Ritengo importante, prima che si concluda questo 24 Gennaio, che CremAscolta esprima la sua sentita profonda partecipazione a questa “Giorno della Memoria”.
Cosa di meglio che le parole di Liliana Segre: ‘Mai perdonato, mai dimenticato’.
Il delitto nei confronti dell’umanità tutta di cui si è macchiato il popolo tedesco al tempo guidato dal regime Nazista di Hitler, al quale si è accodato il popolo italiano sotto la guida del fascismo di Mussolini, viene riportato al ricordo partecipe degli Italiani nella ricorrenza del 27 gennaio 1945, quando le truppe sovietiche dell’Armata Rossa arrivarono ad Auschwitz svelando al mondo l’orrore del campo di concentramento, uno dei luoghi del genocidio nazista, liberandone i pochi superstiti.
Le parole di Liliana Segre: ‘Mai perdonato, mai dimenticato’, sono come pietre, quelle stesse pietre d’inciampo dell’artista tedesco Gunter Demnig per depositare, nel tessuto urbanistico e sociale delle città europee, una memoria diffusa dei cittadini deportati nei campi di sterminio nazisti.
Commenti
Anche il genocidio degli aborigeni australiani | Schiavismo | Pol Pot | Congo/ReLeopoldo | Namibia (tedeschi) | Indiani Nord e Sud America | del Ruanda, | Stlinista, non solo l’holodomor | l’armeno | greco | Rom | eccetera
Si certo, anche per loro, eccimancherebbe!
É scontato o superficiale dire che fascismo e nazismo, così vicini a noi, spazio e tempo, possono suscitare più emozioni, e preoccupazioni, eterno ritorno, dello sterminio dei Pellerrossa? Lorenzo Merlo, il suo commento é tipico degli antisemiti odierni. Mi sbaglio? É scontato dire che siamo figli di coloro che dittatura, deportazioni e sterminio hanno subito? E che forse la nostra memoria è più che doverosa e giustificata? Se si ha sensibilità per la nostra Storia si ha registro comunque anche per quella degli altri. Ma se ne manca una…
Davide Pedretti, Oreste Giudici, Giovanni Dolfi, Costantino Codini, Roberto Lepetit, Eugenia Cuzzeri Caminada, Antonio Gentili, Giorgio e Jole Camerini Gokdschmiedt, Anna Rabinof Schweinoster, Gian Natale Suglia Passeri, Giorgio Puecher Passavalli, Frieda Lehmann, Luigi Villa, Andrea Schivo, Antonia Frigerio Conte, Corinna Corinaldi Segre, Romeo Garotta, Umberto Recalcati, Pio, Enrico, Giorgio Foa’, Mario Provasi, Bihor Nahman Varon, Sara Attias Varon, Hasdai Varon, Dora e Leone Varon. A tutte queste persone, ebrei residenti a Milano, la vita è stata strappata da criminali e bastardi e complici di un genocidio,milioni di esseri umani ammazzati, soffocati vivi.
Non vedo l’ora di poter tornare a Milano a rendere omaggio a loro, calpestando le bellissime pietre d’inciampo di questi deportati ai campi di concentramento e di sterminio. Un grazie a Gunter Demnig, tedesco che dal 1947 costruisce queste pietre, che sono un monumento straordinario a delle vite ordinarie. Ne ho calpestate parecchie, come quella in Via Borgonovo, a pochi passi da casa Armani; o un’altra in Via Milazzo, vicino al cinema Anteo, in piazza Filangeri, Via Broletto, e quella su viale Bligny calpestata pure dagli studenti che vanno e vengono dalla Bocconi. Bisogna ricordare anche i criminali che l’hanno fatta franca, scappati all’estero, protetti,e l’odio, il razzismo anche strisciante che avvelena la vita.
Non so chi siano gli antisemiti odierni e la memoria è un fatto personale.
La memoria è Storia e un fatto collettivo, non un fatto privato. Al resto ha già risposto Marino, oltretutto riportandomi tristemente ad antiche memorie del blog. E qui nessuno censura.
Penso che, non avendola vissuta, né da ariano né da ebreo (che poi ho avuto le prove che gli ebrei fra gli antenati li avevo, come i preti cristiani spretati), dicevo, ritengo che certo, la condanna deve restare ferma, ma più conta la ricerca storica e nella memoria di quelle costanti che possano servire da indicatori.
Perché è facile dire “mai più!”
Ma come si ci accorge?
La nepente è una pianta carnivora che attira con un gusto sciropposo gli insetti, ma poi, sdrucciolevolmente, li attira verso il crogiolo digestivo, con dei peli orientati in senso opposto che non consentono la risalita. Un qualche gusto mielato ci sarà sempre, e generalmente passa le nostre barriere etiche come una soluzione rapida, una via di uscita da una situazione di stallo.
E allora vediamo di non fare gli insetti, raccogliamo segnali ripetitivi, sempre rintracciabili, di allarme.
Possono essere frasi ricorrenti, gesti, primi provvedimenti legislativi. Sembra facile, vero?
Stiliamo un decalogo, apartitico!
Questo senza demonizzare come untore nessuno colto a scambiarseli da ignaro, a fare affermazioni ritenute sospette, per carità!
Sarebbe peggio.
Non sapere chi siano gli antisemiti, non è grave. Di tante faccende sappiamo niente. Sono ignorante cosi tanto che non passa giorno che studio qualcosa, appunto perché sono ignorante, o voglio approfondire cose di cui so poco. Per cui, visto che lei è una persona umile e ignorante su chi siano gli antisemiti, legga Valentina Pisanty, che insegna all’Università di Bergamo. È una giovani studiosa che si occupa da anni dei “negazionisti delle camere a gas”, antisemiti in maggioranza francesi. Così farà conoscenza con alcuni antisemiti.
E’ invece molto grave non vedere, non riconoscere ( o fingere di non riconoscere!) i comportamenti fascisti di oggi, quelli razzisti di oggi, quelli artatamente populisti, quelli mafiosi.
E non si tratta di “definizioni”, dietro le quali, magari, trincerarsi, si tratta di comportamenti, anche molto tangibili, ai quali concedere accettazione, quandanche connivenza!
Gazebo di Casa Pound in piazza Garibaldi non ricordo in quale occasione elettorale di pochissimi anni fa. Ragazzi giovani e passarci accanto con un certo timore. Immediatamente vengono in mente scene di anni fa all’origine di quello che è stato.
da Wikipedia. “A causa dell’irreperibilità di Luigi Ferri, la sua voce non è potuta essere inclusa nel progetto di raccolta dei “racconti di chi è sopravvissuto”, una ricerca condotta tra il 1995 e il 2009 da Marcello Pezzetti per conto del Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea che ha portato alla raccolta delle testimonianze di quasi tutti i sopravvissuti italiani dai campi di concentramento in quel periodo ancora viventi.[ Il CDEC ha però curato e reso disponibile la traduzione italiana della sua deposizione, la quale resta un documento unico e eccezionale sulla vita ad Auschwitz-Birkenau, redatto da un bambino sopravvissuto non a distanza di anni ma di soli pochi mesi dagli eventi narrati.”
Luigi Ferri, sopravvissuto grazie all’aiuto di un medico ebreo tedesco, Otto Wolken, pure lui internato al campo di Auschwitz, rilascia a Cracovia un’unica testimonianza il 21 aprile 1945 davanti alla Commissione polacca preposta al processo contro i carcerieri del campo. Non aveva ancora compiuto 13 anni. Per poi scomparire nel nulla. La sua storia è stata raccontata domenica scorsa nell’inserto Lettura del Corriere. Signor Merlo, le auguro nel caso Luigi Ferri fosse ancora in vita, e soprattutto in forze, di non incontrarlo, anche se credo che non accadrebbe niente. Se per noi è un dovere morale ricordare posso anche capire che per Luigi Ferri l’imperativo sia stato dimenticare. Per sopravvivere!
Marcello Pezzetti, che abitava, se ben ricordo, a Vaiano Cremasco, uno dei responsabili del Centro di Documentazione Ebraica a Milano; ora credo viva a Roma. Del resto, uno come lui che si occupa di queste faccende non poteva restare in un paesino cremasco, neppure nel paesone del tortello e unito con la Serenissima, come recita Il Nuovo Torrazzo. Ricordo che lo incontrai in ospedale, allora era ricoverato un suo parente stretto e si era portato un librone da leggere. Pezzetti, un cremasco esperto e curatore della memoria ebraica. Davvero una cosa singolare, non avendo avuto, il nostro territorio, un passato di radicamento ebraico, come il mantovano, o la bassa parmense.
Grande documento di Pezzetti il suo “Memoria” con la musica di Piacentini.
Stesso anno di liceo, con Marcello (entrambi classe ’53), sia pure in due sezioni diverse (lui era nella A, io nella B). Già da allora, un tipo speciale. A Vaiano e qui da noi in città lo conoscevano tutti. Al Racchetti erano proverbiali il suo spirito di iniziativa, la sua capacità di cogliere al volo le situazioni, una certa emotiva imprevedibilità. Avere condiviso, un poco, anche con lui quegli anni turbolenti è stato molto significativo, sia pure da posizioni abbastanza diverse.
Merita tutto quanto ha avuto professionalmente dalla vita e tutti i riconoscimenti internazionali che spiccano nel suo curriculum di storico della Shoah. Credo che sia uno dei migliori studiosi di quel genocidio.
Ogni tanto torna dalle nostre parti. E, se ci si incontra per caso, ha ancora quell’aria intraprendente, quella simpatia innata. E questo nonostante abbia avuto modo di fare ricerca, di approfondire e di studiare situazioni così tragiche.
Uno dei cremaschi che onorano il nostro territorio.
A proposito, Marino, qualche traccia di ebraismo c’è stata anche a Crema, più risalente (vedi la lapide che c’è al Museo) o più recente. Certo, non come nel mantovano, nel parmense o nel ferrarese.
Comunque, domani avremo tutti una buona opportunità per non dimenticare.
Non ho chiare le ragioni dell’augurio.
Volevo dire che se anche La incontrasse di persona rinuncerebbe al suo racconto. Capirebbe da subito che sarebbero parole morte. Io non auguro mai male a nessuno.
Perché capirebbe da subito che sarebbero parole morte?
Cosa sarebbe mai il racconto di un ragazzino di fronte ad una memoria rifiutata? Non parla sempre Lei di esperienza non comunicabile?
Non so quando ho rifiutato la memoria di non so cosa. L’esperienza non è comunicabile, diversamente proverei i sentimenti di altri, disporrei della conoscenza di altri, cosa che accade solo se quanto comunicato si integra con la struttura che riceve, cioè in relazioni, grossomodo di “parilivello”. Ascoltare una narrazione permette di acquisire informazioni, non l’esperienza. Permette un’esperienza, altra.
Ha ragione, dipende dalle sensibilità.
Cosa?
Certo, c’è differenza tra informazione ed esperienza. Di sicuro se uno ha la sensibilità di un registratore di cassa sicuramente non ha mai sentito parlare di empatia. Diciamo che l’informazione che ci passa Luigi Ferri ad alcuni tocca corde, diventando propria esperienza, ad altri no. Lei dirà che non è possibile, ma sarebbe giocare con le parole…e ai vecchi blogger di Cremascolta un copione già scritto. Quindi basta giocare con l’estetica delle parole. Buona giornata.
Non so cosa sia l’estetica delle parole e non stavo giocando. L’empatia o compassione è relativa all’immedesimazione nell’altro, cosa che non sposta di un punto la questione. Se l’esperienza fosse trasmissibile la comunicazione si realizzerebbe sempre.
https://www.stateofmind.it/2020/11/epigenetica-trauma-generazioni/. Non so niente di epigenetica e non ho titolo a raccontarla. Ma questo testo mi induce a pensare che esistano vari livelli di trasmissione dell’esperienza oltre al racconto in viva voce o altri linguaggi. E tra chimica e psicologia non saprei proprio dove collocarmi. Mi fermo qui, dopo aver pensato che l’immedesimazione nell’altro è comunque trasmissione/ricezione dell’esperienza. Certamente con dovuti distinguo. Quindi Lorenzo, se fossi in Lei, non sarei così certo di quello che scrive. Magari Adriano potrebbe integrare.
Il tuo lo leggo solo ora. Integrare sull’epigentica? Sì, il meccanismo si chiama metilazione. Il nostro libro guida, DNA, è fatto in modo che gran parte dei siti non servono a fare, ma siano solo dormienti, e l’orchestra risente più della concordanza che degli assoli. Quindi posso tasmettere in positivo anche dando una botta in testa al primo violino: il risultato sarà diverso, come se aversi aggiunto e non tolto uno strumento. La metilazione è un coperchio, per capirci. Ma questo meccanismo è provvisorio, ma, sorpresa, ereditario. Si eredita un gusto da un genitore ignoto (provato con ricerche sul registro dei gemelli, di cui è presidente Tim Spector, un nutrizionista), una fobia… Mio padre è scappato tre volte dal campo di concentramento e io sogno costantemente reticolati…
Altra sorpresa sulla definizione dei nuovi caratteri: grazie all’epigentica non una serie infinita di parentele, ma solo cinque genrazioni perché un carattere dimstratosi utile e coerente con l’ambiente divenga permanente (provato nelle volpi artiche).
Era questo che dovevo inìtegrare?
O sul tema? Su quello ho scritto fino a sgolarmi. Ognuno di noi ricorda cose esatte dette nella gioventù ma non comprese realmente, fino alla nostra presenescenza, figuriamoci se le dice un’altro, ma questa parola serve, serve a dire “ma se l’avevo già detto io stesso, se l’aveva detto già Pinco Pallo… Il valore emzionale: viaggia fuori e dentro la parola, è lo Svitol che apre le porte della condivisione, certo, ma nella nostra esperienza non siamo vittime dell’incomunicabilità, ma coscienti, di una coscienza sia individuale che colletiva. Ma pensiam.c all’informatica , ai p.c. in rete, che sono una grande metafora che tutto ci chiarisce!
Geneticamente si possono trasmettere doti, difetti, predisposizioni, non solo ataviche, anche genitoriali. Scrivo che l’esperienza non è trasmissibile perché osservo il fenomeno quotidianamente. È sufficiente osservare le relazioni per evidenziare che ci comportiamo come se l’esperienza fosse trasmissibile, e che non lo è. Comunque non ho moventi proselitici. Senza ricreazione personale nessuna esperienza può essere condivisa. In caso, si parla di parigrado, ovvero di riduzione di equivoci e fraintendimenti, di disponibilità a intendere la narrazione altrui anche se espressa con forme differenti da quelle da noi adottate.
Mia mamma era semianalfabeta, ma quando spiegava qualcosa la si capiva. I suoi sistemi di pensiero avevano una qualità: la chiarezza, la semplicità, nella povertà dove era cresciuta. Aveva il rispetto delle parole, che non conosceva. E taceva, spesso, per imbarazzo. La lingua serve per comunicare, comprendersi. Bisogna averne rispetto.
Quotidianamente. Anche qui.
Bella corrida, mi è piaciuta nel senso di vitalità, non nella sua efficacia di ottenimento del fine comprensivo.
Signor Merlo (posso darti del Lorenzo?) io non mi arrendo su questo tema. Ma quando tu “ti parli” non usi delle parole? Quando consulti quello che io chiamo l’inquilino del piano d sotto (subconscio, che esiste in carne ed ossa, anzi in parole, altrimenti staremmo freschi!) non gli parli? Certo, è uno di famiglia, condivide tanto con me, la lingua, ci mancherebbe! Gli studi sulla comunicazione verbale, che ho approfondito per capire se il paziente mi capisce, ci dimostrano che arriva fedelmente solo un 30%: perfettto, infatti disegno molto mentre parlo. Ma il messaggio subliminare arriva comunque per via multisensoriale, in cui la verbalità ricopre un ruolo importante, sopratttutto nella discontinuità temporale! Non la sviliamo, per favore, questa santa parola!
Marino, in sintesi: esperienza, comunicazione, trasmissione, empatia… E’ possibile che pur col tramite di questi canali esistano ancora antisemitismo e negazionismo? A questo potrebbe rispondere Merlo convinto che nessuno di questi percorsi sia praticabile. Ma forse a lui va bene così.
Siamo universi diversi divisi da io creduti reali, nei quali ci identifichiamo, certo idonei a erigere muri, a scambiare le ideologie di qualunque stirpe per verità. Senza consapevolezza che l’esperienza non è trasmissibile si può arrivare a pensare che ci sa qualcosa come esperienza, comunicazione, trasmissione, empatia, sufficiente per ordinare tutti.
Lorenzo noi stiamo PARLANDO, COMUNICANDO SECONDO UN CODICE ARBITRARIO MA CONDIVISO! e santa pazienza io ci provo ma……. ho già detto, anche se comunico col mio stesso io, PARLO!
Condivido “Codice arbitrario ma condiviso”. C’è un bel po’ del corpo centrale intorno al quale senza saperlo si gira convinti che il proprio satellite sia quello di tutti. Non credo di usare un codice diverso ma vedo che non è condiviso, dunque anche per questo l’ENT, l’esperienza non è trasmissibile. Diversamente tutte le psicoterapie risolverebbero i problemi al primo incontro; tutti i concetti e le prospettive sarebbero patrimonio di tutti. Non sono all’altezza di impiegare parole che certamente contengono qualcosa per tutti. Sarei un poeta e non basterebbe. Tantomeno in poche righe.
Adriano 14:59. Grazie
Con tutto il rispetto, amici, ripropongo l’osservazione fatta al signor Merlo Lorenzo nei commenti al post “Silvestro arriccia i baffi”: anche qui mi pari che si scivoli …..verso la “pippa”: 20 commenti 20 nei quali nemmeno si sfiora l’argomento (invero pregnante assai) del post!
Non è che sia il signor Merlo Lorenzo a catalizzare questa reazione “pippante”?!?
Grazie, Francesco.
Vedo ora il tuo post.
Di crimini contro l’Umanità ce ne sono stati parecchi, da quando il genere Homo si è sviluppato e poi si è evoluto (forse) nella specie Sapiens.
Domani è la ricorrenza simbolica di uno di questi crimini, a noi particolarmente vicino e odioso.
Certo, mai dimenticare.
Sul mai perdonare, sappiamo che esistono opinioni diverse. Si lasci decidere ai figli e ai nipoti delle vittime.
Aggiungerei un “mai farsi prendere in giro”, soprattutto su certi crimini.
Quindi, grazie CremAscolta, anche per questo.
Sai Pietro, mi chiedono certi miei primi lettori, prma ancora che lo scritto vada in stampa, perché descrizioni così truculente di stragi, abusi…? Il mio che hai letto, Simias, presto su Cremascolta, non fa eccezione.
Perché quando inseguendo da imbecille una folla inferocita, io adolescente, mi trovai a vedere il Questore col viso insanguinato, un vecchio signore estratto dalla macchina e percosso, ho capito quanto è facile divenir cane da branco! Tutti dobbiamo sapere che potremmo essere carnefici, aguzzini, poi magari autoassolti dal numero. Tutti dobbiamo scolpirci nell’animo: “piuttosto io, piuttosto la mia vita”. Intendiamoci, mai pensato che tu potessi essere un assolutore di misfatti! Ma noi, come si diceva un tempo, uomini di forti principi, dobbiamo essere anche pietre miliari.
“Si lasci decidere ai figli e ai nipoti delle vittime.” No Pietro, l’olocausto non è stato un fatto familiare, privato. La memoria è collettiva. Non è stato ferito, umiliato solo un popolo. Siamo stati feriti tutti e cronaca o Storia spicciola dimostrano che i conti col passato non sono ancora stati fatti. Meglio di noi la Germania. A chiunque di noi è dato perdonare o no. Io non perdono.
Vale quanto sopra scritto a Pietro Ivano: un episodio adolescenziale mi ha lasciato un vacino a vita.
Non sapere chi sono gli antisemiti odierni, posso perdonarlo agli analfabeti, non a chiunque abbia un minimo di conoscenza della società. Ho scritto altro, in un precedente scritto; ho scritto che non è grave, non sapere chi sono gli antisemiti odierni. Un errore. È grave e perlopiù una finta, una brutta, bruttissima finta dire di non sapere chi siano
oggi, gli antisemiti. Oggi ci sono decine, centinaia di gruppi neo-nazisti, antisemiti in tutto il mondo in Germania e in Francia. In Italia, non mancano. Forza Nuova è dichiaratamente neo-nazista.
Pietro Martini, scrivi cose esatte. Marcello Pezzetti è uno degli studiosi italiani, ricercatori e curatori della memoria ebraica; mondo a cui sono legato, che studio da anni, tanto da dichiararmi, oltre che mezzo milanese, mezzo cremasco, anche mezzo ebreo. Il naso ce l’ho.
Segnalo ancora, fuori tema, che i dati del Coronavirus, letti al Tg3 delle 19, continuano a saltare, stranamente, sono letti di fretta, come se fosse un fastidio darli e leggerli. Sono le varianti del virus la/le notizie che dovrebbe/dovrebbero essere in prima pagina. Sapere con buona sicurezza, o no se i vaccini fanno da barriera a queste varianti o no. Ma diventeranno notizia importante solo in caso negativo.
Tu hai il naso, io in una casa avita in rovina ho trovato anche la stella scolpita su un frontespizio! Eran tanti Marino, già nei secoli sempre nascosti, chi non ha l’antenato ebreo?
Mah, così per non gettare altre parole al vento, i fatti: la Germania del III° Reich non è stata perdonata dagli alleati vincitori della Guerra, anzi i responsabili sono stati ricercati, catturati e condannati da un Tribunale speciale, altro che “perdono”!
Coloro che si sono salvati dallo sterminio, come persone, in cuor loro, nei confronti di coloro che li hanno così terribilmente, inumanamente trattati, possono (ammesso che siano stati in grado di superare l’enorme schok: sequestro, viaggio carri bestiame, internamento in condizioni volutamente sub umane, voluta denutrizone, annullamento della personalità e dell’appartenenza al genere umano, progressiva uccisione in camera a gas dei loro simili) nutrire sentimenti rispetto ai quali ritengo nessuno, dico nessuno possa permettersi il diritto di dire alcunché!
Francamente nemmeno riesco a capire come chi, come noi, non solo non ha vissuto quello strazio, ma addirittura è nato quando quei terribili accadimenti non esistevano più, possa atteggiarsi a poter “perdonare” chi e che cosa!
Quello che possiamo/dobbiamo fare è non dimenticare, e assolutamente non assecondare/avvallare alcun negazionismo, anche solo inteso a sminuire la portata dell’obrobrioso delitto perpetrato nei confronti di un popolo, di uomini, donne, bambini con la solo “colpa” di essere “diversi” dagli “ariani”, per “razza”, di essere omosessuali o essere affetti da menomazioni/”tare” fisiche o mentali.
Perchè di questo si è trattato, abbiamo il coraggio di pensarci, di dirlo ad alta voce, almeno una volta l’anno e operare perchè ciò non possa più accadere!
Francesco, il tema del perdono non è stato inventato qui. Si dibatte da decenni ed è diritto di tutti esprimersi. Perdonare significa capirne le ragioni, storiche, morali, culturali, ma ad analisi finita credo che trovarne giustificazioni significhi complicità. Qui non ci trova di fronte al perdono di chi spettegola sul nostro conto o ci ha fatto un torto, ma ad un andamento della Storia che ha mandato affanculo e vanificato secoli di tentativi di civiltà. Un’interruzione, un vuoto insanabile nel cammino morale dell’uomo. Io non perdono.
« …essere “diversi” dagli “ariani”, per “razza” ». Non è così Franco: erano Tedeschi, Olandesi Russi, a tutti gli effetti, dagli occhi azzurri ai capelli biondi, alla lingua… Ora, certo, mi sembra fuori di testa voler mettere a tutti i costi in rilievo le mie particolarità ideologiche, quelle stesse che d’altra parte avevano loro permesso, facendo un patto di ferro, di sopravvivere nella storia delle persecuzioni eterne. Si potrebbe dire “se la son cercata”. Allora piantiamola tutti di ragionar per tifoserie, di fare i pomodori Cirio con l’etichetta, le banane Ciquita col bollino blu, perché sono queste radicalizzazioni a portare poi il seme delle estreme conseguenze. Non diciamo più “io sono” interista, cattolico, eterosessuale nero…, sostituiamo con termini più rispondenti ai fatti, come “oggi, tendenzialmente, un po’”
E d’altra parte guardiamo con ironia a chi insiste troppo su una propria peculiarità facendone fede, bandiera… Facciamo gli uomini, non le sagome di cartone! Perché è da lì che iniziano i guai.
In questo senso, nn ” perdono” nemmeno io, caro Ivano!
C’e chi vuol perdonare anche quei criminali che l’hanno fatta franca, molti di loro riparati in America Latina. Tra i tanti libri usciti, ne segnalo due, a chi può interessare: Michele Battini, Peccati di memoria, dedicato alla mancata Norimberga italiana, edizione Laterza; e un testo che parla proprio dei tanti nazisti tedeschi, ucraini, polacchi, italiani che si sono rifatti una nuova vita negli Stati Uniti, nazione che divenne un porto sicuro per gli uomini di Hitler. Il libro è una inchiesta di un giornalista del New York Times, Eric Lichtblau, il titolo “I nazisti della porta accanto”, editore Bollati Boringhieri.
Tema già affrontato da Spinoza, che era vittima e non carnefice, ma si espresse con chiarezza: se il cane rabbioso mi morde non voglio sapere perché, se la rabba ce l’ha perché a sua volta è stato morso, perché… mi ha morso e basta, va soppresso.
Io aggiungo che non è una vendetta, ma un atto di clemenza per liberare un portatore di aberrazione che non riuscirebbe a recuperare liberandosene. E questo vale per l’accaduto.
Lo dico perché possiamo immagnare come intervenire su situazioni attuali iniziali, non incancrenite, che non richiedano provvedimenti drastici, che magari estratte dal gruppo possano essere sottoposte a una riconversione.
E che il senso del ricordo sia questo penso che siamo tutti concordi: la prevenzione secondaria.
Ho parlato di negazionismo in medicina. la solfa è la stessa, di peggio del muro contro muro non c’è, e visto che il problema è d’attualità, parliamone in vista di un risultato, non in via di principio, non in un’ottica di assoluzioni e condanne storiche, ma in quella del problema attuale che richiede maturità di risposte.
Il tema del perdono o del non perdono dei propri aguzzini da parte delle vittime dei lager è sconfinato, sia per il perdono successivo da parte dei sopravvissuti, sia per il perdono da parte di chi l’ha dichiarato poco prima di essere ucciso in loco, lasciandone prova testimoniale attendibile. Ebrei ma anche cristiani di ogni confessione, laici e altri ancora hanno perdonato i loro aguzzini, in modo evidente e per ragioni diverse. I testi citabili sono innumerevoli (tra i più citati, quello di Eva Mozes, a partire dal titolo, anche se gli esempi sono alla portata di tutti, anche dei non specialisti).
Per questo ho detto che sul “non dimenticare mai” non ci piove, mentre sul “non perdonare mai” ci sono state, oggettivamente, situazioni diverse. Tutto qui. Non certo per negare che la Shoah sia anche un fatto storico collettivo, che implica memoria collettiva e scelta istituzionale collettiva riguardo ai colpevoli. Ci mancherebbe.
Certo, quando il maggiore o minore “perdonismo” o “non perdonismo” si fa di Stato, di Nazione, di Governo, di Opposizione governativa o di Partito, allora la vigilanza critica deve essere ancora più forte, visto che certi soggetti, per una poltrona politica e per qualche voto in più alle elezioni, strumentalizzano tutto e il doppio di tutto. Senza togliere una virgola alla gravità di quei crimini. Che restano crimini contro l’umanità, odiosi e vergognosi.
Chiarito questo, aggiungo che personalmente non sono un “perdonista”, anche in questa materia. E mi pare che anche i vostri ultimi interventi tra ieri e oggi, cari Adriano, Francesco, Ivano e Marino, siano molto poco “perdonisti”. Bene. Siamo d’accordo.
I “negazionisti” della Shoah preoccupano poco, viste le argomentazioni. Di più i “riduzionisti”, dotati di qualche abilità discorsiva aggiuntiva. E, soprattutto, gli “elusionisti”, in genere di maggiore consistenza dialettica, che hanno ormai maturato un repertorio strutturato e articolato di meccanismi interlocutori elusivi e depistanti su questo tema e, più in generale, un pregiudizio mediaticamente malcelato sul popolo ebraico di ieri, di oggi e, mannaggia a loro, di domani.
Perdonare allude ad un’evoluzione ad una forza, ad un superamento. Non perdonare allude al mantenimento della storia, alla sua natura cruenta, proprio quella che vorremmo non si ripetesse. Perdonare è benessere, non perdonare è malattia. Energia che fluisce, energia che si annoda. Perdonare è cristico, non perdonare demoniaco.
Troppo comodo.
Alcune delle vittime hanno motivato il perdono non solo per ragioni comprensibili di tipo religioso o etico ma anche per annullare e neutralizzare ogni residua influenza, ogni potere indiretto ancora esistente da parte degli antichi aguzzini (magari già giustiziati, non importa) su di loro. Sono illuminanti alcune testimonianze in questo senso. Non perdonare mantiene un vincolo, un legame. Perdonare può affrancare, liberare, consentire un superamento ritenuto giovevole alla stessa vittima. Si tratta di un discorso difficile, per me, che ho certi connotati caratteriali e comportamentali. Ma, ad esempio, nel libro “Ad Auschwitz ho imparato il perdono” di Eva Mozes Kor, che ho finito di leggere ieri, ci sono pagine molto chiare e avvincenti. Lei e la sorella gemella erano tra i “bambini di Mengele” e avevano subito di tutto. Cose tremende. Mi ha molto colpito questa storia, così lontana dalla mia sensibilità personale ma anche così stimolante in termini spirituali. Ecco, credo proprio che sia un problema di particolare spiritualità. Ripeto, non è un caso isolato.
Comunque, lo dico solo per completezza del discorso. La mia condanna di quei crimini contro l’umanità, come di tutti i genocidi perpetrati nella Storia nei confronti di così tanti milioni di vittime, resta ferma e decisa.
E chi non perdonerà mai, per ciò che ha dovuto subire e soffrire, avrà comunque tutta la comprensione e la considerazione dovute, anche da parte mia.
L’importante è conoscere bene le cose, studiarle tutte e cercare di sapere il meglio possibile come stanno veramente. Con il massimo rispetto degli interlocutori di buona volontà e buoni costumi e con la massima vigilanza verso chi delinque e va punito.
Esiste la Virtù ed esiste il Vizio, anche nella Storia.
Lorenzo, Sig. Merlo, l’alternativa è capire per non ripetere. Credo di essere più vecchio, ma a quelli che mi dicono, parlo di coetanei: “gli anni passano!” io rispondo” almeno non rifaremo gli stessi errori”, ma se per l’1/000 di quanto ora ci è chiaro qualcuno avesse imparato qualcosa? Comunicazione!
Pietro, il confronto è costruttivo certamente. In un momento dove il futuro appare incerto ancora di più. Ho già accennato a quell’altro blog di transfughi con una linea editoriale opposta a questa. Parlo di linea editoriale perchè la loro mission è chiarissima, fino a censurare il dissenso. Anche là si parla di olocausto, e io ho provato oggi a mandare un commento che mi è stato rifiutato, e nel caso di oggi forse, avendo chiesto di non inviarmi più la loro newsletter, credo mi stia cancellata l’iscrizione che però non ho rinnovato dopo la loro richiesta di conferma. Ne parlo, magari Francesco mi bacchetta, perchè con sconcerto mi collego spesso. Alcune firme, due, le conosciamo e i commenti sono pochi, ma consiglierei di leggere il post che poi non è altro che una repetita di quanto negli anni abbiamo letto anche qui, quando noi siamo qui a parlare di perdono o meno quando su altri siti non c’è accenno perchè di fatto il fatto non sussiste. Oltretutto ho letto un’ironia tale, in tante righe dei commenti, da farmi pensare che il problema del perdono per molti sia assolutamente inconsistente perchè non si perdona quello che non dev’essere perdonato. Chiudo: leggendo quel sito direi che non si debba parlare di memoria perchè i tempi che precedettero quei momenti sono presente, non passato.
Che poi l’ipocrisia di quel sito a me sconvolge. Addirittura c’è chi si appella ancora a Cortez e Pizarro con argomentazione trite e ritrite tipo la Storia è stata piena di eccidi e bisognerebbe commemorarli tutti, dimenticando che se siamo più sensibili all’olocausto forse è perchè ne siamo stati toccati da vicino nello spazio e nel tempo e perchè per noi è una Storia mai finita con gruppi che non hanno mai spesso di riorganizzarsi e operare, e non per sterminare civiltà precolombiane che non esistono più, ma gente in carne e ossa ancora oggi.
Il perdono è sì una faccenda personale, individuale, ma non c’entra un fico secco con la criminalità fascista, sparsa nel mondo, ai tempi di Mussolini, e quella nazionalsocialista tedesca, che riguarda la memoria collettiva, dove non ci può essere perdono. Stiamo parlando di questo. Quando l’argomento sarà altra criminalità, altro genocidio, stalinista, del comunismo sovietico, di Milosevic, eccetera si parlerà di quello. Hanno fatto bene, eccome, quei “cacciatori” di nazisti, come Simon Wiesenthal (Gli assassini sono tra noi), Serge e Beate Klarsfield (La traque des criminels nazis, la caccia dei criminali nazisti), a dedicare la loro vita a cercare quei bastardi che hanno commesso crimini bestiali. Ma gli antisemiti sono tra noi, anche oggi. Li leggo tra le righe, sbucciando certi discorsi che scricchiolano come carta abrasiva sul vetro, perché sono ipocriti e fanno dei distinguo falsi per celare l’odio che hanno dentro.
Adriano, l’ENT. Capire non conta nulla se non in ambito tecnico-amministrativo, cioè in quello che evolutivamente non conta nulla. Finché gli uomini si identificano nel loro io, nei sentimenti il conflitto è ontologico. Per questo la storia si ripete alla faccia di qualunque cosa si ritenga di aver capito. Solo l’emancipazione dall’io – che può essere compiuta anche senza capire nulla della storia – permette di realizzare le migliori condizioni per eludere lo scontro, per la migliore armonia, personale e sociale.
Una domanada secca signor Merlo Lorenzo: ma lei nutre un minimo di interesse perchè chi si imbatte nel leggerla la capisca? (e quindi ne riceva un input per crescere nelle sue conoscenze/competenze)
Certo sì.
Ed allora azzardo una seconda domanda: ed un eventuale feedback da parte di chi l’ha letta, le è di qualche interesse?
Dai faccia il serio Lorenzo, neppure Lei può credere a quello che dice. Senza io? Impossibile. Ha mai conosciuto nella Storia, nelle religioni, nei santi qualcuno capace di farne a meno? Limitiamoci al possibile, è già arduo così.
Certo sì. Faccio il serio. Non fare a meno dell’io, emanciparsene.
Ricorda “L’ego di Diego”? In quel post non solo l’io del campione, ma anche le migliaia di io di suoi fanatici che Lei con benevolenza ha difeso e assolto!
Ricordo. Non vedo cosa c’entri. Nessuna benevolenza, difesa, né assoluzione. Devo essermi spiegato male.
Perché malvolerli? Difenderli da cosa? Assolverli da che? E perché fanatici?
Malvolentieri mai scritto. Quanto al resto si rilegga il suo post. Fanatici però per esagerazione dell’ego. Culto della personalità e basta, anche la propria. E poi Lei non ha neppure risposto.
Scusi, ho letto male, malvolentieri piuttosto che malvolerli.
Chiedevo perché malvolerli, nel senso che diceva che con “benevolenza” li avrei difesi e assolti. Non ho risposto a cosa?
Non perdonare sarebbe demoniaco? Anche nel caso della Shoah? Non rispondo a una sciocchezza simile. Anche per rispetto a chi ha sofferto sul serio.
Tutto quello che, invece, scrive Pietro lo giudico condivisibile, con argomentazioni valide, serie. Ma ripeto, per come la penso il perdono è faccenda personale, individuale; poi, certo, la politica sfrutta spesso tutto ciò che ha un ritorno elettorale, si sa. Della Shoah “utilizzata” per questi fini ne ha scritto anche una studiosa che ho citato, giovane, e molto brava Valentina Pisanty.
Grazie, Marino. Di lei conosco solo l’ultimo testo, uscito circa un anno fa, “I guardiani della memoria e il ritorno delle destre xenofobe”. Me l’ha regalato un caro amico della comunità israelitica di Milano, lì in sede in via Mayer.
Un buon libro. Soprattutto, un’analisi della cosiddetta “Memoria” poco convenzionale rispetto a quanto siamo abituati a sentire e leggere di solito. Interessante l’analisi delle componenti memoriali su cui lavorare meglio e di quelle su cui non farsi troppe illusioni. Discorso tutt’altro che specialistico e di estrema attualità. Non tutti quelli che ci danno dentro con la “Memoria” fanno veramente il bene della “Memoria”.
Certo, su quegli altri che negano, riducono o eludono, ovviamente, il discorso è chiaro, almeno dal punto di vista di chi vuole ricordare. Soprattutto per quelli più accorti, che eludono e sviano.
Però, senza voler fare troppi sofisteggiamenti su una tragedia così immane, è sempre meglio, come dice spesso Piero Carelli, studiare, studiare, studiare. E capire bene, il meglio possibile.
Non sono sicuro se le domande di Marino siano rivolte a me. Non perdonare è demoniaco sempre. Quel legame con gli aguzzini che qualcuno ha qui citato tende ad implicare in noi perturbazioni di vario genere. Indipendentemente dal gradiente di queste si tratta sempre di vita creativa negata, di male che agisce, la cui massima evidenza ha forma di vendetta o repressione. In ambo i casi si tratta del dominio del male, uno rivolto all’esterno e l’altro all’interno. Uno che solleva e libera dalla prostrazione, l’altro che mortifica l’eros vitale fino anche alla produzione di vere, gravi patologie. In entrambi i casi la storia avrà il necessario per ripetersi.
“Mai avuto interesse per giorni della memoria non scelti da me medesima.
I miei giorni della memoria li dedico agli animali e alle persone che mi hanno lasciato in questi anni per andare nell’oltre, e che ancora amo incondizionatamente.” Letto questo se ne deduce l’ovvietà che ogni memoria ha le sue radici e che se l’autore/trice di queste righe avesse avuto lutti dall’Olocausto la sua memoria sarebbe diversa e quindi commemorerebbe. Quindi? Sta tutto nelle minuscola o nella maiuscola la differenza. Per questo la Storia potrebbe ripetersi, per i distinguo grammaticali, non solo per i processi della mente che non fanno che rinfocolare quell’io di cui parla sempre Merlo e che egoticamente stabilisce valori e dignità alla propria di m/M. Ognuno per sè.
Scrivo senza essere sicuro d’avere capito bene.
Quelle parole potrebbero essere di una vittima che esprime come emancipandosi dal passato permetta di vivere il presente, pienamente, creativamente, serenamente.
“se ne deduce l’ovvietà che ogni memoria ha le sue radici”. Condivido. Non so qui ha scritto che la memoria non è una questione personale.
I distinguo grammaticali – se ben capisco a cosa alludano – sono impliciti nella creazione di valori e dignità della propria memoria, così come di tutta la realtà.
“Quelle parole potrebbero essere di una vittima che esprime come emancipandosi dal passato permetta di vivere il presente, pienamente, creativamente, serenamente.” Eufemistico, per dire che ognuno vive per sè, ma più esattamente, come scrive Pietro, negando, ridimensionando ed eludendo. Insomma, mettere la testa sotto la sabbia, è comodo non vedere, ma dimenticando, sempre citando Pietro, che in quel modo si rende vulnerabile un’altra parte, prima o dopo. Ma le righe di quella signora tutto vogliono essere tranne questo. Antisemitismo allo stato puro, neppure velatamente camuffato.
Non ho citato il testo di Valentina Pisanty, anche critico sui “guardiani della memoria”, ma ci hai pensato tu, Pietro. È edito da Bompiani, con quella scelta grafica di arrotondare i bordi laterali. Pisanty è una studiosa, ricercatrice giovane, insegna a Bergamo, collabora con “il manifesto”, e si è dedicata in particolare ai negazionisti della Shoah.
Tutto si può mettere in discussione, credo, ma serve mente aperta, nessuna partigianeria, chiarezza, e l’intento di spazzare via tutte le incrostazioni che rendono opaco il ricordo, lo corrompono, o provano a camuffarlo, a cambiarne il registro, usarlo per altri fini, o addirittura cancellarlo dalla memoria. Il sonno della memoria è, tra l’altro, una malattia italiana, come ci ricorda in un bel libro Barbara Spinelli.
No. Non per “dire che ognuno vive per sé”. Tutti possiamo osservare, anche in noi stessi, quanto un evento negativo incida sull’equilibrio degli individui. Quanta energia ci sottragga dal presente. Quanto malessere ci provochi. Quanto esso rilasci energia una volta che se ne sia andati oltre. Che la signora sia antisemita non riguarda il discorso della potenza del perdono.
Se la signora è antisemita è vero che il tema della potenza del perdono non sussiste.
In caso fosse una considerazione relativa a quanto ho scritto, non è pertinente.
A proposito di quelle brutte persone che non sanno perdonare, ceffi demoniaci, scadenti di energia positiva (forse le batterie scariche), non fu cosi lo Stato italiano uscito dalla Resistenza. Molti criminali, assassini, complici dei torturatori, lo Stato li perdono’, tanto che per riuscire a far stare qualche anno in carcere gente che aveva fatto deportare ebrei, accompagnando le squadre repubblichine, i nazisti casa per casa, snidando chi si nascondeva in diversi processi si dovette ricorrere a uno stratagemma. Bisognava dimostrare, per esempio, a chi denunciò, fece arrestare e deportare, e poi morire decine di persone nel ghetto di Roma, che questi complici dei criminali, non fossero motivati dall’odio verso gli ebrei, che li avrebbe amnistiati, ma “dalla prospettiva del guadagno che avrebbero potuto ottenere denunciandoli”, scrive Anna Foa, nel suo “Portico d’Ottavia 13” (pag.103). In ogni caso, comunque, ci sarebbe stata un’ulteriore amnistia di un terzo della pena. Non uno Stato demoniaco, quindi, fu l’Italia, subito dopo il 1945, ma uno Stato capace di perdonare. Quindi non demoniaco, per fortuna.
Solo il motivo di lucro li avrebbe condannati, i complici delle deportazioni, delle fucilazioni , delle torture. “Il furto, non l’assassinio, il saccheggio, non la deportazione” divenne il vizio di fondo che condiziono’ diversi processi, allora celebrati. Fu uno Stato, il nostro, ricco di energia positiva.
Sentito ieri sera in televisione, su Rai storia, nella rubrica giornaliera Il giorno e la Storia, sul giorno corrente e quanto è ricorso, la testimonianza di un uomo, non ho colto il nome, ragazzino all’epoca delle deportazioni da Milano, salvato da generosa offerta da parte del padre ai suoi persecutori e arrestanti che ricordava che ad ogni delatore per ogni ebreo denunciato andava la considerevole cifra di 5.000 lire di allora. Cifra non di poco conto. Era il 1944, si era in guerra. Antisemiti o morti di fame non cambia la sostanza della miseria umana, del de-genere umano in quelle spirali perversa che tutte le guerre innescano. E anche in questo caso non ci sono nè giustificazione nè perdono. Non erano tutti così. Sorrido amaramente quando sento dire che in altre circostanze nessun Kapò sarebbe diventato tale. Inutile buonismo, si deve essere predisposti per rinunciare alla propria natura e dignità, anche in cambio della sopravvivenza. Sto esagerando? Forse sì, la paura, il terrore possono cambiare anche le persone più buone. Ma non è giustificazione sufficiente per arrivare al perdono.
L’indulto non ha a che vedere con il perdono. Anche quando inopportunamente, distrattamente chiamamto perdono.
L’indulto è comunque un atto di clemenza. Treccani: “In senso generico, atto d’indulgenza, di benigna concessione, consistente in una remissione totale o parziale della pena, nell’esenzione da un obbligo, e sim. Con sign. specifico nel diritto penale, provvedimento di clemenza cui consegue l’estinzione della pena inflitta al condannato, la quale viene condonata in tutto o in parte oppure è commutata in una meno grave”. Non è perdono questo?
Il perdono non è generato, né risiede, né ha natura razionale. Esso avviene per la raggiunta consapevolezza che gli altri sono dei noi in altro tempo, spazio e forma. Per la conseguente idoneità a riconoscerci in ciò che giudichiamo negativamente. Per il riconoscimento che il nostro io è una struttura arbitraria con la quele creiamo il mondo e le categorie nelle quali inconsapevolmente comprimiamo l’infinito chiamondolo realtà. Per l’avvenuta evidenza che prendiamo il ruolo che le circostanze ci offorno per cercare di alimentare la propria autostima.
Il perdono in ambito di amministrazione della giustizia, termine a parte, non ha nulla a che vedere con quello di ambito evolutivo-umanistico.
Si sbaglia se lo consideriamo un atto o conquista di civiltà, per alcuni lo è. Umanistico intendo. E comunque ritornando al perdono io non ci credo. Conquista di civiltà che non è mia. Di più, io sono per la vendetta.
Non so cosa sia la conquista di civiltà.
Il perdono non è neppure un atto di fede.
È un’espressione di un’evoluzione compiuta.
Della vendetta abbiamo già detto.
L’opzione perdono autorizza o legittima tutte le nefandezze. Basta leggere quel blog che Lei continua a frequentare. Però da ora cambio registro. Conferire co Lei mi ricorda altri conferimenti. Su questo di blog.
Tutte le nefandezze si generano dal ritenere la propria posizione idonea a correggere la storia.
Non ho colto una sfumatura direi sostanziale. Nel caso riconosco che ha ragione Lei. Poi magari la valutazione ci differenzia.
Le nefandezze sono oggettive, a meno che Lei non le ritenga il risultato della nostra visione della realtà, categorie, solo interpretazione, il proprio metro di giudizio. Se piove non posso dire che c’è il sole. Posso solo dire che preferisco questo o quello.
Posso dire che preferisco lo sterminio degli ebrei alla loro salvezza. Perché è innegabile che c’è stato. Se però Lei lo nega posso solo dire che la mia posizione aiuterebbe ad impedirne l’eterno ritorno, la sua no.
Le nefandezze esistono insieme a noi, alla morale e alle ideologie che portiamo. Chi è identificato nel proprio io, non ha consapevolezza di attribuire alla realtà caratterische che invece dipendono esclusivamente da noi.
Non si tratta di negare che piova quando piove, ma di ritenere bene o male, giusto o sbagliato, vero o falso che piova.
Ritenere via sia una sola verità all’interno del dualismo è perpetuare conflitti.
In tutti i casi in una guerra c’è sempre chi attacca per primo. Non c’è dualismo possibile e le speculazioni intellettuali, il perchè e percome, sono solo inutili sofismi.
“Posso dire che preferisco lo sterminio degli ebrei alla loro salvezza. Perché è innegabile che c’è stato. Se però Lei lo nega posso solo dire che la mia posizione aiuterebbe ad impedirne l’eterno ritorno, la sua no”.
Pardon ma non colgo la pertinenza.
Ma sapete che pare proprio che vengone le fistole sulle mani e si diventa ciechi!?!
Amici miei
sono un antidogmatico, ma non si può non citare Bertrand Russel, quando affermò, a proposito del problema del male, “certe azioni improntano così profondamente la storia che è impossibile affermare che siano degli errori di percorso”. O più o meno così.
Signor Lorenzo, uno come me che ha tanto sbagliato e vorrebbe tornare indietro o il perdono, deve ammettere che per ottenerlo bisogna chiederlo! E io, agnostico, a chi lo chiedo? Le persone fisiche che ne hanno tratto danno sanno tutto di me, delle mie azioni, e forse vivo nel loro perdono, compresi i morti, ma io l’ho chiestoquesto perdono?
Forse me ne sono dimenticato a ben pensarci, o l’ho dato per scontato, mi è bastato un sorriso, o forse in una mania autopersecutiva mi sento colpevole solo io, chi sa?
Ma resta il fatto che il perdono va chiesto, non dato per scontato, poi si vedranno le circostanze.
E vale il prinicipio di Spinoza: se mi morde il cane rabbioso, non mi interssa se è rabbioso per colpa della volpe che lo ha morso… etc.
Ma forse mi ripeto.
Bertrand Russell. Bella citazione. Un autore da rileggere; ricordo che mi chiudevo in bagno, da ragazzino, dovevo avere quindici, sedici anni, con le riviste femminili per il taglio e cucito; erano riviste tedesche pesanti come enciclopedie, le preferite di mia madre perché contenevano degli inserti, i modelli per i tailleur; anche fotografie di bionde germaniche con balconate di rilievo e lunghe gambe. E, insieme alla rivista portavo in bagno Bertrand Russell, che mi consolo’ dei miei dubbi da ragazzino, del perché non ero cristiano. Fu lui a insegnarmi che “il mondo non ha bisogno di dogmi, ha bisogno di libera ricerca”; e del perché la Chiesa, tutte le chiese, hanno ritardato il progresso umano. E quando uscivo dal gabinetto (non si poteva chiamarlo bagno, ma era un lusso dopo il cesso in comune, che avevamo a “Santa Trinita”), tenevo alto il Russell, nel caso ci fosse nei paraggi mia madre; se mi vedeva uscire dal bagno, tornavo indietro con una scusa, e aspettavo che lei si allontanasse, ascoltando il suo ciabattare; poi, uscivo, rapido, con il Russell e la rivista di taglio e cucito, rimettendola a posto sullo scaffaletto in corridoio, e a volte, proseguendo la lettura del Russell, che mi piaceva, perché riportava tutto a pie’ per terra. E non era un contadino, ma insegnava filosofia.
Il perdono è una esperienza interiore. Non si fonda su una richiesta.
Il perdono, chiederlo, non è mai sincero. Se poi è per chiedere clemenza, magari davanti alla legge, o ai parenti delle vittime, é solo strumentale. Delle esperienze interiori poi non ne sappiamo nulla. Non sono trasmissibili, non lo dice sempre Lei? Quindi chi ci crede al perdonare e all’essere perdonati?
Confondere l’indulto e il perdono, la giustizia social-amministrativa con un passo evolutivo, è tentare di rinchiudere in una legge lo spirito della vita.
Il perdono permette lo scorrere migliore della vita.
Quando il perdono è realizzato non è necessario comunicarlo.
Il perdono permette di recuperare se stessi altrimenti rinchiusi entro una dinamica mortificante, una dinamica che ci domina.
Chiunque può trovare nel proprio passato questa verità.
La tematica del perdono è molto vasta e parecchio interessante. Anche in riferimento ai crimini contro l’umanità e, in particolare, riguardo alla tragedia storica della Shoah e all’uccisione di ebrei, in massima parte, ma anche di dissidenti politici, prigionieri di guerra, zingari, omosessuali, disabili, massoni, artisti cosiddetti degenerati, avversari denunciati per tornaconto personale, precedenti sodali ormai scomodi (vedi le SA e altri corpi franchi) e molti altri ancora. L’omicidio come sistema di gestione degli oppositori, in termini meschinamente concreti e reali, prima ancora che in termini di teorica selezione razziale e pretesa eugenetica (una copertura ideologica spesso utilizzata per dissimulare dei reali e opportunistici obiettivi di opportunità politica, tornaconto economico e propaganda istituzionale).
Mi ero permesso, giorni fa, di fare un rapido cenno a questo tema del perdono solo per aggiungere, senza alcuna pretesa cognitiva od orientativa del discorso, gli dei me ne guardino, soltanto un ulteriore particolare allo scambio di opinioni che si stava sviluppando a commento del post di Francesco, redatto su un argomento così importante e ineludibile, almeno per molti di noi.
E l’argomento era, e per me rimane, la “giornata della memoria”, vale a dire la “giornata del ricordo”. Che non è necessariamente la “giornata del perdono”. Anzi, per alcuni è la giornata del pianto, della disperazione, del dolore senza perdono, un perdono impossibile per diverse, umanissime, evidentissime ragioni.
Ciò posto, la differenza tra la vittima che perdona e la vittima che non perdona risulta evidente e la si può studiare, comprendere e valutare da varie angolazioni, anche con sviluppi dialettici molto stimolanti.
Tuttavia, la differenza tra “chi ricorda” e “chi non ricorda”, per scelta, per indifferenza, per ignoranza, insomma per qualsiasi motivo, mi sembra in questa circostanza, forse, a mio modesto avviso, un po’ più rilevante. Anzi, per davvero, molto più rilevante.
Anche perché non riguarda solo le vittime. Questa differenza riguarda tutti noi. Nessuno escluso.
Per cui, visto che della “giornata della memoria” si tratta e non della “giornata del perdono”, ecco che ci troviamo ad assistere a comportamenti diversi, a volte opposti: quelli di coloro che ricordano, testimoniano, fanno atto di presenza e di partecipazione a questa memoria collettiva, civile e sociale, da un lato, e coloro che non lo fanno, per i motivi che, si è detto, possono essere i più diversi, dall’altro lato.
Forse è anche da questa riflessione che potrebbe partire un discorso sul perché oggi questa “Memoria” incontra così spesso reazioni comportamentali più o meno apertamente, più o meno nascostamente, di tipo negazionista, riduzionista, elusivo, omissivo o più semplicemente il silenzio e l’oblio.
Chi sono, in realtà, questi smemorati?
“Chi sono, in realtà, questi smemorati?” ci dici Pietro. Sono gli stessi che non riescono a riequilibrare l’angoscia, il peso, l’incertezza. E allora leggili NoVax-Negazionisti, leggili interisti, leggili autodichiarati omosessuali per non restare in un provvisorio limbo in definizione: leggili pomodori Cirio; grazie a un’ansiolitica etichetta! Difficile chiedersi perdono se non ci si è guardati in faccia! E per non farlo, si sfuge nei luoghi più imprevi della mente, così in alto a volte da rischiare ancor di più. Per dono: un dono per pochi, che richiede la spoliazione completa, l’abolizine di filtri quali privacy, attenuanti occasionali, paragoni con presunte analoghe situazioni.
Forse anche chi dedica la vita ad aiutare il prossimo e trova inconcepibile che qualcuno spenda energie per motivi a suo dire di minor importanza.
Sono dei fragili, dei deboli, che si aggrappano ad un’ideologia forte per sentirsi forti anche loro.
Vale per i bulli, gli omofobi, i prepotenti. Ammettendo anche che in ognuno di noi si annidi una predisposizione alla violenza, diciamo innata, il percorso di tutti sarebbe la consapevolezza che dalla condizione di homo homini lupus si può e si deve smarcarsi. Lo so, più facile a dirsi che a farsi, e forse impossibile, del resto lasciarsi andare ai propri istinti non costa nessuna fatica. Il contrario è Sisifo.
Ci si può smarcare emancipandosi dall’io. Le altre modalità corripondono a ideologie, ovvero a quelle strutture che generano nemici.
Leggo questo: “Mi ha riportato con la Memoria anche ai tempi delle Scuole Medie, quando assieme a una compagna di classe andammo in gita al campo di concentramento di Mauthausen, dopo aver vinto un piccolo concorso letterario appunto sulla memoria. Data l’età, la stupidità era parecchia e più che di giornata della memoria ci interessavamo di ragazzini e sigarette; per farla breve perdemmo il nostro gruppo nel lager e ci trovammo a vagare tra le baracche per qualche tempo fino a che fummo ritrovate dai nostri accompagnatori. Questi poi ci redarguirono ben bene per aver osato divertirci e sopratutto ridere in quel luogo della memoria, come se fossimo state in chiesa o al cimitero e ci trattarono con una certa scostanza da lì in poi, quasi ostracizzandoci. D’altronde è questo cio che capita a rompere un taboo, no?” Qualche errore grammaticale che naturalmente non correggo perchè originali, ma che sono la dimostrazione che la forma è contenuto. Ricopio invece, dopo il copia incolla dell’estratto, queste righe che mi hanno colpito in modo particolare: “come se fossimo state in chiesa o al cimitero”.
Solo bene Ivano che dopo “divagazioni plurime e aggravate”, sia ritornato al tema del post; e riparto subito allora, in …..contro piede, con le parole di Liliana Segre per “rispondere” al tuo commento con ….cognizione di causa:
“Non mandate i figli in gita ai campi di sterminio. Lì si va in pellegrinaggio. Sono posti da visitare con gli occhi bassi, meglio in inverno con vestiti leggeri, senza mangiare il giorno prima, avendo fame per qualche ora.”
e ancora:
“Nel 1944, quando fummo deportati a Birkenau, ero una ragazza di quattordici anni, stupita dall’orrore e dalla cattiveria. Sprofondata nella solitudine, nel freddo e nella fame. Non capivo neanche dove mi avessero portato: nessuno allora sapeva di Auschwitz.”
chiudendo con:
“Ho la paura della perdita della democrazia, perché io so cos’è la non democrazia. La democrazia si perde pian piano, nell’indifferenza generale, perché fa comodo non schierarsi.”
Queste, a mio modestissimo parere, sono parole da lasciar lavorare dentro di noi, parole pronunciate da chi, ragazzina quattordicenne, ha vissuto sulla sua pelle la immotivata, cudele prevaricazione dell’arresto, l’infamia della deportazione sui carri bestiame, la violenza della tortura in campo di concentramento e sterminio, la quotidiana ansia di provare a sopravvivere in condizioni sub/umane, accompagnata dal terrore per la progressiva scomparsa causa barbara, crudele uccisione, dei propri compagni di sventura.
Davvero, stare a disquisire su altro, in questo contesto, proprio non mi appartiene!
Francesco 11:36. Quante volte ragazzo? Da solo o con altri? 🤣🤣🤣
Tu pensa, Ivano che all’epoca (correvano i primi anni 50) avevo fatto un patto diretto con dio (si quello con l’occhio nel triangolo tra le nuvolette!), e ricordo anche il luogo: in biciletta in Piazza del Duomo, che le pippe (da solo) non erano peccato!
Ricordo lo spaesamento misto a incredulità del confessore quando, snocciolati i soliti peccatucci preliminari di default che “non contavano”, arrivavo alla fine senza confessare il fatidico “ho commesso atti impuri”!!!
Nel giorno della memoria, non dimetichiamo quelli del commento no.1 e loro “soci”.
“Nel giorno della memoria” ribadisco allora anche il mio commento n.3 della sequenza.
Simpatico Francesco, mi spiace solo che tu non sia servito da nuovo stimolo alle fantasie del confessore. Per continuare a sorridere allora incollo altra perla di un noto ex nostro blogger che risponde alla fumatrice in questo modo, tanto è pubblico e posso diffondere. “Era il giorno della memoria e mi sono trovato in classe degli studenti reduci da uno dei soliti film mattone sull’olocausto. Erano molto compunti, funerei, atteggiati a grave serietà. Allora ho raccontato un paio di barzellette sugli ebrei. Quelli mi hanno prima guardato sgomenti, poi hanno cercato di reprimersi, infine sono scoppiati a ridere a crepapelle. E mentre ridevano eran presi da conati di colpa, di indegnità morale, e cercavano di smettere, ma più si sforzavano di tornar seri più ridevano. Una ragazza a un certo punto mi dice, quasi vergognandosi: “prof, ne conosco una anch’io”… C’era nel riso di quei giovani un’ebbrezza liberatoria. Lo so, porterò il peso dell’unanime condanna morale. Ma è più forte di me. Non sopporto l’ipocrisia.”.
A questo signore, sempre di barzellette si tratta, consiglieri, invece delle sue, Moni Ovadia, per dire che nessuno come gli ebrei sa ridere di loro stessi. Fossero i nostri cattolici capaci di tanta ironia, piuttosto dell’endemica ipocrisia dei nostri religiosi . Per dire? Per dire che l’onestà intellettuale degli ebrei bagna il naso mille volte alle spiritosaggini di quelli che si vogliono prendere gioco di loro con le solite macabre battute. Però, se è vero quel che ho letto, sconsolatamente devo riconoscere che anche tra gli ebrei ci sono elementi pericolosi capaci di dar man forte ai tanti negazionisti.
Consiglierei quindi, e questa volta fa piangere, un collegamento a questo articolo” roger dommergue lettera a spelberg ”. Basta il copia incolla del virgolettato
Oh, bene! Vedo che almeno lessicalmente il sig. Merlo Lorenzo, torna al tema “giorno della memoria”! Non capisco ugualmente cosa voglia dire con questa lapidaria riga, però, almento siamo usciti dai “fuochi d’artificio”!
Semplicissimo Francesco, ricorda solo il trito e ritrito leitmotiv degli altri genocidi della Storia.
Oh dai che ci rimettiamo in carreggiata: io (Cicero pro domo sua?) ripartirei da ”
Solo bene Ivano che dopo “divagazioni plurime e aggravate”, sia ritornato al tema del post; e riparto subito allora, in …..contro piede, con le parole di Liliana Segre per “rispondere” al tuo commento con ….cognizione di causa:
“Non mandate i figli in gita ai campi di sterminio. Lì si va in pellegrinaggio. Sono posti da visitare con gli occhi bassi, meglio in inverno con vestiti leggeri, senza mangiare il giorno prima, avendo fame per qualche ora.”
e ancora:
“Nel 1944, quando fummo deportati a Birkenau, ero una ragazza di quattordici anni, stupita dall’orrore e dalla cattiveria. Sprofondata nella solitudine, nel freddo e nella fame. Non capivo neanche dove mi avessero portato: nessuno allora sapeva di Auschwitz.”
chiudendo con:
“Ho la paura della perdita della democrazia, perché io so cos’è la non democrazia. La democrazia si perde pian piano, nell’indifferenza generale, perché fa comodo non schierarsi.”
Queste, a mio modestissimo parere, sono parole da lasciar lavorare dentro di noi, parole pronunciate da chi, ragazzina quattordicenne, ha vissuto sulla sua pelle la immotivata, cudele prevaricazione dell’arresto, l’infamia della deportazione sui carri bestiame, la violenza della tortura in campo di concentramento e sterminio, la quotidiana ansia di provare a sopravvivere in condizioni sub/umane, accompagnata dal terrore per la progressiva scomparsa causa barbara, crudele uccisione, dei propri compagni di sventura.
Davvero, stare a disquisire su altro, in questo contesto, proprio non mi appartiene!
E lasem boi l'”io” e magare anke al “super io” che i ga fà perd la trebisunda!
Francesco. Ricordavo solo di ricordare che nel giorno della memoria atri genocidi non vadano dimanticati.
Picco. “Trito e ritrito leitmotiv degli altri genocidi”.
“Trito e ritrito leitmotiv degli altri genocidi” solo quando usati per minimizzare, negare….l’olocausto degli ebrei.
Ma quando ho minimizzato?
Lorenzo, qui non si sta parlando solo di Lei.
Ma intanto oggi si creano, con un nuovo colpo di stato, premesse per altre “cose del passato”, e noi che facciamo? Pensiamo alle ideologie, causando noi stessi le condizioni per la sindrome da pelati Cirio?
(lo dico così spesso che do per scontato che sia chiaro di cosa parlo).
“I venerabili sopravvissuti allo sterminio, sempre più incartapecoriti, ci sfileranno davanti come in una devota ostensione di reliquie. Immersi nella sacralità del dolore, che purifica, attingeremo uno stato di innocenza e nobiltà”. Altra perla di Ereticamente. Direte: ma estrapolare dal contesto non è leale, magari l’autore intende tutt’altro. Potete comunque sempre verificare, anche se mi ha colpito di più la dichiarazione dell’ex studentessa quando rivendica il suo diritto di fumare una sigaretta passeggiando e conversando amabilmente con un’amica nel campo di sterminio. Io avrei preteso anche una birra. 😟
Ivano, se quelle sono “perle”, allora noi siamo i “porci”, ergo: evitiamo, dai!
Macchetelolodicoaffare …….
Francesco il censore, dai 😆
Ricordiamo anche che oggi 10 febbraio è il giorno del ricordo delle vittime dei massacri delle foibe, vittime delle ideologie del secolo scorso, intanto che leggo su un blog di becchini e no vax che Liliana Segre è una cariatide, e che una signora amante degli animali, più degli uomini e delle donne e dei bambini, e che dedica la sua memoria solo alle persone care e ai cani che l’hanno lasciata, degli altri magari vittime di crudeli ingiustizie chissenefrega, invita la nostra Senatrice, dati i novant’anni, a ” farsi vaccinare per prima, visto che si fida tanto di quella scienza che mi pare fosse molto amata e praticata in certi luoghi recintati germanici…..e che risparmiò lei oltre 80 anni fa. Ah, la coerenza di certi personaggi è davvero commovente. La loro umanità poi è a dir poco agghiacciante. i loro profili psicologici riempirebbero intere biblioteche”.
Boh, vai a capire i parallelismi.