E passiamo per chiudere a un popolo che dovrebbe essere meno misterioso, in quanto di sé parlano i Fenici stessi (2000 tavolette d’argilla con scritti in caratteri cuneiformi) e ne parlano gli storici, ma soprattutto ne parla un grande libro di storia: la Bibbia!
E mettiamo subito un punto fermo: i Cananei di cui il Libro sacro ci parla, son proprio loro, da Kena-Anim, denominazione di origine territoriale. Il nome corrente di “Fenici” è sicuramente riconducibile al color rosso, che derivi dalla provenienza dal mar Rosso, testimoniata da Erodoto, o dall’identificazione con il loro prodotto artigianale più esclusivo, il rosso porpora.
Anche i Fenici furono il risultato di un’ibridazione dovuta all’arrivo dei feroci “Popoli del mare”, fra cui i Sardesh di cui già abbiamo parlato. Così fu che si insediarono sulle coste dell’attuale Libano. Ma, diversamente dai due di cui prima, furono di etnia semitica, quindi distinguibili a colpo d’occhio. Cioè? direte. Li definirei “grifagni”, un po’ come certe tipizzazioni da vignetta degli ebrei. Sì, ossuti, smilzi, con volti aquilini. Ma non vi sembra di rivederli in certi personaggi del nostro sud? Fatto sta che la loro corporatura stessa sembra studiata per adattarsi agli scafi e agli alberi delle loro navi.
Proprio dalle testimonianze bibliche, troviamo il riferimento alla specifica vocazione marinara e cantieristica: “O Tiro, che ti sei detta nave di perfetta bellezza, i tuoi domini sono nel cuore dei mari, i tuoi costruttori resero la tua bellezza perfetta; con i cipressi del Sanir costrussero tutto il duplice scafo; presero un cedro del Libano per farne l’albero; tornirono i tuoi remi dalle querce del Basan.”
Nulla di diverso infondo dai canoni dell’epoca: pentecontere (cinquanta remi), o triremi (170 remi su tre ordini), ma queste navi probabilmente erano assemblate con tecnica Ikea, in quanto portavano agli estremi delle componenti lettere identificative del loro alfabeto.
Il loro? Ma il nostro stesso, che da loro abbiamo ereditato, anche se scrivevano da destra a sinistra.
Me la concedete un’altra citazione? Da Senofonte: “Il migliore ed addirittura il modo più perfetto di ordinare gli oggetti che io abbia mai visto lo costatai in una delle grandi navi fenicie…”
Chiaro, perché in navigazione fra acque oceaniche trovare quanto serve a colpo sicuro è questione di vita o di morte, e furono loro i primi a osare di uscire dalle porte del “Mare fra le terre”, le colonne di Mequart, come loro chiamavano Ercole.
Per andar dove? In Inghilterra ad esempio, per comperar metalli, o idem in Spagna, per circumnavigare l’Africa, e proprio fra il IV e il V secolo a. C. il fenicio Annone compì l’impresa della circumnavigazione del continente africano, secondo il racconto di Plinio, e qualcuno pensa si sano spinti fino alle Americhe, ma non azzardiamo con dati non comprovati. La circumnavigazione dell’Africa invece è provata da un particolare dei “diari di bordo”: il lato del sorgere e tramontare del sole, che improvvisamente si inverte, un particolare che sarebbe impossibile inventare.
Di sicuro ci riuscirono i Punici, Fenici cartaginesi, ma erano così gelosi de loro segreti, custoditi nel’isola degli ammiragli, uno scrigno segreto nel cuore di Cartagine, da disseminare di falsi indizi le notizie che trapelavano. Un bel pelo, sapendo che tanti equipaggi, seguendo le false rotte, sarebbero finiti in fondo al mare fra acque sconosciute!
Il movente per tutta questa smania marinara fu ovviamente la pressione di nemici da terra e la scarsità di approvvigionamenti, ma la grossa differenza dai colleghi marittimi già incontrati fu la navigazione notturna, grazie all’apprendimento dai Caldei di rudimenti d’astronomia, specie ovviamente l’individuazione della stella polare. In questo modo erano in grado di attraversare il Mediterraneo in meno di due giorni.
Ovviamente con tutto questo traffico marittimo avevano bisogno di scali, ed ecco di conseguenza la colonizzazione delle coste.
Abbiamo accennato alla porpora, la tintura con la quale quasi si identificavano, venduta carissima in tutto il mondo conosciuto.
Originale invenzione! Chi sa come avevano scoperto che la bava dei molluschi murice (i nostri canestrelli) quando marcisce al sole diviene rosso porpora. Li ammucchiavano direttamente in buche nel terreno per lasciarli macerare per tre giorni, per poi passarli in acqua salata e farli bollire, così da scaricare tutto il pigmento. Secondo il tipo di murice, il tempo di bollitura, il sale aggiunto e altri trucchi degli artigiani, si ottenevano così tinte dal rosso al blu, al violetto, all’indaco. Il rosso era ottenuto anche dai popoli celtici con essenze vegetali, ma il confronto non reggeva!
Ne parlavano, sapendo che a questo brevetto dovevano tanto della loro ricchezza, come di un dono delle divinità: il cane di Tyros, la dea patrona della città di Tiro, moglie di Melqart (Ercole) ne avrebbe addentato uno giocando sulla spiaggia e tingendosi così il muso di rosso.
Ma erano maestri anche nell’arte vetraria, producendo vasi, crateri, e delle caratteristiche collane di testine umane in vetro imperlate in fila.
Ho accennato al commercio di metalli grezzi, ma li lavoravano anche mirabilmente, producendo armi, ma di tutte le fogge per le tante etnie mediterranee, su commissione, sempre pensando ai profitti commerciali.
Certo questo loro aspetto non incoraggiava la confidenza, e infatti le altre popolazioni non si fidavano, ma le testimonianze storiche sulla loro correttezza nelle trattative commerciali ci dice chiaramente che erano pregiudizi, forse invidia.
Cito a braccio i report di uno storico il cui nome questa volta non ricordo. Con un popolo costiero africano commerciavano così: le mercanzie erano scaricate dalle navi ed esposte su litorale. Gli indigeni ponevano un‘offerta in oro e la trattativa consisteva appunto in un’attesa della quota considerata sufficiente a sugellare il patto, forse per un’incomprensione linguistica, senza incontrarsi. Ma in questo tempo la fiducia fra le due parti doveva essere totale, altrimenti sarebbe stato facile darsi alla fuga con le merci offerte e l’oro!
Ma nel secolo V a.C. di cui tratto che facevano? L’apogeo era già stato superato, erano soggiogati alla Persia, ma di buon grado: pagando semplicemente una tassa godevano di una certa autonomia. Che mi risulti il solo regno di Arwaad (Arado) era realmente autonomo. Si tratta di un isola al largo delle coste siriane di una superfice di appena venti ettari, che, abitata intensivamente e cintata di possenti mura, riuscì a resistere a ogni assalto, rimanendo indipendente fin quasi in epoca cristiana, quando già anche la Siria era caduta in mani romane.
Ma cosa intendo per “abitata intensivamente? Altra particolarità, disponendo di poco spazio e dovendosi difendere da tanti nemici, i Fenici sfruttavano ogni metro sopraelevando fino agli otto pani degli edifici cartaginesi, e non erano solo queste le meraviglie della loro urbanistica. Pensate ai canali sotterranei di Cartagine attraverso i quali la flotta poteva improvvisamente comparire o celarsi al nemico! Così fu che tentarono di rompere il blocco navale romano facendo “comparire” una nuova flotta al posto di quella già sgominata, costruita con tutto quanto ci fosse di legno in città, dalle porte e infissi ai mobili di casa. Sbagliarono tatticamente e andò male anche questa, ma salvarono il loro bene più prezioso: i segreti marinari custoditi nel cuore della città, la così detta “isola degli ammiragli”.
Devo limitarmi a queste quattro curiosità, ma per definire una civiltà mancano due elementi: ordinamento socio-politico e religione. Per il primo aspetto nulla di originale: famiglia patriarcale, monarchia affiancata da un’oligarchia basata sulla potenza commerciale.
La religione si potrebbe definire altrettanto un copia e incolla da quella greca: una coppia dominante, El ed Astara, con un figlio turbolento, Baal, nota egizia, coniugato con la sorella Amat, che lo fa resuscitare sconfiggendo la morte (quante volte ritorna questa storia dell’amor carnale risanatore! Vuoi vedere che è veramente possibile?)
Non è difficile tuttavia individuare in questo dio-apice il germe che porterà dall’El alla concezione di un Elhoim, fino al Dio unico e trascendente, Yahweh ebraico. Filo conduttore l’animale totemico: il toro/vitello d’oro, ma che comunque riuniva sincreticamente tutte le religioni della costa.
Non sono blasfemo vero? Massimo rispetto, in fin dei conti è Antico Testamento!
Ho stufato abbastanza pescando alla rinfusa fra i miei ricordi? Allora solo un dettaglio conclusivo: i Fenici nelle nostre radici.
Su richiesta di una precisazione sui Greci in Sicilia ho citato Erice, un crogiolo ideale di etnie: Elici autoctoni, Greci, Fenici, affiatati amorevolmente, e questa era la caratteristica fenicia: menar le mani, e di brutto, ma solo come ultima risorsa, ma usar prima sempre l’ingegno.
E allora se ho evidenziato dei Greci la dote di inventiva socio-politica, degli Etruschi l’adattabilità, direi che dei Fenici portiamo con noi l’intraprendenza di instancabili precursori-colonizzatori.
Avete presente quella vignetta degli astronauti che sbarcano su un nuovo mondo e si imbattono in un chiosco-pizzeria?
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Chiudo con queste note. A volte mi è capitato che miei scrtti siano stati utili per tesi di giovani, o magari da questi ha preso spunto una collaborazione: qesto è il senso dell’inserimento nel blog.