bolle di spedizione. E nei giorni liberi gli piaceva farsi un giro in collina o giocare a Pallapugno, il pallone elastico e sapeva scagliarlo anche a 60-70 metri; opuure giocava contro un muro alto di mattoni. Dopo due-tre bicchieri di vino rosso tosto tornava a casa, a volte era già quasi buio, l’alloggio sopra il negozio nel centro di Alba, scombinato su due livelli, un’unica stufa e un solo rubinetto, entrambi in cucina. Camere ghiacciaie d’inverno, e fornaci d’estate; le finestre affacciate sui tetti di coppi rossi, le torrette, le merlate. La sorella di Beppe, Marisa ricorda che lui pestava sulla macchina per scrivere nel silenzio della notte, disturbandole il sonno; una stanza dove lei rifiutava d’entrarci perché il fumo intossicava l’aria. E suo fratello non sopportava di essere disturbato come se dovesse rovesciare in quel picchiare dei tasti una strana (dolce, seppe poi) rabbia interiore.
Fenoglio e la sua ruvidezza campagnola, langarola, quell’etica intransigente tutta piemontese, non poi così sbagliato trovarci un nesso comune da Arpino ai Galante Garrone; da Bocca Giorgio a Franco Venturi, a Marco Travaglio. Uno strano senso del pudore che va a finire “in battute salaci e impietose”.
Fenoglio mangiava alla cieca, a casa, fregandosene del cibo. Aveva fretta di finire, e leggeva a tavola; poi usciva in fretta, senza salutare. Quando tornava andava diretto nella sua stanza, e lo sentivi muovere la sedia, e cominciare a picchiare sui tasti, la sigaretta accesa, i colpi di tosse. Morì troppo presto. Una figlia piccola che lui adorava; una moglie senza paura che aveva attraccato su Marte, e gli accarezzava la faccia butterata. Crepo’ in fretta, poco dopo una breve vacanza di nozze al lago di Ginevra, una coppia che sorride, con una bimba piccola tra le braccia di papa’ Beppe Fenoglio. Aveva già lì i polmoni devastati, il tumore che avanzava.
Commenti
Bello. Le anime liete non hanno niente da dire. Se scriveva era tormentato per definizione, e forse i crateri si erano aperti solo per la lava che scorreva sotto. Bella l’ambientazione ad Alba, dove ho trascorso tanto tempo, perché coi suoi 30.000 abitanti o poco più, era la captale di tante cose, mica solo della nutella! Un po’ come Crema insomma. Ma c’è una differenza: quando la frequentavo io c’era almeno un asino per abitante, a Crema porcelli?
Guardate Fenoglio come ci sorride dal post di Pietro sui vaccini!
La fotografia scelta è la cosa più bella dell’intera solfa paraletteraria, da due centesimi da me scritta. E la curiosità di Adriano, mi fa spanciare. Sei forte Adriano, nonostante studiar da medico porta via tempo ad altre letture, credo, hai l’entusiasmo di uno di vent’anni. Che sfiga che aveva Fenoglio: aveva finalmente un po’ di tranquillità, era felice al mondo con sua figlia piccola, e a soli 41 anni ci ha lasciato.
Per quanto mi riguarda direi nonostante ai venti che tu citi ne vadano aggiunti 51, ma ancora non mi basta, mi addentro ancora altrove, rompendo le balle a gente intorno con richieste di ricerche strane… oggi i rutti delle mucche alla mia seconda nuora ingegnere, ad esempio.
Circa Fenoglio l’accoppiamento donna bella uomo intellietto-dotato non è mica poi così bizzarro: l’archetipo nella bella e la bestia!
La sfiga? Ogni volta che vedo qualcuno smettere di fumare mi stupisco, me compreso che ho iniziato a 10 più o meno e smesso a 50, ma è stato per il motivo Fenoglio.
So che non interessa a nessuno, ma queste due-tre cose su Fenoglio, uno dei miei autori che porterei sull’Arca di Noe’ se viene lo stravento anche nel Cremasco, sono saltate fuori di getto, per colpa di una parola, letta a pagina 63 di “Shuggie Bain” di Douglas Stuart, scozzese, che ora lavora nella Moda a New York City, cresciuto a Glasgow, e “Shuggie Bain” è il suo primo romanzo, vincitore del Booker Prize 2020, una sorta di Premio Strega. La parola è “pockmarked”, aggettivo, che vuol dire butterato. Compare in un momento del racconto in cui una ragazza torna a casa, è sera, e incrocia un gruppo di ragazzi, di Orangeboys, giovani protestanti che dopo la parata di Orangemen ìn George Square, nel centro di Glasgow, cantano ancora canzoni settarie e insulti ai cattolici. Uno di loro lpunta un coltello alla gola della ragazza e le urla: Celtic or Rangers?
I Rangers raccolgono il tifo dei protestanti, il Glasgow Celtic è considerato lo Sporting Mecca dei cattolici.
E quel ragazzo, era butterato in faccia.
Soprattutto oggi, mi auguro di cuore che la ragazza abbia risposto “Rangers”!
La pubblicazione del tuo “Beppe Fenoglio” ha avuto, per problemi “tecnici”, un parto abbastanza ….laborioso!
Ma ne è valsa davvero la pena!
Grazie Marino.
ndr: la foto l’ho scelta io!
Scusami Francesco, pensavo si sapesse che le fotografie di ciò che scrivo è scelta tua. Sempre. Non mi curo di questo. Mi vanno bene tutte le foto, m’importa solo l’inchiostro, ma anche questa volta hai centrato il bersaglio.
Ne approfitto per rispondere in sbilenco modo ad Adriano Tango. Ci sono, come ho scritto più volte luoghi che producono letteratura e luoghi che producono scritti per calendari delle Casse Rurali. I luoghi influenzano, modellano i pensieri anche, creano fantasie, oppure creano terreno arido, che non produce roba stimolante. Pozzuolo Martesana non solletica molto, credo in confronto a Parigi; ma nemmeno Crema, il Cremasco ha solleticato la letteratura come le Langhe, l’altopiano di Asiago. Il Cremasco ha dato robetta alla letteratura. Beppe Severgnini è diventato quello che è come corrispondente dall’estero, e a parte la maestra del Montessori, non ha fatto del Cremasco lo sfondo, il palco, l’impianto di ciò che scrive, come Fenoglio, Nuto Revelli, Fenoglio delle Langhe, Mario Rigoni Stern dell’altopiano di Asiago diventato “territorio dell’umanità letteraria” grazie a lui. E Alba è un piccolo centro, più piccolo di Crema, ma con una personalità per vari motivi che il Cremasco non ha, quindi scriverci, del Cremasco va bene per un inserto del “Nuovo Torrazzo”, o se concesso, dei coloni Cremonesi, magari un premiolino locale con le autorità schierate, ma tutto finisce li’. Il film di Guadagnino piteva essere trasportato pari pari nel Lodigiano, che non cambiava nulla. Anche a Guastalla e Gualtieri, che veniva uguale. Il regista palermitano teneva dimora a Crema, non per scelta specifica, ma orr affetti personali e un bel palazzo a costi molto ridotti rispetto a Milano. Poi, stufo di fare avanti e indietro sulla tratta Crema-Milano si è stabilito lì, in un luogo più adatto a lui. Fosse stato parrucchiere andava bene restare nel piccolo borgo.
Ho affermato “Le anime liete non hanno niente da dire”. Penso di dover circostanziare. Esistono studi su scrittori vita, morte e miracoli, estese ai familiari, che confermano un malessee esistenziale, almeno superiore alla media. L’uomo pantofolato non ha da espellere.
Marino, ieri sera su rai5 hanno replicato un documentario su Chiara, Luino e il suo lago. Da quelle parti vive anche Vitali. La parola più ricorrente é stata “provincia”. Ammettiamo pure che Chiara possa anche non piacere,e il paesaggio non é certamente il nostro, ma anche Vitali ha saputo ravanare in quel piccolo mondo trovandovi storie da raccontare.
Ivano hai fatto benissimo a citare Luino che è un’altro luogo letterario, insieme all’Altopiano di Asiago, le Langhe. Ci sono altri piccoli territori, provinciali dove c’è letteratura di alta qualità. Ho scritto che tutti i luoghi non sono uguali, e non tutti solleticano la letteratura, nutrono la fantasia che poi si rovescia in pagina. Il paesaggio lacustre, parlo del Lago Maggiore e del Lago di Como offre scenari che Casaletto di Sopra, Ombriano e Santa Maria della Croce con tutto il rispetto non hanno. È un fatto che i paesaggi che tu frequenti in bicicletta nel Cremasco non abbiano dato natali che a scrittori, poeti da due soldi, a meno siano andati via e abbiano messo dimora altrove. So che questo mi farà antipatico a molti Cremaschi, ma se si vuole nascondere la realtà si faccia pure. Io guardo il Cremasco per quello che è, e ne parlo spesso, molto più di tanti innamorati cotti di un territorio che qualunque turista, eccetto le corriere della Pro-Loco della bassa Bresciana che vengono a farsi un giro a Crema non aspettando che il momento di tastare i tortelli, e dimenticano dopo mezz’ora cio’ che hanno visto.
Conosco Luino, e ho frequentato un pomeriggio l’itinerario di Piero Chiara, di cui ho racconti e romanzi, e l’atmosfera provinciale della sua scrittura mi piace, un atmosfera che conosco bene, perché è la mia. A Luino, oltre Chiara è vissuto uno dei miei poeti favoriti, Vittorio Sereni. Da Luino con il battello puoi andare a Cannero Riviera, bel borgo, in val Cannobina, le montagne dell’alto Luinese. Non le colline di Chieve.
Andrea Vitali, medico, è un grande successo. Lo conosco poco. Ho interrotto a metà un suo romanzo. Se vai a Bellano, borgo cupo, come è quasi tutta la sponda est del Lago di Como, dove il sole compare un po’tardi di mattina, e ci sono arrivato con il Sentiero del Viandante a Bellano ci sono tanti negozi vintage, dove sembra che il tempo si è fermato. Un borgo perfetto per certe storie di provincia dell’Italia di ieri. E i libri di Vitali sono in vetrina ovunque. Lì è una celebrità. Fenoglio e Pavese a Crema sarebbero diventati quello che sono stati? Ho molti dubbi. Anzi non ne ho.
Della provincia ha scritto tanto Giorgio Bocca, e addirittura diceva che anche Torino gli stava stretta per il giornalismo nazionale, che fa centro a Roma e Milano. Se vuoi fare del cinema, anche Milano che è Milano fai molta fatica, perché il centro italiano è Roma. Spoleto è diventato il festival dei due Mondi, non quello del tortello, perché Menotti amava il paesaggio umbro e girovagava, come molti stranieri colti per le colline dell’Umbria. Non è un caso che gli stranieri, parlo di chi mastica letteratura abbiano scelto la Toscana, la Liguria, Capri, Ischia e non il Parco del Serio, che è oro solo per noi del Cremasco, perché o mangi questa minestra o vai, a piedi, sul Canale Vacchelli. Poi, non intendo certo convincere nessuno, e ciò che scrivo vale niente, ma so anche che criticare o dire la nuda verità non sempre fa piacere. Un luogo suona anche nell’immaginario mentale e l’altopiano di Asiago risuona, e infatti anche Ermanno Olmi, Stajano, lo frequentavano, oltre le storie di Rigoni Stern, Lussu l’hanno cantato in pagina. Sulle colline della Toscana, Città della Pieve, Monteleone d’Orvieto, ci passano le vacanze diversi scrittori. A Crema e nel Cremasco non viene nessuno. Ci sarà una ragione.
Quando sono arrivato a Crema ho incontrato colleghi nuovi, cremaschi, e uno, appassinato, come me al tempo di fotografia, mi ha detto che non riusciva a esprimere la nebbia.
Io, che accompagnavo tutte le mattine prima dell’alba mia moglie a Soncino (altra storia di vita), gli ho fatto vedere le mie foto. Non ci credeva.
E allora, la nebbia della “brughierotta” come la chiamava uno di noi, milanese, forse va vista prima da fuori per capirla da dentro.
Invece Milano, che ho vissuto da dentro durante un soggiorno da studente, mi suscita ora solobei ricordi del tempo che fu, ma adesso la delusione che un pezzo della mia famiglia ci abiti, e che ci debba andare per vederli.
Capito Marino quel che intendo?
Ma forse ti stufo: le emozioni non si possono trasfondere, altrimenti… pensa che casino se tutti amassimo la stessa donna!
Nelle arti figurative, Aldo Spoldi, cremaschissimo, ha avuto riconoscimenti internazionali invitato alle grandi mostre da Anni 90 a Bologna alla Biennale di Venezia. Lavora con Marconi, una delle importanti gallerie di Milano. Sue opere le vedi in collezioni private prestigiose e in tanti Musei, come nella sezione d’arte moderna di Palazzo reale a Milano. Tanti artisti, anche metropolitani, si sognano il successo che ha avuto Aldo. Magari è provincia, forse, il fatto che invitato a Crema pochi anni fa sia costato troppo alle casse del Comune tra allestimento e presentazione critica. Commenti non proprio favorevoli si lessero anche qui.
Aldo Spoldi, sì certo. Giusto.Non mi occupo di arti figurative. Vado alle mostre e stop. Ricordo una recensione di Achille Bonito Oliva.
Non c’è dubbio che le eccezioni esistono. Si può diventare un bravo scrittore come Gavino Ledda pure partendo da analfabeta. Le eccezioni esistono. Ripeto: sta il fatto che Crema e il Cremasco non brilla di cultura, letteratura, sempre che qualcuno non si offende a dirlo. Ma quando mai potrebbe brillare? Su un blog locale ho visto decantare anche la chiesa di Crema Nuova. Bocca me lo disse in un’intervista: dovessi tornare a Cuneo c’è chi non perdonerebbe quello che ho scritto di Cuneo. Mi guarderebbe storto. Me ne frego, mi disse.
Ho trovato malinconico quel sindaco del paese dove è nato e cresciuto l’ambasciatore ammazzato in Congo. Ha detto che non è necessario nascere e crescere in una grande città per diventare Ambasciatori in Africa. Certo che no. Perché l’ha detto? Me lo sono chiesto. Perché chi vive in un piccolo centro è afflitto, a volte, da frustrazione, uno strano rancore verso la grande città, dove tanto succede, e nel suo paese no. Nel suo paese ci si gira i pollici.
E quell’ambasciatore non è rimasto al paese, ma e’ andato in giro per il mondo, e al suo paese tornava poco. E ha studiato, gli studi seri non nel paesino, ma a Milano, o altrove.. Mi sembra di dire cose così evidenti e scontate, e invece no. Si può vivere a Pozzuolo Martesana e a Parigi che la letteratura e i suoi paraggi possono dare lo stesso risultato. Davvero?
Anni fa a Crema, quando ancora mi ostinavo a credere che Crema, Milano, Bergamo, Spoleto fossero pari, come spinta culturale per un giovane, bastava la volontà, si era organizzato una lettura di autori francesi e fu invitato Giovanni Macchia, francesista di prima grandezza. Uno importante dell’Amministrazione mi disse, ma perché infondere energie e denari per queste cose? Non si potrebbero organizzare cose che riguardano la cultura del territorio?
Nei piccoli centri, come Crema,capita che l’ottusità trova il terreno adatto e mette su casa. E comanda.
O magari è solo una questione di probabilità, di statistica. Dalla scuola dell’obbligo in poi tanti provinciali hanno studiato in grandi città, all’estero e la cultura viaggia ormai attaverso canali navigabili da tutti. Nelle piccole città non si è esclusi dalla cultura e oltre il marketing che celebra qualcuno invece di altri é questione di probabilità e combinazioni una pubblicazione piuttosto che un’altra. Poi di veramente bravi ne nascono pochi e molte volte l’effimero é la regola. Il tempo seleziona prima o poi. E tornando alle percentuali io credo che di menti eccelse se ne possano contemplare di più tra tre milioni di abitanti piuttosto che tra trentamila. É solo una questione di numeri. Tra le persone che conosco posso classificate imbecilli e bravi e intelligenti, a Crema come a Milano. Non darei per scontato che la provincia generi solo cretini. Ripeto, ormai qualsiasi evento culturale, educativo e formativo é alla portata di tutti. Chissà che… Marino, forse tu hai troppi miti.
Non ho miti. Guardo ai fatti. È ùn fatto che c’è una forte emigrazione intellettuale, di persone dotate, che da Crema vanno a lavorare e poi anche a vivere (spesso non lo fanno per i prezzi delle abitazioni che sono dieci volte più alti a Milano rispetto a Crema), oppure vanno a Valencia, Barcellona, Los Angeles, il Regno Unito, Parigi, Bologna, Roma, Torino, e non il contrario. Chissà perché il piccolo centro che non è la campagna di Orvieto, Atrani o Montemarcello, o il Fermano, non arrivano dagli Stati Uniti a Crema, dalla piovosa costa ovest della Cumbria, a intasare gli uffici immobiliari di Crema. È cosi ricco di cultura viva il nostro Comprensorio paesano che nemmeno viene citato, ma è Cremonese nelle linee guida, nel notiziario, pure nelle cibarie. Di cultura trapassata ne ha Crema. Sepolta. Forse, magari mi sbaglio, sei tu che non vedi il Cremasco per quello che è nudo e reale. Sono convinto che se questo blog fosse a Trucazzano, o Soresina troverei chi non sopporterebbe che dico che sia un posto così e così per un giovane. Si offenderebbero. Sarei segnato come un rompiballe. Mi direbbero: levati dai coglioni, allora. Se potessi, se fossi un ragazzo, lo farei. Non ora, ma a fine pandemia sì. Ma le circostanze, varie storie sono accadute e sono rimasto a Crema. Ora solo con mezza gamba. Allo specchio si mente quasi sempre, lo capisco.
Ma è un modo per indorare la pillola. Non la realtà.
E non ho scritto che i luoghi provinciali sono incapaci di produrre cultura, o sono un paesaggio perché piccoletto non capace di creare poesia universale. Tra Levanto e Monterosso, scendendo da Punta Mesco, c’è tal bellezza che anche Adriano Tango se dovesse passeggiare lì, venderebbe, forse la casa di famiglia laggiù nel salernitano e prenderebbe un podere con vista tra i vigneti, gli ulivi e il mare da quelle parti che fa prima ad arrivarci, e risuonano le parole di “Ossi di Seppia” di Montale, che se fosse cresciuto a Trigolo col cavolo che gli veniva lo stimolo per scrivere poesie, molto probabilmente. Lì, niente ossi di seppia, solo una pianura piatta (anche se era meglio di adesso, qualche pianta in piedi c’era ancora e non solo il granoturco e granoturco e granoturco).
Mantova che non è Crema, certo, ma è molto provincia, grazie a un gruppo di persone dotate ha creato un festival di letteratura copiato in tutto il mondo. C’è un buon festival del cinema, c’è bellezza da togliere il fiato, un cimitero ebraico, un festival delle orchestre da camera che ho seguito per tre anni consecutivi, a fine maggio, con cinque-sei concerti al giorno. Essere provinciali non è una condanna, ma un carattere che non significa ottusità o mediocrità, dipende dalle persone, il luogo. Crema non è Mantova. Non ci sono le persone, e se ci sono smanettano silenziosi nelle loro stanzette, ora e lo faranno anche dopo la pandemia. Punto.
E poi ultima cosa, sto occupando troppo spazio e mi scuso; ogni città o luogo che vuole chiamarsi cosi ha la stampa che si merita diceva Arrigo Benedetti. Crema non ha un quotidiano (è emanazione e proprietà cremonese), e le sue eccellenze sono “Prima pagina” e il “Torrazzo”, e non commento; a parte qualche quadrimestrale grazie alle Casse Rurali, e piccole pubblicazioni lodevolissime. La qualità della stampa pubblicata è la città, la esprime per quello che è.
Epperò ieri sera dalla Gruber Lilly c’erano in contemporanea 2 Cremaschi due!
Beppe Severgnini (CorSera e scusate se è poco!) con il Torrazzo, quello vero, in diretta che gli occhieggiava alle spalle, e poi Stefano Nava Professore ordinario all’Università di Bologna, Dipartimento di Medicina Specialistica, Diagnostica e Sperimentale Settore scientifico disciplinare: MED/10 MALATTIE DELL’APPARATO RESPIRATORIO,Direttore SCUOLA DI SPECIALIZZAZIONE MALATTIE DELL’APPARATO RESPIRATORIO, e non mi pare …. pochissimo, dai, Marino!
Nava…..che ricordo, orefice/orologiaio, metà via Mazzini scendendo a sinistra, il mio orologio di cui vado ancora fiero, regalo di mamma per i miei 21 anni (si, ai tempi si diventava maggiorenni a 21 !). Il figlio? Il mipote? E’ passato del tempo!
Il mondo è pieno di cremaschi in gamba, caro Francesco. Del resto, anche Crema lo è. E Beppe Severgnini, per me, è uno di questi (come Stefano Nava e altri ancora). I suoi libri, in particolare l’ultimo, sono pieni di riferimenti precisi, illuminanti e affettuosi alla nostra città e al nostro territorio. Al Racchetti, in una delle due classi di diplomati nel 1975 (quindi di ragazzi nati nel 1956), specificamente nella sezione B, c’era un gruppetto di quattro o cinque amici che facevano spesso squadra assieme, non solo al liceo. Due di questi erano Beppe Severgnini e Stefano Nava. Ecco perché, caro Francesco, si conoscono bene. Le vecchie amicizie dei tempi delle scuole, a Crema, se l’ambiente scolastico è valido e motivante, mantengono in molti casi, nel corso del tempo, significati e valenze che da noialtri sono chiari e risalenti. La mia classe, pure sezione B, era tre anni avanti (diplomati nel 1972, nati nel 1953, salvo pochi ripetenti, perché allora si bocciava, eccome), però ricordo bene, quando ero in terza, nell’anno della mia maturità, quel gruppetto di studenti molto svegli di quinta ginnasio. E la loro era davvero una classe, nel complesso, di ragazzi parecchio dinamici e intraprendenti. Diversi di loro sono oggi noti e apprezzati concittadini, presenti in varie attività locali, anche di tipo culturale. E una delle cose positive del non annegare nella spersonalizzazione delle megalopoli, abitate da masse anonime e da folle pavlovianamente compulsive, è anche il fatto che poi, da adulti, ci sono percorsi umani, professionali, culturali o persino familiari che da noi, qui in città, nuovamente si incrociano tra di loro, magari ritrovandosi un po’ più pelati oppure un po’ più pingui, però sempre con quel senso di identità, di appartenenza e di sentimento della comunità che fa la differenza tra gli uomini, come diceva Pappagone, vincoli o sparpagliati. Anche per questo, come diceva il marchese del Grillo, Crema è Crema e le altre città non ……
Effettivamente anche su queste pagine qualche anno fa ci si pose il problema di cosa avrebbe dovuto fare un assessore alla cultura di un comune piccolo come quello di Crema. Ci furono critiche, ma anche consigli, proposte, suggerimenti, da parte mia addirittura l’idea di candidare Crema come città italiana, se non europea della cultura. Era volare alto, ma anche proposte più spicciole non so se abbiano mai avuto accoglimento. Marino, tu non c’eri ancora, non ricordo il titolo del post, forse più d’uno, che diede avvio al dibattito, ma ricercando, mi fare si chiamasse “Se fossi assessore alla cultura”, credo troveresti un contributo interessante di questo blog. Purtroppo molte delle firme di allora sono scomparse (dal blog). Credo 3 o 4 anni fa, a meno che fosse antecedente al riassetto con la nuova impaginazione grafica. Se così fosse, se la redazione fosse d’accordo, si potrebbe recuperare tutto il pertinente. Perchè anche a Crema la scusa buona è sempre quella: “che ci pensino gli altri ad inventare”, io continuerò a fare lo spettatore. E a criticare.
L’ho visto il Torrazzo dietro Severgnini. Bello, suggestivo. Ricordo anche una doppia pagina su Repubblica, anni fa, con un articolo di Gabriele Porro dedicata alla piazza italiana e c’era Piazza del Duomo, una piazza adatta agli spot pubblicitari. Certo lo è, come altre piazze italiane. Sono d’accordo che si può tranquillanente nascere a Crema e diventare anche responsabili della Nasa in America, o diventare Miss Universo, ma il fatto è questa gente, parlo delle menti migliori, non restano a Crema (Severgnini tiene casa anche a Milano, mi pare e non è Mario Rigoni Stern, o Beppe Fenoglio). Non fa della sua terra lo scenario del suo territorio. Difficile trovare alimento dal Canale Vacchelli e le sue sponde ( tra l’altro è un canale nato e voluto dagli agricoltori cremonesi per irrigare i loro campi). Il Cremasco c’entra un fico secco con il lavoro di giornalista di Severgnini che è stato a lungo lontano da Crema. Poi possiamo gioire che si veda in diretta tv l’immagine di Crema, e così pensare di esistere, come luogo, pur se sotto i talloni di un capocolonia con meno popolazione. Sappiamo che ci si contenta di poco. Di molto poco, e per fortuna ci sono i social, internet. Ma che si tratta di un luogo ancor più in decadenza culturale è un fatto. Poi possiamo indorare le sparute eccezioni, e sollevarle come bandiera di chissachecosa, fare colpi d’ala, ma si tratta di un volo di qualche centimetro e poi si ripiomba a terra. Con una botta sul sedere.
Ricordiamo anche Angelo Pan, primario di infettivologia a Cremona, e non perché spesso si vede in televisione.
Trovo comico che si cerci, facendosi memoria, di elencare le eccellenze del paesone Cremasco, che certamente ci sono, anche se il grosso di queste sono eccellenze fuori sede, ma le eccellenze ci sono, certo, ci saranno e c’erano, anche a Ripalta Arpina, Guerina, Cremasca. Non ho dubbi. Pure a Rubbiano di Credera. Come ho detto, e lo ripeto, sto “parlando male” di un luogo nel blog di quel luogo, ed è una faccenda antipatica, ne sono consapevole. Anche se scrivessi su un blog di Gorgonzola dicendone di cotte e di crude di quel luogo, sono certo che la prenderebbero male. Mi ha divertito il risentimento di quel cremonese, passato di sfuggita su questo blog quando gli dissi l’imbarazzo delle autorità schierate al premiolino annuale dei cremonesi dell’anno, quando al microfono parlò Corrado Stajano: era tra i premiati, perché nato a Cremona. Il cremonese si risentì per le parole di Stajano che furono brevi, sincere, che io avrei detto al suo posto. Uguali parole. Perché premiate me, disse Stajano, io vi ringrazio, ma perché mi premiate come cremonese dell’anno, che avrebbe dato onore a questa città, quando appena ho potuto, finiti gli studi superiori, sono andato via da Cremona, che l’unica cosa che sapevo, il resto che sarebbe successo non lo potevo sapere, era che dovevo andarmene, che restare a Cremona non era per me? Non ero presente, ma posso immaginare l’imbarazzo delle autorità presenti. Del resto, Stajano in una lettera, nella corrispondenza che ho avuto anni fa, mi scrisse queste cose. Mi disse che a Cremona, già da ragazzino non voleva restare. Gli stava stretta. Era una piccola città, e se ne andò a Milano, dove studiò e lavorò. Parole non molto diverse da quelle che mi scrisse Tiziano Terzani che veniva da Livorno, che è ben più di un paesone. Ma come? questo lo premiamo, che c’è la fila di concittadini che sarebbero felicissimi del premio, che le sciure di Cremona e i sciuri della Baldesio sarebbero felici di invitarlo per una cenetta con vista Po, e tirerebbero fuori il salame buono, la mostarda, e racconterebbero i fasti della città del Torrazzo, le sue colonie ( anche quattro risate quattro, su quei smorfiosi dei cremaschi che vorrebbero fare da soli e non sono nessuno, non tengono su da soli neanche le mutande) e lui, Stajano ci sputa in faccia. Ma si può? Cosa ci è venuto in mente di premiarlo? Che figura di merda fa Cremona, in questo caso?
Fossi stato cremonese, mi sarei alzato in piedi ad applaudire Stajano. Ci vuole coraggio ad essere sinceri in certe occasioni, anche se poi si paga la faccenda perché gli altri ti guardano storto. Anche di questo non ho dubbi. Ma come disse Giorgio Bocca di Cuneo, me ne frego dell’antipatia cremasca, cremonese.
Nessuna intenzione, sia chiaro, di offendere la Canottieri Baldesio, istituzione storica, come altre societa’ canottieri di Cremona, che Crema vorrebbe, ma con il piccolo fiume che si ritrova.. ci sono canottieri a Mantova, Lodi (a Crema nisba), ci sono società canottieri persino a Milano lungo il naviglio, all’altezza del Mare Culturale Urbano, poco dopo una bellissima chiesetta, e dove corrono la mattina i milanesi. Ci sono tante canottieri a Cremona, ed è un piacere passeggiare lungoPo, un bellissimo fiume, come gli piaceva fare a Ettore Sacchi, a Leonida Bissolati, allo scrittore Danilo Montaldi, con la camicia stretta al collo senza togliersi nemmeno il primo bottone anche d’estate. Come faceva Giampaolo Dossena, il maestro dei giochi (poi a “Repubblica”) che andava in barca sul Po e giocava a calcio ñelle piazzette. Montaldi raccontò per Einaudi le storie, le biografie di militanti di sinistra della Bassa padana, e tornò a vivere a Cremona, negli ultimi anni. La città gli ha dedicato una targa in Via Poffacane, e nel vialetto degli artisti al cimitero (dovrebbero farlo anche a Crema, perché no, che gli artisti non mancano) c’è un cippo marmoreo a Montaldi dedicato. Mi sa che leggo più io dei cremonesi di tanti sciurotti strainnamorari della loro provincialotta città: non mi stupirei, se fosse cosi. I cremonesi, scrive l’insegnante cremonese Renato A. Rozzi, in un’imperdibile piccolo libro che racconta bene il carattere dei cremonesi “I cremonesi e Farinacci” edito dalla Biblioteca Statale di Cremona, 1991, i cremonesi “oscillano un po’ tra l’adattarsi e il tirarsi indietro, non amano essere di fronte e contro”. Una caratteristica che spesso capita della vita in provincia: il suo marchio, la sua essenza.
La ricchezza di questi commenti, mi fa riandare al tempo in cui, istituendo la rubricaa i “Salmoni”, si volle …. preservarli dai commenti, lascindoli per così dire “intangibili”, a esaltazione imperitura dei fini intelletti, algidamente soli in grado di distillare saggezza!
Evoluzione volle che quella regola cambiasse e mi piace favvero sia andata così!
L’opera di Beppe Fenoglio è pubblicata, tutta, da Einaudi. Dante Isella il curatore. Fu Calvino a volere Fenoglio, all’Einaudi, e convincere Giulio Einaudi, non so quando e dove, se durante le riunioni di redazione a Torino, o durante i bagni a Punta Bianca di Bocca di Magra; davanti ai vini del podere Einaudi di Dogliani, colline di Langa, ciucchi del rosso corposo piemontese, o in ritiro estivo sui monti valdostani della Val di Rhemes, nel Parco del Gran Paradiso dove la redazione Einaudi si riuniva, a definire il catalogo. In montagna andavano d’obbligo una settimana all’anno, con il caratteraccio di Giulio Einaudi, casa editrice, allora, a far da motrice; uno struzzo non ancora finita in mano della famiglia Berlusconi, che per un po’ la lasciò pascolare per poi cambiare piano piano la linea editoriale. Si troverebbe a suo agio Fenoglio in questa Italia? Nòn credo; lui che aveva una forte impronta civile, e senza partito. Le sue Langhe diventate una distesa di vigne, i turisti ricchi che arrivavano in macchina (prima della pandemia) a sostare a prezzi proibitivi negli agriturismo a caricare di vino i macchinoni con le gomme che toccavano terra, cariche di casse di vino. Portavano denari in Langa, certo, ma hanno cambiato ìl paesaggio, in un certo qual modo. Quelli come me, che andavano in Langa, un luogo che mi piaceva, che mi ricordava Revelli Nuti, Fenoio, Pavese, dove si sentiva il profumo deĺla pasta tirata già all’ora di colazione, ma niente pranzo, niente cena nelle trattorie: troppo care; finché a furia di girare ne trovavamo una abbordabile. Quelle che profumano di camionisti di giorno, la televisione accesa, e il vino della casa, anonimo, scarso.Fenoglio avrebbe apprezzato lo stesso.
Ancora su Beppe Fenoglio, e mi scuso, so bene che non frega a nessuno, Fenoglio non è Draghi, che già dal cognome ispira più interesse di uno crepato e sepolto che non è la Provvidenza, come fu Fenoglio. Beppe Fenoglio era un po’ sfortunato di suo: vestiva il più possibile elegante, il fazzoletto nel taschino, cercando di aggiungere un tocco di bellezza, alla bellezza fisica che non aveva. E il suo capolavoro, almeno per me: “Una questione privata”, un romanzo centrale sulla Resistenza come capi’ Calvino, al di là della Storia, c’e’ dentro la storia di ognuno, che non è detto che sia collettiva: che sia di tutti, ma è personale, un cruccio umano, anche solo una donna amata che si piglia un’altro, e la Storia collettiva se ne va in frantumi, in qualche modo scompare nel fallimento individuale. È questo che è mancato nel film di Paolo e Vittorio Taviani dedicato aĺ romanzo citato. Ho cercato di dirlo a Paolo Taviani, nella presentazione del film all’Anteo di Milano (Vittorio non c’era, si era gravemente ammalato, nel frattempo, e di lì a poco è morto). Nel film, onesto, fatto con pochi euro, non c’era quell’ossessione, quel macerarsi del protagonista del romanzo che è la chiave, il nocciolo della storia. E c’era una casa “la villa di Fulvia”, nel film non una villa adeguata, che è centrale nella storia, e non c’erano i continui febbrili appostamenti dietro i cespugli del protagonista, l’essere un partigiano che ha già perso la sua guerra, quella che ormai, per lui contava di più: la sua questione privata.
Ma che ti scusi! Tu ci riempi delle carenze!
Quando scrivo di un poeta, uno scrittore, mi domando quanta è la vergogna che proverei a mostrargli la mia “scheda”. Tanta vergogna da riempirne una carriola, credo. Meglio farlo con uno di questi crepato: almeno la passi liscia, così, anche se hai buttato giù un ritratto che non gli appartiene, appoggiandoti a quelli dotati di critica costruttiva, e pure buoni zappatori dell’orto, sperando di non aver sbagliato tutto. Ma c’è, diffusa, una critica faziosa, che più che impietosa, cosa che se centrata può andar bene, che è un modo di difendere la propria impalcatura di pensiero. Rinsaldarla.
Ieri, durante lo studio della lingua inglese, ho letto una recensione letteraria su “The First Thing” rivista mensile religiosa cattolica americana, raffinata, tradizionalista. Una recensione all’opera, la letteratura “morale” di Richard Yates, uno scrittore americano degli anni ’70, di cui sto cercando di leggere tutto ciò che trovo. Yates è conosciuto in America per i suoi romanzi inquieti sugli americani di classe media, suburbani, gente che, come tanti ovunque, volevano essere una certa cosa nella vita, soprattutto quella cosa: scultori, scrittori, musicisti, storie di coppia serene, e invece sono finiti in guerra con se stessi: un aborto di attrici; un aborto nelle loro speranzose carriere; ambizioni fallite e dirottate in qualcos’altro; progetti andati in fumo; sogni e aspettative abortite. Cosa fa il giornale religioso? Per tirare l’acqua al proprio mulino, arriva a sostenere che un personaggio in suo romanzo che non vuole figli e convince la propria compagna ad abortire è il punto finale di una vita sbagliata, che invece, grazie a un non aborto, cioè a una nascita, significherebbe nuova vita, e rinascita personale. La recensione, molto dotta, e sottile, utilizza tutte le armi possibili per la propria battaglia contro l”aborto citando uno scrittore, come cavia, per arrivare a mettere un’altro mattone, da fondamenta delle proprie certezze. Un modo di ragionare che è truffaldino, fazioso, molto in uso. È questa “critica” la più menzognera, travestita da associazioni mentali che utilizzano una narrazione di un personaggio, o più personaggi, o una storia raccontata per fare “educazione” al lettore. Ho citato Richard Yates, da me molto amato, come esempio. Come proverò a stare lontano da questo modo di raccontare la storia, la letteratura di altri. È la “critica” peggiore che ci sia.
Tra i fuorusciti c’è anche Andrea Marcolongo, padre veneto e madre cremaschissima. Liceo a Crema e poi indubbiamente “transfuga” da Sarajevo a Parigi e altro. Giovanissima, molto sponsorizzata forse, al suo attivo libri e collane (una ora in librerie ed edicole ) per chi fosse interessato alla mitologia, e un successo mondiale. Tradotta in moltissime lingue credo che anche lei renda onore alla nostra Crema, di cui parla in interviste televisive o su carta senza rinnegare, mi pare, la sua origine provinciale. Una blogger di Cremascolta l’ha incontrata a una conferenza per presentare i suoi libri a Lima.
Bravissima e cremaschissima, ha ragione Ivano, anche se con padre di origine veneta (se ben ricordo, di Schio: aveva un commercio di abbigliamento con negozio al piano sopra la vecchia Coop, quando questa era al piano di sotto; la mamma invece era cremasca, come dice Ivano, ed è venuta a mancare diversi anni fa).
Andrea Marcolongo scrive cose vere, giuste e belle, che sfidano i luoghi comuni scolastici e culturali, come gli inni e i peana, oggi molto in voga, alle materie tecnologiche come panacea rispetto ai nostri ritardi nazionali. Non a caso è una racchettiana. Sempre legata a Crema e fiera di essere cremasca, anche a Sarajevo e a Parigi.
A Crema ci è tornata più di una volta, con conferenze e presentazioni molto apprezzate, anche ospite dell’associazione culturale degli ex del liceo.
I suoi libri sono una risposta notevole e convincente a tutti coloro che se la prendono con la cultura classica e la formazione umanistica, a volte con malcelato rancore. Ed è una risposta tranquilla, serena e tutt’altro che presuntuosa, pacata, amichevole e tutt’altro che spocchiosa. Anche il suo ultimo libro, che ho finito di leggere l’altra settimana, ne è l’ennesima dimostrazione.
Comunque, di cremaschi validi ce ne sono molti altri, in giro per il mondo.
Solo che non sempre si viene a sapere.
A proposito, mi ha colpito la dedica di Cottarelli al suo ultimo libro: a Cremona, dove dice “ritornerò”. Ecco, un altro aspetto è quello del “ritorno”. Sul quale i cremaschi importanti andati lontano da Crema hanno sempre avuto comportamenti diversi nel tempo.
Per informazione: anche il padre di Andrea, proprietario negli ultimi anni, forse decenni, di Fans abbigliamento in via Mazzini, è morto pochissimi mesi fa. Non lo conoscevo personalmente, a Crema di vista ci si conosce in tanti, fino a quando, poco prima che morisse, ci fermò per strada, plurale, per raccontarci orgogliosissimo di questa figlia anche con particolari, forse personali, che hanno accresciuto la mia curiosità campanilistica. Non ho letto i libri di Andrea, ma dal racconto del padre ne deduco una libertà di pensiero e comportamenti invidiabili. Sono d’accordo Pietro, e anche senza notorietà, credo che a Crema possano nascondersi personaggi di qualche particolarità e qualità.
Crema è una città colta! Noi non comprendiamo veramente il senso della parola forse. Quando un bambino impara a dire una parola riassume in essa un giudizio e un rapporto verso il concetto, l’oggetto, che è la stratificazione di generazioni di pensiero. I nostri padri del pensiero greco non sono elevabili all’apoteosi per i concetti, a volte così scontati che li troviamo puerili, superflui, ma perché per poterli esprimere hanno dovuto inventare le parole che li esprimessero. Ecco dove trovo il pensiero scopo fondamentale della vita biologica. Ciò vive nella città che mi ha accolto pellegrino, e alla cui vita del pensiero mi sono dedicato, anche nelle mie attività pratiche, sempre guidate dalla filosofia di quanto nei gesti si celava.
E quanto vi invidio per questo senso del “a Crema di vista ci si conosce in tanti”!
Sì, è vero, il padre poi aveva aperto i Fans in via Mazzini. Aveva anche acquistato una tenuta in Toscana ma mi pare che la cosa non fosse andata benissimo. La mamma era una ragazza molto bella e mi ricordo che da giovane (in pratica, tanto per capirci, quando ero giovane anch’io, classe ’53) era considerata una delle più belle di Crema. Era molto gentile, anche fine, di una cortesia unica, per lo meno in negozio. Credo che la figlia abbia preso molto dalla sua bellezza e dal suo stile. Me la ricordo già da liceale perché era una classe dopo quella di mio figlio e quindi ogni tanto “bazzicavo” come genitore tra Rossi prima e la Alquati poi. Con questo, non dico che Andrea Marcolongo sia da Nobel. Dico solo che, anche rispetto a tanti autori e autrici oggi sulla cresta dell’onda, magari seguendo le mode letterarie del momento, le vadano riconosciuti tutto l’apprezzamento e tutta la considerazione che merita. Certo, gli spregiatori di Renzi non le perdoneranno di essere stata la sua ghostwriter per sei mesi e i detrattori di Baricco certi suoi inizi anche letterari.
La madre, già, e il necrologio a tutta pagina pagata dal papà di Adrea su un giornale locale. Grande amore quindi e da parte della ragazza, lo era quando morì, una riconoscenza filiale ammirevole che traspare in alcune interviste e in una sua pagina su D di Repubblica. Non so se esiste un grado lontanissimo di parentela tra me e la madre, ma io credo di ricordarla bambina in una casa di San Bernardino che i miei frequentavano. Ricordo che ci si andava in bicicletta, olre il canale, e mi sembrava casa lontanissima. Credo che ora ci abiti un fratello. Il nonno di Andrea si chiamava Giocondo e credo che non l’abbia conosciuto. Baricco poi mi pare sia stato un amore non so quanto durato.Piccolo spaccato di vita di provincia.
Provincia per provincia, non vedo perché non debba piacerci, oltre a quelle altrui, anche la nostra.
A pensarci bene Marino forse il provinciale sei tu. Questo snobbare le piccole realtà mi fa venire in mente quel comico che diceva: io leggo solo i premi Nobel. O quelli che dicono: io se non prendo un aereo e non vado all’estero non mi sento di andare o essere in vacanza. Senza offesa, sia chiaro.
Sono un provinciale, certo, e tu, Ivano, mi dispiace, ma non hai capito che vuol dire essere un provinciale. Ho scritto che c’è differenza tra l’essere cresciuti in provincia e quindi essere provinciali per la vita, cosa che sono, orgogliosamente, e il provincialismo che è una brutta cosa che capita in provincia; una sorta di malattia, che non c’è pastiglia per curarla. Ma ne ho già parlato. Ci sono interi libri, romanzi, racconti che parlano di questo: da Flaubert, da Stendhal de “Il rosso e il nero”, ma ci sono interi scaffali da leggere. Trovo patetico la ricerca di quei cremaschi che hanno fatto fortuna altrove: non qui, naturalmente; e poi “ritornano”, ogni tanto, a salutare gli amici, e hanno affetto per il piccolo buco carino di provincia. Lo avrebbero anche per Vizzolo Predabissi, se fossero nati lì. La frustrazione di chi vive in provincia, e soffre di smania di voler dimostrare che anche nel paesone c’è cultura, mi fa sorridere: certo che si è intelligenti, ovunque, ma se non si sa ridere di se stessi, allora vien da piangere. Trovo comunque spassosi i vostri commenti. Quanti cremaschi bravi che hanno dato onore alla città di Crema! Che la citano pure: che gentili! Tornano anche!
Adriano: Crema è colta, certo, anche a Quintano ci sono persone colte, perché no; così colta è Crema e il suo territorio servo del cremonese, che tutte le persone citate come figurine Panini della cultura a Crema, ad Azzano di Torlino Vimercati, a Casaletto di Sopra non son restate. Sarà che c’era troppa roba colta, ma di mais.
Lo so che questo dialogo non porta a niente, ma quando anni ’90 Todi fu eletta città più vivibile del mondo i giovani di Todi andarono su tutte le furie, al grido di “Ma se qui non c’è niente, a Todi!”
Sballottato da una città vera all’altra d’Italia, tutte in deterioramento, parafrasando i Dik Dik, a un certo punto ho detto “Sì, io mi fermo qui”. E così è per la mia città. E certo, di fronte alle infatuazioi o alle discordie coniugali non vale la ragione, sicuramente sbaglio, ma mi sta bene così.
Eh sì, caro Adriano, i non più giovani, gli invecchiati di fatto che il tempo lo dice, a volte non capiscono il piacere di un luogo tranquillo, che però può essere noioso. E Todi è un posto speciale, che ha una grande bellezza, che attira turisti e stranieri che vorrebbero abitarci, o svernare, non certo verrebbero a svernare nel cremasco, che ha un paesaggio mediocre. Nonostante qui, ho letto che il turismo a Crema è in crescita, che lo dicono i fogli locali, i quali si agitano sul nulla, come di recente lo storico “Torrazzo” notiziario: sale l’attesa del nuovo bocciodromo. Pota, hanno ragione: vengono anche da Guastalla per la “bocia ‘l punt”!!
Turismo delle bocciofile, ecco cosa puo’ esserci a Crema, che con il nuovo impianto, magari polivalente ci possono fare pure la sagra della bertolina che attirerà i foresti.
Todi ha un festival internazionale che fa concorrenza a Spoleto. E lì, i giovani si annoiano, e li comprendo. Perché un giovane vuole aria frizzante, che nei piccoli centri non c’è. Conosco un ragazzo di Vaiano che sta benissimo a Vaiano, che non vuole andare altrove, e studierà Agraria a Piacenza. Siamo campagna, quindi mi pare una strada giusta la sua. Ne conosco un’altro, di Castelleone, paese franco, più cremonese che cremasco, con cui ho condiviso, anni fa, un viaggio in Norvegia. Lui, con le sue qualità lo volevano anche alla Normale di Pisa, Facoltà di Fisica, con la sua mente aperta, un ragazzo davvero dotato. Mica poteva restare a Castelleone o a Crema. A fare che? Girarsi i pollici, con il poco che c’è? Oggi è ricercatore a Zurigo. I migliori, i più dotati non ci restano nei piccoli buchi di provincia. A meno che vogliono fare gli agricoltori, i parrucchieri, o aspirano ad essere medici o infermieri, o insegnanti alle Medie. O restano per motivi personali, sentimentali, familiari.Accettando la noia del luogo.