Finita la “sbronza celebrativa “ad usum mediae”, CremAscolta dedica un post al Maestro che ci ha lasciati: Franco Battiato.
Ci ha lasciato si, purtroppo, ma lasciandoci un’eredità mai finita alla quale attingere.
Le note stonate, su un musicista che ha riscritto la sintassi musicale della canzone italiana, che ha saputo riempire di contenuti poetici, sociali, politici testi che tagliavano per sempre i ponti di “cuore che faceva rima con amore”.
Comunque, storicamente non sono mancate, magari ragliate con voce stentoreamente impostata:
“Franco Battiato, grande Artista ma piccolo Uomo” (Matteo Salvini, 27.3.2013)!
Credo basti per rispondere al “capitano de noiartri”, vate dal Mojito perennemente sollevato, ed ai suoi consimili, quanto segue:
(Da una delle ultime interviste a Franco Battiato)
“…..Vede, sto bene con me stesso. Vivo in questo posto meraviglioso sulle pendici del Mongibello. Dalla veranda del mio giardino osservo il cielo, il mare, i fumi dell’Etna, le nuvole, gli uccelli, le rose, i gelsomini, due grandi palme, un pozzo antico. Un’oasi. Poi purtroppo rientro nello studio e accendo la tv per il telegiornale: ogni volta è un trauma. Ho un chip elettronico interiore che va in tilt per le ingiustizie e le menzogne. Alla vista di certi personaggi, mi vien voglia di impugnare la croce e l’aglio per esorcizzarli. C’è un mutamento antropologico, sembrano uomini, ma non appartengono al genere umano, almeno come lo intendiamo noi: corpo, ragione e anima”.
I “lupi che scendono dagli altipiani ululando”?
“Quello è un verso di Manlio Sgalambro che applico a questi individui ben infiocchettati in giacca e cravatta che dicono cose orrende, programmi spaventosi, ragionamenti folli e hanno ormai infettato la società civile. Quando li osservo muoversi circondati da guardie del corpo, li trovo ripugnanti e mi vien voglia di cambiare razza, di abdicare dal genere umano. C’è una gran quantità di personaggi che sento estranei a me ed è mio diritto di cittadino dirlo: non li stimo, non li rispetto per quel che dicono e sono. Non appartengono all’umanità a cui appartengo io. E, siccome faccio il cantante, ogni tanto uso il mio strumento per dire ciò che sento…..”
Credo che, per lo meno, i tanti, troppi “matteosalvini” dei quali si è infarcita la politica del “buffo stivale”, da certi giudizi, dovrebbero avere il pudore di stare alla larga!
Commenti
Bravo, tu vero capitano di questa sorgente di visioni! Lascia perdere chi allzando gli occhi dalla punta dei piedi avverte il capogiro che gli fa gridare all’incomprensibile mistero della sospensione aerea delle nubi, che tanto lo fan sentir piccino. Che abbia la sua pace, concentrandosi sulla punta dei suoi alluci, unico antidoto ai suoi capogiri, e ci lasci sbirciare in alto, senza pretese di capire, solo per partecipare.
Wow fratello!
Distillato di poesia il tuo. Grazie di cuore.
Da tutta CremAscolta!
La Lega si era astenuta, al Parlamento Europeo, contro le sanzioni al dittatore bielorusso Lukashenko. Di ieri, la notizia di un volo civile Atene-Vilnius dirottato da Lukashenko per arrestare un giovane giornalista, oppositore politico. Cosa dire della Lega come partito? Che fanno schifo. Ribrezzo. E il fatto che continuano ad essere il primo partito italiano dimostra che razza di gente sono molti italiani.
Franco Battiato, quando ancora era pressoché sconosciuto, lo vidi salire sul palco a Travagliato, bassa bresciana, prima dei Ten Years After. Ero un ragazzino di 14-15 anni. Andammo a Travagliato con una vecchia Ford Taunus in cinque, più il sesto, Natalino, nascosto nel baule. Non pensammo (neppure lui) che poteva soffocare, lì dentro, al chiuso. Il concerto: una sorta di Woodstock della Bassa. Attirò migliaia di giovani campagnoli, tardo hippies cresciuti stordendosi con le musiche di Jimi Hendrix. Battiato salì sul palco da solo; suono’ un piano elettronico che pareva un organo, o forse lo era. Ricordo che partì una musica stramba, tutta uguale, che poi, imparai, aveva suoni ossessivi e ripetitivi, come quella di John Cage e Stockhausen. Lo fischiammo di brutto. La sua performance fu inondata di fischi. Se ne andò giù dal palco, con quel naso lungo e storto, gli occhiali da intellettuale riflessivo, e la faccia da giovane che non ha ancora deciso se darsi alla causa dell’essere un insolente o ritirarsi in convento.
Poi, incontrò Sgalambro, e fu un matrimonio indovinato. Battiato mescolo’ testi colti, innovativi e ritmi da musichetta. Divenne l’Arbasino della musica leggera, Arbasino che mescolava la casalinga di provincia, le megere di Voghera, con Madame de Stael e l’esprit francese, Ernesto Calindri, le asme, i cappellini e le borsette, le duchesse, le Verdurin e Proust. E così, anch’io, in bicicletta, imparai a fischiettare: mare, mare, voglio annegare.
L’emozione nostalgica che suscita ritrovare un bella foto virato sepia. Bravo , al solito, Marino!
Io Battiato l’ho scoperto da “grande” ed avevo acquisito i mezzi per apprezzarne la grandezza di artista e di uomo!
Battiato si accompagnava con uno strumento che non esiste più: il Mellotron, ricordate? Era una specie di giranastri con tastiera. Fra la sua selezione di suoni base ricordo campane e canti di bambini. L’elettronoica sì è impossesata di tutto. Il sintetizzatore Moog esisteva già, ma lui premiava i suoni veri.
Quel pianoforte, organo, suonato da Battiato a Travagliato era probabilmente un marchingegno elettronico, un sintetizzatore, quello che si beccò parecchie pernacchie. Si era disposti al frastuono delle chitarre elettriche, agli assoli, persino ai Black Sabbath e agli Uriah Heep, antesignani del rock pesante spaccaorecchie, non allo sperimentalismo elettronico. Eravamo tutti, più o meno impiastrati di ribellismo un po’ fasullo, scuola fatta male o abbandonata, desiderio di fuga senza sapere precisamente dove andare. Battiato, allora ci parve un alieno presuntuoso, venuto da qualche liceo, e spettacolini d’avanguardia dove si vuol ribaltare il Sistema, ma a casa la mamma tiene in caldo il brodo, al ritorno del figliol prodigo, nel bel salotto, e protesta con il figlio perché continua a vestirsi di stracci (costosi), che ha stirato i pantaloni, poi rimasti sulla sedia.
Tempi stupidi, ben compresi dal Battiato maturatosi, anche grazie al brodo di famiglia.
“Il silenzio del rumore delle valvople a pressione. Sinfonia di produzione…” E concordo sul giudizio politico.
Segnalo agli appassionati d’arte, ai curiosi d’arte, che a Milano, luogo sempre in fermento dove ha aperto nonostante la pandemia ancora in corso e i pochi turisti, anche l’hotel Milano Verticale, interessante struttura che si trova tra Portanova e Piazza XXV aprile, c’è una curiosa mostra della “merda d’artista” di Piero Manzoni, alla Casa degli Artisti in Via Cazzaniga, laterale di Corso Garibaldi. Lì c’è anche un ristoro e una vendita di prodotti agricoli di “resistenza contadina”. Milano è sempre Milano, e hanno riaperto i teatri, la grande musica, i bistrot sono zeppi di giovani. Milano è tornata a vivere.
Apropò, sabato io e Marialisa abbiamo in programma la visita al “Museo della Merda” che si trova a Castelbosco, una frazione alle porte di Piacenza in cui trova sede presso la rocca tardo medievale.
Una scritta accoglie i visitatori all’ingresso :“Perché buttarla se puoi riusarla?”
Di fronte agli sbadigli di molta arte contemporaneamente mi viene in mente la faccia di Alberto Sordi di fronte a uno sgorbio di marmo chiamata scultura.
Anche in letteratura e suoi paraggi sono girate masturbazioni mentali a iosa, su cui facevano pure convegni: il Gruppo ’63, di cui salvo solo Umberto Eco, poi Nanni Balestrini, Edoardo Sanguineti. Ho provato a leggere la loro robaccia senza capo né coda, scritta in un linguaggio forse comprensibile agli alieni. Una che si dice poetessa, a Urbino, salì sul palco di una manifestazione ” di poesia visiva”, e tirò fuori suoni, urla, frasi senza senso, che diceva di aver fatto un sogno strambo e aveva deciso di metterlo in pagina. Fu un pomeriggio molto divertente: artisti, filosofi, letterati, poeti, tutti a tirar sera con le loro miserie ritenute serie.
Piacenza! Unica città con un parcheggio gratuito di fianco alla stazione che si può andare al mare e lasciar lì l’auto anche più giorni. Tempo fa sono stato alla Sala dei Teatini, piccolo teatro, ed ex chiesa, e il Ricci-Oddi. Invece, non ho ancora visto l’Antonello da Messina al Collegio Alberoni. E Tomaso Montanari mi ha venir voglia di vedere con più attenzione le statue a Piazza dei Cavalli di Francesco Mochi. Piacenza è un peccato: ha delle perle, ma è città sciatta, a partire dalla zona della stazione ferroviaria, con quel condominio alto alto tanto brutto e ormai ben poco signorile; il passeggio stanco del Corso, il programma mediocre del Teatro Municipale.
Ma ha il Po, le valli di collina, un bel campus universitario del Politecnico, l’Agraria….
Montanari mi ha fatto venir voglia. Scusate.