Nelle permutazioni delle lettere SI’ NO’ NI’, Ivano, non hai considerato la quarta: “SO” !!!
E “SO”, ci ha la sua bella importanza!
E allora vediamo cosa “sappiamo” di quanto ci è chiesto di approvare (SI) o respingere (NO) con il nostro voto il 20 e 21 Settembre prossimo:
«Approvate il testo della legge costituzionale concernente “Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari”, approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 240 del 12 ottobre 2019?»
La Legge costituzionale che siamo chiamati ad approvare/respingere, consta di 4 articoli, ma per semplificare, andando al “core”, nei primi due prevede la riduzione dei Deputati (Camera) dai 630 attuali ai 400 proposti e parallelamente dei Senatori (Senato) da 315 a 200.
Il numero dei Deputati e Senatori chiamati a comporre le due camere è stato oggetto di numerosi cambiamenti/progetti di cambiamento da quanto previsto dalla originaria Costituzione del ’48 (un deputato ogni 80.000 abitanti, e per ciascuna regione un senatore ogni 200.000 abitanti, per 572 deputati e 237 senatori eletti nel ’48).
La attuale legge (sulla quale ci esprimeremo con Referendum), seguendo l’iter della doppia approvazione, previsto per le Leggi che impattino sulla Costituzione, il 7 febbraio 2019 è stata approvata dal Senato in prima deliberazione con 185 voti favorevoli, 54 contrari e 4 astenuti, il 9 maggio dalla Camera dei deputati in prima deliberazione con 310 voti favorevoli, 107 voti contrari e 5 astenuti. A seguire, l’11 luglio 2019 il Senato della Repubblica approvava il disegno di legge in seconda deliberazione con 180 voti favorevoli e 50 contrari ( la maggioranza era quindi inferiore ai due terzi dei componenti richiesta dal terzo comma dell’articolo 138 della Costituzione per rendere inammissibili le richieste di referendum) e la Camera l’8 ottobre 2019 in seconda deliberazione approvava con 553 voti favorevoli, 14 voti contrari e 2 astenuti (maggioranza superiore ai due terzi dei componenti).
Il 12 ottobre 2019: la Legge costituzionale veniva pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale e da quel momento erano partiti i tre mesi di tempo affinché un quinto dei membri di una Camera o 500.000 elettori o cinque Consigli regionali potessero domandare che si procedesse al referendum popolare.
Il 10 gennaio 2020: 71 senatori hanno depositato presso la Corte di Cassazione la richiesta di referendum costituzionale, promossa dai senatori Tommaso Nannicini (PD), Andrea Cangini e Nazario Pagano (FI).
Il Referendum, in un primo tempo fissato per il 29 marzo 2020 , è slittato, causa covid all’attuale data del 20-21 Settembre.
Questo quello che “SO”!
So anche che le proposte precedenti, da quella della Commissione Bozzi (1983) a quella della Commissione D’Alema (1997), dalla riforma del governo Berlusconi (2006) a quella del gruppo di lavoro istituito dal Presidente Napolitano nel 2013 e alla revisione del governo Renzi, più articolate e incidenti a impattare sulla Costituzione, non avevano sortito esito alcuno.
Questa Legge punta viceversa solamente a ridurre il numero dei Parlamentari anche se, il voto sulla riduzione dei parlamentari, ha posto la questione della “rappresentanza”, “chi elegge chi” e l’ha posta, a mio modo di vedere in modo spudoratamente paradossale, dopo che il tema “rappresentanza” è stato da anni ignorato, con la rinuncia dei partiti a svolgere la loro funzione costituzionale, il loro ruolo di collegamento/partecipazione dei cittadini alla determinazione della politica nazionale, eleggendo i loro rappresentanti in Parlamento.
Sono state approvate dal parlamento (con uomini che rappresentavano appunto i partiti e non i cittadini!) una sequela di leggi elettorali (per tutte assai significativo il nome PORCELLUM ad essa assegnato dal suo stesso autore!) che hanno impedito qualsiasi rapporto reale tra elettore ed eletto.
Questa Legge poi non può non può non essere inquadrata nel ben noto, scandaloso assenteismo dei parlamentari, nella sequela di episodi, altrettanto scandalosi, di conflitti d’interessi dei parlamentari stessi, tesi a proteggere tutti i loro (anche “famigliari”) privilegi nonostante i chiari segnali di insofferenza dell’opinione pubblica. Tutto ciò posto, mi chiedo: il problema della rappresentanza può essere davvero ridotto alla diminuzione del numero dei parlamentari?
Comunque sarà l’esito di questo referendum, sono davvero convinto che il tema della “rappresentanza”, della reale partecipazione dei cittadini (e la scelta del termine “cittadini” al posto dell’altro termine “popolo”, per me non è affatto casuale!) al governo della cosa pubblica, passi/passerà dalla Legge elettorale che il Parlamento, (magari smettendo una volta per tutte di appiopparle appellativi spregevolmente scimmiottati dal latino maccheronico!) preso da un soprassalto di consapevolezza, quella si, costituzionale, ci metterà/o no in grado di “partecipare” davvero in modo democratico.
Qualcuno ricorda il “libertà è partecipazione” del gradissimo Giorgio Gaber?
Commenti
. Timidamente talvolta mi avvicino alla politica,uscendo dal ni con cui riconosco la mia impreparazione. In questo caso dico che uno dei due post andrebbe messo come post all’evidenza, perché mica finisce col voto il fenomeno destrutturativo, prevedo. Quale vedi tu capitano, il tuo più tecnico o quello di Ivano a maglie più larghe.
Ma porco Giuda, non è che mi leggi nel pensiero, sono io che salto dentro direttamnte dalla posta!
Pensa Francesco, non rappresentati adesso, ma quando saranno anche meno cosa succederà?
Sos: perché Cremascolta non muoia richiedesi ritorno di permalose firme scomparse.
Ma Ivano credi davvero che l’essere rappresentati o no dipenda dal numero degli eletti?
Credevo di aver argomentato in modo articolato.
Proverò a rileggere!
Quanto alla paventata “morte” di Cremascolta, oltre a fare i debiti scongiuri, non mi pare proprio manchino gli apporti qualificati! Mancano certo i “duelli rusticani”, le offese, i contradditori pesanti e aggressivi, e questo , devo dire, decisamente nn mi dispiace proprio!
Sì, Francesco, in effetti immagino che, anche su un blog, come in molti altri luoghi, sia facile aumentare la tensione e che sia invece difficile allentarla, soprattutto se si hanno responsabilità di redazione. Certe volte (non parlo tanto di CremAscolta quanto in generale) la tensione sale per caso fortuito, altre volte per scelta di qualcuno. Comunque, lunga vita a CremAscolta.
E a te, Francesco, tanti auguri!
No Francesco, non ne faccio una questione di qualità, ci mancherebbe. È solo una questione di numero di partecipanti e di ulteriori scambi di opinioni. Che poi i toni spesso fossero aggressivi questo lo riconosco, ma sai, quando i temi sono forti é abbastanza normale che gli animi si riscaldino. Quanto al tema della rappresentanza politica io credo che con meno parlamentari anche le possibilità di qualità verrebbe meno
Tra tanti magari qualcuno emerge, tra pochi, con i nostri sistemi elettorali, si rischierebbe un’oligarchia pericolosissima. E se passasse il Sì saremmo in Europa gli ultimi come rapporto cittadini/eletti. Per risparmiarci un caffè a testa l’anno? Fai tu.
Tranquillo Ivano, che ho idee sufficienti da trasferire Cremascolta dalla terapia intensiva (sei tu che mi hai paragonato a un rianimatore) alla neonatologia. Certo, penso a branche tecniche, di appassionati scelti per temi, ma una volta che si è dentro poi il parere politico ci scappa! Circa gli “allontanamenti” sono stati spontanei, come dire “o con un blasonato ruolo o niente”, e sai la metafora del matador a chi l’ho riservata…
con gratitudine eh, il lavoro sporco…
Ma queste degnissime persone, cui sul piano umano continuo a dare apertura di amicizia, possono commentare quando vogliono,e il fatto che sia stato pesare il loro approccio aggressivo e il pensiero monoclonare non è una pregiudiziale. abbiamo solo evitato il perdurare di cosche fra le righe dei post.
A proposito di libertà e partecipazione, a far da argine al pensiero populista, ai falsi moderati, all’immoralità pubblica dilagante, alla corruzione, alla stampa e all’informazione giornalistico-politica della destra italiana che è ben misera, manca un pensiero conservatore, liberale, onesto, ligio alle regole, alla libertà che è una somma di diritti, ma soprattutto di doveri, responsabilità. I conservatori sono alle corde, si sono come liquefatti, in Italia, in Europa, pure negli Stati Uniti. Studiosi liberalconservatori come Isaiah Berlin, Raymond Aron, giornalisti come Montanelli, Sergio Romano, Beppe Severgnini. Grandi nomi sono ormai sottoterra, e i ricambi sono scarsi; poche eccezioni. E’ già avvenuto, il liquefarsi del pensiero conservatore e liberale durante la nascista del fascismo e del nazismo. Una preoccupazione seria, che l’ottima studiosa Sofia Ventura segnala oggi su “Repubblica”, parlando di un libro da poco uscito negli Stati Uniti della giornalista americano.polacca Anne Applebaum, il passaggio anche mentale di molti conservatori al populismo, sedotti dalle sirene dell’autoritarismo. Il libro è “Twilight of Democracy: The Seductive Lure of Authoritarianism”.
Chi più di un progressista può stimare un conservatore serioe competente? Vero, una sponda che manca, che rischia di mandare anche il pensiero “che vuole andare avanti” un po’ allo sbando, una vela che ha perso di vista l’oppressiva terra ferma, ma poi il capitano scopre che, anche se il pescato sarà ricco, avrà bisogno di una sponda per mettere a profitto lo sforzo marinaro. E se si scopre dal largo che questa terra ferma è scossa da convulsi fremiti di terremoti ed esplusioni laviche utili al solo scopo di dar sfogo alle viscere della terra… poveri marinai, povero capitano smarrito. Poveri abitanti delle coste, ma quelli qualcosa potevano anche fare!
Ho inserito Arrigo Levi, ex-direttore Rai, corrispondente dall’estero di vari giornali, conoscitore di svariate lingue straniere, per un breve periodo soldato israeliano durante gli anni terribili quando gli stati arabi volevano far polpette del piccolo stato d’Israele, un liberalconservatore. Mi scuso con lui. E’ stato un socialista liberale, e con il pensiero conservatore c’entra poco. Da leggersi una sua autobiografia “Un paese non basta” che racconta come la tenacia, la curiosità, lo studio appassionato può far la differenza, al di là delle classi di origine.
L’apologo di fratel Adriano.
Distillati di saggezza ad uso di noi ….quattro gatti in …bella vista, ma anche di tutti gli altri che ci leggono!
Commentando Marino…..sotto traccia: sempre più proude di avere tra noi questo ” garzone di ferramenta” !!!!!! Grazie di esserci Marino!
Scusate, il mio ultimo commento ai Salmoni andava quotato qui.
Seguo la tua indicazione, Ivano, e sposto idealmente il tuo ultimo commento ittico in questa sede.
Fa riflettere la tua osservazione sulla “rissa” e sulla “noia”
Senza entrare nel merito di una eventuale terza possibilità, che possa sfuggire a questa contrapposizione (tertium non datur?), bisogna ammettere che, dovendo proprio scegliere, la decisione è ardua.
Tuttavia, sia la “rissa” che la “noia” hanno in comune un fatto: è davvero molto facile provocare sia l’una che l’altra.
Anche su un blog. E parlo sempre in generale, ovviamente, ci mancherebbe.
Su come causare, alimentare e orientare una rissa, negli USA fanno specifici corsi di formazione, in Russia la materia fa parte del diritto internazionale, mentre in Italia tutto è più semplice, visto che siamo sessanta milioni di rissosi dotati di un talento atavico.
Su come annoiare tutti su tutto, fino alle estreme conseguenze, magari convinti di avvincere e affascinare, gli esempi sono innumerevoli: basta accendere la TV, aprire un giornale, navigare in rete, leggere Proust (o Joyce), ascoltare musica rap, sentire i discorsi dei nostri parlamentari, vedere un film di Muccino, Sorrentino, Guadagnino.
Insomma, CremAscolta non avrebbe da far fatica alcuna, in un senso o in un altro, se proprio dovesse scegliere tra queste due opzioni.
Sarebbe molto più problematico dover scegliere tra due cose difficili a farsi, non così facili.
Mi permetto ora di dare un segnale di buona volontà in questo senso, intendo in senso rissoso, non so se ci riesco, ci provo, non è il mio genere ma, dovendo proprio, direi che Gaber potrebbe andare. Sì, Gaber va proprio bene.
La definizione della libertà come “partecipazione” è discutibilissima. Non è certo questa la sede per trattare un argomento di questa portata. Dormiremmo tutti dopo poche righe. Ma è solo per dire che Gaber è uno dei tanti nipotini politico-musicali di certe ben note ideologie, per fortuna strafallite storicamente. Battaglioni di filosofi, dai presocratici fino a Stirner e Nietzsche, si rivoltavano forsennatamente nella tomba ogni volta che, invece di farsi uno shampoo, il signor Gaberščik ci intratteneva sul tema, tra ciuffo, mento e chitarra. Comunque, nessun problema per i cremaschi della mia generazione: non è stato un problema sopravvivere indenni al Signor G (e persino a Ombretta Colli) dopo essere riusciti a sopravvivere a certe “controculture” locali.
In economia e in politica, la partecipazione, che è un concetto ben diverso da quello di libertà, sarebbe anche cosa buona e giusta, almeno in teoria. Ma ogni volta che un politico italiano invoca la partecipazione, non è mai la partecipazione agli utili ma alle perdite, non è mai la partecipazione al potere ma al dovere, non è mai una «libertà» ma una fregatura. Per cui, ogni volta che sentono parlare di partecipazione, gli italiani stringono le natiche e fanno gli scongiuri.
Ciò posto, si può certamente entrare nel merito del discorso, sul taglio dei parlamentari e sul referendum. Perché, in effetti, il tema è molto importante e merita diverse riflessioni.
(Ho fatto questo commento sgarbato e provocatorio perché Ivano ci ha fatto notare che siamo un po’ sotto il normale livello fisiologico di adrenalina e di endorfine. È solo un tentativo, senza impegno).
Sembrerebbe opinione condivisibile che la proposta del taglio dei parlamentari sia demagogica, populista e arruffapopolo. Il fatto che sia sostenuta soprattutto dai Cinquestelle non stupisce. Bella novità, non è che da un pero nasca un pomo. Però, proprio per questo, la cosa sbagliata non è tanto che loro l’abbiano fatta. Ma che altri non l’abbiano fatta al loro posto, lasciandola fare a loro, nel loro modo (demagogico, eccetera). Perché i motivi dei Cinquestelle sono una cosa, il merito della questione un’altra.
Questo “merito” tutto “numerico” della questione è comunque di interesse minimo rispetto a ben altre questioni, con relativi “meriti” di gran lunga superiori. Prima tra tutte, la questione della legge elettorale e, soprattutto, della gestione delle liste elettorali da parte delle forze politiche, una gestione che tende a escludere i candidati senza patronage partitico e a riservare il privilegio di lista agli attaché di partito: uomini di scuderia, sottopancia e sottocoda vari, galoppini e lacchè. Questo è il vero problema della “rappresentanza”: che i cittadini fuori dagli entourage partitici abbiano possibilità minime di candidatura e che invece ne abbiano sempre i portaborse della partitocrazia. Questo non riguarda le elezioni amministrative dei piccoli comuni. Ma tutte le altre istituzioni locali, soprattutto le regioni, di sicuro. Quanto alle elezioni politiche, è lì che questo problema di “rappresentanza” è più evidente e spudorato. Che quindi ci si occupi della “rappresentanza” dei cittadini per davvero. E non strumentalizzando l’argomento, contando “numeri” maggiori o minori di parlamentari, prendendo in giro gli italiani.
Che in epoca giolittiana il proporzionalismo sia nato per certi scopi, cari ai partiti di massa e ai loro manovratori, è risaputo. Che l’attuale sistema elettorale sia una stampella della partitocrazia, uno strumento per mantenere il controllo elettorale a rassicurazione dell’establishment partitocratico, è evidente. Per cui, dopo lo “sblocco” delle liste a favore dei cittadini, il passo successivo dovrebbe essere il passaggio al maggioritario.
Quale maggioritario? Ce ne sono diversi.
C’entra qualcosa il taglio dei parlamentari? Niente, proprio niente. È l’ultimo dei problemi.
Tuttavia, personalmente sono d’accordo su questo taglio.
Però per motivi di tutt’altro genere.
Ma questo è un discorso ulteriore.
Nel mio post c’erano i …..prodromi che mi consentono di dichiararmi con piacere d’accordo con la tua posizione, Pietro, che inquadra in modo corretto e consequenziale la scelta (“sommaria”) alla quale siamo chiamati con questo referendum!
Pietro, che l’obiettivo dei 5stelle fosse quello di far fuori la politica era chiaro da subito. Nello specifico invece, stando sul pezzo, quali sarebbero, oltre a quelle demagogiche dei proponenti, secondo me, le tue di ragioni? Grazie.
Con piacere, Ivano. Domani riprendo il discorso. Questa del taglio dei parlamentari e del referendum è una vicenda che merita molta attenzione. Grazie per le osservazioni sulla partecipazione rispetto alla libertà. Per me non è che siano proprio antitetiche concettualmente. Però spesso si pestano i piedi a vicenda. Forse perché dietro ci stanno modelli caratteriali e “attitudinali” (direbbero gli psico-socio-eccetera) umani e forse anche biologici piuttosto diversi.
Niente contro Gaber. Con certi cantautori che sono girati in Italia, meglio lui di altri.
Interessante Pietro il concetto di partecipazione, e pieno di pericoli. L’altro giorno abbiamo visto tutti un grande corteo di negazionisti a Berlino, con estrema destra ed estrema sinistra largamente rappresentate, oltre alla moltitudine di teorici del complottismi globale. Indubbiamente partecipavano, ma che quella sia libertà comporterebbe nuove declinazioni del termine che abbiamo sempre inteso come la nostra che finisce quando inizia quella degli altri. E il sospetto che propria non esista, o ne esista troppa, è vicendevolmente legittimo. Quindi Gaber è stato indubbiamente superficiale ad invitare tutti alla gran festa delle proprie idee. Perchè il problema non è partecipare, esercitando la libertà di oggi, ma assumersi la responsabilità di prevedere quella che ci toccherà domani. E noi italiani in questo siamo maestri. I sostenitori di Lukashenko la esercitano (la libertà), come la esercitano i manifestanti alle manifestazioni contro che in queste settimane hanno riempito le piazze della Bielorussia. Quindi io credo che libertà e partecipazione non possano viaggiare inseme. Sempre l’una aliena l’altra.
“Metto assieme” i due commenti di Pietro: “Tertium”, io sono straconvinto che “datur”, eccome. La smetterei di meterci ore e attenzione su questo blog!
Mi sento estraneo sia alla “rissa” che alla “noia”. Il mio approccio è viceversa assai più vicino (sorry, caro Pietro M che mi pare aver inteso ne sia portatore, spero sano, di intolleranza) a quello della “partecipazione”.
Partecipazione come mettere a confronto (non a contrasto!) diversi punti di vista, come considerare con attenzione, scevra da pre/giudizi le tesi proposte dall'”altro da te”, avendo come obiettivo la crescita consapevole ove, ovviamente, tu ti consideri partecipe in una “comunità”.composta da individui (almeno potenzialmente) di pari capacità elaborative di pensiero.
“….quando i temi sono forti é abbastanza normale che gli animi si riscaldino….” dice Ivano, e allora i “toni diventano aggressivi” e, dico io, se i toni sono aggressivi, gli animi si riscaldano e il loop diventa perfido ! Può accadere, certo, ma assolutamente (ops!) non deve essere (Sgarbi docet!) la cifra caratteristica di una “piazza”, di “questa piazza”!
Del resto la conclusione a chiosa di Pietro M è troppo significativa per non diventare predominante rispetto alle sue (al solito cmq improntate a intelligente, motivata elaborazione) …..”provocazioni” tese a riportare al “…normale livello fisiologico di adrenalina e di endorfine”.
Francesco, anch’io penso che, tra la rissa e la noia, si possa tentare di mettersi in una posizione diversa, che vada dalla condivisione dei contenuti alla critica costruttiva (da giovani dicevamo anche “dialettica”, che tempi). Certo, è così, se no passeremmo di continuo dall’insulto alla dormita. E mica solo in rete, anche al bar e per strada. Dei russatori che ogni tanto si svegliano, si accapigliano, poi ripiombano a russare. Tipo il personaggio che hai citato, ad esempio. Però ogni tanto (e questo mi sembrava il messaggio interessante di Ivano) una botta di vita, anche solo una bottarella, non fa male. Che poi di botte, di vita o di qualcos’altro, nel mese o due in cui ero rimasto assente dal blog (sono un frequentatore incostante), su CremAscolta ce ne siano state più che a sufficienza, posso anche capirlo. Anche se in realtà, della vicenda salmonesca ho capito proprio poco e mi sa che non capirò mai che cosa sia successo, prima, durante e dopo. Amen, mi scuso di aver toccato questo punto.
Per cui, se la rissa e la noia sono cose davvero “facili”, quello che invece tu dici, su come dovrebbero andare le cose sul blog (che condivido in pieno), non sempre è facile. Anzi, è spesso “difficile”, soprattutto per una redazione. Evitare le intemperanze non è mai facile. E qui, però, mi permetto una distinzione. Una cosa è lasciarsi andare un po’ troppo all’animosità, poi dispiacersi e scusarsi. Magari con una certa frequenza. Un’altra cosa è lo “Storming”, una delle fasi collaudate del processo di “Takeover” dei media, soprattutto di quelli meno tradizionali. Lì la cosa è diversa. Ma sto divagando. Era solo per dire che ho un concetto diverso di libertà, rispetto al tuo, ma che in fondo è normale che ciascuno abbia il suo. Perché quello che conta, appunto, è rispettare gli interlocutori. Io ti rispetto se a te piace la libertà musicale-comunitaria di Giorgio Gaber e spero che tu mi rispetti se a me piace la libertà musicale-individualista, per dirne uno dei tanti, di Mick Jagger.
Più libertà di così.
Ed io, Pietro, ci metto nel mezzo il mio grande Maestro: Enzo Jannacci!!! Vero, autentico, chirurgo/cantautore!
Di Maio ha appena dichiarato che con la riduzione dei parlamentari si risparmierebbero 300 mila euro al giorno. Basta fare due semplicisimi conti per capire che non é così. Del resto da uno che ha dichiarato che é stata abolita la povertà, da un balcone, ci si deve aspettare di tutto. Io spero che l’imberbe si sia sbagliato, sia rispetto al risparmio che alla povertà. Come si dice sui social, dopo le fotografie al mare con la fidanzatina,farebbe bene ad accontentarsi di aver abolito la pubertà. 🤣😪👏
Che poi Pietro il pestarsi i piedi a vicenda sia una normale dialettica democratica, anche con veemenza, é cosa buona e giusta. Ho però l’impressione che il vento stia tirando al contrario, e la vittoria dei Sì al prossimo referendum potrebbe essere il preludio di un giro di vite di queste dinamiche. Secondo me.
Ho l’impressione che enfatizzare la rilevanza del numero dei parlamentari rispetto ad altri fattori, ai fini di una effettiva rappresentatività dell’elettorato, sia un errore in buona fede da parte di molti e una strumentalizzazione da parte di alcuni. L’attuale sistema elettorale pregiudica l’effettiva rappresentatività, in senso partitocratico, con i mezzi che sappiamo, riguardo alla formazione delle liste e all’uso attuale del meccanismo proporzionale, a partire dai “resti” e dai “recuperi”.
Inoltre, tra le bufale più diffuse, c’è quella che un numero minore di parlamentari faciliterebbe derive autoritarie: più pochi sono, più facilmente si condizionerebbero. Lo stesso vale per il bicameralismo pieno (o “perfetto”): con due camere, sarebbe più difficile una svolta autoritaria. Gli esempi bufaleschi sono innumerevoli. Per me, sono tutte balle. Mussolini ha preso il potere in modo costituzionale e, anche se era di nomina regia, il senato c’era già. E non erano mica pochi. Hitler ha fatto lo stesso, in perfetta adesione alle regole, e se anche ci fossero state tre, quattro, cinque camere, le cose sarebbero andate così comunque. E non erano pochi neanche là. Che i nostri padri costituenti non fossero poi tutti così certi del “perfetto”, ce lo dicono i lavori preparatori.
Per questi motivi, avere quattrocento deputati basta e avanza. Saremmo sulla media europea. Nella Storia, ci sono stati parlamenti che hanno fatto cose epiche, rappresentando i cittadini egregiamente, con numeri inferiori (in proporzione ai tempi e alle popolazioni). Non è un problema di numero quanto di qualità politica e di meccanismi effettivi di rappresentanza. Il “numero” è lo specchietto per le allodole, per aumentare le prebende, le greppie e le mangiatoie partitiche. Ci converrebbe invece metter mano al sistema elettorale, ridando rappresentatività ai cittadini con un sistema maggioritario a collegi uninominali. Quattrocento collegi, uno per ogni 120/130.000 elettori (votiamo in 51 milioni), in cui tutti i cittadini che vogliono si possono presentare liberamente, senza tessere di partito. Chi vince vince, e basta là. Un impulso della società civile e delle forze sociali autentiche rispetto alle camarille di partito e di corrente. Doppio turno con ballottaggio se nessuno supera il 50%. Semplicissimo. Sbarramento “partitini” al 5%. E basta portaborse, compensi vergognosi, facilitazioni satrapiche. A stecchetto.
E abolizione del senato. Camera unica. Basta raddoppio di mangerie con la scusa della democrazia.
Sulle regioni, per me, abolizione totale.
Ormai la partitocrazia è una bestia vorace. Affamiamo la bestia, come diceva anni fa Cruciani.
Io voto sì.
Ribadisco quanto commentato al tuo precedente Pietro!
Il problema resta quello dell’immagne europea del paese, il rischio che una legittima riflessione a oltranza, dati i rischi di mosse inconsulte, porti ai soliti beffeggiamenti.”Eccoli gli Italiani, anni che palrlano e poi rimischiano le carte e rimettono il mazzetto nel cassetto!”
Sul sottofondo sempre l’ottica della trappola, la manovra apparentemente innocente dietro cui qualcuno trama, e anche questo clima di sfiduciata paura (da buon ingenuo mi chiedo) è proprio necessario?
Pietro, se passassero i Sì saremmo gli ultimi in Europa come rappresentanza. Ho già riportato dati precisi in altro commento postato non ricordo dove e che non ritrovo. Ma credo che un raffronto dopo un breve calcolo sia operazione non complessa. Ne 63 quando aumentarono il numero dei parlamentari fu proprio per non ingrandire a dismisura i collegi elettorali, dato l’aumento della popolazione che non mi pare sia diminuita. Da non dimenticare poi che questo referendum manca completamente di una cornice strutturale che non verrà mai, nonostante le promesse, anche per la contrarietà di Renzi che non vuole nessun accordo in materia e il Pd sa bene che senza Italia viva, che orientativamente vota No, non si può governare. Anche qui non capisco l’indecisione del Pd. Referendum oltretutto autolesionista per i 5stelle che spariranno. Di Maio non sa fare neppure questo conto. Ma questo è affar loro. In tutti i casi, e riporto un parere non mio, ma di Luciano Canfora, storico, che dice che questa riforma non è altro che “la più stupida, volgare e demagogica delle riforme”. Riforma oltretutto non riuscita neppure da Renzi qualche tempo fa, anche se dai sondaggi pare che l’80% degli elettori voterà Sì, ma, sempre secondo Canfora sarà solo il risultato di quel demagogismo primitivo che caratterizza i pentastellati, con l’appoggio di cittadini “poco informati e poco inclini ad approfondire la questione e affascinati da questa demagogia primordiale”. Non si fanno così e per queste ragioni le riforme costituzionali. Canfora quindi propone, se fosse solo una questione di risparmi, di tagliare stipendi e portaborse (cosa paghiamo a fare personaggi come Casalino? ) e, mi pare di capire, anche quelli dei deputatini di “quella corte dei miracoli che sono le Regioni”. Io sono per un proporzionale, anche con sbarramento, e voterò No. E comunque Pietro a me sembra pericoloso sintetizzare con un “Chi vince vince, e basta là”. E se col maggioritario vincesse chi non ti piace?Sarà anche democratico, ma mai privo di conseguenze difficilmente prevedibili. Il rischio autoritarismo poi? Neppure questo è da sottovalutare, complice una crisi economica che durerà un bel po’ e con decisioni nelle mani di pochi che proprio per questioni di numeri, secondo quanto già scritto, daranno forza ad oligarchi che in nome del potere potrebbero trovare più accordi in pochi che non in tanti. Meglio Atene di Sparta quindi. Chiudo: dopo decenni di democrazia non credi Pietro che stia montando una protesta di antiche nostalgie? Anche una destra democratica dovrebbe preoccuparsi.
Ivano, in merito riporto quanto affermato dall’Istituto Cattaneo (La Fondazione di ricerca Istituto “Carlo Cattaneo” si occupa di studi politici, economici e sociali e ha sede a Bologna; è un centro di studi che ha lo scopo di promuovere ricerche, analisi e ogni altra attività culturale e formativa volta all’approfondimento e alla divulgazione dei fenomeni sociali e politici e ad alimentare ed arricchire il dibattito pubblico) che in uno studio di 14 pagine ha svolto le simulazioni sul Parlamento che potrebbe nascere con 600 eletti invece che 930.
A proposito di rappresentanza, la prima parte dello studio si sofferma sulla comparazione tra i parlamentari di tutti i 192 paesi esistenti e il rapporto con la popolazione. In valore assoluto, l’Italia oggi ha il più alto numero di parlamentari al mondo (945), solo dopo Cina (2.975) e Regno Unito (1.445) che però sono “due casi molto peculiari” perché quello di Pechino non è un vero e proprio parlamento perché i suoi componenti “sono chiamati a confermare le scelte adottate dai vertici del Partito comunista” mentre nel caso del Regno Unito “800 Lord a vita non sono stati eletti”. Calcolando il rapporto tra i parlamentari ogni milione di abitanti, l’Italia oggi è in cima alla classifica: 16 eletti. Dopo la riforma, considerando solo gli eletti dal popolo, diventerebbero 10, più di Francia (9), Germania (8,7), Spagna (7,8) e poco sotto la Gran Bretagna (10,4). Insomma, conclude il Cattaneo: “L’Italia post-riforma si colloca in linea con gli altri paesi europei”.
Che manchi un contesto serio in cui inserire eventuali tagli di parlamentari, l’ho detto anch’io e siamo d’accordo. Anzi, mi sono permesso di dire anche dove sta, a mio parere, il vero problema di rappresentanza. E che il punto cruciale sia la legge elettorale, mi sembra un altro aspetto su cui conveniamo. Partire dal numero dei parlamentari vuol dire partire dai piedi del discorso, non dalla testa.
Sul tagliare prebende e privilegi ai parlamentari, anche a prescindere dal numero, d’accordissimo. Sull’estensione di provvedimenti riduttivi drastici a tutte le altre greppie regionali, provinciali e di vario genere oggi presenti, d’accordissimo di nuovo. Personalmente, abolirei del tutto le regioni e terrei solo dipartimenti provinciali con consigli direttivi elettivi ma ristretti, con gettoni di presenza contenuti. Ci sono poi innumerevoli enti inutili da chiudere.
Non mi sembra che con 400 parlamentar e 51 milioni di potenziali votanti avremmo meno rappresentanti di altri paesi europei. Di certo, oggi ne abbiamo più di tutti, tranne forse Malta. Senza arrivare all’esempio USA, questi sono i numeri che ho letto. Però, su questo, possiamo scendere in maggiori dettagli.
Il senato non serve assolutamente a niente. Il bicameralismo “perfetto” non impedisce per nulla le derive autoritarie ed è un ostacolo notevole all’iter legislativo efficace e in tempi ragionevoli. La pletora di commissioni e sottocommissioni è un’altra mangiatoia politica.
Con una sola camera e 400 deputati, andremmo benissimo, anche a prescindere dai costi, che comunque sarebbero più ridotti. Senza contare il valore dell’esempio davanti agli italiani.
Il maggioritario a collegi uninominali con doppio turno è la cosa più funzionale, semplice e veramente rappresentativa della società civile e dei cittadini. Si riconfigurerebbero molte forze politiche, si spezzerebbe il monopolio partitocratico attuale, si creerebbero nuove dinamiche e opportunità per movimenti, gruppi, istanze sociali e civili. Oggi la “partecipazione” non c’è. L’assenteismo elettorale lo dimostra. Così non funziona. Occorre cambiare e il maggioritario a collegio uninominale è la risposta giusta. Occorre liberare energie, non metterci sopra il coperchio proporzionale degli apparati di partito.
Intanto, mandiamone a casa un bel po’. Sarebbe già un segnale.
Le dittature si fanno o non si fanno del tutto a prescindere da questi elementi.
Infatti, nessuno è mai stato in grado di dimostrare alcun minimo rapporto di causalità tra l’instaurarsi di una dittatura e il numero di parlamentari o di camere presenti in quel momento.
Sono solo scuse per mantenere la primazia dei partiti sulla società civile.
Volevo dire con i 600 rappresentanti in caso di referendum positivo.
Con 400 ne avremmo di sicuro di meno. Ho mischiato le due cose, non rileggendo, mi scuso.
Comunque, anche con 400, il problema della rappresentatività starebbe soprattutto altrove, a partire dal sistema elettorale. La paura delle dittature è da sempre la foglia di fico di tutte le pappatoie partitiche.
Caro Francesco, nei salmoni o sermoni ho visto che lì, hai voluto posizionato il “Pavese”. Chi se ne frega dove va, diciamolo, conta cosa c’è scritto, guaste o no le parole. Per evitare che tu faccia non bella figura, però consiglio di togliere la tua firma dall’articoletto e magari metterlo anonimo o redazionale come fanno all’ Economist. Li copiamo. Tanto il “pirla” che l’ha scritto lo si dovrebbe riconoscere, credo. Carta canta, anche quella stonata.
Referendum, con il Sì Italia ultima nella Ue per rappresentanza
27 AGOSTO 2020
I dati degli uffici studi di Camera e Senato: con il taglio la più bassa percentuale nel rapporto tra eletti ed elettori.
“Se il 20 e 21 settembre dovesse vincere il Sì al taglio dei parlamentari l’Italia si guadagnerebbe un indiscutibile primato in Europa: conquisterebbe il fanalino di coda per il rapporto tra numero dei cittadini e deputati. Sarebbe proprio l’ultima tra 28 Paesi, Regno Unito compreso. La cifra? 0,7 per centomila abitanti. Come risulta da un dossier di Camera e Senato, fresco di stampa (è datato 19 agosto), che a pagina 52 pubblica una tabella rivelatrice sul rapporto tra …”
Francesco, non so quali siano i dati corretti, ma recuperando l’uscita del 27, si possono trovare tabelle esplicative. Io purtroppo ho già cestinato il giornale e in rete senza abbonamento non si può accedere all’articolo integrale.
Naturalmente senza mettere in dubbio analisi e calcoli dell’Istituto Cattaneo.
Superfluo dire che la fonte è Repubblica, orientata per il No.
Ivano, anch’io ho letto cose simili a quelle indicate da Francesco, nel senso che scendendo a 600 ne avremmo sempre più degli altri. Però ti confesso che non ci ho fatto approfondimenti particolari. E, in effetti, quello che tu adesso dici sembrerebbe portare a riscontri differenti. Per quanto mi riguarda, in questi giorni cercherò di andare più a fondo, anche se le voci che affermano la nostra sovrabbondanza di parlamentari mi sembrano molto preponderanti e parecchio fondate. Comunque, è sempre meglio documentarsi il meglio possibile.
Devo però confermare che, da parte mia (e so di essere su una posizione forse non molto condivisibile da molti), se anche dovesse emergere che avendone 600 ci troveremmo in una posizione diversa da quella riportata da Francesco (ma non credo), la cosa non sposterebbe di molto i presupposti del mio punto di vista. Addirittura (e di certo così andremmo sotto la media) per me ne basterebbero 400 in una camera sola, se cambiassero le cose importanti, che sono il sistema elettorale, i meccanismi di coinvolgimento politico dei cittadini e la ripresa di “partecipazione” (appunto, lì si deve proprio lavorare!) della società civile e dei vari “corpi comunitari” alla “cosa pubblica” e, in ultima analisi, alla politica nel suo senso più vero e più sano.
Però prima c’è da fare una pulizia micidiale. Ma non da demagoghi. Da conoscitori dei processi istituzionali. Non da populisti. Ma da giuristi di diritto pubblico. Non da arruffapopolo. Ma da silenziosi ed efficaci realizzatori di buona amministrazione, buone semplificazioni strutturali, buon “cost cutting” burocratico.
Da sempre, in ogni consorzio civile organizzato, viene prima la “costituzione”. Ma prima ancora viene una “legge elettorale” per decidere chi “costituisce”. Un esempio ottimo sono i governi provvisori, anche nella nostra Storia nazionale. Qui, adesso, la Costituzione ce l’abbiamo già. Ma forse dobbiamo cercare di riavere, fuori dalle grinfie della partitocrazia, il nostro Stato e la nostra Nazione. Non per essere nazionalisti e sovranisti da campanile e da cortile, non per fare i capipopolo cantonali, ma per tornare in Europa con forza e credibilità, come pari tra i migliori. Maggioritario secco con collegi uninominali a doppio turno.
Indipendentemente dai numeri a dai sistemi elettorali non si può che essere d’accordo con te. Vocazione politica, non risolversi la vita, e competenze. Ma questo dipende dall’elettorato. E questo é più arduo del metter mano alle leggi.
http://documenti.camera.it/leg18/dossier/pdf/AC0167g.pdf. Questo è lo studio citato da Repubblica che ho ricordavo come riferimento. Consiglio di visionare la tabella di pag. 48.
Grazie, Ivano. Molto gentile. Sto guardandomi intorno anch’io e sto scoprendo, in giro per il mondo, le cose più diverse.
Restando in Italia, una cosa che mi colpisce, ma che non riguarda solo l’Italia, è la contraddizione tra le lamentazioni popolari sulla scarsa rappresentatività dovuta all’attuale sistema elettorale e la percentuale di astensionismo popolare al voto.
Insomma, ci lamentiamo di non essere rappresentati e poi, quando possiamo fare l’unica cosa (o una delle pochissime) che ci può aiutare a essere rappresentati, non la facciamo per nulla. Adducendo in proposito le motivazioni più varie. A parte ovviamente gli anarchici (che si è sempre saputo), e quelli che essendo, nelle giornate di voto, in spiaggia ai tropici, mica tornano per infilare una scheda in una scatola (e anche di questi si è sempre saputo).
Oppure, la spiegazione potrebbe essere un’altra: che ci sentiamo così poco rappresentati, in linea generale, e magari così arrabbiati con le istituzioni, da mandare a remengo baracca e burattini. Però, in questo caso, il problema non sarebbe tanto (o solo) quello del sistema elettorale ma quello, più in generale, di un rapporto complessivo molto deteriorato tra lo Stato e i suoi cittadini. Non ci si crede più e basta.
Mah, sono comunque cose difficili da capire bene.
Intanto però l’argomento della perdita di rappresentanza continua ad avere una rilevanza mediatica notevole nella propaganda per il voto negativo al referendum.
A rischio di….banalizzare: o i partiti, con una legge elettorale adeguata ( ” adeguarum” ?!?)
ci mettono nelle condizioni di scegliere tra personaggi che li/ci possono rappresentare oppure noi ….peones non si …”partecipa” a un bel !nulla!
Eh sì, Francesco, quindi qui è l’ipotesi di un sentimento così forte di delusione nei cittadini da far mollare del tutto ogni speranza.
Bella scoperta, mi si dirà. Va bene. Lo capisco e lo accetto.
Ma allora disquisire sul numero, in più o in meno, di quelli che comunque non consideriamo più nemmeno un tollino (rectius, che non ci considerano nemmeno un tollino), che senso ha?
Per cui, se si manda tutto a remengo, discettare sui numeri non ha senso.
Quello che mi permetto di dire è che l’argomento della perdita di rappresentatività popolare per via della riduzione di questa pletora di parlamentari, convince poco, vista la situazione di mancanza di rappresentatività per ben altri motivi, prima tra tutti una legge elettorale come l’attuale.
Se invece si pensa, al contrario, di “salvare il salvabile” (ammesso che si sia d’accordo su quale sia il “salvabile”, cosa che non mi pare così sicura), allora si va a votare come al solito, incrociando le dita e facendo gli scongiuri.
Il problema è che gli attuali mandrilli partitici sono tutti eccitati su cose come il premio di maggioranza e non sulla creazione di un sistema di confronto politico alla base della società, con collegi uninominali che possano favorire il confronto individuale e premiare la persona più valida (cosa tra l’altro molto naturale per noi italiani, individualisti e amanti del cimento interpersonale, che qui sarebbe selettivo e meritocratico, finalmente).
Per cui, prepariamoci alle infinite diatribe sul premio di maggioranza.
Questi di premi e prebende sono sempre affamati.
Viva ….li taglia , allora!!!
Io continuo a non sottovalutare il tema della rappresentanza. Senza scendere in tecnicismi io osservo che a distanza di anni dal terremoto alcuni terremoti non han visto alzarsi un mattone. Colpa dello Stato, della burocrazia o magari di chi non ha saputo rappresentare L’Aquila o Amatrice? Forse se qualcuno non assenteista e di spessore avesse alzato la voce, magari anche noi, come ricorda sempre Marino, Stato o poteri decentrati qual si voglia, forse invece di un binario ne avremmo due e al posto di anni nelle casette umbri e abruzzesi avrebbero un tetto sulla testa. Non dico che si debba far del campanilismo a tutti i costi, ma se vincessero i Sì alcune regioni e territori non sarebbero rappresentati. In tutti i casi mi pare che se i sostenitori del No usano questo tema altrettanto fanno i sostenitori del Sì, chi ne vuole di più chi di meno. Non mi pare emergano sostanziali differenze,motivazioni qualificanti da nessuna parte, risparmio sì risparmio no e tutto comunque si gioca su dei numeri. Una riduzione dei Parlamentari non garantirebbe comunque la qualità. Non succederebbe neanche con tutte le riforme elettorali possibili. L’ho già scritto: con la riduzione per ogni cittadino il guadagno sarebbe di un caffè all’anno. Ne faccio a meno. E anche mettendoli insieme, tutti i caffè, non risanerebbero di certo le casse dello Stato. A me sembra il solito giochetto populista come lo è per Salvini il tema emigranti. Poi lasciamo stare quello che i due han combinato nel loro breve governo. In italia, insisto, abbiamo tre milioni di persone beneficiarie del reddito di cittadinanza quando da più parti produttive in questi mesi si sono alzate voci per un utilizzo non assistenziale. Poi chiudo: abbiamo in questo momento, come in tanti altri, vedi la precedente, una maggioranza non strutturata. E’ questo il problema dell’Italia che vede all’interno della stessa coalizione forze in continua contrapposizione, e anche un sistema maggioritario non garantirebbe l’unità, e questo pone noi italiani sotto continuo ricatto per veder una volta sì una volta no, perchè siamo sempre vittime o vincitori di compromessi, soddisfatti i nostri bisogni. O si fa cadere il Governo o tutti votiamo Sì. Insomma, una volta io una volta tu, ma non è detto che sia un buon modo di governare. Assistiamo solo al teatrino di protagonisti da operetta ma qui in gioco ci sono le sorti di un paese. Troppo protagonismo in Italia e la nobiltà della politica andata a farsi fottere. Così, d’istinto e senza tirare il fiato, ma invio lo stesso.
Il politico come era Ferruccio Parri, un giorno che l’utilitaria che usava andò in panne fu lui a spingerla mentre l’autista provava a ripartire. Ma la gente rise, provò pena, un politico non deve arrivare a quello fu il commento sottotraccia di molti. Era serio, onesto, Ferruccio Parri, ma non aveva carisma. Non incantava. Ricordo il cremasco Galmozzi; mi disse che quando sua madre era morente, una sera, non potè starle vicino perchè c’era la seduta in Consiglio Comunale, e non poteva mancare. Il dovere innanzitutto. Renato Mieli, dirigente comunista ai tempi di Togliatti, padre di Paolo Mieli, scrisse nella sua autobiografia che per Enrico Berlinguer una donna avvenente si era invaghito di lui, ma non ci fu verso di convincerlo a cedere alle avances di lei. Romano Prodi dera l’uomo grigio, secondo la stampa di destra, perchè andava a sciare con un giaccone stracciato e vecchiotto, pure fissato con l’essere un monogamo, non un viveur, uno che ama la bella vita.
Alla gente, al popolo vario, alla maggioranza degli elettori se un politico si tiene per sè solo uno stipendio al netto di due-tremila euro al mese, è un cretino, uno stupido, e non merita neppure il voto. E se si fa vedere in giro con una Panda, o una Punto (l’auto del sottoscritto) è un coglione, o uno che-non-te-la-conta-giusta e tiene la berlina in garage per le serate con quelli che contano. Piacciono i politici stravaganti, donnaioli, simpatici e cialtroni; oppure quelli che non disprezzano il malloppo donato che si è accresciuto negli anni, perchè fanno un lavoro importante, da veri professionisti e quindi meritano la cifra che ricevono. Ma i soldi fanno uno strano effetto, come l’alcool quando è abbondante, e cambiano le cose, le persono, spesso, la pensano un filino differente. Anche i ragionamenti, quindi prendono un’altra piega. Sicuramente cambia la vita privata e con quella l’idea della Rappresentanza collettiva. Pochi giorni fa a una cena ho ascoltato un artigiano sostenere che se i politici sono seri, fanno il loro lavoro con efficienza, come dovrebbero, il loro stipendio attuale che ricevono non è uno scandalo. Quindi, non mi pare che sbagliò quel leghista, così sincero, che quando fu eletto in Parlamento, ed era un novellino, candido nella sua euforia, telefonò alla moglie per dirle: vai pure al negozio a comperare quel gioiello costoso che ho fatto centro, sono stato eletto e cosa vuoi che sia un gioiello di qualche migliaia di euro? Possiamo permettercelo ora. Vai cara, corri a comperarlo, che stasera festeggiamo! Evviva la Rappresentanza che porta bene!
Aldo Moro, con suo figlio in calzonici da bagno, in spiaggia sotto un gran sole non toglieva mai giacca e cravatta. Magari un tantino esagerato.
Anche Cottarelli schierato per il NO, senza se e senza ma. Intervista su Repubblica di oggi.
Molte cose le condivido, Ivano.
Questo referendum non risolve il problema dei terremotati, antichi e recenti (i friulani, dopo il ’76, però, se lo sono risolti quasi da soli)
I risparmi economici non sono rilevanti (per quanto, per me, un po’ ci siano e proprio schifo non facciano).
Il reddito di fancazzismo è stato uno scandalo e un fallimento. Idem per quota 100.
Un maggioritario puro non garantirebbe certo la stabilità, anche se la faciliterebbe rispetto al proporzionale. Ma i vantaggi principali sarebbero altri.
Il problema della rappresentanza politica dei cittadini è importante e si sta aggravando sempre di più (basta vedere l’assenteismo elettorale).
L’attuale maggioranza, come quella immediatamente precedente, è una delle più “destrutturate” che ci siano state in Italia nel secondo dopoguerra (c’entra il sistema elettorale, però solo in parte).
La “nobiltà” della politica è andata dove dici tu.
Bene, ciò posto, c’è una cosa che non ho capito. Con 51 milioni di potenziali elettori e con 400 deputati e 200 senatori, ci sono, rispettivamente, collegi da circa 125.000 persone e del doppio. Se in Italia abbiamo fatto regioni persino a Roccacannuccia, il problema è diverso. E poi, non mi vengono in mente regioni con meno di 125.000 persone. Però potrei sbagliarmi. Forse la Valle d’Aosta?
Resto un ammiratore di Cottarelli anche se sostiene le ragioni del no.
È chiaro che, taglio o non taglio, questa maggioranza non potrà e non vorrà cambiare la sostanza delle cose, né come sistema elettorale in generale, né come meccanismo di lista elettorale manovrato dai partiti a scapito della società civile. Ma il fatto che la facciano franca un’altra volta non ci impedisce, come cittadini, di esprimere tutto il nostro disappunto e di dire chiaramente che a questi pinocchi dal naso lungo non crediamo più.
E l’antipolitica non c’entra.
L’antipolitica sono loro.
Arriva un pirletta qualsiasi, giovane e forse per questo senza molto senso della Storia che decide di cambiare la Costituzione. E per questioni strategiche magari ci riesce. Ora immaginiamo uma maggioranza più coesa magari uscita da un sistema maggioritario che decide, regolamenti parlamentari permettendo, di mettere mano ai Principi fondamentali. Fantascienza? Credo prorio di no.
“…..Arriva un pirletta qualsiasi, giovane e forse per questo senza molto senso della Storia che decide di cambiare la Costituzione…..” non ti pare una narrazione un pochetto troppo semplificante e tranchant, Ivano?
Noi siamo chiamati ad esprimerci su una Legge votata in doppia lettura dalle due Camere ed approvata a larga maggioranza, altro che “pirletta qualsiasi”!
Si può essere d’accordo o no, e andiamo a votare per questo, ma …..raccontiamola giusta però!
Francesco, libero di esprimere tutti gli apprezzamenti che vuoi sul pirletta. Scusa la sincerità, ma io ho capito che guai a toccarti i 5stelle. Legge approvata dalle due Camere? Certamente, pur con tentennamenti, indecisioni e ripensamenti. Ancora, se per questa ragione, a questo punto, tu ritieni che siamo rappresentati bene allora non so cosa dirti. Perchè mi pare di non poter arrivare ad altra conclusione.
Certo Francesco, raccontiamola giusta,certamente. Pronto al confronto, direi a questo punto che sia tu a dovere elencare i punti qualificanti dell’operato del pirletta. A me ne vengono in mente solo due, non così edificanti e magari ossessivamente, che poi sono il reddito di cittadinanza prima e ora la riforma costituzionale. Ci metterei anche la precedente l’alleanza con la Lega. Altrimenti non mi rimane altro che rimarcare la battuta che viaggia sui social, che mi pare che qui non abbia fatto sorridere nessuno. Dal blacone: “abbiamo abolito la povertà” . Di rimando, dopo le foto osè al mare con la fidanzatina e più ustionato di così non si può, “si accontenti di aver abolito la pubertà”, la sua, si intende”. Questo a proposito della giovane età, causa credo non trascurabile. E scusa la ripetizione. Mettiamoci anche che se vincessero i NO il P, secondo me, sarebbe capace di far cadere il Governo, consegnandoci all’ignoto. Incollo anche, nel caso ti fosse sfuggita, la mia affermazione nel commento delle 09:53 per la quale mi piacerebbe sentire altri pareri: “Ora immaginiamo una maggioranza più coesa magari uscita da un sistema maggioritario che decidesse, regolamenti parlamentari permettendo, di mettere mano ai Principi fondamentali”.
NON HO DETTO QUESTO, HO DETTO ALTRO IVANO!
COSA?
Oggi sul Torrazzo si fornisce ampio risalto alla costituzione di un comitato locale a favore del No.
Ho letto i nomi di molte persone di cui ho stima, persino di politici, pure di qualche buon conoscente e addirittura di un paio di amici. Se ho ben capito, anche il nostro Sindaco appoggia il No, oltre a qualche Assessore. Pare che a Crema una parte molto importante di cittadini voterà per il No. Così dicono.
Io resto della mia idea. Però quando a pensarla diversamente da me sono anche diverse persone verso cui nutro sincero apprezzamento, persino se politici, una riflessione ulteriore cerco sempre di farla.
Una cosa che sta emergendo in modo sempre più evidente è che dovremo prendere decisioni affermative o negative sui “numeri”, mentre invece dovremmo prenderle in modo ragionato e costruttivo sui “sistemi”.
Magari è un’utopia ma mi piace immaginare che ci siano 125.000 persone che dicono: vediamo un po’ chi si propone. E che una decina (o una ventina, magari una trentina, non cambia) di cittadini, molti dei quali senza tessere di partito, magari quasi tutti, si facciano avanti e cominciano a dire chi sono, che cosa vogliono fare e come intendono farlo. Così comincia il confronto, la contesa, la discussione. Sono persone conosciute per quello che sono davvero, proprio loro, non per la camarilla o la conventicola di cui fanno i sottopancia. Articoli di giornale, testi in rete, incontri pubblici e, soprattutto, comizi. Dei bei comizi, dal palco, a voce piena e sonora, in cui si tira fuori l’idea ma anche la presenza, l’argomento ma anche lo “standing”, la capacità dialettica ma anche la sostanza e la realtà delle cose fatte persona. E se promettono e non mantengono, sono loro sbugiardati, sono loro a essere additati su piazza, tra l’edicola e il sagrato.
Una bella lotta politica, individuale e individualista, di persone in carne e ossa delle nostre parti, non paracadutate qui dai picchiatimbri e dai girascartoffie di partito. Il gusto, tutto italiano (e tutto cremasco) dello scontro individuale, personale, avanti, fatevi sotto, e che vinca il migliore. Il piacere tutto italiano (e tutto cremasco) della contrapposizione individuale, una cosa sportiva, come in un’arena o su un ring, una cosa che coinvolge la gente e fa prendere posizione, tifare, appassionare.
Poi, si va a votare. Per me, voterebbe molta più gente. E un solo eletto, uno solo. Altro che “resti”, “ripescaggi”, “primi non eletti” (ma scherziamo?). Non ci sono “resti”, solo un vincitore, subito, oppure, se nessuno arriva a 50%, dopo il ballottaggio tra i primi due, con doppio turno. E quello va in parlamento. E là, a Roma, fa il suo dovere, non quello imposto da chi gli fa battere i tacchi, da qualche segreteria di apparatchiki.
Che peccato dover votare per il numero di quelli che non ci rappresentano per niente invece di poter votare per far sì che qualcuno possa davvero rappresentarci.
Comunque, visto chi sono e che cosa (non) fanno, tagliare, tagliare.
Come per l’elezione dei sindaci no? Che funziona!
I sindaci dei piccoli Comuni (meno di 50.000 abitanti) sono tra i politici che “funzionano” meglio in Italia, per diversi motivi.
Tra questi motivi, sì Francesco, hai proprio ragione, c’è anche il modo in cui vengono messi a confronto ed eletti.
Certo, anche nelle candidature a sindaco i partiti hanno ruoli decisionali importanti. E sarebbe buona cosa che ne avessero, anche qui, molto meno.
Però, è l’esempio che più si avvicina al modello elettorale in cui la società civile non viene del tutto esclusa dalle dinamiche della partitocrazia, proprio a partire da quelle elettorali.
E i fatti dicono che questi sindaci, non sempre ma spesso, “funzionano” (esercitano cioè la loro “funzione” a tutela del bene pubblico e non dei beni di partito) molto meglio dei deputati e dei senatori.
E allora vediamo se i “Partiti” ( meglio, le oligarchie che li reggono!) hanno voglia che “funzioni” o, ancora una volta faranno ….”volare un pò di stracci” per far si che ….tutto rimanga come prima con l’ …..ellum” di turno!
Con tutto il cuore spero proprio che non sia così, per questa legge elettorale in gestazione!!!
Altro che qualche nulla facente in meno sugli scranni, battaglia referendaria per la quale si ritrovano incredibilmente alleati, a propagandare il “no”, anche nella nostra città, i personaggi più “partiticamente” diversi, a far sospettare una …… “solidarietà di casta” davvero puzzolente assai!
A sto punto credo ne vada del core della nostra democrazia parlamentare!
Caro Pietro M e los otros che stanno commentando, ritengo appropriato contribuire con l’apertura del “fondo” di oggi di Marco Travaglio sul FattoQuotidiano che titola appunto “Proferiti o preferenze”:
“Quel che ha detto ieri il premier Conte alla festa del Fatto , rispondendo a Padellaro e Gomez, sulla legge elettorale con la preferenza e senza più liste bloccate piacerà ai 5Stelle, a LeU, alla maggioranza del Pd e in parte anche alla Meloni: cioè a chi è contrario ai parlamentari
nominati dai capi. Non piacerà invece a chi approvò le tre leggi elettorali vergogna che istituivano
le liste bloccate: il Porcellum del centrodestra (2005, poi raso al suolo dalla Consulta), l’Italicum
dell’Innominabile e di B. (2014, anch’esso bocciato perché incostituzionale) e il Rosatellum
del Pd renziano, votato anche da FI e dalla Lega salviniana (2017, con i soli voti contrari di 5Stelle e FdI).
Se la nuova legge elettorale “Germanicum”, oltre a un impianto proporzionale e a uno sbarramento, prevederà la preferenza unica, non sarà la migliore del mondo, perché il doppio turno francese è meglio; ma almeno potremo dire di avere riconquistato il diritto di scelta. Non è poco, dopo 15 anni di digiuno.
Ed è paradossale che i cultori della “rappresentanza” democratica sprechino tempo, voce,inchiostro
ed energie a strillare contro il taglio dei parlamentari (che non c’entra nulla), anziché concentrarli
su un obiettivo ben più cruciale: far sì che i deputati e i senatori, 945 o 600 che siano, vengano
eletti da tutti e non più nominati da pochi…….”
Grazie Francesco, è esattamente il nocciolo del problema di cui stiamo parlando anche qui sul blog.
Secondo me, peccato per “l’impianto proporzionale”. Perché quello resterà ancora un problema grosso per noi cittadini e un bel regalo al solito establishment partitocratico.
Ma il resto del discorso tocca proprio un punto fondamentale.
Quello di un tentativo (vedremo poi come andrà davvero a finire la vicenda) di tornare a un “diritto di scelta”.
Una riduzione dei parlamentari sarebbe anche disincentivante per nuove formazioni. Che poi in Parlamento il Pd abbia votato per il Sì e che quindi per coerenza e fedeltà mantenga fede al suo impegno nella maggioranza, per me fa il pari con gli accordi del Governo precedente, per cui sappiamo tutti quali provvedimenti abbiano legiferato. Ma nel caso del referendum per me è anche peggio. Si pone fine ad una democrazia rappresentativa, con promesse che non verranno mantenute, in cambio di cosa quando la base é orientata per il No? Il Pd, comunque concettualmente diviso, se ne pentirà.
Naturalmente non é solo colpa del Pd quando si ha a che fare con un pirletta. Questo commento é indirizzato a Francesco di cui riporto un frammento: “Altro che qualche nulla facente in meno sugli scranni, battaglia referendaria per la quale si ritrovano incredibilmente alleati, a propagandare il “no”, anche nella nostra città, i personaggi più “partiticamente” diversi, a far sospettare una …… “solidarietà di casta” davvero puzzolente assai”. Francesco, uso sempre le tue parole:” non ti pare una narrazione un pochetto troppo semplificante e tranchant?”
No, Ivano, non mi pare, così come non mi pare che con questo referendum si corra i rischio di porre fine ad alcunche, tanto meno poi alla democrazie rappresentativa addirittura! Certo è che il ns parlamento è il più pletorico e caro d’Europa ed io credo che riassettarlo sia bene; quanto ad essere raporesentati da chi, i giochi si fanno con la legge elettorale, Ivano e su quella davvero incrocio le dita.
Mi scuserai poi se nn abbocco alla ripetuta provocazia dedicata, del “pirletta qualsiasi”, non è la mia partita!
Visto che non c’è nessun parlamentare di partitini e partitoni disposti a far campagna per tagliarsi lo stipendio che supera, al netto i dieci mila euro, mi pare, che considero l’unica vera questione, ed è uno scandalo che non diventi una battaglia politica, e visto che vinceranno i Sì al referendum, è sicuro, comunque, che ci sarà da spendere meno soldi per i parlamentari. Ci sarà un risparmio. E questo è un fatto. Ma resta la questione: che cosa vai a controllare i parlamentari, pure in minor numero, che fanno centro assicurandosi l’abbondante salario, anche se sono di meno, ben felici della somma assicurata e accreditata? Sono di meno ma sempre strapagati. La faccenda, per me, resta viziata nel profondo e non risolve un bel niente.
Entrambe le risposte al referendum credo presentano buoni motivi. Ci sono timori fondati, e fondati motivi di diminuire la spesa, per l’alto numero di parlamentari fino ad ora presenti. Ma se fosse il primo passo, il primo mattoncino tanto paventato dal signor Licio Gelli e dall’estrema destra che da sempre ha messo nella sua lista la diminuzione di onorevoli e senatori? Verrebbe voglia di votare scheda bianca, ma non essendo un politico, nemmeno un esperto di politica pura come dicono di esserlo in tanti, ragiono, magari sbagliando, d’istinto: quello che desiderava Licio Gelli, che vedeva lontano picconando la Costituzione non appartiene alla mia storia, quindi, sentendo puzza di bruciato voto No al referendum.
Il fronte del NO si sta allargando.
Il 14 in molte regioni italiane apriranno le scuole. Alcune regioni prorogano l’inizio. Dove si apre, dopo qualche giorno si richiudono per il referendum, regionali e comunali. E poi al via con la disinfestazione, che ha dei costi. Mancano ancora insegnanti e di fatto molte scuole faticheranno a riaprire. Posticiparne l’inizio in tutta Italia avrebbe rappresentato minor costi e qualche giorno in più per il reclutamento. Altrimenti, invece che usare le scuole per la consultazione, dal momento che abbiamo usato allestito ospedali da campo nei parcheggi per curare i malati di Coronavirsus, perchè non fare lo stesso per le elezioni? Si potrebbero benissimo allestire tendoni in modo da evitare di occupare le scuole, o optare per altri edifici pubblici. Possibile che nessuno ci abbia pensato?
Massì, Ivano con l’aria (si fa per dire!) che tira, aprire, richiudere, votare, disinfettare, riaprire, per un referendum si/no il cui risultato, oramai (come accade sempre nel buffo stivale), assume significati totalmente diversi da quelli della domanda referendaria in se e per se, ce lo potevamo proprio risparmiare!
Ma oggidì, per ….. “li taglia”, un …. “ricostituente” può fare pure bene!!!
Interessante, Ivano.
Ci saranno motivi che rendono necessario l’utilizzo delle scuole, proprio delle scuole e non di altri luoghi pubblici o privati, per queste elezioni oppure si fa così perché non si è nemmeno pensato a un’alternativa?
Davvero interessante. Soprattutto il tuo accenno ai tendoni (dell’esercito, della protezione civile, della croce rossa, del decathlon, della bocciofila), sia pur presidiati e allestiti opportunamente, fa riflettere.
O fa troppo terzo mondo? In TV si vota in tenda in certi postacci. Forse non è molto figo. O che cos’altro?
Non fa nemmeno freddo (si sa, in tenda …), anzi, fa ancora un caldo becco.
Chissà, magari esiste un regolamento, una circolare, una grida che impedisce l’uso dei tendoni per votarci dentro. Bisognerebbe chiedere a qualche consulta.
E forse cambiare questa disposizione, qualora ci fosse (la nostra normativa è una miniera di scoperte), innescherebbe polemiche politiche irrisolvibili.
Mah. Chissà.
Giusto Pietro, magari c’ è un regolamento, ma credo che non sarebbe molto diverso dalle “rime buccali”. Chissà chi cazzo scrive le nostre leggi o regolamenti.
Ho ricevuto questa articolata, documentata, ragionata assai, riflessione da parte del “magister” Piero Carelli ed ho ritenuto portarla all’attenzione dei bloggers proprio per la ricchezza di apporti che ci può dare a sostegno del banale SI/NO ( a dire il vero io era proprio sul “SO” che avevo impostato il post (ops!)):
“REFERENDUM SUL TAGLIO DEI PARLAMENTARI:
ALLA RICERCA DELLE RAGIONI DE SÌ E DELLE RAGIONI DEL NO
Gli argomenti fuorvianti
Una metafora efficace quella evocata, a proposito del referendum, dal costituzionalista Gustavo Zagrebelsky: l’asino di Buridano.
Una metafora del tutto inattuale oggi perché nessuno si prende la briga di valutare i due… mucchi di fieno per poi decidere?
Non lo so. Io, comunque, ci provo. E ci provo pur sapendo che è un’impresa ardua e rischio di fare la fine dell’asino in questione.
Una premessa metodologica, a mio avviso fondamentale: il referendum è troppo importante (è l’unico strumento che consente al popolo sovrano di decidere su una “legge” e, in questo caso, addirittura su una legge costituzionale) per essere piegato a giochi politici.
Non è fuorviante, invece che entrare nel merito del quesito referendario, schierarci a favore o contro i Cinque Stelle? Siamo caduti nella trappola al tempo di Berlusconi prima, e di Renzi dopo: perseverare in errorem non è diabolicum?
Potremmo considerare i pentastellati come un movimento populista, demagogico, un movimento che ha fatto della battaglia alla Casta la propria bandiera. Potremmo ironizzare sulle “sceneggiate come tagliare poltrone di carta in piazza” (Spataro), ma che cosa c’entra tutto questo col testo in questione? Che cosa c’entra l’argomento secondo cui “la vittoria del sì gonfierebbe le vele dei populisti” (Molinari)?
Non è fuorviante votare SÌ in omaggio a un accordo di governo? La Costituzione non ha un valore che va ben oltre le contingenze politiche? I governi passano, ma la Costituzione è destinata a rimanere anche per le prossime generazioni.
Non è fuorviante votare NO perché altrimenti significherebbe delegittimare il parlamento che ha votato il taglio del numero dei parlamentari a maggioranza bulgara? Come? Il popolo sovrano può mandare a casa una maggioranza governativa e non può bocciare una maggioranza bulgara?
Non è fuorviante votare NO perché il taglio del numero dei parlamentari non si inserisce in una riforma organica (legge elettorale e modifiche ai regolamenti parlamentari)? Ma…, se dovessero vincere i NO (un’ipotesi, al momento, irrealistica), non dovremmo tornare a cambiare una legge e i regolamenti appena approvati?
Argomenti, faziosi, devianti.
Un’operazione impossibile separare le passioni politiche dal testo referendario?
Difficile sì, ma non impossibile. Non tocca a noi, popolo sovrano, dimostrare la nostra maturità, anche dissentendo dai nostri partiti di riferimento?
Tra “poltrone” e “caffè”
Libero (o mi illudo?) da quelli che Bacone avrebbe chiamato gli “idola”, lontano dai politici di professione, lontano pure dalle tifoserie dei giornali che hanno sposato la Causa del SÌ o del NO, provo a entrare nel merito, a partire dall’argomento più noto: il risparmio.
Quale l’entità? Le stime dei “tecnici” sono differenti: si va dai 57 milioni di euro l’anno secondo i calcoli di Carlo Cottarelli agli 80 milioni valutati da Roberto Perotti e Tito Boeri.
Un’inezia? Se la confrontiamo col debito pubblico (oltre 2.500 miliardi di euro), sì: l’equivalente, secondo l’ironia di Cottarelli, a un caffè all’anno per ogni italiano.
Un’inezia che tuttavia ha un’enorme valenza simbolica (il taglio di 345 “poltrone”), tanto più oggi al tempo del Covid che ha provocato tanta sofferenza e tanta rabbia.
Un argomento forte? Leggo che alcuni esponenti di primo piano dei Cinque Stelle non lo considerano affatto l’argomento principale.
Convengo. Del resto, se fosse così grande l’esigenza di risparmiare denaro pubblico, perché non si è deciso di dimezzare i compensi dei parlamentari senza sacrificare la rappresentanza?
Una cosa credo sia certa: il taglio di “privilegi” ha una presa sull’opinione pubblica che va ben oltre l’entità del risparmio.
Siamo di fronte al frutto di una più che decennale campagna martellante anti-Casta condotta ad arte dai pentastellati per rastrellare voti? In qualche misura sì, ma il parlamento con i suoi assenteisti dal doppio lavoro e con i suoi mille benefit non ha anch’esso contributo in modo determinante ad alimentare un diffuso risentimento contro la Casta stessa?
Un dilemma: qui in questione è un taglio di “privilegi”, oppure un taglio funzionale a un parlamento più efficiente, capace quindi di generare ulteriori risparmi?
L’anomalia di un parlamento che lavora troppo e decide poco
Terza tappa. È qui che la strada inizia a salire. È qui che ci sarebbe il grande guadagno che il SÌ promette: il taglio del numero dei parlamentari renderà il parlamento più efficiente, quindi più funzionale al suo compito istituzionale.
Non si tratta, quindi, di una misura anti-parlamentare (anti-Casta) perché, invece che penalizzare il parlamento, ne esalta il ruolo. Come del resto esalta il ruolo dei singoli parlamentari che non potranno più nascondersi dentro la massa e, di conseguenza, saranno più responsabilizzati.
Tutto vero? In linea di principio, sì. Così Roberto Perotti e Tito Boeri: “Le assemblee troppo grandi non funzionano bene, sia perché il singolo parlamentare si sente troppo insignificante per incidere e perde interesse a partecipare, sia perché è più facile nascondersi e approfittare del lavoro degli altri”. Non a caso “nella passata legislatura il 40% dei deputati e il 30% dei senatori ha disertato più di un terzo delle votazioni”.
Vale la pena, però, scavare un po’. I parlamentari svolgono gran parte della loro attività nelle commissioni in cui non ci sono i grandi numeri e in cui i singoli parlamentari, anche coloro che non sono oggetto dell’attenzione dei mass-media, svolgono nell’ombra un lavoro prezioso.
Un obiezione: fino al 1963 la Camera era costituita da 572 deputati e il Senato da 237 senatori e il parlamento non funzionava peggio di oggi.
Un argomento forte? Forse no: oggi le Camere non hanno da gestire una mole di lavoro di gran lunga superiore a quella di sessant’anni fa?
Ma si tratta davvero di una mole di lavoro del tutto impossibile da svolgere con 345 parlamentari in meno?
Forse no per la Camera. Lo riconosce lo stesso Luciano Violante schierato per il NO: “la riduzione del numero dei deputati da 630 a 400 è ragionevole”. Quello che invece non è ragionevole è ridurre i senatori a 200, stante il bicameralismo paritario, perché 200 senatori dovrebbero svolgere il lavoro di 400 deputati.
È questo, credo, il nodo dei nodi. Senza il potere legislativo, il Senato avrebbe bisogno di un numero addirittura inferiore di parlamentari: non ne basterebbero 100 o anche di meno?
Sabino Cassese (forse il maggiore esperto in Italia di questi problemi) scrive che “il parlamento lavora molto, ma decide poco”.
Non è questo, allora, invece che il taglio, il problema dei problemi per ridare dignità al parlamento?
E gli assenteisti? Vengano obbligati, per regolamento, a scegliere: aut aut. O no?
Alla ricerca del rapporto ‘giusto’ tra elettori ed eletti
Un risparmio significativo da non sottovalutare (così Perotti e Boeri: “nella recessione più grave del dopoguerra è doveroso dare un segnale di condivisione se si vuole evitare una ulteriore disaffezione dalla politica”).
Una maggiore efficienza del parlamento e una più forte responsabilizzazione dei singoli parlamentari.
Un allineamento sostanziale, infine, col numero dei parlamentari dei partner europei più simili a noi.
Questo, fondamentalmente, è quanto ci promette lo schieramento del SÌ.
Ho già affrontato (spero con equilibrio) le ragioni contrapposte dei primi due temi. Provo ora a cimentarmi con la questione tutt’altro che semplice della rappresentanza democratica.
Che cosa ci dicono i numeri? Se consideriamo i Paesi europei che registrano due Camere con funzioni legislative rilevanti, noi siamo sovradimensionati: abbiamo 116 parlamentari in più (Cottarelli).
Siamo sovradimensionati anche se confrontiamo i numeri delle Camere basse: abbiamo 1 deputato ogni 100.000 abitanti contro lo 0,9 di Francia, Germania, Gran Bretagna e lo 0,8 della Spagna. Sono questi gli unici dati omogenei. Per nulla confrontabili, invece, sono i numeri delle Camere Alte perché abbiamo a che vedere con Assemblee molto diverse tra loro: si va dai 69 membri del Bundesrat ai 100 della Polonia (dove vige un bicameralismo differenziato) ai 348 della Francia fino ai 792 della Camera dei Lords di nomina regia.
Che cosa accadrà dopo il taglio? Saremo sottodimensionati: avremo un deputato su 150.210 (con un rapporto di 0,7) contro i 116 della Francia, i 117.000 della Germania e i 134.000 della Spagna.
Ancora di più lo saremo se teniamo presenti anche i Paesi europei che hanno una popolazione significativamente inferiore alla nostra.
Ma… è corretto misurarci con i 3,1 della Danimarca, i 3,4 della Svezia, il 7,7 della Estonia, il 10 del Lussemburgo e il 14,3 di Malta? Non serve solo allo schieramento del NO per sottolineare che noi siamo all’ultimo posto in Europa?
È il caso di ricordare che in Francia, che si distingue da noi per lo 0,2%, è in fase di discussione un’analoga riduzione del numero dei parlamentari.
Raggiungeremo un sostanziale allineamento con i Paesi europei più simili a noi, oppure siamo in presenza di un vero e proprio vulnus per la democrazia?
Così il costituzionalista Gustavo Zagrebelsky a proposito del rapporto tra elettori ed eletti: “non esiste un rapporto ‘giusto’. Può variare a seconda dell’impegno dell’eletto, degli strumenti di comunicazione che gli si mettono a disposizione e, dall’altra parte, dalla capacità degli elettori, singoli o organizzati attraverso associazioni, partiti, sindacati, di far sentire la propria voce”.
Il problematico rapporto tra “testo” e “contesto”
Ho provato (non so se sia riuscito) a liberarmi dagli slogan, dalle semplificazioni, dalla demonizzazione di chi la pensa diversamente. La mia impressione? Solo chi si rifiuta di vedere (non oso dire chi è in malafede) non riesce a cogliere le buone ragioni degli uni e degli altri. Per questo faccio fatica a capire chi – anche uomini di cultura – usa tutte le armi dialettiche per delegittimare l’avversario.
Non sono quantomeno sopra le righe Luciano Canfora quando parla della “più stupida, volgare e demagogica delle riforme” e Armando Spataro che grida contro le “bufale colossali” dei promotori del SÌ?
E non sono quantomeno odiose le liste di proscrizione scritte da alcuni fautori del SÌ?
Sono ora nelle condizioni dell’asino di Buridano? Per nulla: mi sento più libero e questo è un guadagno immenso. Un guadagno immenso l’avere messo in discussione la mia convinzione originaria.
Ora, però, devo evitare il rischio di fare la fine dell’asino di filosofica memoria: quale mucchio di fieno scegliere?
Manca ancora qualcosa per avere il quadro sufficientemente chiaro. Non siamo di fronte a una misura che avrebbe come effetto quello di “una brusca restrizione del pluralismo” favorendo “le grandi formazioni e i grandi territori” provocando la “scomparsa di fatto di partiti e movimenti minori” e scoraggiando “la nascita di nuove formazioni” (Gaetano Silvestri, ex presidente della Consulta)?
Il rischio c’è ed è per questo che il taglio, secondo le intenzioni dello schieramento del SÌ, è solo un primo passo per poi varare una legge elettorale che rimuova detto rischio e per apportare modifiche ai regolamenti parlamentari. Il testo del referendum, cioè, dovrà essere integrato dal un “contesto” per evitare i danni collaterali del taglio lineare.
Ma qui sorge un problema che ne genera a sua volta altri: la mancanza del contesto di supporto (ormai i tempi sono scaduti) è un motivo sufficiente per votare NO, oppure il SÌ è proprio l’unico modo per spronare il parlamento a varare, appunto, le riforme in questione?
È sufficiente la maggioranza bulgara che ha votato il taglio in parlamento (o un accordo di governo) a fungere da garanzia che tali riforme saranno approvate o è legittimo, con l’aria che tira, il sospetto?
E ancora: il SÌ è uno stimolo o un ostacolo al superamento del bicamenralismo paritario che pare sia l’unica via per rendere il parlamento all’altezza del nostro tempo?
Il colpo di grazia
Un dato è certo: il “contesto” è complesso, mentre il “testo” è semplice. Semplicissimo: una domanda secca. Un guadagno per i cittadini che non vengono chiamati a rispondere a un quesito… omnibus, a una “enciclopedia” (come la chiama il costituzionalista Michele Ainis), a una maxi-riforma che riscrive decine di articoli della Costituzione, ma puntuale, comprensibile a tutti. Il “metodo”, quindi, è quello giusto, il più rispondente al dettato costituzionale.
Il “merito”? Se ora siamo sovradimensionati rispetto alla media dei Paesi europei a noi simili, domani saremo leggermente sottodimensionati (ricordo ancora che in Francia è in fase avanzata la proposta di ridurre i deputati da 577 a 404).
Il testo, poi, non fa che riprendere gli stessi numeri (giusto 400 e 200) della bozza della Bicamerale De Mita-Iotti del 1993 quando il populismo non si vedeva ancora all’orizzonte.
Conta più la “qualità” della “quantità”? Senza dubbio. La riduzione della “quantità” non garantisce affatto il miglioramento della “qualità”: non è escluso, tuttavia, che essendo di meno i posti in parlamento, siano selezionati i migliori, come non è escluso il contrario, che cioè ad essere selezionati siano i più… fedeli alle segreterie dei partiti.
È il “contesto”, ripeto, che è complesso. Il testo (di una semplicità disarmante) richiede di essere integrato da un pacchetto di riforme che ne rimuova i… danni collaterali (il rischio, ad esempio, che nelle regioni più piccole come il Molise e la Basilicata spariscano le rappresentanze delle minoranze).
È questo che mi preoccupa: non solo il testo, così com’è, è destinato a generare danni collaterali, ma la stessa legge elettorale che mira a rimuovere detti danni potrebbe costituire un danno ancora peggiore.
Una domanda è legittima: non stiamo ripiombando, con una nuova legge ancora più proporzionale del Rosatellum (seppure con una soglia di sbarramento alla tedesca), alla prima Repubblica, spazzando via definitivamente un sistema – il Mattarellum – che bene o male ha assicurato l’alternanza al governo?
Non è questo il… venenum che troviamo in cauda alla… semplice domanda che ci pone il referendum?
So bene di avventurarmi su un terreno scivoloso e di una complessità enorme.
So bene che il sistema elettorale maggioritario, di per sé, non è la panacea di tutti i mali (l’ingovernabilità, in primo luogo), non assicura la formazione di due grandi schieramenti (i 5 Stelle ne sono una testimonianza plastica) e non vieta neppure a una minoranza nel Paese di diventare maggioranza in parlamento (è accaduto con Trump e con Bush jr negli States e in Francia con l’elezione di Macron – al 30% al primo turno).
Ma dare il colpo di grazia al maggioritario “temperato” (dopo quello inferto dal Rosatellum) non rappresenta la volontà di fotografare la frammentazione dell’esistente e la rinuncia a costruire una democrazia che consenta ai cittadini il potere di scegliere chi governa?
In un’epoca in cui saremo chiamati a decisioni strategiche per la “next generation”, in cui cioè dovremmo essere il più possibile uniti, abbiamo proprio bisogno di una legge che esalta la frammentazione e il potere di ricatto delle formazioni politiche minori?
Cercando di superare l’estraniamento del …..quasi commento a me stesso!
“Padron Piero”, hai concluso la tua ponderatissima disamina sulle “Ragioni del SI e del NO” al quesito referendario, puntando il vero “core” della questione (che, pur nella mia pochezza argomentativa, mi ero permesso centrare anch’io): il problema vero, da subito è la nuova Legge elettorale che il Parlamento dovrà approvare (nel caso di vittoria del SI, che davvero mi auguro; pensare di mantenere la attuale in caso di vittoria del NO, mi parrebbe davvero demenziale!) e, da subito dopo, tutto un pacchetto di aggiustamenti che ne garantiscano il corretto funzionamento in modo migliorativo rispetto alla davvero scarsissima ….”produttività” della situazione in atto!
Io dico che il nostro Parlamento nei decenni ha espresso personalità, purtroppo grazie alle vicende precedenti, che difficilmente in un’epoca culturale come la nostra troveranno degni emuli. Cosa ci volete fare, sono un conservatore. Difficilmente Di Maio sarà annoverato tra i nuovi neocostituenti. E non é neppure questione di legge elettorale, se non nel male. Un potere più diretto agli elettori potrebbe rivelarsi un disastro ben peggiore della situazione attuale. Dai partiti forse qualche nome potrebbe eccellere, dalle piattaforme social al massimo un Di Battista o un Toninelli. Buon referendum.
Perché Piero pubblica per il tramite della redazione? Un tempo avrebbe inviato direttamente. É stato sollecitato? Se così fosse il suo intervento, magari utile allla causa, sarebbe un’estorsione o un’elemosina. Tanto varrebbe dirottarci tutti su Facebook e chiudere.
Ivano, Facebook è aperto e accogliente a/per tutti, per definizione!
Ho già espresso la mia opinione su come può funzionare un blog cremasco, di una realtà piccola che non riesce e mai c’è riuscita, ad intercettare, a dar voce ai quaranta e oltre comuni che ruotano intorno al borgo di Crema. Piacciono le notizie spicciole, utili, il vetro spaccato, la spazzatura accumulata e il degrado di una strada, la vecchietta buttata giù dalle scale che era la mamma di un farmacista, con tanti parenti conosciuti da anni nel via vai dello struscio. Oppure la bagarre politica con interventi pure deliranti, che tanto piacciono perchè scatenano la rissa; oppure ancora, la voce di qualcuno che porta peso culturale ed è ascoltato, come può essere Piero Carelli, persona seria, onesta, umile, certamente seguita. Tutto lo sforzo di Francesco Torrisi, di Adriano Tango, l’apertura verso qualunque tema, non basta, per un blog. C’è chi legge ma sta moscio; ma non mi sorprende, Crema è così da sempre: ha i suoi giri deputati, le sue piccole conventicole. Forse le mie critiche, la mia polemica, per esempio verso i piccoli borghi che considero scadenti culturalmente, vanno di traverso e non aiutano la discussione. Bisognerebbe fare come un muratore del cremasco che ho conosciuto. Aveva una collezione di pittori solo cremaschi – non acquistava pittori lodigiani o del piacentino -, ne andava orgoglioso della sua collezione tutta cremasca, che comprendeva anche pittori castelleonesi (in dubbio se chiamarli cremaschi), ma non era un esperto, lo ammetteva lui stesso, ma amava, forse, circondarsi da artisti, o presunti tali, del suo territorio. Con quelle tele si sentiva a casa. Forse ci parlava, anche in dialetto, chissà. Seguire il suo esempio, forse porterebbe qualche commentatore in più. Come ho sempre detto, e scritto, la gente dei piccoli centri è spesso permalosa, anche frustrata, e ha un’idea molto parrocchiale della cultura generale. A meno che viene qualcuno di famoso da fuori, dalle cittadone, allora lo si ascolta. E così, da cremasco nato e per sempre cremasco ovunque vada, sono abituato alle porte in faccia, alle diffidenze, alle miserie culturali di Crema e dei suoi quaranta o cinquanta borghi all’intorno. Se c’è stata un’età più fertile culturalmente, nel cremasco, nel “piccolo è bello” mi è sfuggita. Per me, Crema e il cremasco, come tantissimi altri piccoli centri (ma ci sono eccezioni), è questa roba qui. Per aiutare la faccenda stacco la spina. Magari questo aiuta. Grazie a tutti.
“Per aiutare la faccenda stacco la spina”, difficile da capire, almeno per me, Marino!
Francesco, grazie per l’invito, ma non seguirò il tuo consiglio. Facebook, al quale non sono iscritto, non mi piace neanche un po’.
Mi spiace davvero, Ivano che tu abbia colto il mio commento come un invito, non lo era e tanto meno un consiglio.. Non era affatto la mia intenzione, anzi! Fb è un oceano in cui si riversa di tutto e non è certo il genere di ….interlocuzione creativa che mi interessa. Lo spirito al quale ho cercato di ispirarmi in questi anni di CremAscolta non ha proprio niente a che vedere con il grande pastrugno commercial/gossipparo di Fb!
Il mio, Ivano, è un lungo percorso che ho fatto come un dovere civico. So bene che non tutti i cittadini hanno il tempo (o il.. buon tempo?) di esplorare le ragioni del sì e le ragioni del no, oltre gli slogan, oltre le semplificazioni propagandistiche. Io ci ho provato e ne ho tratto un grande vantaggio: ho messo radicalmente in discussione me stesso.
Concordo, Franco: le riforme di contesto vanno fatte dopo la probabile vittoria del sì. La cosa che dispiace è di vedere i tuoi principali sponsor del governo che non sono d’accordo sul superamento del bicameralismo (un superamento che, naturalmente, richiederebbe un’altra modifica alla Costituzione.
Quello che davvero dispiace, al fondo, carissimo Piero è il toccare con mano, ancora una volta, in questa occasione referendaria, come la stragrande maggioranza di coloro (insulsamente troppi!) che siedono nei banchi del Parlamento, siano maggiormente dediti al “piccolo cabotaggio” della politica del concreto, spendibile subito, vantaggio di “bottega” (quand’anche non personal/famigliare), di partito, di consorteria, piuttosto che al perseguimento di obiettivi davvero “politici” che traguardino gli interessi del Paese per il perseguimento dei quali hanno ricevuto mandato tramite elezioni democratiche.
Siamo proprio al “salviamo il salvabile” e a ciò ritengo si potrà ispirare la nostra scelta referendaria.
Caro Piero, non hai colto lo spirito del mio commento teso solo ad esprimere il mio rammarico per la tua scomparsa da Cremascolta, preferendo evidentemente altri canali. Volevo solo dire che forse è stata una forzatura quella di Francesco a pubblicarti tramite richiesta. Ognuno scrive dove vuole. Tutto qui. Nel merito quello che hai scritto credo possa servire a tutti e quindi ben venga, ma se il tuo intervento non fosse stato pubblicato anche qui io non avrei avuto occasione di leggerti.
Ivano: “….. forse è stata una forzatura quella di Francesco a pubblicarti tramite richiesta”.
Mi spieghi cosa vuoi dire? Cosa significa “pubblicarti tramite richiesta”? Sarò limitato, ma non capisco.
Riporto, per capirci, di seguito l’incipit inserito da me in testa all’ottima riflessione di Piero Carelli:
“Ho ricevuto questa articolata, documentata, ragionata assai, riflessione da parte del “magister” Piero Carelli ed ho ritenuto portarla all’attenzione dei bloggers proprio per la ricchezza di apporti che ci può dare a sostegno del banale SI/NO ( a dire il vero io era proprio sul “SO” che avevo impostato il post (ops!))
Più chiaro, lineare di così? O no!
Francesco, cerco di essere chiaro. Mi sono solo chiesto come mai Piero non avesse pubblicato sua sponte, come un tempo, o sotto forma di post o commento ad altro, piuttosto che passare per la Redazione. Da qui la mia deduzione che preferisca scrivere altrove.
Ok Ivano, grazie della spiega, circa la tua ….. deduzione (che resta solo tua, neh!).
Ok, e poi basta. Non hai risposto alla mia domanda: “mi sono chiesto…” sul mio sospetto di riciclo
Mi spiace non poterti essere d’aiuto, Ivano, ma ti ho spiegato più volte come il pezzo di Piero sia pervenuto sul blog e della locuzione, “sospetto di riciclo” da te usata, non riesco nemmeno a capire il significato nella fattispecie.
Ivano Piero ha passato a Franco e a me i suoi “appunti” in contemporanea. Niente di più. Non si possono avere amici più stretti di altri? Piero interviene periodicamente in discussione, è sempre il nostro primo ideologo. Certo, ci possono essere periodi in cui non si vuole avere il dovere poi di rispondere a tutte le obiezioni come avviene per i firmatari, comprensibile voglia di piena nonnitudine, altri impegni…
D’altra parte sai che dietro quanto avviene all’evidenza del post c’è sempre un carteggio fra molti di noi. Pima o poi potrei chidere anche a te l’autorizzazione a esporre una nostra conversazione privata!
Ti ringrazio, Piero, per questo tuo scritto così interessante.
Il mio Brondi non mi concede troppe avventure informatiche, limitandosi alla fonia e alla sveglia, per cui mi sarei perso il tuo testo, che, se ho ben capito, hai pubblicato su facebook.
Grazie anche a Francesco per la sua riproposizione su questo blog, che è accessibile anche dai vecchi computer come il mio.
Ottima disamina, Piero. Complimenti.
Coraggiose le tue affermazioni sul bicameralismo. E sul maggioritario. E su molto altro ancora.
L’opposto di tanto populismo politico, demagogismo parlamentare, panciafichismo partitico.
Purtroppo, da quanto si sente, ammesso e non concesso che dopo il referendum si metta mano al sistema elettorale, il bicameralismo perfetto e il proporzionale sempre più esteso continueranno, insieme al blocco del voto di preferenza (il principale “vulnus” alla rappresentanza popolare), ad essere il lasciapassare per tutti gli abusi e i privilegi dell’attuale partitocrazia.
Ma questo ormai l’abbiamo capito in tanti.
Grazie ancora.
Grazie, amici, per la vostra attenzione fin troppo generosa (non la merito).
Sto facendo, Ivano, un esperimento: toccare con mano, alla mia veneranda età, il mondo dei social (su Instagram ogni giorno pubblico una riflessione pensando sempre al… tempo del Covid, mentre su Facebook pubblico testi più corposi: il testo che Franco ha avuto la cortesia di pubblicare su CremAscolta altro non è, a parte qualche ritocco, che le sei riflessioni che ho postato su Fb).
Ripeto: sto sperimentando e non è affatto detto che ci rimanga (per molti aspetti CremAscolta è uno strumento migliore: trovo un confronto più serrato e non ho alcuna difficoltà a trovare… visibilità che, su Fb, è invece un rebus). La cosa bella è che i social non solo allarga il giro di “amici”, ma consente di cercare e di prendere contatti con tante persone (anche molti miei ex allievi).
Nel merito delle mie considerazioni. Mi hanno fatto molto bene: se non avessi scavato, al di là degli slogan ad effetto, oggi non avrei le idee chiare (o più oscure?) di prima.
Un’osservazione mi pare opportuno sottolineare: ho paura che la riforma elettorale che dovrà rimuovere le distorsioni del taglio lineare dei parlamentari segni la fine definitiva della stagione segnata dal maggioritario corretto con una quota proporzionale), togliendo quindi agli elettori il diritto/potere di scegliere il governo. Col proporzionale, pure corretto dalla soglia di sbarramento, i governi si formeranno in parlamento e avremo dei matrimoni… innaturali come i governi giallo-verde e giallo-rosso. E questo è il più grosso neo che trovo. Meglio dei governi frutto di alleanze elettorali (tra forze politiche sostanzialmente omogenee, come ad esempio il Centro-destra) o dei governi… innaturali, anche al fine della efficienza?
Non ho espresso pareri fin’ora, ma, impreparato ad affrontare il tema dal punto di vista politico, ne vorrei sottolineare quello emotivo. Se è pur vero che un vecchio proverbio recita: “E pur di far novità Gesù finì sulla croce”, il senso è chiaro, vero? Fa il paio col re Travicello e altro, dicevo, non possiamo ignorare il sentito dei pochi che potrebbero aver seguito la diatriba nei suoi quarant’anni di insuccessi della riforma e dei tanti che gli anni non li hanno contati.
A parte il mo innato ottimismo, che conta proprio sul fatto che dopo le riforme ci saranno, una valvola di sicurezza per la voglia di svolte del popolo non mi sembra sia da trascurare, e anche al contempo un segnale di dinamicità per l’Europa. Blasfemo pensare di andare a picconare la nostra invidiatissima Costituzione per un prurito popolare? Forse, ma al toro urge una mantiglia! Ripeto, mi limito all’emotività che acomapgnerà la decisione
Proseguo nell’ambito della tua metafora, Adriano brother, dici “al toro urge una mantiglia”, ma quando il torero smette con crudele elganza di toreare, evolve in “matador” e il toro lo uccide, e l’arena, in delirio, chiede a lui che il toro l’ha trafitto e “matato”, di tagliargli un orecchio, dedicando la morte a ……. !
Non amo proseguire in questa metafora che si basa su crudeli riti tribali che una società evoluta socialmente, civilmente, come dovrebbe/potrebbe essere la nostra, dovrebbe, in una fase evoluta, aver superato!
Infelice paragone il mio!
Caro Piero, condivido questa tua “paura”. Si va infatti nella direzione della sempre più completa “appropriazione indebita” del sistema elettorale da parte dei partiti, che continuano ad agire nella loro logica accaparratoria, sia pure tra esibite baruffe e ostentati bisticci, per ampliare la propria area di influenza clientelare e parassitaria.
Dopo la riforma del 2017, applicata dal 2018 (è odioso usare queste locuzioni, tuttavia, per intenderci, è il famigerato “Rosatellum-bis”), già non c’era più un “maggioritario corretto con una quota proporzionale” ma il contrario, cioè un sistema proporzionale al 67% con lo schiacciamento della “correzione maggioritaria” al 31%. Adesso, sempre qualora si faccia qualcosa dopo questo referendum inventato per attirare la gente sui dettagli e per distoglierla dai veri mali del nostro sistema elettorale, si farà probabilmente un altro passo verso il proporzionale più o meno completo, vero strumento spartitorio dei poteri parlamentari tra i partiti.
La supposta carenza di rappresentatività del maggioritario, intanto, è sempre più declamata dai malcelati autori dell’abolizione del voto di preferenza, nonostante le reiterate censure della corte costituzionale. Non abbiamo soltanto i “cazzari del virus”, per dirla con Andrea Scanzi (mi scuso per l’espressione piuttosto volgarotta ma è il titolo del libro), ma anche i “cazzari del sistema elettorale”, che pontificano sulla rappresentatività e intanto si fregano le mani per poter piazzare in parlamento i loro picchiatimbri, proprio grazie al blocco del voto di preferenza, alla proibizione del voto disgiunto e, per dare un poco di greppia pure ai piccoletti, anche grazie alla risibile soglia di sbarramento del 3%.
Si tratta palesemente di un sistema che, oltre le esteriori distinzioni di facciata, accomuna un’intere classe partitica nella difesa dei propri interessi corporativi, di natura economica e clientelare.
E a chi lancia accuse di antipolitica, si ricordi che gli antipolitici più pregiudizievoli per la politica italiana sono proprio molti girascartoffie di partito, rimpannucciati nella più impunita struttura parassitaria dello Stato.
Anche per questo, dargli una sforbiciata non risolve granché ma, almeno, una “sberla” politica può fargliela arrivare. (Magra consolazione).
Ovviamente, il 67% e il 31%, sommati, non arrivano al 100%. Il restante 2% si riferisce al voto degli italiani all’estero.
Raga, “andiamoci piano” con l’evocazione del 3%!
In tempi di “prima repubblica” io ci ho militato con convinzione in un partito da 3%!
Il glorioso PRI di Ugo LaMalfa (il padre è, il figlio …..lasciamo perdere! e prima che Mammì, che si definiva “di sinsitra”, regalasse le TV a B!), quel PRI che espresse un Presidentone del calibro di Giovannone Spadolini, che quando lo superavamo di uno ….zerovirgola, il 3%, era una gran vittoria!
Ho una stima notevole, Francesco, di quel “vecchio” PRI. Come del Partito d’Azione. Come di altre formazioni del tempo che fu, spesso in lotta sul filo del 3%. E fai bene a distinguere Ugo La Malfa e Giovanni Spadolini da Giorgio La Malfa, Oscar Mammì, Denis Verdini e altri ancora.
Ma è la “Galleria degli Antenati” (in inglese, “The Gallery of the Dead” è un po’ più diretto).
Comunque, a proposito del PRI di allora, non posso che rimettermi alla tua conoscenza ed esperienza diretta. Ci mancherebbe. Una cosa è averne sentito parlare da fuori e un’altra cosa è averci militato da dentro.
Storicamente, mi pare che si tratti di una eccezione politica, qui in Italia, significativa ma abbastanza isolata. Fin dai tempi di Mazzini, Cattaneo e via dicendo. I “pochi migliori” rispetto ai “tanti peggiori” fanno parte di un’epoca politica passata e molto diversa dall’attuale. Nel senso che mancano quei “pochi migliori”, ovviamente.
Onore al PRI, dunque, ma hai visto l’elenco attuale dei partitini italiani in cerca di rassicurazione elettorale, politica e quindi di sopravvivenza? Hai visto chi li guida, rappresenta e gestisce? Non certo dei La Malfa o degli Spadolini.
Per non parlare di quelli che il 3% se lo sognano ma devono fare carte false e ammucchiarsi alla rinfusa per ottenere un qualche scampolo di rappresentatività. Ormai, sotto la foglia di fico della rappresentatività, abbiamo in Italia una dispersione spartitoria di poltroncine, seggioline e sgabellini nazionali, regionali e persino (ancora) provinciali incredibile.
Onore al PRI, certo, come ai rarissimi esempi dei pochi “buoni” contro i molti “cattivi”. E tra i cattivi di oggi c’è solo l’imbarazzo della scelta.
Come vanno onorati gli spartani alle Termopili, i texani ad Alamo, i parigini della Commune.
(Ma devono sempre vincere i cattivi?).
No, non sempre Pietro; così anche per fare un pò il Cicero pro domo …., illo tempore io sono stato eletto per due volte in Consiglio Comunale presentandomi in una lista PRI, quella dell’edera, senza apparentamenti, a Crema e (allora si facevano le coalizioni poi, andando in delegazione su per …. “le antiche scale” della sede della DC, in via Matteotti) sono stato Assessore Istruzione, Cultura, Sport (alla cultura, in verità …..”sotto tutela” del Notaio Presidente , perchè i DC si erano inventati il CCSA nel timore che volessi emulare Nicolini!!!!).
Non so se potevo essere annoverato tra i “buoni”, allora, certo non tra i “cattivi”!
Vorrei precisare, Francesco, che non intendevo ascrivere certe importanti esperienze politiche repubblicane solamente all’epoca del “RIP e così sia”. Volevo solo far presente che oggi Spadolini avrebbe quasi cent’anni e La Malfa quasi centoventi. E che il PRI fu spesso, da quello che ho letto dal di fuori e che è certamente nulla rispetto a ciò che tu hai vissuto dal di dentro, una eccezione rara, veramente molto rara e (per me) davvero apprezzabile di partito molto piccolo e molto intelligente, tra colossi molto grossi e molto (necessariamente) mediocri. A livello nazionale e anche locale. Ma un’eccezione.
Ad esempio, approfondendo le vicende dell’immediato dopoguerra cremasco, colpisce che esponenti di spicco del PRI di allora siano stati quasi ignorati dalla successiva storiografia locale a favore dei “soliti noti” e che persino “partigiani combattenti” ex- art. 7 oppure “patrioti” (il gradino successivo,in quegli elenchi regionali ufficiali) siano stati quasi passati sotto silenzio rispetto ai “soliti” di cui sopra. Insomma, parliamo di un partito che fu, per dimensioni e per molto altro, un’eccezione alla regola, per di più scomoda e, con molto zelo di partito, da rimuovere. Comunque, un’eccezione.
E questa è la mia risposta sul 3%, che a mio modesto avviso andrebbe portato, oggigiorno, come minimo al 5%.
Quanto invece, Francesco, alle tue attività e iniziative politiche locali più dirette e personali, in particolare tra il 1975 e il 1980, però ovviamente non solo in quel lustro, immagino tu sappia di essere ormai sui testi di storia locale. Per cui, credo che i cremaschi interessati a quel periodo e a quelle vicende, possano senz’altro avere a disposizione molte informazioni di sicuro interesse per potere apprezzare e riconoscere il tuo ruolo, la tua azione e i tuoi risultati come esponente così meritevole di quel così meritevole partito. La cui fine ha lasciato un vuoto politico significativo, a livello sia nazionale che locale, di cui oggi molti laici progressisti e innovatori, ma non bianco-rossi o giallo-rossi o giallo-verdi o azzurro-verdi o vattelapesca, sentono la mancanza, proprio in termini di rappresentatività (tanto per tornare a questo mantra lessicale, visto che ormai tale parola sta assumendo connotati politico-taumaturgici intesi a curare l’incurabile malaffare dei partiti attuali).
Laici, progressisti, innovatori, rappresentatività, temo proprio che oggidi, brandendo queste ….”parole d’ordine”
, il 5% ( ma nemmeno il mio vecchio 3%!) resterebbe una chimera irraggiungibile, caro Pietro!
Chissà che la nostra azione educata, civle, tollerante, documentata, anche su questo blog, possa servire a migliorare quest’atmosfera nella quale, per ben che vada è l’apparire che fa premio sull’essere!
E cmq grazie davvero per le belle parole che hai ritenuto spendere sul PRI e sulla mia persona d’antan!!!
Ma i miei Radicali non se li ricorda allora più nessuno? Io, a parte donare uno dei miei primi stipendi e convincere la mia novella sposa a fare altrettanto, non ho fatto molto, ma c’è stata gente come Della Ragione che è finita processata, perché ci credeva. Non chiedo a nessuno di credere in ciò che si diceva allora, ma solo di auspicarsi una gioventù altrettanto impetuosa e genuina! Qui ci manca proprio il sale, pure alle sardine che non riescono a diventare acciughe!
Li cito perché la filosofia del “anche uno ma sarà sentinella” concerne lo sbarramento.
Certo che me li ricordo Ivano, eccimancherebbe!
Pensa che all’epoca era ammessa la doppia tessera Repubblicana/Radicale. C’era una sorta di fratellanza.