Stamattina ho letto in rete un documento intervista che mi ha creato un forte turbamento per la sua serena, ma teribile e tragicamente motivata previsione.
Il personaggio, Jane Goodall, etologa inglese, è nota soprattutto per la sua ricerca (durata 40 anni) sulla vita sociale e familiare degli scimpanzé, dirige l’organizzazione Jane Goodall Institute, che si occupa dello studio e della protezione dei primati in diverse zone del mondo, afferma: «Se continuiamo coi nostri affari ci distruggiamo. Sarà la fine della vita sulla Terra come la conosciamo!». A soli 26 anni rivoluzionò la ricerca scientifica, oggi da 82enne continua a battersi per le cause ambientaliste e umanitarie.
La dottoressa Jane Goodall, conservazionista di fama mondiale, desidera disperatamente che il mondo presti attenzione a quella che vede come la più grande minaccia all’esistenza dell’umanità. CBS News ha recentemente parlato con Goodall durante una videoconferenza e le ha posto domande sullo stato del nostro pianeta. La dottoressa ha parlato di notizie ben poco rassicuranti: «So solo che se continuiamo con gli affari come al solito, ci distruggeremo. Sarebbe la nostra fine, così come quella della vita sulla Terra come la conosciamo», ha avvertito, senza mezzi termini, Goodall.
Questo storia è apparsa su CBSnews ed è stata pubblicata su https://www.open.online/ il 12.07.2020.
“ La distruzione della natura sta causando alcune grandi preoccupazioni in tutto il mondo. Tra le più evidenti in questo momento ci sono le malattie emergenti come il Covid-19. Può descrivere come queste stiano contribuendo alla distruzione dell’ambiente?
«Il fatto è che ce ne siamo occupati perché gli scienziati che hanno studiato queste cosiddette malattie zoonotiche, che saltano da un animale a un essere umano, hanno previsto e annunciato la loro permanenza a lungo. Mentre abbattiamo la foresta pluviale tropicale, con la sua ricca biodiversità, stiamo in realtà già divorando gli habitat di milioni di animali.
In questo modo molti di loro vengono spinti a un maggiore contatto con gli umani. Stiamo arrivando con le nostre automobili sempre più in là, costruendo strade in tutto l’habitat, il che mette nuovamente in contatto persone e animali. Le persone cacciano gli animali e vendono la carne, tutto ciò sta creando ambienti che sono perfetti per un virus o un batterio, per attraversare quella barriera di specie, diventando a volte, come nel caso di Covid-19, molto contagioso.
Se non smettiamo di distruggere l’ambiente tutto questo non finirà. Stiamo mancando di rispetto agli animali, diamo loro la caccia, li uccidiamo, li mangiamo. Uccidere e mangiare scimpanzé in Africa centrale ha portato all’Hiv e all’Aids. È inevitabile».
Teme che la prossima pandemia sarà molto peggio di questa?
«Supponendo che la prossima sia altrettanto contagiosa come quella da Coronavirus, potrebbe essere più devastante per l’essere umano e arrivare a una percentuale di morti più elevata, pari alla situazione che portò l’Ebola per esempio».
Le persone spesso hanno difficoltà a collegare degli eventi che potrebbero sembrare casuali, con le nostre interazioni e relazioni con la natura. Ci può spiegare perché il modo in cui trattiamo il mondo naturale è così importante?
«Perché innanzitutto sta portando malattie zoonotiche, e ce ne sono molte. La distruzione dell’ambiente inoltre sta contribuendo alla crisi climatica, che tende a essere considerata un problema secondario rispetto a quello della pandemia. Attraverseremo la pandemia come abbiamo attraversato la seconda guerra mondiale, la prima guerra mondiale e gli orrori che seguivano la distruzione delle torri del commercio mondiale. Ma il cambiamento climatico è una vera minaccia esistenziale per l’umanità e non abbiamo molto tempo per rallentarlo.
L’agricoltura intensiva sta lentamente distruggendo la terra con i veleni chimici e le monocolture stanno portando alla distruzione dell’habitat. Il suolo sfruttato sta portando all’aumento di CO2 attraverso combustibili fossili, gas metano e altri gas serra rilasciati dalla digestione di miliardi di animali allevati. È piuttosto triste. Dobbiamo renderci conto che facciamo parte dell’ambiente, che dipendiamo dal mondo naturale. Non possiamo continuare a distruggere. Danneggiare la natura equivale a farci del male».
Se continueremo con il nostro solito sistema economico, quale teme sarà il risultato?
«Arriveremo al punto di non ritorno. A un certo punto gli ecosistemi del mondo si arrenderanno e collasseranno. E sarà anche la nostra fine. Pensiamo ai nostri figli, stiamo ancora facendo nascere bambini nel mondo: che futuro cupo è il loro. Mi rendo conto che questo sia piuttosto scioccante ma la mia speranza è che il sorprendente miglioramento dell’atmosfera con il lockdown possa essere un monito e un esempio. Durante il periodo di reclusione in casa le persone nelle grandi città hanno potuto vedere il cielo notturno, le stelle luminose senza dover guardare attraverso lo strato scuro dell’inquinamento. La speranza è che vogliano mantenere tutto questo e lottare per non tornare ai vecchi tempi inquinati».
Quindi cosa facciamo? In questo momento la nostra visione del mondo si basa sul PIL. Lei suggerisce di pensare in modo diverso. Ha un’indicazione su come valutare il nostro successo indipendentemente dal criterio affaristico?
«Non sono un’ economista. So solo che se continuiamo con gli affari come al solito, ci distruggeremo. Sarebbe la fine della vita sulla Terra così come la conosciamo. Quello che possiamo fare è modificare uno stile di vita che è insostenibile. Certo non si può incolpare esclusivamente il singolo che è cresciuto dentro un sistema molto più grande. Ma se hai attraversato la Seconda Guerra Mondiale come ho fatto io, non puoi dare nulla per scontato, un quadrato di cioccolato per una settimana è quello che avevamo, non abbiamo mai sprecato nemmeno un’oncia di cibo. Ben diverso da oggi.
Dall’altro lato dobbiamo anche alleviare la povertà. Se sei davvero povero distruggi l’ambiente, abbatti gli ultimi alberi per creare terra per coltivare più cibo per la tua famiglia o pescare gli ultimi pesci. O se ti trovi in un’area urbana, acquisti il cibo spazzatura più economico. Non hai il lusso di chiedere se il come è stato prodotto ha danneggiato l’ambiente, ha portato alla sofferenza di animali, di bambini, nel caso dello sfruttamento minorile.
L’altra, di cui nessuno vuole parlare, ma non meno importante: oggi ci sono circa 7,8 miliardi di persone sul pianeta e già in alcuni punti stiamo esaurendo le risorse naturali più velocemente di quanto la natura possa ricostituire. Nel 2050 si stima che ci saranno 9,7 miliardi di persone. Cosa accadrà? Non possiamo continuare a seppellire il problema sotto il tappeto».
Come siamo arrivati a tutto questo?
«È stato un po’ così per tutta la storia umana. C’erano così tanti meno di noi, allora, che potevamo avere questi stili di vita insostenibili e non importava; erano sostenibili. Pensi a come le persone hanno sempre sfruttato il mondo naturale solo perché possiamo. E così c’è stato un ritardo sulo sviluppo di nuove tecnologie che ci consentono di distruggere intere foreste. Mentre gli indigeni potrebbero impiegare una settimana per abbattere il grande albero, noi possiamo farlo in un’ora. A questo si aggiunge il fatto che l’evoluzione morale e il senso di connessione con il mondo naturale da cui dipendiamo, sono rimasti molto indietro.
Abbiamo questa finestra temporale. Se ci riuniamo tutti, agiamo, possiamo iniziare a guarire parte del danno. I bambini sono davvero bravi a educare i loro genitori e nonni, alcuni dei quali potrebbero essere in grado di fare una grande differenza, come i CEO di grandi aziende o le persone al governo. Ognuno di noi ha il lusso di scegliere l’impatto che vuole produrre sul mondo in cui vive».”
Questo storia è apparsa su CBSnews ed è ripubblicata qui come parte di Covering Climate Ora, una collaborazione giornalistica globale che rafforza la copertura della storia del clima.
Commenti
Si, davvero un documento terribile che denuncia una situazione mondiale dinnanzi alla quale i nostri pur gravi, importanti problemi locali, territoriali, nazionali non possono che passare in second’ordine!
Certo, è importante che restino in “primo piano”, perchè è su quelli che abbiamo, magari anche direttamente, tutti i giorni, possibilità concreta di intervenire, ma sullo sfondo, la angosciante atmosfera di un pianeta che si avvia al suo disfacimento, dobbiamo assolutamente non dimenticarcela, perchè anche su quella abbiamo responsabilità nelle nostre scelte!
Ricordiamocene, sempre!
Grazie di cuore, alla new entry DRAGONEM !!!
In merito ho una lunga carriera da diffusore di idee “verdi”, visto che il mio tema dell’esame di idoneità alle medie (sì, esisteva) esprimeva il mio raccapriccio di bambino che assisteva impotente al taglio di un boschetto per far spazio a un’attrazione da luna park. lo scroitto fu premiato per un’inaspettata espressione di capacità letterarie, ma io fui anche considerato “uno strano”, perché notoriamente ai bambini normali piacciono queste cose rumorose, non i boschi. E non credo di aver fatto miglior presa in seguito.
Quindi si è fatta strada in me, e non solo in me, l’idea che il baratro sarà ineluttabile se cambiando idea la gente non avrà qualcosa da guadagnarci, e degli spiragli ci sono. Altro segno di speranza la mobilizazione di sempre più persone, e una massa critica con alcuni opinionisti in testa fanno una valanga inarrestabile, e quello che prima era rosso improvvisamente diventa verde, ma perché non sia una cambiamento di facciata vale quanto sopra: bisogna che ci guadagnino qualcosa. Perché la natalità sia limitata ad esempio bisogna che le coppie ci guadagnino in stile di vita, perché si comperi una macchina meno inquinante bisogna far leva sl prezzo di vendita migliore dell’usato e risparmio di costi al chilometro, per ridurre il consumo di carne magari sul colesterolo e non sulla coscienza, e via avanti così.
Molti si arrendono, o fanno gli struzzi, o negano per cinica ipocrisia, ma su questo si può essere di supporto psicologico, spiegare che ogni anno guadagnato è una speranza in più, e ancora una volta che si può. Non so cos’altro potrei dire, ma forse vale di più a chi dirlo, e non certo all’amico Dragonem che già è in linea con le mie posizioni! Cremascolta ha già un’animo verde, quindi il nostro sforzo pèuò essere la ricerca dei metodi di contagio di una massa di persone sempre più vasta, fare opinione e azioni pratiche di testimonianza d’impegno, che poi è la mission di un blog
L’esistenza o meno di un effettivo rapporto di causalità tra le epidemie, soprattutto quelle da virus a base RNA, e l’alterazione degli ecosistemi ad opera dell’uomo è un tema su cui da tempo (soprattutto da un quarto di secolo, da quanto ho letto) molti scienziati si interrogano.
Mi sembra che in dottrina esista una certa condivisione, per quanto piuttosto parziale e alquanto incerta, riguardo al fatto che, in un modo o nell’altro, per una qualche ragione, questo nesso eziologico possa probabilmente esserci. E che invece si stia ancora cercando di comprendere meglio, in modo scientifico e quindi sufficientemente dimostrato, quali siano in concreto gli elementi di collegamento e gli aspetti salienti di questo rapporto tra fenomeni epidemici e attività antropica.
La situazione va infatti riferita a differenti e spesso poco confrontabili dinamiche diffusive, specie se di tipo zoonotico, con varie specie di volta in volta attive nei diversi ruoli di ospite iniziale, ospite serbatoio, ospite occasionale e temporaneo, attraverso salti di specie (spillover) non sempre riconducibili ad azioni umane pregiudizievoli degli equilibri ambientali o comunque palesemente incidenti sugli assetti naturali dei luoghi in cui gli spillover si realizzano.
Se le zoonosi fossero causate di sicuro dai danni provocati dall’uomo agli ecosistemi, non avremmo la soluzione del problema ma almeno potremmo sperare di poterci impegnare nella direzione giusta. Jane Goodall sembrerebbe, almeno oggi (in passato forse meno), vederla in questo modo. Purtroppo, questa è al momento un’ipotesi di lavoro credibile e ragionevole ma ancora lontana dalla sua effettiva dimostrazione e quindi dalla sua generale condivisione, per lo meno riguardo a molte delle dinamiche epidemiche più gravi dell’ultimo secolo.
Mi permetto di tornare sull’interessante testo di “Dragonem” perché proprio sul tema, davvero fondamentale e sempre più discusso, di un eventuale e possibile rapporto di causalità tra le più recenti pandemie e l’opera umana di devastazione ambientale stanno moltiplicandosi articoli, pubblicazioni e interventi sui media, da parte di studiosi e ricercatori di varie discipline scientifiche.
L’argomento è veramente fondamentale. Conosciamo circa lo 0,1 per cento di tutti i virus esistenti (così ho letto, non so come si sia quantificato l’altro 99,9); ognuno di noi pare abbia un chilo e tre etti circa di microbi addosso; sembra che i virus che infettano i batteri e i virus che infettano altri virus siano piuttosto indifferenti ai mega cambiamenti ambientali; ormai è assodato che il problema principale è lo spillover e che i virus a DNA “saltano” di meno di quelli a RNA, per struttura, attitudine (se così si può dire di un virus) e quindi forza propria, che spesso prescinde da dinamiche esterne. Insomma, parecchie cose ci dicono che i nostri scempi ecologici favoriscono le pandemie, mentre diverse altre ci impongono prudenza di giudizio in tal senso. Il che nulla toglie ai meriti di Valerie Jane Morris-Goodall, che in ogni caso fa un mestiere molto diverso e che, per quanto portati bene, di anni ne ha comunque ottantasei.
Certo, non dobbiamo sottovalutare i nostri crimini contro il pianeta, che sono quindi crimini contro l’umanità. Detto così sembra enfatico. Ma se applicassimo meno psico-socio-antropologia e più diritto penale ai delinquenti che inquinano, deforestano e cementificano, forse cominceremmo a darci una mossa. Però, diciamocelo chiaramente, non sopravvalutiamoci in termini comparativi tra specie. Non montiamoci la testa: noi ai virus non gli leghiamo neanche le stringhe, ammesso che abbiano i piedi (molti pare di sì). Quelli fanno quello che vogliono da chissà quanto, ben prima di quando noi siamo usciti dall’acqua, abbiamo messo le ali, poi siamo tornati a terra e quindi abbiamo allestito quel cinema continuo, a volte demenziale, che chiamiamo sinapsi neuronali. L’uomo si è evoluto parecchio grazie ai virus. Sono i nostri fratelli maggiori, anche se la maggioranza di loro ha un diametro tra 20 e 300 nanometri e se la punta di un ago può ospitare 350.000 coronavirus. Analisi recenti hanno dimostrato che il 30 per cento degli adattamenti evolutivi del nostro DNA è servito a difenderci da loro, i nostri migliori sparring partner. Ovviamente, come nel film Highlander, quando sul pianeta “ne resterà solo uno”, ci siamo capiti, sarà uno di questi piccoletti.
Ciò nonostante, il dibattito sul nesso eziologico tra umana distruttività e bombe epidemiche continua. Un libro senz’altro divulgativo e però utile ai profani di virologia ed epidemiologia, che sostiene l’esistenza di questo rapporto di causalità, sia pure in modo giornalistico ma anche in maniera gradevole, è “La rivolta della natura”, uscito in queste ultime settimane, con autori Eliana Liotta e Massimo Clementi, per la Nave di Teseo.