Dei Greci ho voluto mettere in rilievo la capacità di inventare i più vari regimi politici (dalla tirannide aIla comune) e sociali (dalla famiglia patriarcale alla poligamia femminile).
Scopriamo ora cosa potrebbe insegnarci la nostra radice etrusca (il popolo misterioso per eccellenza). Giunti in Italia chi sa come e da dove e apparentemente poi scomparsi nel nulla e circondati solo da leggende? Ma non esageriamo!
Cercali che li trovi, mimetizzati direi.
Dalla chiacchierata sui Greci e dalla geografia politica del “Mare fra le terre” del V secolo a.C., e antecedenti origini, abbiamo appreso della spietata caccia al bottino degli Etruschi lungo le coste del Tirreno. Così crudeli da indurre il santuario di Delfi a imporre loro un rito di espiazione che durò per anni e anni per una strage “a freddo” di prigionieri focesi.
E non ci nascondono affatto il loro lato sanguinario: nei loro affreschi tombali ci mostrano senza vergogna anche riti crudeli, massacri… Tuttavia sull’Adriatico, dalla base navale di Spina (circa l’attuale Comacchio) avevano funzione opposta, di Guardiamarina a difesa dalle scorrerie di pirati illirici della costa opposta, a difesa del traffico di mercanti greci, che vedremo quanto dipendessero dagli Etruschi.
Ma come, direte, gli Etruschi violenti? Ma non erano raffinati, edonisti, e le loro donne delle libertine? No, le loro donne davano scandalo solo perché, contro il costume greco, come nell’immagine in evidenza del sarcofago degli sposi, partecipavano ai convivi, sdraiate insieme al coniuge e coperte dallo stesso mantello (e allora? Mica si possono interrompere le coccole solo perché ci sono ospiti!)
Ma certo, perché i Greci, facevano i porcelloni con le etere dopo aver mangiato e bevuto, al riparo dagli occhi delle legittime, mica invitate ad assistere! Gli Etruschi invece continuavano un tranquillo “menage familiare” anche socialmente.
Che poi in quel secolo ovunque di sesso tanto se ne facesse quanto se ne parlava e si dipingeva è altro discorso, ma siamo forse meno pornografici noi?
Certo che avevano anche altri gradi di libertà queste signore, nel girovagare in strada da sole, ad esempio. La favola di Cenerentola della tradizione etrusca, riferita dai Romani, era narrata al contrario: una ricca signora vuole fare suo un bel giovane adocchiato in strada, e avvia le ricerche del caso. Ma erano libere anche nel possesso di beni personali di cui disponevano in testamento.
Il popolo etrusco era realmente liberale comunque: avevano degli schiavi ad esempio, ma questi vivevano in condizioni umane, in case decorose, così ben vestiti che Muzio Scevola si sbagliò uccidendo uno schiavo invece del re Porsenna!
E allora perché misteriosi, se conosciamo tanto? E no, mancano due elementi per entrare realmente in contatto varcando i secoli: una lingua tradotta e delle costruzioni monumentali, tipiche memorie di tutte le civiltà.
Circa la lingua, ignota e priva di similitudini e parentele, non hanno colpa loro se non esiste alcun documento bilingue che possa essere stato utilizzato come chiave interpretativa, ma era una lingua in passato conosciuta e studiata, della quale l’imperatore Claudio compilò una grammatica e un dizionario! Mai rinvenuti.
In quanto ai monumenti, forse semplicemente non se ne curarono, o almeno di quelli abitativi, perché le loro case non erano mai costruite per durare, ma le tombe riproducono la loro vita con tale chiarezza nelle sculture in rilievo e negli affreschi da esser consultabili come un documentario. Ma come mai, se sapevano dipingere, scolpire, e dalle rappresentazioni sotterranee, anche edificare, ebbero città in legno, se non di incannucciate intonacate con fango? Semplicemente perché non ambivano a lasciare testimonianze, e le tombe servivano per loro soli, per un sereno viaggio nell’aldilà, mica per il diletto degli archeologi!
Gli Etruschi vivevano in un’ottica di precarietà, pensando a se stessi come a una civiltà a termine, così come era sempre stato nelle fasi antecedenti della loro formazione.
Del resto anche di noi si pensa che non rimarrà traccia in un futuro più meno lontano, se non il contenuto di metalli nel suolo.
Erano consapevoli, e così tramandavano, che l’oscuro destino li aveva tratti dall’oscurità assegnando loro nove ere, di circa centoventi anni ciascuna, l’ultima delle quali si potrebbe collocare tra la fine del I secolo a.C. e l’inizio del I d.C., quindi cinque o sei secoli dopo il periodo del V a.C. di cui parliamo, e quattro cinque dalle origini.
Probabilmente pensavano, se non siamo mai esistiti come tradizione unificante e siamo destinati a scomparire, ma chi ce lo fa fare di tirar su dei monumenti? Voi, se sapeste già la fine del vostro periodo storico, che fareste? Godersi la vita! E lo fecero alla grande, con tutta l’intenzione di spassarsela anche nell’altro mondo!
Meglio quindi case fatte col cartongesso dell’epoca (paglia e fango) e invece solide tombe per la vera dimora eterna, a cui immaginavano di approdare conducendo carri trainati da cavalli.
Questo ci trasmettono sulla loro storia, in tutta onestà, ma i nostri studiosi no, devono per forza trovare un inizio e una fine! Vediamo.
Ormai è sufficientemente chiaro che il legame con la civiltà villanoviana (Emilia e Toscana) antecedente di qualche secolo al loro periodo florido, è stretto, e questa è la visione di Dionigi di Alicarnasso (I secolo a.C), per il quale gli Etruschi non sarebbero che i Rasenna, autoctoni; tuttavia almeno un nucleo importante, migrato in Italia, era di origine mediorientale, con una forte connotazione anatolica, e una antecedente provenienza da ancor più a est. Ce lo dice Erodoto, proprio nel nostro V secolo a.C., ma ce lo conferma anche la genetica delle loro sementi e dei loro animali: la vacca chianina di origine indiana, la pecora della val d’Orcia, imparentata con l’argali.
Nulla di nuovo, certo, agricoltura e pastorizia vengono da oriente, e i popoli migranti si portavano dietro mogli e buoi dei paesi loro, e pure le sementi, e l’Anatolia era spesso una tappa intermedia dove i migranti si fermavano per qualche generazione per ritemprarsi.
Anche la lingua primordiale comune, definita protoindoeuropeo (acronimo PIE), veniva del resto dall’Anatolia. Innegabile è inoltre che alla fine dell’età del bronzo esisteva in Anatolia un popolo tirreno-pelasgico, le cui tracce sono state rinvenute nelle fonti greche, nella stele di Lemno e in alcuni geroglifici egiziani che parlano proprio di popoli del mare Tursha o Teresh (gli E-Tursh-chi quindi).
E poi c’è la tradizione dell’aruspicina (divinazione dalle viscere di animali immolati): il fegato “didattico” di Piacenza è assolutamente identico al consimile babilonese, materiale costruttivo a parte (due strumenti schematici per insegnare agli allievi, probabilmente).
E l’ornitomanzia: la divinazione dal volo degli uccelli? Idem.
Ma la decisione sulla paternità della fondazione di Roma, fra Romolo e Remo, in base a un segno “aviario” non vi dice nulla sui segnali storici occulti insiti nella leggenda?
E poi, due gemelli allevati da una lupa, secondo la tradizione dei racconti (probabilmente non del tutto fantasiosi) degli Etruschi: un bambino allattato da una fiera appare su una stele funeraria della necropoli di Felsina (Bologna).
E visto che parliamo di re di Roma, iniziamo a fissare un po’di date: re etruschi di Roma, furono almeno gli ultimi tre: Tarquinio Prisco, Servio Tullio e Tarquinio il Superbo, che regnarono dal 616 al 509 a.C., quindi più o meno fino alla distruzione di Sibari, da cui siamo partiti.
Peccato che sia andata persa la traccia degli studi dell’Imperatore Claudio; non ci sarebbe stato più mistero, ma almeno qualcosa ci è arrivato: erano effettivamente etruschi, e il Servio Tullio romano si chiamava in realtà Macstarna. E il personaggio appare dipinto in una tomba etrusca con tanto di nome identificativo impresso.
È comunque proprio nel fatidico V secolo che esplode nel suo splendore la civiltà emiliana etrusca di Felsina, dimostrando, cosa notevole, collegamenti diretti con l’Atene di Pericle.
Ma cosa incredibile anche con il mondo dei Fenici e degli Egizi, e della già nominata Pithecusa greco-campana. Già, un giro di amuleti, scarabei sacri, lascia traccia di commerci fra popoli solo apparentemente lontani, tanto per cambiare.
Altro fenomeno nuovo e di rilievo, l’Etruria racchiudeva insediamenti dalla costa adriatica a quella tirrenica, comprendendo il centro Italia in blocco, e i collegamenti fra queste sezioni sono dimostrati, sia pur in assenza di un’edilizia tipizzante. L’area montuosa che isola la Toscana dalle foci del Magra a quelle del Tevere rappresentò probabilmente un ostacolo per le popolazioni sopravvenute, Veneti, Oschi, Umbri, Latini, Messapi, così favorendo un’unità culturale iniziale di massima.
Ciò vuol dire che c’era già lì un nucleo originario, perché basta uno sguardo alla cartina per vedere che i nuovi arrivati alloggiano sempre sulle coste!
Ma come vivevano? Innanzitutto ci riesce ora difficile distinguere la cultura etrusca dalla sovrapposizione latina, e la lingua stessa si suppone sia andata persa perché soppiantata dal latino. Ed ecco la loro virtù mimetica e utilitaristica!
La ricchezza delle tombe ci parla certo di opulenza, con una struttura sociale molto piramidale. Disponevano di una ricchezza che derivava dalla loro versatilità nell’adattarsi alla sede abitativa: così nelle paludi di Spina, presso l’attuale Comacchio, erano commercianti marittimi, e quando la Grecia fu privata di importazioni di cereali dal blocco navale persiano, ebbero il loro apogeo vendendo il prodotto padano.
Ma erano anche gran produttori vinicoli, e di prosciutti in quantità industriale! Nella necropoli di San Vito tutti gli scheletri di maiali, e parliamo di trentaduemila animali, erano privi di femori, mentre questi sono stati poi ritrovati in Gallia (certo, mancava il marchio “DI PARMA” per dire che erano gli stessi prodotti, ma il legame è evidente). Importavano inoltre oggetti d’arte, vasellame dai Greci, ma ne esportavano di loro produzione: le ceramiche scure dette buccheri, non meno belle, e questa ricerca di raffinatezza mi sembra un segno evidente di ricchezza. E si suppone anche che molti Greci avessero botteghe in loco.
Furono una civiltà dell’acqua, ma l’acqua era loro indispensabile per la più nota delle loro produzioni: i metalli, che estraevano e forgiavano magistralmente. Diffusero inoltre il telaio verticale.
La versatilità è quindi a mio avviso la chiave dispersa del successo etrusco. Ce lo dicono le stesse tombe, il loro biglietto da visita, sempre diverse a seconda della sede, della qualità del terreno, perché erano importanti sì, ma in fin dei conti mica tanto da scalpellar la roccia o puntellare il terreno paludoso!
Manca un elemento ancora per una caratterizzazione come popolo unico: la religione. Ma niente di eccezionale, diciamo che si lasciarono felicemente plagiare dai Greci. Una triade dominante quindi: Tinia, Uni e Menrva (Zeus, Era, Minerva) e poi tutto un Panteon con corrispondenze di nomi che ne svelano facilmente l’identità. Del resto erano dei fanatici di letteratura greca, dai racconti omerici alle mitologie varie, quindi non poteva essere diversamente.
Ritorniamo alla carta geopolitica, e scopriamo due elementi: così presenti nel nostro territorio da rappresentare il cardine unificante vero dell’italianità. Ma probabilmente non coesi in un governo centralizzato, non tanto da poter organizzare conflitti bellici su larga scala almeno. Con i Romani avevano un iniziale patto di non belligeranza, a parte gli episodi noti, che consisteva in un simbolico confine commerciale sulla sponda del Tevere, Etruschi a destra e Latini a sinistra, ma in realtà non invadevano perché era così comodo infiltrare! Certo, perdendo ogni volta un po’ della loro fisionomia, ma tanto, erano o no il popolo delle nove ere? Gli scontri ci sono stati, ma fra la varie versioni è da vedere cosa avvenne fra contendenti di etnia non sempre certa (Fidenae era etrusca? È verosimile l’epopea del massacro della “guerra della gens Fabia ad opera degli Etruschi? Una sola famiglia, trecento cavalieri, contro un popolo?) L’impressione è che non fossero state tanto guerre di predomino fra etnie, quanto fra sedi commerciali. E tutto si aggiustava rapidamente rimescolando le carte, perché gli Etruschi erano camaleontici!
L’esistenza di un quartiere etrusco intorno al “vicus Tuscus”, prospiciente il foro nella Roma classica la dice lunga sui buoni rapporti essenziali.
Ma infine allora dove sono finiti improvvisamente?
Pensiamo alla lingua, le consonanti aspirate toscane, alle peculiarità del Bergamasco, al carattere gaudente degli Emiliani e Romagnoli, magari Modenesi, cioè dell’etrusca Muthna, alla capacità artigiana che ci caratterizza.
Ogni volta che i nostri agricoltori padani tagliano il maggese (metodica di coltivazione a rotazione etrusca), che dei fabbri battono sull’incudine metalli incandescenti, e poi fan colazione allegramente con pane e prosciutto e un bicchiere di Sangiovese, o pranzano con un piatto di spaghettoni (ora chiamati pici, ma son proprio quelli rinvenuti negli scavi) e si abbandonano ad allegre battute licenziose sulle ragazze che passano, scambiandosi pacche sulle spalle, ripetono i loro gesti.
Allora, l’avete capito dove sono finiti gli Etruschi?
Ma siamo noi!
Noi, con tutta la capacità di trasformismo che ancora ci caratterizza
E allora, se dei Greci possiamo ritrovare nelle nostre radici l’inventiva socio-politica, e degli Etruschi la plasticità, dai Fenici che lascito abbiamo?
Ancora un numero e vi lascio in pace!
Commenti
Ovviamente se ho scritto di mio pugno, anzi, polpastrello, è perché su alcuni punti avevo da esporre mie interpretazioni. Se qualcuno notasse che mi allontano troppo dai fatti noti, segnalatelo!
Adriano, premessa la mia ignoranza crassa legata al pessimo modo in cui si insegnava (si insegna, ancora?) la storia, la geografia (ovviamente tassativamente separate tra loro!) nelle pubbliche scuole del regno, mi/ci fai scoprire il piacere con il quale sarebbe possibile farci capire da dove veniamo, filtrato ovviameente da uno che possa vantare di essere davvero un “insegnante”, attrezzato come si deve, che, per di più, si diverta anche a farlo!
Che simpatici che mi sono venuti sti Etruschi, che se ne fregavano bellamente di lasciare tracce “pesanti” del loro passaggio, rispettando il contesto naturale nel quale piacevolmente vivevano, non affannandosi a fare strade che sarebbero restate nei secoli, posto che avevano due “autostrade d’acqua”, già belle che pronte, ad est e a ovest del “buffo stivale, per concentrare il loro intervento a testimoniare in splendide, serene case per i morti, quelle si solidamente, piacevolmente ferme, a ospitare chi di movimento, almeno sul pianeta non ne avrebbe più fatto.
Maestro!
Ma quale maestro! Ma pensa a che carogne i Fenici, che davano false informazioni per la circumnavigazione del continente nero, pur sependo che magari chi le avesse seguite sarebbe finito in pieno oceano! O pensa a una civiltà cartaginese capace di fare uscire la flotta da un tunnel, come fosse la flottiglia aerea di una portaerei, con una marineria tale da pensare, come ultima carta da giocare se le cose si fossero messe male contro Roma, di trasocare tutta la popolazione alle Canarie!
Ok, adesso ci vado, sui Fenici!