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ADRIANO TANGO

Lo Squalo

Torno alla baia per il periodo di pratiche amministrative e chiusura casa di fine stagione, e scatto una foto, poi la confronto con l’omologa ante covid in archivio. Ma queste possono interessare ai miei amici Cremascoltesi!, mi dico: stesso luogo, stesso soggetto, stesso artefice.

Una storia istruttiva: il signor P. è un ottantacinquenne chiamato “lo Squalo”. Un nome in codice per certi trascorsi politici “estremi”, si dice… o per un tentativo di salvare uno squalo boccheggiante spiaggiato, incurante del pericolo di un guizzo e un morso.

Cose  che capitano se un uomo diventa leggenda pur ancor vivente…

Se ne dicono tante su di lui, e lui sogghigna, ma non nega.

Ma veniamo agli aspetti meritori: la testimonianza spontanea “archeodromica”, quella di grande vitalità fisica e ideativa, l’impegno ecologico del nostro shark man… e un pizzico di evocazione anni ’60.

P. ha 85 anni, dicevamo, un piccola abitazione ufficiale (una vera, in muratura, con tanto di igienici!) in una baia a tre miglia marine circa dalla mia “delle sirene”, e tre grandi passioni: la canoa, ripulire le spiagge e far la capanna. Ma le cose si coniugano nel fatto che, approdando in canoa, fa le sue capanne, come si vede sempre tutte diverse e sempre più elaborate e ospitali, costruite con lo stesso materiale che il mare scaraventa sul bagnasciuga d’inverno, che lo Squalo annualmente ripulisce.

E così P. la mattina si incunea nella sua canoa e imbocca le rischiose “bocche di Capri” lo stretto animato da veloci correnti omologo di Scilla e Cariddi, e in tempi mitologici base operativa delle ammaliatrici, e cannibali, Sirene. E già, è qui che Ulisse le incontrò. Infatti, memore del mito lo Squalo nella sua antecedente capanna (a sinistra)  munisce di un pudico bikini un tronco con forma vagamente ginecomorfa.

Ma l’opera è tanto più meritoria in quanto il personaggio sa benissimo che  il mare ogni inverno distruggerà tutto, e dovrà ricominciare da capo in primavera, fin quando il miracolo della sua protratta gioventù continuerà.

Lo scopo? Un riparo per la frugale colazione prima di riprender la pagaia. Ma della sua opera peraltro non è per niente geloso: ben vengano bambini, coppie alla sera… tanto lui dopo il sopralluogo va, e lo si incontra ovunque,  nowhere man marino con tutto un carico di storia di vita intensamente vissuta e voglia di viverne ancora.

E ne avete a chieder lumi, non parla! E c’è chi dice: “perché non può!”

Ma la capanna parla per lui, a partire dalla bandiera pacifista, e poi motti, molti in spagnolo, testimonianze di un imprecisato, o segreto, periodo cubano.

Grazie Shark, grazie per le tue testimonianze un po’ naif, per aver mantenuto un cuore sessantottino puro, grazie dell’insegnamento di civismo, di strenua energia senile, e auguri di tanti anni di capanne, sempre più ambiziose.

Ci vediamo il prossimo anno, per inaugurare magari la palafitta a due piani, ma solo di scarti di recupero, mi raccomando! Raccomandazione inutile.

ADRIANO TANGO

19 Set 2021 in Antropologia

21 commenti

Commenti

  • Bella questa storia di tenacia, di caparbietà e la fedeltà e la coerenza. Aveva ragione Nietzsche quando diceva che si costruisce sempre sulla sabbia, ma si deve credere di costruire sulla roccia. Quanti di noi abbassano la vela anche quando c’è ancora un refolo di vento.

    • Magari il suo orientamento politico può non piacere a tutti, ma se togliamo al mondo testimonianze così, e ne ho altre qui, dove certe figure sono fuori tempo, che ci resta? Sicuramente anche da “destra” ci saranno figure di galantuomini laboriosi di questo stampo “un po’ naif”. La buona salute poi… Franco, “l’inglese” ancora si arrampica, alla stressa età sul fianco per monte per rubare quel certo raggio che tornerà fra un anno con la sua reflex, dalla cui immagine nascerà un quadro, ma nella vita un tabaccaio con un trascorso londinese, ad esempio, e tanti altri, purtroppo solo vecchi, a estinzione. Maledetto turismo, maledetti soldi facili.

  • Gran bel personaggio, fascinoso e fiero della sua libertà (ops! che abuso che se ne stà facendo, in mdo invero vergognoso!!!).
    Il “nome in codice per certi trascorsi politici “estremi”, si dice…” mi ha fatto andare ad una altro personaggio della “politica” (rivedere lo stupendo “IL DIVO” 2008 di Paolo Sorrentino), editore del settimanale “Il Sabato”, faceva parte della corrente di Giulio Andreotti, chiamata Primavera, soprannominato “lo squalo”!
    Che abissale differenza tra i due, a dispetto dello stesso soprannome!!!

  • Certo, il turismo. Usa e getta.

  • Francesco e la sua memoria politica , sempre bella fresca, del belpaese. Dell’editore de “Il sabato”, Vittorio Sbardella, il suo sorriso simpatico e un po’ beffardo, perfetto per la commedia all’italiana al cinema; il fare da uomo che ha imparato a tessere relazioni, un pacificatore, moderato all’italiana, con un trascorso turbolento di pensiero e azione (il suo, giovanile, era di militante d’estrema destra). Giulio Andreotti, non poteva non essere l’approdo ideale; con la Democrazia Cristiana, che sostituì il fascismo; la DC, un partito duttile, elastico, nonostante certe bigotterie del Capo, il Divo. Sbardella, chiamato “lo squalo”, ci ricorda gli anni di Evangelisti, Ciarrapico, “Il sabato” del cattolicesimo tradizionalista, con Renato Farina editorialista.
    Sbardella faceva incetta di preferenze, piaceva, come piaceva Andreotti che tra i tanti ministeri ha fatto pure il critico cinematografico con potere di censura, cinefilo per il Vaticano con la forbice a tagliare le scene scollacciate. Che tempi.

  • E’ si, Marino (ben tornato!) dici bene: “Che tempi”!
    Epperò andavamo fieri di quella nostra Democrazia Repubblicana , che cercava di inverarsi appoggiata sui 12 pilastri dei Principi Fondanentali della Costituzione.
    Non è andata ….benissimo e ci ritroviamo qui con un Governo d’emergenza, con quasi tutti “dentro” (fuori, e ci si ingrassa, solo la destra “ecsfascio”), un parlamento che traccheggia nella prospettiva dell’incombente “cura dimagrante” alla quale non potrà sottrarsi, ed i Partiti (o presunti tali) ad attendere di posizionarsi in relazione alle scelte che gli elettori delle grandi Città esprimeranno con le vicine amministrative.
    Bello pensarla come il “tuo” di “squalo”, Adriano, che certamente non sarà nemmeno sfiorato dalla tentazione di confidare nel solito, abituale, ricorrente regalo amministrativo, che gli consenta di condonare la capanna, nel frattempo diventata palafitta magari a due piani !

  • Mi fa piacere questa vostra benevolenza verso i sessantottini. Infatti dal due settembre lo sono anch’io e visto che resterò tale per un anno cercherò di cogliere in questo periodo ciò che di interessante offre tale gratificante condizione.
    Scherzi a parte, il tratteggio del personaggio fatto da Adriano è molto riuscito e offre stimoli per varie considerazioni, non soltanto riferite all’età del personaggio.
    Ad esempio, mi sembra che il Mare e l’ambito arenile marino rappresentino elementi importanti in questo contesto umano-selacimorfico, quasi metamorfico, anche (e forse proprio) per uomini di terra e di zolla come il sottoscritto.
    Non so, ad esempio, sempre in tema simbolico-ittico, mi viene da pensare a certi personaggi mitologici.
    Ma anche alla mitica Saraghina.

  • Pietro Martini con il tuo “selacimorfico”, buttato li con nonchalance …ta met kupat! Famen pè!
    Io avevo visualizzato una sorta di Nettuno anfibio, sulla …. sogliola (concedimelo) dell’ingresso alla sua sua propria reggia tra terra e mare.
    Che invidia per la terra (si fa per dire) estiva di Adriano, la sua “baia” dal grande fascinoso appeal!

  • “ta met kupat! Famen pè!”. Chi usa più “ta met Kupat”? Sempre brillantissimo Francesco.

    • All’efficacia del gergo ruspante a volte proprio non resisto!!!!

  • E della mitica Saraghina cosa dici? Mai sentita nominare. Grande Pietro.

    • Caro Ivano, la saraghina, anche detta papalina, oppure renga, o addirittura spratto (dal suo nome latino sprattus sprattus), è un piccolo pesce azzurro tipico del mare Adriatico centro-settentrionale, pur essendo presente anche in altri mari ed oceani del pianeta.
      Saraghina è anche un brand di occhiali, soprattutto da sole (Saraghina Eyewear: “rappresenta il brio, la spensieratezza e lo stile di vita della Riviera Romagnola”). In pratica, il messaggio subliminale è che ti metti su questi occhiali e cucchi.
      Saraghina è pure un locale di Reggio Emilia (Dalla Saraghina, “un ristorante di Piadine Gourmet, Fritture di Pesce , Insalate di mare e tartare”).
      Ma io non alludevo a questi riferimenti ittici, ottici, gastrici o ad altri ancora.
      In termini simbolico-metamorfici e mitico-marini, intendevo la Saraghina di Federico Fellini in Otto e Mezzo.
      Ed era un modo, che voleva essere garbato, per decantare il discorso dal mitologico al terreno, dall’epico al prosaico, dall’eroico all’umano.
      Tra l’altro, la scena che segue alla danza e agli ammicchi di Eddra Gale, che in realtà era una mezzosoprano, cioè la scena in cui i tonacati rincorrono il discolo sulla spiaggia, ha un valore emblematico esemplare dell’Italia di una certa epoca. Un’epoca non poi così lontana dalla nostra infanzia. Anche se la tabaccaia all’angolo della piazza in cui abitavo da bambino era, ahimè, una donnina minutina e secchina molto diversa da Antonietta Beluzzi, la Tabaccaia di Amarcord (per intenderci, quella resa famosa dalla sua “nona”, e non mi riferisco a Beethoven).

  • Ripeto: grande Pietro. Mi ero comunque già, un po’, documentato. Mi mancava Fellini.

  • Va beh, Pietro appetto (ops!) alla “nona” della tabaccaia, cedo le armi: chevvordi’?
    Apprezzo cmq grandemente la tua profonda conoscenza dell’ AMARCORD, capolavoro cinematografico assoluto prodotto dall’accoppiata Fellini Federico/Guerra Tonino!

    • Chissà se è stata di Tonino Guerra o di Fellini, la scena del campagnolo sull’Harley-Davidson che di notte gira intorno a una piazza di Rimini; comunque lì c’è dentro tanto della provincia e le sue sguaiatezze, gli slanci sperticati per riempire il vuoto; e mi ricorda certe sere dei lunedì d’inverno, abitavo sopra il Bar Bettolino, e nel silenzio gelato di VIA XX Settembre, certe volte arrivavano gruppetti di motorette dai paesini, a vedere piazza Duomo morta stecchita dal freddo, e li sentivo urlare, non so se era perché avevano gli ormoni a mille, o era il deserto di Crema centro a farli sbraitare di scoraggiamento. Simenon, che di provincia se ne intendeva, e sapeva raccontarla come pochi, quando divenne famoso e ricco, pure lui, che restava nel profondo un piccolo borghese diffidente del cosmopolitismo, che pensava che la politica è brigantaggio in cravatta e pantaloni con la piega, amava girare intorno alla piazza principale di La Rochelle, di Saint-Paul-de-Vence, delle cittadine vicino ai castelli in cui abitò, con l’ultimo modello di auto scoperte, a farsi vedere, che i soldi servono a quello: ammirazione e invidia altrui.

    • Nella forma, correggo: “vvordì”, c’era un p invece della o. Tasti vicini e fretta.
      Nella sostanza, mi scuso per lo scarso intellettualismo del richiamo.

    • Ma certo la 9° di reggipetto! Ga sere prope mia ‘ ndat sura (ops!).

  • Piccole realtà, la baia di Adriano e Crema, più grande certo, ma ancora con i vizi del paesotto. Frequento un altro social e proprio stamattina ho avuto modo con un altro blogger, conosciuto anche qui, di fare brevi considerazioni, che numeri e nomi alla mano sono poco più che una constatazione. Il social è di immagini, anche un po’ di parole, e in molti si cimentano presentando questo e quello, dalla fotografia della colazione in albergo al proprio lavoro nel caso degli artisti, dalla festa di compleanno alla vacanza, dai fiori del proprio giardino ad un tramonto, dalla foto con amici ai figli. Ora, operazione divertente, se non analisi sociologica spicciola, è contare i propri like e quelli degli altri che nel mio caso vanno e vengono. Così succede che ti seguano da lontano, magari dove hai lavorato, o da vicinissimo che sono gli amici stretti. Stamattina ho definito gretta la provincia in considerazione del fatto che la dinamica è questa: mi segui prima tu o non ti seguo. Guai a far vedere che ti “comprometti” per primo. Allora noti, per esempio, che al numero dei follower non corrisponde il numero di visualizzazioni, magari dei tuoi lavori. Che poi funziona così: i like sono pubblici, invece per risalire alle visualizzazioni si deve avere anche Fb e operare con una faraginosa operazione telematica. Cosa ce io non faccio. Mi rivolgo a te Marino perchè della cultura provinciale o paesana ne hai parlato a iosa, e sempre infierendo. E devo riconoscere che non avevi tutti i torti. Quindi direi di annoverare tra i vizi della provincia anche la superbia, se non la millanteria di voler dare di sè un’immagine enfatica che non sempre corrisponde alla realtà. E’ ovvio poi che ognuno cerca di promuoversi al meglio delle sue possibilità ed è gioco scontato contare i like pochi o tanti che si accumulano. Ed alcuni ne collezionano a migliaia, meritati o meno non è sindacabile, altri meno. Anche perchè non è un social facile e noto che alcuni lo usano al minimo delle possibilità. E come su tutti i social trovi il meglio e il peggio in circolazione. E del meglio e del peggio trovi anche le dinamiche di cui ho parlato all’inizio: non sarò mai il primo a seguirti. Miserie della provincia. Anch’io mi comporto uguale! Racconto questo anche perchè Fellini mi ha ricordato non solo i suoi film, ma anche il neorealismo italiano che di questi comportamenti provinciali ne ha raccontati moltissimi. Va da sè che il fatto che in nostro ex blogger sia intervenuto proprio stamattina sulla chiusura dei negozi la domenica, non tanto per onorare la sacralità del giorno di festa, ma per l’opportunità di una famiglia di stare insieme oltre il pellegrinaggio al supermercato, mi ha suggerito appunto quello che sto scrivendo. Ricordiamo tutti la domenica le famigliole vestite della festa che si recavano a messa, ma che come sottofondo avevano il chiacchiericcio, l’esibizione e magari l’invidia reciproca. Il pettegolezzo era naturalmente all’ordina del giorno. Mi piace ricordare in questo caso anche Parenti serpenti di Monicelli col rituale della Messa domenicale, che già allora era avvenimento mondanissimo. Ecco, lo scenario è cambiato. Ora non c’è più lo struscio dei vestiti bene come un tempo, ma sui social le dinamiche sono le stesse. Ho raccontato tempo fa di aver assistito all’incontro tra un noto cremasco e un gruppo di turisti che riconoscendolo gli chiesero una fotografia. Il nostro cremasco rispose stupito che dai suoi concittadini di essere fermato per un selfy non era mai capitato. Come un tempo la provincia rimane tale.

  • Sì, scrivo spesso della provincia perche’ è il mondo che conosco, dove sono cresciuto. Fossi nato a Roma, sarei un’altro, e direi altre cose. Provincia e non, città e campagna, sono dentro le sciocchezze che inchiostro da sempre, da annoiare un morto. Non c’è dubbio. E per questo mi scuso, anche se posso assolvermi: non ho mai scritto un libro e aggiunto mediocrità al tanto che soffoca gli scaffali. Quindi niente di grave. Sono consapevole di essere un mediocre. Sono uno studente a vita che fa ricerche, come a scuola. Niente di serio. Questo per far chiarezza. Non frequento i convegni letterari, non leggo niente in pubblico, e non propongo niente a nessuno, a parte un paio di blog con quattro persone che leggono, che hanno pazienza.
    I luoghi lavorano le persone senza che le persone ne siano del tutto consapevoli. Da ragazzo guardavo gli atlanti e scorrevo le dita sopra. Colli, colletti, alte montagne, pianure, fiumi, grumi piccoli di paese e grumi grandi di cittadone, come ossatura di paesaggio umano e nervi. Piatto, non sempre è piattume cerebrale, ma a volte il paesaggio così lo è, e influenzail cervello; certe vallette strette stringono anche gli orizzonti? La Liguria che han dovuto spaccare le montagne per avvicinarla alla modernità, per toglierla dell’isolamento ha costruito nel carattere ligure, parlo dello spezzino che conosco un po’, una sonnolenza di sguardi, di parlata strascicata, di calore freddo e frasi brevi, trattandoti come uno straniero, anche se frequenti la Liguria da trent’anni. Non sono il solo a dirlo. Ma della provincia c’è chi ne ha fatto interi romanzi, come “Il rosso e il nero” di Stendhal; negli articoli di Giorgio Bocca, soprattutto i suoi scritti autobiografici come “Il provinciale”.

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