Sto parlando dei gruppi Whatsapp, nuovi molestatori impuniti delle nostre vite, discariche virtuali degli smartphone dove tutti buttano dentro qualsiasi cosa. Già, perché il gruppo creato sotto il nome “regalo Agnese”
serve a tutto tranne che a trovare il regalo di Agnese. I fantasmi si dileguano subito con “…ha abbandonato”, gli annoiati si limitano a un “fate voi a me va bene tutto”, i bastian contrari non sono mai d’accordo ma non propongono nulla.
Il compleanno della povera Agnese è l’ultimo dei pensieri mentre, nel gruppo Whatsapp, imperversa un’arca di Noè di personalità multiple che sfociano nel compulsivo con foto, video e stupidate varie.
Tra i membri del gruppo merita senz’altro il podio l’amico pervertito. Egli, tempo un paio di giorni per prendere confidenza, dà via libera alla fiera del porno mentre tu preghi che non ti venga salvato in automatico qualche didietro ricoperto solo da un filo interdentale.
Di seguito abbiamo l’allegro il quale, ogni sacrosanta alba, distribuisce immagini di buongiorno a fiotti mentre a te mancano persino i riflessi per centrare la tazzina con il caffè.
L’ironico è quello dei video cretini, il filosofo inonda la chat di frasi sul senso della vita. E tu, in quei lunedì nebbiosi e gelidi, mentre vai al lavoro con lo stesso ottimismo di un passeggero del Titanic, visualizzi all’improvviso: “la vita ti sorride se la guardi sorridendo“. A quel punto ti parte l’embolo con istinto omicida e indichi mentalmente al soggetto la via per una meta dove non batte il sole.
Infine si distingue il fissato dei messaggi vocali perché dice di essere molto preso, lui, e di non avere tempo per scrivere. Come se gli altri avessero tempo, magari in pieno orario di lavoro, di ascoltare dieci minuti del suo monologo.
Fare selezione tra una miriade di spazzatura per individuare i messaggi utili sul regalo di Agnese è un’impresa titanica. Inevitabilmente qualcuno sfugge e c’è chi ha anche il coraggio di richiamarti all’ordine perché tu, inetta, non sei stata attenta al loro verbo tra il degenero più bizzarro.
Che fare? Se esci dal gruppo prima del tempo rischi di passare per arrogante, se non interagisci un minimo sei asociale. Allora ti limiti alla faccina che ride, al pollice in su, giusto per far vedere che esisti ma in realtà stai solo sperando che il compleanno di Agnese arrivi prima di subito.
Finalmente giunge la fatidica data. Agnese si ritrova in mano un regalo rimediato all’ultimo minuto perché tanto, quello che conta, è il pensiero ( da togliersi, soprattutto).
A questo punto scatta l’autorizzazione implicita a poter abbandonare il gruppo e ci si studia a vicenda per vedere chi lo farà per primo.
In genere io accolgo questo momento come l’apparizione della Madonna di Lourdes, all’idea di non avere più una serie di molestatori che, a intervalli regolari, faranno illuminare il mio display.
L’uomo, nella sua evoluzione, ha scoperto tante cose: il fuoco, la ruota, la penicillina. Ma la scoperta dei gruppi Whatsapp è utile e piacevole come le cimici nelle zanzariere.
Certo, esistono gruppi e gruppi, ma in generale, non credo mancheranno mai a nessuno.
A proposito: perché non creiamo il gruppo Whatsapp di CremAscolta? Su dai, scherzavo!
Commenti
Instagram è pure peggio, con la gara a far la conta dei followers, così che se ne hai pochi ci sarebbe anche il volenteroso capace di farteli aumentare. Non so in cambio di cosa. Che poi non ci vuole niente, basta cliccare compulsivamente e automaticamente i numeri aumentano, vuoi per buona educazione, vuoi per rispondere a chi ti ha preceduto. E poi ci sono i like che non so se si negano a nessuno ma lampeggiano. I followers che ti seguono sono in genere degli sconosciuti, ai quali io non rispondo soprattutto in presenza di 0 post. Il tasto Segui è da me poco frequentato. Così che i miei follower non aumentano. Naturalmente non per l’obiettivo di emulare Fedez e compagnia di seguitissimi o ambizioni da influencer, non ne avrei le “qualità”. Chi ti conosce poi non ti segue, pur incrociandoti tutti i giorni, nella piccola citta è così. E io non seguo loro. Gli artisti poi si seguono anche meno, tra di loro intendo. Rivalità, supponenza, vale anche per gli intellettuali, non la scampano neppure gli arrivati. Se posso permettermi, il nostro Beppe Severgnini se ne ricorderà, credo un sabato pomeriggio, è stato omaggiato della richiesta di un selfie da parte non so se di turisti o avventori di paese che finalmente incontravano una celebrità. Molto educatamente, ho assistito alla scena, ha acconsentito commentando che a Crema, pur essendo nativo e molto esposto, non gli era mai capitato. Ma si sa, nemo è profeta in patria. Ma questo non c’entra con Instagram. E comunque il selfie sarà finito su qualche social. Io sono approdato su quel social con l’unica finalità di esporre i miei lavori che mai hanno varcato la soglia di una galleria in cinquant’anni. E i primi giorni è stato anche piacevole con miei vecchi alunni e colleghi che subito hanno cominciato a seguirmi. Poi sono arrivati gli sconosciuti, e soprattutto le sconosciute. Avvenenti ragazze, tette fuori e sorriso smagliante, che ti chiedono se possono mandarti un messaggio privato. Ho prontamente risposto che sono sentimentalmente e sessualmente appagato. Hanno immediatamente chiuso il cuccaggio. Questo naturalmente capita ai belli e giovani come me, ah, ah, ah. Ravvisabile ovviamente il tentativo di truffa informatica a danni dell’anziano. Non ci rimarrò per molto su Instagram, anche se in questo periodo mi sono divertito a leggere le migliaia di furibondi messaggi contro il noto Matteo Renzi. Non avrei potuto altrimenti.
Non conosco Instagram ma posso ben immaginare dalla descrizione dettagliata della sua esperienza. Per ora mi limito a Facebook che è più che sufficiente. Star dietro ai social, senza accorgersene, si rischia davvero di sprecare tempo prezioso.
Buona serata! 😊
Anna, purtroppo é un vizio dl molti, ma forse ci vuol poco ad uscire dal trip.
Anna scritto benissimo! Un fenomeno che spennelli a dovere che ci coinvolge tutti, e non ne usciamo per i motivi che indichi. E c’è di peggio: quando la tua Agnese finalmente compie stic… di anni, il gruppo non decvcede, cambia nome, tipo gli amici di Agnese, Agnese per sempre, come faremmo senza Agnese…
E poi, nell’epoca della fobia della privacy, siccome è un gruppo solidale ci esce di tutto (il suo problema oggi è che non si scarica, l’ultima da un affettuoso gruppo).
Brava, la società a scherzose pennellate, grande scrittrice!
P.S. Ti offendi quando nella newsletter ti chiamo “la ragazza del clan”? Solo un segno di affetto per noi uomini maturi. Maturi…umh…..
Adriano grazie! E nessuna offesa scherzi? Cercate peró di mantenere il più a lungo possibile l’appellativo “ ragazza”, mi raccomando. 😉
E l’affetto per tutti voi è largamente ricambiato😘
E però, ora che si laureano i due giovanotti, Mattia e Giorgio, e avranno più tempo, diciamo che tu trentenne avrai dei compagni di tastiera praticamente coetanei!
Caro Adriano, ho qualche anno in più di Mattia e Giorgio, un figlio adolescente e l’Università un lontano ricordo, ma ringrazio il tuo ottimismo visivo😄
Mia figlia è cresciuta nell’epoca dei social. Capitava, spesso, che a pranzo, a cena non vedeva l’ora di finire il piatto per reimmergersi nei “contatti” online. Quante volte mi sono irritato con lei! Era una fissa, la sua, di far scorrere il video del cellulare, una fissazione pari a quella di mangiarsi le unghie, spingere il labbro superiore in fuori quando era perplessa, annodarsi i capelli sopra le orecchie. Le dicevo: basta con quel cellulare, te lo butto dalla finestra! Lei sorrideva, sapeva bene che non l’avrei fatto; sapeva del mio rispetto per il denaro speso. Poi, con il tempo, anche lei capi’ che stava esagerando, che passava troppo tempo immersa dentro una vita moltospesa online; e cominciammo a parlare di più, il suo telefono abbandonato (non del tutto) da qualche parte in casa. Lei mi spiegò un fracco di cose, sulla messaggistica online, di cui metà degli insegnamenti li dimenticai subito, ma qualcosa, poco, mi restò in mente. Ancora adesso ricorro a lei, quando litigo con la tecnologia applicata, e lei mi invia online tutte le istruzioni, con tanto di freccette scritte a penna, come si fa con i bambini.
Ricordo il primo telefono portatile che ho visto, molti anni fa, ormai; era di un rappresentante, un commesso viaggiatore di tondino per l’edilizia, e tegole in cemento. Era di Borgonato di Cortefranca, colline che danno vini bianchi e spumanti strepitosi; gente bresciana, sgobbona: lavoro e lavoro. Il telefono pesava tanto, ed era agganciato all’automobile, con un cavo a ricciolo. Quando lo staccò dal cavo, alzò l’antenna, e mi parve simile a un ricetrasmettitore. Il suo telefono prendeva e non prendeva la linea, e per passargli un ordine di tegole coppo di francia, color rosso mattone, gli dicevo al telefono (lui in macchina, che guidava) che avrei fatto meglio a inviargli un fax in ufficio. Ma era un ordine urgente, e in ufficio lui ci sarebbe passato la sera, al ritorno dai giri con la clientela. E così, a pizzichi e mozzichi, riusci’ a trasmettergli il primo ordine che posso ricordare a quell’aggeggio, un telefono cellulare, che pesava tanto, che si sarebbe potuto utilizzare a far pesistica.
Questo all’inizio. Poi hanno cominciato ad alleggerirsi fino a che i ragazzi cominciarono a confrontarsi su chi ce l’aveva più…….piccolo. 😜 Crozza.
Vrtuale virtuoso?!?
Ivano, ai miei/tuoi tempi si faceva diverso!
Ricordo benissimo anche io il mio primo cellulare, il quale si incastrava a malapena nella borsetta. Teneva la carica si e no cinque ore ed era così pesante che, dopo una telefonata, era d’obbligo un po’ di stretching all’articolazione del braccio. Bei tempi