L’università: anche sollecitato da i Bloggers più attenti alla nostra “mission cittadina” (Pietro Martini in testa), vediamo se mi riesce di rifare un “punto” aggiornato sul tema: due gli accadimenti di rilievo succedutisi a breve :
1) Lunedi 6 u.s. la riunione della Commissione comunale di garanzia, presso la sala Consiliare, Presidente Simone Beretta, presenti al tavolo della presidenza il Sindaco e “REI-Reindustria innovazione” con il suo Presidente Giuseppe Cappellini e la sua Direttrice Ilaria Massari, il tema all’o.d.g. era appunto “La permanenza dell’Università a Crema, il futuro dei ricercatori, i progetti infrastrutturali sulla sede di via Bramante e la progettualità al vaglio sull’area della Pierina”.
Ricordo che: all’interno del piano di rilancio del polo universitario di Crema che, a settembre, vedrà il trasferimento definitivo della facoltà di Informatica a Milano, il Comune aveva coinvolto Reindustria nella redazione di un progetto, che integrasse anche l’area circostante della Pierina, per poter partecipare ad un bando di rigenerazione urbana “Mipim 2020”( programmato e …. “saltato” causa corona virus per il suo appuntamento a Cannes lo scorso marzo). Il progetto, è stato selezionato e si tornerà a cercare investitori esteri nel 2021 . Per l’università invece verrà rinnovata la convenzione tra Acsu (Associazione Cremasca Studi Universitari) e l’Università degli studi di Milano, in scadenza il prossimo 30 settembre.
Dall’anno accademico 2017/18 è attivo a Crema un Corso di Laurea in Infermieristica – Università degli studi di Milano e il Sindaco, Stefania Bonaldi, si è espressa con convinzione per un progetto “di spessore, forte e di valenza territoriale” perchè in collaborazione con Asst Crema si attui lo sviluppo del Corso in atto, con spostamento della sede in Via Bramante. La volontà rappresentata è di fare di Crema un centro di coordinamento della materia di studio (comprendendo anche Lodi) e soprattutto la sede di un master in infermiere di comunità.
I temi connessi con l’infermieristica e la medicina di prossimità emersi con prepotente, darmmatica emergenza con il contagio, vedono la Giunta Bonaldi impegnata con priorità, in sintonia con il progetto di riqualificazione, potenziamento e sviluppo dell’ospedale Maggiore e del santa Marta di Rivolta d’Adda, e la proposta di realizzare un Presst all’interno dell’ex tribunale.
Gian Vincenzo Zuccotti, docente di pediatria e presidente del Comitato di direzione della facoltà di medicina e chirurgia della Statale sta già collaborando col nostro prof. Giovanni Righini ad un progetto di tele assistenza, che si muove negli ambiti di quella “matematica applicata”, tanto cari a Giovanni, e che costituiscono già un invidiabile e competitivo know how per Crema. Il più comprensivo progetto Ercam (European research center for applied mathematics) per un centro di ricerca europea per la matematica applicata, che costituirebbe il “cuore nuovo” dell’Università a Crema, paga lo scotto dell’essere tanto ambizioso quanto di difficile realizzazione, condizionato come è dalla necessità di riuscire a far operare “coralmente”, in sinergia diverse realtà universitarie.
2) Giovedì 9 u.s. presso il plesso di UniMi di Via Bramante, l’ incontro tra il Rettore prof. Elio Franzini accompagnato dal Preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia, prof. Vincenzo Zuccotti e dalla Prof. Anne Destrebecq, Coordinatrice del Corso di Laurea di Scienze Infermieristiche, con i portatori di interesse circa il futuro della formazione universitaria presso la sede dell’Università di Crema, a fare gli ….onori di casa il sindaco Stefania Bonaldi, quale presidente di ACSU ed il Direttore Generale della ASST di Crema, Germano Pellegata. A dare ….concretezza all’incontro la presenza del prof. Giovanni Righini, dei sindaci Aldo Casorati (membro cremasco nel Consiglio di Rappresentanza dei Sindaci della ATS Valpadana) e Gianni Rossoni (vicepresidente del distretto sanitario del Cremasco, di cui è presidente la sindaco Bonaldi), il direttore sanitario della ASST Roberto Sfogliarini, la coordinatrice del corso di Infermieristica a Crema, Elena Milani. E ancora, la dr.ssa Ilaria Massari di Reindustria, il dr. Dino Martinazzoli e l’ing. Primo Podestà che affiancano il Sindaco ed ACSU con competenze tecniche relative ad aspetti gestionali e strutturali.
Tra i tanti disastri di Covid19, il risultato invero totalmente positivo di riunire praticamente tutti i personaggi, del territorio e no, per l’università a Crema, per lo spostamento/potenziamento del Corso di Infermieristica nella più idonea sede di via Bramante, lasciando che il progetto Ercam, segua il suo iter di rapporti con altri Atenei, mentre come relazionato sopra, già da ora la Ricerca operativa che resterà a Crema con Opt Lab, è comunque in grado di fornire spunti, connessioni e contributi anche sul versante sanitario, come dimostra l’ottima collaborazione tra prof. Zuccotti e prof. Righini !
Al termine dell’incontro la Sindaco di Crema Stefania Bonaldi ha rilasciato la seguente soddisfatta dichiarazione:
“Un incontro importante per delineare i possibili sviluppi futuri, che vedo più raggiungibili dopo questo momento, perché tutti, Rettore, Facoltà di Medicina e Chirurgia ed Asst hanno convenuto sulla totale adeguatezza degli spazi messi a disposizione. Ora dovremo lavorare sodo sugli aspetti di ordine progettuale, gestionale e convenzionale, ma non sono mancati entusiasmo, motivazione e ottima disposizione da parte di tutti i presenti, quindi sono fiduciosa”.
E pare proprio che tutto …..congiuri a raccogliere frutti positivi per il futuro anche da questa drammatica, stressante esperienza di contagio: andrà tutto bene!
Commenti
Per una convergenza telepatica, ma anche messaggistica, io e il C.R. usciamo con due post in sintonia, certo, che sarebvbe satao opportuno distribuire nella settimana, ma la mia dislocazione marina per la seconda volta produce l’intralcio. M;a tale non è, perché da bravo indiano concludo con lo stesso chiodo fisso: Università.
Si può, il volere della base conta, smuove anche i macigni di peso mondiale.IMPEGNAMOCI.
Grazie davvero, Francesco. Almeno per me, il tuo è un contributo prezioso (e molto aggiornato) per capire qualcosa di più della questione, mettendo insieme le varie parti di una situazione non sempre chiarissima a noi cittadini meno esperti di queste dinamiche istituzionali, specie se già anzianotti e meno politicizzati.
Comunque, a scanso di equivoci, niente in contrario agli argomenti di valorizzazione geografica e culturale così ben esposti dal nostro Marino. Anzi.
Caro Adriano, sul tuo invito a metterci … le penne da nativi cremaschi, ti rispondo in sede specifica.
In effetti devo dire che Cremascolta, che si è impegnata a fare da catalizzatore, fino a promuovere e realizzare un incontro fra le parti in gioco, aveva una visione parziale, e puntava pertanto su un solo cavallo.
La soluzione miltifunzionale che sta emergendo è interessante anche per le possibilità di stimolo reciproco, ove non si limiti a essere una mera coabitazione. Anche l’UNI-Crema, la libera Università per “adulti” presieduta dal prof. Vincenzo Cappelli e tecnicamente diretta da Don Marco Lunghi, è in attività organizzativa, per decidere la propria quota di spazi, articolazione dei corsi e conferenze…
Colpevole di latitanza familiar-balneare ricevo i rapporti in merito. Penso che essendo Struttura per definizione plurispecialistica, anzi la prima nata dai tempi dell'”Università dello spontaneismo disciplinare”, credo possa rivestire ruolo da collante, oltre a contribuire a giustificare il mantenimento in vita della Struttura.
Quando tutti fanno festa è antipatico non associarsi al brindisi e fare la parte del guastafeste. Quindi non voglio minimamente scalfire la convizione che “andrà tutto bene”, dato che ne abbiamo evidente bisogno. Una puntualizzazione però la devo fare. Non mi pare che Cremascolta abbia finora avuto una “visione parziale” che l’abbia portata a “puntare su un solo cavallo”. Semplicemente ERCAM è l’unico cavallo, cioè – fuori di metafora – è l’unico centro di ricerca che si possa realizzare a Crema, dato che è l’unico che si può basare su ricercatori cremaschi. Gli altri sono quadrupedi rispettabilissimi, ma non sono cavalli. La formazione è formazione, la ricerca è ricerca. La ricerca genera formazione, la formazione non genera ricerca. Se la sede universitaria di Crema è durata molto più di tante altre nate negli anni Novanta in tutta Italia è proprio perché, a differenza di tante altre, si trattava di un “Polo Didattico e di Ricerca” e non di un polo didattico e basta. Naturalmente l’hanno capito in pochi e adesso i cremaschi sono pronti a farsi rifilare uno “spezzatino formativo”, brindandoci anche su. Non so se andrà tutto bene oppure no, ma certamente alla fine ognuno avrà quello che avrà voluto avere.
Giusto, la ricerca è ricerca, che si faccia a Crema o a Fidenza, a Bergamo o a Milano, l’importante è che si faccia. Lo dico da ignorante. L’importante è che ci sia un istituto qualificato, unico o spacchettato. La battaglia dovrebbe essere questa. Farne una bandiera locale serve? Per coprire buchi? L’importante è che la ricerca possa lavorare e avere spazio e soldi e un luogo, o luoghi adatti e funzionali. Se dovesse finire a Treviglio, a Lodi qual’è il problema? Sono cittadine ben interconnesse, più di Crema.
Comprendo e assento, ma di spazio ce n’è, di idee anche, e spero reciprocamente alimentate. C’è una bella differenza fra un asino che porta le giare e un puledro scalpitante, certo, ma se l’asino inizia a pagare la bolletta della corrente e lo stipendio al custode certamente ci sarà più biada per il destriero. Per tutta la vita, anomalia, nonostante fossi un ospedaliero, sono stato un ricercatore, e quindi capisco la differenza Giovanni, e nessuno ha intenzione di accontentarsi; diciamo che questa può essere la cialda di base per il pasrticciere che potrà confezionarvi la torta su una base precotta, poco artistica, ma già confezionata.
E’ precisamente questo il motivo per cui non sono preoccupato come ricercatore ma come cremasco. Se ERCAM sarà realizzato altrove (ci sono già “spinte” e “appetiti”) non sarà la ricerca ad aver perso Crema ma sarà Crema ad aver perso un centro di ricerca. Cosa comporta questo? La risposta migliore che posso dare è consigliare “La nuova geografia del lavoro” di E. Moretti.
Comunque mi premeva semplicemente puntualizzare che Cremascolta finora non ha puntato su un solo cavallo, ma ha semplicemente riconosciuto la realtà.
Sì, lo spazio è tanto. Ma bisogna usarlo bene. Se prevale l’idea di “mettere a reddito i metri quadri”, è finita.
Il problema non è quello di condividere spazi tra quadrupedi diversi, ma di come regolare i rapporti tra enti locali ed università e mondo della ricerca scientifica in generale. Siamo ancora ancorati all’idea che il territorio offre degli spazi alle università per fare qualcosa, o per dirlo più realisticamente, supplica le università di riempirli in qualsiasi modo. L’idea alla base del progetto ERCAM è totalmente diversa e presuppone che il territorio abbia anzitutto una chiara strategia di sviluppo (che invece non esiste).
La formazione – dici, Giovanni – non genera ricerca. Forse non sono aggiornato: alludi all’ipotesi di far partire un corso accademico (master? dottorato di ricerca?) che il direttore della Statale ha ventilato?
Una seconda domanda: la tua idea di un Polo di eccellenza inter-universitario a che punto è? Hai trovato disponibilità effettiva di colleghi di altre università nel campo della matematica applicata?
Una terza domanda: se fossi a buon punto, non ci sarebbe bisogno di un ok ministeriale?
Grazie per l’attenzione!
Alludo al mantra “formazione” che anche giovedì scorso è stato invocato come “deus ex machina” durante l’incontro tra enti locali e università. E’ il massimo che il territorio sa chiedere ed è il massimo che l’università è disposta a concedere. Questo accade quando le due parti mercanteggiano nel ruolo di controparti una dell’altra, come è sempre avvenuto.
Seconda domanda: lavori in corso.
Terza domanda: Per alcune cose sì, per altre non è necessario.
Caro Giovanni, dici che una strategia di sviluppo il cremasco non ce l’ha. Penso uguale. Crema ha una cosa sola realizzata, e non perduta, in decenni recenti: una buona anzi ottima ed efficiente raccolta differenziata, spazzatura compresa. Il territorio è colonizzato dalla lontana Cremona, che sa bene di essere isolata come capoluogo, con Casalmaggiore molto più vicina a Parma e a uno sputo dal mantovano. Guardare le mappe aiuta a capire la zucca di un territorio? Credo di sì. Crema non sa di essere a dieci chilometri da Lodi, poco più di trenta chilometri da Milano. E il cervello dei cremaschi non coglie che il declino del suo territorio è legato, pure determinato dal suo rapporto senza feeling con il capoluogo. Cremona ha bisogno di Crema, ma non viceversa. L’unica cosa positiva di questi anni, per il cremasco è stata la strada a doppia corsia direzione Milano, che quando completata permetterà di arrivare a Rogoredo in venti minuti d’auto; ma la cosa non interessa i poltroni, e gli amanti dell’isolamento che sono tanti, che si accontentano del poco che c’è, a Crema e nel cremasco. La vicinanza con Milano vuol dire aprirsi a una nuova realtà, cioè entrare a far parte, in un futuro non lontano, nell’area metropolitana, quindi accedere a programmi, progetti legati alla metropoli. Lo sviluppo dell’area metropolitana, e lo ha detto il sindaco di Milano è verso sud, basta vedere l’area di Milano Rogoredo che ha diverse gru in piedi con grossi progetti in corso d’opera.
Ma i cremaschi sono dei campagnoli, nel profondo, e preferiscono il nulla di fatto; anche se poi mugugnano, se la pochezza culturale, se la mediocrità dilaga e fa scappare tanti giovani di qualità.
Ora sì che concordo in pieno! Quando hanno ceduto a pressioni di alcuni pendolari e hanno abolito la fermata bus diretto per Rogoredo stazione son rimasto inorridito. Voleva dire portar Crema, centro geometrico della Lombardia, in Italia, e quindi in Europa! Ma forse l’hanno ripristinato, sarebbe il primo segno di rinsavimento. Certo che qualcosa ho scritto su Cremascolta, ma di inorridito c’ero solo io mi è sembrato.
Marino, estrapolo dal tuo ultimo commento solo la parola “gru”, simbolo un tempo, venti, trenta quaranta anni fa di ricostruzione, da dopoguerra per intenderci, dove sulle macerie si riedificava. In verità è sbagliato soffermarsi su un solo termine, che però significa molto in termini di consumo di suolo e connessi. Senza andare a Milano, basta andare appena fuori Crema per veder nascere capannoni industriali quando molti sono dismessi e in abbandono. Un solo esempio quel mostro della cosmesi, anche minaccioso di triangoli, punte, e nero, sorto in breve tempo a Offanengo, oltretutto già ridimensionato in termini di occupazione per colpa del virus. Ma vengo al dunque di questa mia banale osservazione dopo aver capito la differenza tra formazione e ricerca tanto cara al Prof. Righini e che mi trova in accordo. Si dice continuamente che ormai la nostra epoca è caratterizzata dalla digitalizzazione e dall’immateriale. E mai come in questi decenni abbiamo visto un’accelerazione tecnologica tale da far fare le palle d’oro a chi ha capito in tempi giusti i possibili sviluppi e applicazioni. Perchè quando io vedo crescere capannoni e immagino occupazione manifatturiera di oggetti, prodotti, o appartamenti che rimangono vuoti, mi chiedo sempre cosa possano significare ancora quei ferri svettanti che mi pare proprio che non facciano pensare a nessuna ricerca, ma a ripercorrere vecchi modelle economici che ormai hanno fatto il loro tempo. Si dice che siamo un paese arretrato, con nessuna innovazione d’avanguardia se non l’utilizzo di invenzioni e scoperte di altri, al traino di intelligenze esterne e basta, incapaci di inventare quando tanti ricercatori di qualsiasi scienza lamentano mancanza di fondi e volontà ad incrementare appunto la ricerca. Insomma, non so in quanti capannoni si stia facendo ricerca di un vaccino per il Coronavirus. Se ho scritto delle cazzate ditemelo pure, non mi offendo. Concludo: se immagino in futuro una continuità od estensione di Milano verso Crema, come per tante metropoli asiatiche o sud-americane, io inorridisco.
A Treviglio e Lodi, collegate molto frequentemente con la metropoli, non sono nate periferie sudasiatiche, ci sono, magari, dei brutti condomini signorili come ci sono a Ombriano o giusto fuori Porta Ombriano, a quattro passi quattro dal centro storico della cittadina di Crema. Ma se vogliamo preoccuparci di possibili scenari biblici, se Crema dovesse diventare area metropolitana milanese, e chissà quali guai verranno fuori, facciamolo pure: non mi sorprendo, conosco i cremaschi. Crema, dicono anime cremasche preoccupate, se accorpata all’area metropolitana sarà investita da favelas, criminalità, e altre brutte cose, meglio l’inconsistenza, la banda di Ombriano, e la sera dopo, i fiati di Soncino. L’importante è che non arrivino le bande nigeriane. Una paura paventata anche da una sciura cremasca, che conosco di vista, sempre precisa quando va in “vasca” a farsi notare, che seduta a un bar davanti al caffè, disse a un amica che era preoccupata per sua figlia iscritta al primo anno del liceo scientifico; ha detto chiaro e tondo alla figlia: stai lontana dai giardini pubblici, prendila larga per andare a scuola, non passare dai giardinetti!
Conosco bene Crema, i suoi vizi, le sue paturnie, le miserie. Anche certe qualità: come quella di far colazione tra le 7 e le 8 del mattino, come dovrebbero fare tutti, più o meno, e non all’una del pomeriggio, come nella grande Milano da certe signore che chiamano l’amica e le dicono: viene la Carla, a far colazione? Ma è l’una, macchè colazione…. Anche di essere una cittadina frustrata, Crema lo sa di esserlo, che ogni volta che si è all’estero e ti chiedono di dove sei, si risponde in modo differente, perchè Crema fatica ad esserci sull’atlante, e in Serbia non la conoscono. Un bell’imbarazzo, che non mi dispiace, anche umiltà, in certe situazioni, sapendo la pochezza culturale del territorio, rispetto al “voglio dire”, al credersi al centro di qualcosa che è nella mentalità di chi vive stabilmente a Milano. L’umiltà, però è una cosa, la mediocrità un’altra. Ai cremaschi manca il coraggio, anche se una parte della loro storia è legata all’industria, al rapporto stretto e antico con Milano. Ma è una personalità e un coraggio e un orgoglio quasi perduto. I cremaschi si crogiolano nel loro piccolo centro storico e la loro “vasca” che parte da Porta Ombriano e arriva in piazza Garibaldi. Sorseggiano il caffè guardando chi passa, tirando sera. Oppure passeggiano avanti e indietro. Punto. E il giretto è terminato, e si torna indietro, perchè sulle laterali non c’è un cane, e la gente, quasi tutti, amano vedere gli altri e farsi vedere, a Crema come dappertutto. Ma non credo di trovare d’accordo qualche cremasco su ciò che ho scritto: l’invito a guardarsi allo specchio non è ben visto, e comunque si pensa al peggio: vuoi mettere se Crema dovesse diventare Melzo, o Pozzuolo Martesana, o Peschiera Borromeo? O Cassano d’Adda che addirittura ha richiesto la fermata del metrò? A Chieve c’era il filobus che bisognava spingerlo sulla salita (è storia cremasca); al massimo si può ripristinare quello, per collegare il paesone ai paesini. Una novità vintage.
Gli unici che hanno le idee chiare su cosa dovrebbe diventare il cremasco, e qui rispondo a Giovanni Righini,
sono i populisti e le sentinelle in piedi e Comunione e Liberazione. Il tentativo della scuola dei Sabbioni era quello strategico di creare un territorio, rubando studenti alla scuola pubblica, un feudo d’educazione cattolico integralista.Ci riproverranno, perchè le cittadine lombardo-venete, le campagne sono territorio che i populisti considerano come proprio. E quindi si opporrano con ogni mezzo a far diventare Crema parte di un’area metropolitana.
Girala come vuoi Ivano, ma quando mi accorgo che a pronunciare Crema la gente esita, perché pensa di aver storpiato Cremona, mi girano. MI girava quando la TV dicava “ICubani a Cremoina”. Basta poco per far rete, e Milano non è proprio una necessità: poco più in sù c’è la Svizzera che ci aspetta! Parlo di ricerca individuale forse, e infatti io facevo sistema con Losanna, non con Milano, forse se si parla di ricerca applicata alla grande produzione la cosa cambia, ma noi abbiamo bisogno di idee fertili, non di cose grandi, al mondo di cose ingombranti ce n’è che bastano e avanzano.
La risposta di Marino mi fa venire in mente quella di un collaboratore autoctono quando in riunione esprimevo un progetto. Mi interruppe: “Ma non lo scopriremo mica noi a Crema!” E leggasi non agitar troppo le acque tu che sei anche terrone. E invece quel tassello che mnancava in una teoria lo scoprimmo proprio a Crema, e nel mondo di fuori sde ne parlò! Sono ormai Cremasco fino al midollo, tanto da farmela rimpiangere già anche ora che sono alle porte del paradiso, ma questo senso di autolimitazione non l’ho mai capito. Ci sono i presupposti storici e strutturali attuali per far della Città un crogiolo di idee. E ora le distanze non contano più, perché le idee son leggere, le cose pesanti.
Adriano, sono d’accordo. Marino enfatizza, mitizza la grande città come se fosse anticamera necessaria alla stanza alle stanze del sapere, della conoscenza,della ricerca. Oltretutto dipinge la piccola città con vizi che non sono più quelli del cinema neorealista o del boom economico, dove la domenica mattina vedevi sfilare famigliole vestite della festa per andare a messa in bell’ordine per poi andare al caffè per la colazione coi cornetti. Naturalmente infarciti di quei pettegolezzi che un tempo erano il sale del vivere in provincia. Non avendo altri appigli mondani o mediatici se non l’osservazione diretta e il confronto. A me pare invece che ora i tempi siano cambiati, un po’ e soprattutto perchè la tecnologia ci ha aperto un mondo più grande di quello compreso tra le due porte di una città. Ora i modelli sono universali, ci si confronta sui social, magari attenti al verbo di influencer che ci dicono in quale albergo andare in vacanza o quali scarpe indossare. Mi pare che Marino non tenga conto che il progresso, soprattutto televisivo, mediatico e tecnologico abbia cambiato il mondo delle relazioni che non sono più fatte di lettere vergate a mano o di telefonate interurbane o di occhiate di traverso o coraggiosamente dirette. In tutti i casi, senza mai farne questioni personali con l’unico metro di giudizio del proprio vissuto a me pare che anche la vita in una piccola città sia cambiata. Se poi consideriamo la nostra, grandi città vicine, magari con treni non comodissimi, io osservo che gli spostamenti, fossero culturali o turistici o di lavoro siano ormai pratica comune a un sacco di gente, che magari qualche volta ti siede accanto al bar o incontri nello struscio. Marini naturalmente coltiva i suoi miti, forse esagerando sulle poche possibilità che pare siano offerte. Ma non è più così, esiste una mobilità culturale, oltre che economica, che vede non dico masse, ma un buon numero di persone che non distingue più il piccolo dal grosso. Se vedo uno spettacolo o visito una mostra in una grande città non è così raro incontrare cremaschi che affrontano il viaggio di trenta chilometri per raggiungere Milano senza troppo denunciare il fastidio di mezz’ora di viaggio. Ne ho incontrati a Torino come a Parigi. Senza considerare poi i cremaschi che appunto si sono distinti in ambiti senza trovare ostacoli geografici o di classe. Ho l’impressione che Marino consideri i cremaschi tutti degli imbecilli disattenti a quello che avviene nel mondo quando ormai questo è raggiungibile in tutte le sue destinazioni e declinazioni. Come non è scontato che le opportunità offerte da una grande città rappresentino il viatico garantito a tutti per chissà quali garantiti, appunto, raggiungimenti personali. La cultura ormai non è più quella percorribile solo attraverso biblioteche familiari, ma è raggiungibile con la tecnologia tutta che abbiamo a disposizione. Niente è precluso a nessuno, se non dalla inesistente curiosità da parte di molti che però non è superabile perchè passeggiando nelle vie di una grande città hai l’opportunità di entrare nell’importante galleria d’arte. Perchè allora vorrebbe dire che un cittadino è più colto e più informato del provinciale che ha a disposizione solo un modesto ventaglio di film da multisala o provinciali mostre d’arte da proloco di artisti locali e basta. Scusate queste piccole e spicciole pennellate, ma io credo che abitare a Crema offra più vantaggi che svantaggi, anche così com’è. Ieri mattina, e poi chiudo, ho inforcato la bicicletta, come tutti i giorni, inverno compreso, e tra Casaletto Vaprio e Campisico, da una parte acqua di fontanile e dall’altro piccoli boschi, ho visto uno scoiattolo rosso attraversarmi la strada. Dubito che abitando in una grande città potrei godermi i miei giri in bicicletta. E non è escluso che domani faccia un salto a Milano.
Spinoza, un iolo di Piero e mio, era in comunicazione epistolare con Leibniz, e si videro una sola volta, qiando fu l’allora più “paludato” Leibniz a prender la carrozza e andare a casa sua. E se fossero stati copllegati in rete, quanto il mopndo sarebbe andato avanti più velocemente? Certo, bisogna sentirsi cittadini del mondo dentro!
Mi sembra che quanto esposto da Francesco nel post costituisca un buon punto di partenza per cercare di capire che cosa succederà adesso in quel territorio suburbano (il “dove”), oggetto di pluridecennali dubbi, tentativi, discussioni, illusioni e disillusioni.
I soggetti coinvolti (il “chi”) li conosciamo. I possibili progetti da intraprendere (il “che cosa”) sembrano al momento due o tre. Sui tempi e sulle modalità delle possibili iniziative e attività da realizzare (il “quando” e il “come”), mi pare che si sia ancora al buio.
Sarebbe interessante capire le ragioni (il “perché”) di tutto ciò, fin dai tempi delle vicende Olivetti e delle fantasie insediative succedutesi nei decenni successivi.
Esiste un modello di sviluppo complessivo locale, nel quale inserire certe scelte e decisioni? Quale, di preciso, dopo decenni?
Ci sono studi economici credibili, che suggeriscano determinate opzioni e operazioni imprenditoriali oppure di pubblico interesse o magari di valenza sociale? Quali, in concreto, dopo decenni?
Oppure si tratta solo di trovare un modo per utilizzare talune aree, strutture e risorse urbane oggi dismesse o in deperimento o addirittura già in obsolescenza, ereditate dalle precedenti situazioni pregiudizievoli, tanto per non perderci del tutto la faccia, per far vedere che qualcosa in vari decenni si è cercato di fare e che qualcosa in quella zona si può ancora combinare, in una maniera o nell’altra, di riffa o di raffa?
Forse chi ha maggiori informazioni e si più impegnato sul problema ha le risposte e le soluzioni. Forse. Ma l’impressione è che, riguardo a quest’area da decenni in cerca di destinazione, aleggi sempre di più un sospetto, soprattutto tra i cittadini meno direttamente coinvolti: che si stia cercando di trovare un modo, il meno indecoroso possibile, per dimostrare che non si tratta solo di un perimetro nel quale un’antica maledizione colpisce qualsiasi soluzione diversa da quella d’una ortaglia o d’un pascolo.
Se così fosse, il nocciolo della questione, come dice il prof. Righini, sarebbe che da diversi decenni mancano, su questa zona, una strategia complessiva, un piano a lungo termine, un progetto ben strutturato. E la politica locale non ne uscirebbe bene, a prima vista. A meno che, esprimendo un paradosso, la politica locale non sia invece da lodare. Su un’estensione di questa fatta, immaginiamo le speculazioni che avrebbero potuto avvenire. Dipende dall’idea che si ha della politica. Meglio dei politici tranquilli e tiepidi ma non dannosi oppure dei politici messianici e soterici, spesso dannosissimi?
Caro Pietro
dipende anche dalla vocazione territoriale, che spesso i massimi vertici ignorano, ma l’uomo operoso conta ancora!
E allora, come affermo che Ferrari e Lamborghini sono eredi della tecnologia del trattore applicata su vasta scala per la nascita delle monocolture in pianura, come Alenia Napoli è erede di Partenavia, figlia di mio padre e suoi amici universitari che trasformarono bifolchi paravesuviani in operai specializzati nell’aviazione, così dobbiamo capire perché Adriano Olivetti ha impiantato una sede secondaria a Crema e una a Napoli-Bagnoli.
Cosa ci ha trovato per scegliere queste sedi?
I Modenesi hanno i carburatori al posto del cuore, i Napoletani para capodichinesi alettoni al posto delle mani, in altre parole del lavoro dei genitori hanno sentito parlare fin da bambini, lo hanno agognato da adulti.
La cosmesi a Crema perché? Nel genio di un manager non ci credo. Certo, è il prerequisito che ci sia un investitore lungimirante, ma nel genius loci cosa c’è?
Poi, che per l’immateriale non importi il dove è chiaro, importa il geniaccio italico e la rete, motivo per cui ce lo vedo anche come espansione per il Sud, ma dove contano le manine, le competenze intermedie, ci vuole la vocazione territoriale, o una consimile competenza facilmente convertibile. E un parallelo ce lo vedrei anche per la cosmesi.
Il fatto che l’asse Crema – Milano sia stato terra di “Coree” deve farci riflettere: perché lì che poi è qui?
Direi che il polo di attrazione è inesorabilmente Milano. Sappiamo che tutti, ma proprio tutti, i mali di Crema vengono dalla paura dello snaturamento. Amo Crema perché conserva la sua anima, ma non credo sia impossibile conciliare le due cose. Sgarbi, normalmente per me un emetico, tuttavia quando venne Crema dietro lauto compenso a presentare un libro, affermò che Crema come Mantova ha una prerogativa: la separazione dello storico dal nuovo. E allora se siamo stati capaci lo scorso secolo lo saremo ancora!
Caro Ivano, parli di Crema come se fosse un crocevia di incontri internazionali, al bar, camminando sullo struscio, o per l’offerta culturale. Puoi pure pensare che un caffè con vista sul passeggio in piazza Duomo sia il meglio in assoluto, rispetto a decine di posti del genere che può offrire Milano, e non solo Milano. Capisco che si può essere felice ovunque, anche a Monte Cremasco, ci mancherebbe di no. Potresti girare il tuo scritto all’ufficio stampa comunale, sono sicuro che non dispiacerebbe. E’ evidente che grazie alle nuove tecnologie anche se vivi a Trigolo, oggi, puoi dialogare facilmente con gente di Toronto, mentre prima non era così. Prima era molto peggio. So bene cosa vuol dire essere stati ragazzi in una cittadina come Crema. Se non ti vanno bene i fiati di Soncino, o la banda di Ombriano, o i quattro locali della cittadina, puoi sempre, oggi non ieri, accendere il computer e accedere a uno spettacolo teatrale a Barcellona. Giusto. Se la biblioteca di Crema, o quella di Soresina (cittadina, con neanche un quotidiano nazionale nella sua biblioteca, ma la rivista “Il Carabiniere”, in bella vista), non hanno granchè per ricerche fuori le terre del granoturco, puoi sempre cercarle on-line. Poi, con la pandemia, anche le grandi biblioteche, dove la ricerca è una cosa seria, hanno chiuso gli ingressi alla consultazione. Ma riapriranno, e Crema resterà una biblioteca da strapazzo qual’è, pur con ragazzi e ragazze molto simpatiche. Come ho scritto più volte, dipende cosa t’importa, quali sono i tuoi interessi: se vuoi fare l’infermiere o il parrucchiere, o il maestro elementare non c’è bisogno di andare a Roma.
Credo che la quasi totalità dei cremaschi è del tuo parere, non del mio, e hanno certamente ragione, come del resto lo sarebbero gli abitanti di Melzo se qualcuno osa parlarne male. Vivere in un posto significa accettarsi, e farsi digerire il luogo, smussando le criticità, e sottolineando le cose positive. Sta il fatto che conosco diversi genitori ben contenti che i loro figli hanno fatto fagotto e sono andati via da Crema, sono andati altrove, in grandi città (a meno che sono laureati in Agraria), a vivere il loro futuro. Da quando guardo Crema con occhi meno appassionati la vedo per quella che è, non ho bisogno di smussare, nè di aspettarmi niente di particolare. La osservo come uno di passaggio, in un certo qual modo. E per le cose che m’importa seguire, vado altrove. Dove ci sono.
In un villaggio delle Midlands, in Inghilterra, distante circa quaranta minuti da Birmigham, grossa città, la seconda o la terza per numero di abitanti nel Regno Unito (ora disunito: una volta Gran Bretagna, ora Piccola Bretagna), vivono non poche famiglie di professionisti, architetti, anche un docente universitario, un traduttore dal francese per una casa editrice, e mi hanno mostrato due grosse ville d’imprenditori che hanno uffici nella cittadona. Ma gli anglosassoni sono differenti dai padani; per loro la cittadona non è un pugno chiuso, ma un’estensione che si prolunga se non all’infinito, quasi. Ho lavorato diversi anni a Vaiano Cremasco, nei paesi del lodigiano e nonostante i Suv, i baretti con la scritta all’inglese, le faccie, l’andazzo quotidiano è ben diverso da quel villaggio delle Midlands, dove comunque gli agricoltori del posto, mi dissero, non hanno rapporti con questi intellettuali, o professionisti importati perchè amano il verde, la campagna. Le cose cambiano, ma la provincia, la campagna italiana, nel profondo è sempre quella, nel profondo, rimane quella di Guareschi.
“crocevia di incontri internazionali, al bar, camminando sullo struscio, o per l’offerta culturale.” No Marino, non ho detto niente di quello che hai scritto.
Il tema della possibile destinazione dell’area in questione si sta incrociando, come era prevedibile, con diverse riflessioni più generali riguardanti la città di Crema, il suo territorio, i cremaschi e i soliti elementi oggetto del ricorrente amore/odio locale, con i vari corollari argomentativi del caso.
Mi permetto di far presente che è normale avere di Crema e dei cremaschi opinioni diverse e magari opposte. La realtà locale, per quanto geograficamente e demograficamente limitata, presenta tra le sue specificità anche quella di una forte differenziazione al proprio interno, con significative variazioni e disomogeneità, con divaricazioni risalenti di ambienti e componenti, il tutto spesso a livello non esplicito e con codici di decifrazione non immediata.
Ovviamente, davanti a determinati elementi specifici e visibili, succede di averne una percezione differente. La cosa, detta così, può sembrare un po’ grezza in termini gnoseologici. Ma è per dire che, come prima cosa, accade di intendere, semplicemente, le stesse cose in modo percettivamente diverso. Esiste quindi un elemento squisitamente “cognitivo”, che può portare a valutazioni piuttosto differenti.
Come seconda cosa, il giudizio su Crema e i cremaschi dipende anche dalle aspirazioni, dagli obiettivi, dagli orientamenti caratteriali e dai parametri valoriali di riferimento del soggetto giudicante. È chiaro che, a seconda di questi, l’apprezzamento o meno di una certa realtà non possa che mutare, anche grandemente. Per cui, esiste un altro elemento, pienamente “soggettivo”, che può giocare un notevole ruolo in proposito.
Come terza cosa, la presa di posizione su Crema e i cremaschi dipende anche dai dati effettivi di realtà con cui il soggetto giudicante si relaziona e interloquisce abitudinariamente: fatti, situazioni, persone, ambienti, dinamiche e stili di vita. E ciò soprattutto in un contesto, come si è detto, così differenziato e disomogeneo come quello cremasco. Esiste quindi un ulteriore elemento, del tutto “oggettivo”, che può orientare il giudizio verso esiti parecchio diversi.
Ecco perché è sempre interessante, stimolante e arricchente la discussione su ciò che noialtri cremaschi siamo attualmente e su ciò che riteniamo di poter diventare. Perché questa discussione è specchio di una ricchezza di profili e di esperienze difficilmente rinvenibile in realtà umane e culturali munite delle nostre limitate dimensioni territoriali e demografiche.
Su Crema e i cremaschi, in una sola parola: dipende.
Concordo pienamente con questa analisi “super partes” e aggiungo che mi rispecchio pienamente in alcuni passaggi di post precedenti, apparentemente contrastanti, come quello sulla sciagurata e anti-storica dipendenza amministrativa di Crema da Cremona e come quello sulla gradevolezza di vedersi attraversare la strada da uno scoiattolo. Abbiamo punti forti e punti deboli straordinariamente “nostrani”.
Sarebbe interessante intavolare un analogo confronto di opinioni non tanto su “come siamo” ma su “come vorremmo che fossero Crema ed i cremaschi di domani”. Dato che il post iniziale riguardava il futuro di un “pezzo” di Crema, sarebbe bene buttare lo sguardo fuori dal “qui e ora” e chiederci come vorremmo diventare e a cosa mai potrebbe servire avere una sede universitaria. Potremmo scoprire che non serve assoultamente a niente, oppure che è molto più prioritaria dei sovrappassi, dei sottopassi e del bike-sharing… Dipende… 🙂
Aver obiettivi a breve ed a lungo termine. Occuparsi delle buche nelle strade, dei parkeggi (+ o – selvaggi) ma avere anche una visione d’assieme della città incardinata nel suo territorio, nella sua Regione, nel suo Paese (P maiuscola nè!).
Una Giunta che amministra bene una Città dovrebbe fare entrambe le cose, gurdare appena avanti, davanti a i piedi, per non…. “pestare le cacche”, ma anche “avere la testa alta” per quardare avanti, verso dove si vuole andare,
Chiedere troppo, Giovanni?
Io credo di no!
Certo, chiedere è un conto, ottenere un altro.
Dipende dalle “forze” che ci hai…….e quindi, anche quello che dice Pasini ha una sua brava ragione d’essere!
Tu, cmq prof. continua a …pestare preziosamente!
L’Italia é piena di città non megalopoli con centri universitari di una certa rilevanza. Questo potrebbe essere un futuro, non necessariamente costellato di gru e impalcature. Oltretutto Crema ha il vantaggio di essere una bella città e importare intelligenze non potrebbe che farle bene. Sono le idee che arricchiscono il mondo, non le speculazioni affaristiche e finanziarie. Se sono a City life o a Porta Nuova vedo soli architetture, non un futuro sostenibile.
Parole sante, che vi invito a tenere presenti quando sentirete parlare della Fondazione Hub dell’Innovazione, che sarà formata da enti locali e imprese locali, senza università, sarà diretta da personaggi locali (“portatori di interesse” o comunque circondati da “portatori di interesse”), non da scienziati, e avrà il compito di gestire l’immobile di via Bramante per ospitarvi attività formative (non di ricerca), mettendo a reddito i metri quadri (considerati come la vera risorsa). Ma probabilmente quando ne sentirete parlare sarà troppo tardi.
Se il futuro sostenibile è la pochezza culturale cremasca, direi che è insostenibile. Ma capisco che non si può chiedere troppo a una mezza città, o mezza campagna, perchè Crema non sa bene cos’è, sottoprovincia, colonizzata da Cremona, senza tribunale, una ferrovia ridicola, qualche bella piazzetta e bei palazzi, una bella e orgogliosa storia vecchissima, e per niente attuale. Forse ci si dimentica che Crema ci ha messo una vita per avere una piscina comunale, ci sono cantieri fermi da oltre quanrant’anni; e ora ha una multisala con una programmazione uguale a Romano di Lombardia, cioè adatta ai ripetenti di segretarie d’azienda, bocciati al primo anno. Non si può chiedere la luna a un luogo che ha 34mila residenti; quasi tutte le mezze città del genere hanno gli stessi problemi, la stessa inconsistenza, e alcuni intellettuali del posto che fanno sforzi per renderla un briciolino più viva culturalmente, sanno ma è una fatica tosta. Poi ci si può accontentare di quattro chiacchiere a un caffè della filosofia, della scuola per gli anziani, perchè da vecchi e pensionati serve poco, per tirare sera. Ho scritto più volte cosa ritengo serva a Crema, e non è il caso di ripetere opinioni che nessuno prenderà in considerazione. E poi di cosa stiamo parlando? Crema che? direbbe Maurizio Crozza. Ma se quando andiamo all’estero diciamo un pò di cose differenti per dire da dove veniamo, eccetto che abitiamo a Crema, perchè chi se la fila una cittadina che fatica ad esserci sull’atlante che non è neanche capoluogo di provincia, colonizzata da Cremona? Nessuno viene a Crema ad abitare per scelta. Perchè si vuole vivere a Crema. Come succede in tante altre città che sono città vere, oppure campagne di grande bellezza. Eccetto rare eccezioni che ci sono, Adriano è una di queste, come in tutte le cose ci sono eccezioni, ma che contano come il due di picche quando la briscola è bastoni, nei fatti. Nella realtà. Si va ad abitare a Parigi, a Bologna, a Parma, a Londra, a Stoccolma, anche a Pavia, o in un bel paesino sul mare. A Crema si nasce e il più delle volte si resta, per abitudine, perchè si è trovato la dolce metà e il lavoro per sopravvivere. Quindi, basterebbe che Crema impari, ma non lo farà, a guardarsi allo specchio, veda le proprie miserie e lavori lì. Piccoli passi avanti, non la luna. Ma non lo farà, perchè i sottoprovinciali ti rispondono che Crema è il sogno di tanta gioventù che vive a Rubbiano o a Casaletto di Sopra. Non ho dubbi. Crema può competere con i suoi paesini di riferimento, e nient’altro. Mi diverte cosa s’inventano i cremaschi per nascondere la realtà della loro mezza città, che è anche la mia.
Un giorno Corrado Stajano mi disse che una cosa sola aveva capito a vent’anni, che da Cremona se ne doveva andare via. Dico Cremona, città capoluogo, che non mi piace granchè, ma che rispetto a Crema sta parecchi pollici sopra. Devo fare la lista di ciò che rende Cremona più città di Crema? Ho ascoltato cremaschi dire che a Cremona gira poca gente, mentre Crema è affollata. I cremaschi s’inventano, per proteggersi un sacco di balle. Evito la lista, per non infierire. Quando andai a casa di Giorgio Bocca mi disse questo: se vuoi capire un luogo, la sua zucca guarda i suoi giornali, la sua informazione culturale.
Mi occupo di letteratura; se fossi falegname, che m’importa poco di lettere e cinema e storia e musica, mi fregherebbe poco di vivere in una grossa città. Finchè sei bambino, Crema va bene; anche se sei alle scuole medie inferiori. Già alle Superiori, Crema è un luogo che sta stretto, dove far girare i pollici. Mi pare di parlare dell’acqua calda, di scoprire che quando l’acqua bolle, scotta. C’è chi ti dice: no, non è detto che scotta! Crema non ha neanche un lago, un fiume serio, il mare è lontano e le montagne non vicine, la campagna è noiosa zeppa di zanzare d’estate, e umida d’inverno. E le città vere sono scarsamente frequentate dalla pigrizia cremasca, se non l’obbligato andata e ritorno per il lavoro. Ma tutto questo non è scritto negli opuscoli comunali della Pro-Loco. La verità è in ombra, come spesso succede. Se poi ciò che dico non trova d’accordo i cremaschi è come riparlare dell’acqua calda: non ne vogliono sapere, perchè scotta.
Mi sembra che entrambe le direttrici del discorso stiano portando a due possibili sintesi. Immagino che nessuno di noi intenda porsi come artefice di eventuali conclusioni, vista la rilevanza delle cose discusse e la cautela che l’età di tutti quanti noi certamente consiglia. Ma ho l’impressione che un primo tentativo di riflessione con qualche spunto in comune, nei due casi, potrebbe forse essere il seguente.
Primo aspetto, il discorso generale su Crema e sui cremaschi. Dipende. Da che cosa? Diciamocelo con cortesia ma anche con franchezza: a) dal proprio personale modo di percepire, in termini intellettivi e sensoriali, la nostra realtà locale; b) da ciò che ciascuno di noi vuole dalla vita e dagli interessi che persegue; c) dai cremaschi che frequenta e dalla realtà cremasca con cui abitudinariamente interagisce.
Secondo aspetto, la destinazione delle aree e strutture che sappiamo. Evidente: decenni senza una visione complessiva, una strategia generale, dei piani economici e dei progetti esecutivi. Si torna periodicamente al brainstorming, col sospetto che lo storming prevalga sul brain. Istituzioni locali, di tutti i colori, dal bianco al rosso, dal verde all’azzurro, alternatesi in un palese “io speriamo che me la cavo”. Di conseguenza, c’è qualcuno che dice: ahi ahi ahi, birbe birbe, avete sprecato decenni senza provvedere, con accuse ai politici, ai ruoli economici, alle forze sociali, a salotti e sacrestie, ai palcoscenici culturali (affollatissimi), alle cabine di guida decisionali (deserte): accuse di neghittosità, inconcludenza, latitanza. Invece, c’è qualcun altro che dice: madonnina mia, che fortuna, per decenni abbiamo scampato altri scempi, altre devastazioni, altre speculazioni, altri lottizzatori camuffarti da benefattori, altre porcherie architettoniche (e già, quaggiù, non è che Zanuso abbia brillato) spacciate per “urbanistica storicizzata” (questa l’ho sentita sul mercato coperto di via Verdi, che lo guardi e devi prendere un Saridon), e via dicendo. In pratica, come nella vecchia barzelletta: “non fate l’onda!”. Idem per gli Stalloni, il mercato austriaco e altro ancora. Perché è la speculazione il rischio più grosso, è il valore dell’area a far da goloso boccone. Infermieristica o matematica o qualcos’altro come ghiotta opportunità per cubature, cemento, asfalto e tutto il resto, con corollario di oneri comunali come mancia. Ecco perché qualcuno di noi, in perfetta buona fede, vuole coraggiosamente dare energia, impulso, iniziativa a questa zona troppo spesso pirandellianamente “in cerca d’autore”. Mentre qualcun altro, altrettanto in perfetta buona fede, accende timorosamente ceri in chiesa perché torni il padule e affondi ogni ruspa, torni Tarantasio e abbatta ogni gru.
Di uno come Giovanni Righini una mezzacittà, o mezzacampagna come Crema avrebbe bisogno, come il pane. Uno come Giovanni Righini, che non conosco, ma fiuto le cose che scrive, Crema politica e culturale ha intenzione di ascoltarlo? Non credo, perchè troppo avanti, troppo poco parrocchiale, quindi dove si va? Da nessuna parte, credo. L’andazzo è lento, i politici locali di qualità si contano sulle dita di mezza mano, quindi, dove si andrà? A far scena con il noleggio biciclette per chi? Capisco la paura della cementificazione, ma l’unico lavoro edilizio serio fatto a Crema, l’ha fatto un architetto fiorentino, a Portanova. Un mezzo miracolo, a dirla tutta, visto i cervelli locali. Fin troppo, visto la crisi nera dei negozianti, del piccolo commercio, la decadenza di molti piccoli centri, come Crema.
Crema è un luogo dove non esiste nemmeno un’allaccio autostradale, come hanno quasi tutte le minicittà lombarde, un cartello di uscita che riguarda “Crema”. I cartelli territoriali sono colonizzati da Cremona, che se si arriva da Viale Po (Cremona) si trovano tutte le indicazioni: Pavia, Mantova, Lodi, Brescia, Bergamo, Milano, Parma, mentre Crema neanche c’è, e si trova a fatica in un unico cartello prima dell’uscita dalla città capoluogo, dove vogliamo andare? Con altri cartelli stradali che parlano di territorio cremonese nel cremasco? Ma che luogo è Crema, mi vien da dire, che non protesta contro questo stato di cose? Qualcuno si è mai chiesto perchè a Crema, da quando sono nato non c’è una filiale di una Cassa rurale cremonese, che c’è a Castelleone, per esempio, mentre c’erano e ci sono banche di mezza lombardia? Un caso, o una cosa voluta?
Che razza di rapporto c’è quindi, nel profondo tra Crema e Cremona? Perchè non andare a un chiarimento definitivo? Perchè non si può. Perchè Crema è in parte sentinella in piedi culturale, e in parte sentinella laica seduta, rassegnata all’inconsistenza.
Se non si hanno le palle, i testicoli per andare in Regione e dire che se non si potenzia la ferrovia, non solo il piazzale della ferrovia, Crema resterà solo un piccolo centro storico vestigia del passato. Un luogo impalpabile, adatto per neonati, studenti fino alle Medie, e anziani che non hanno grossi problemi finanziari causa covid, perchè i soldi arrivano sempre tutti i mesi, e oltre la passeggiata prima di cena, il resto è noia.
Crema resterà il luogo favorito per quelli di Salvirola o Vaiano Cremasco che per superare l’orizzonte del granoturco che quando è bello alto impedisce di guardare lontano, vengono a farsi il giretto in Via Mazzini, poi morta lì, se ne tornano a casa, con quattro vetrine quattro di luci per cambiare il loro scenario di vita. Si vuole solo questo? E’ probabile.
Caro Marino, le tue indicazioni sui cartelli stradali mi hanno incuriosito. Il cartello sulla “via del gusto cremonese” al rondò di Vergonzana indica chiaramente la via di ingresso a San Bernardino. Perbacco, cremonesi “gustosi” a San Bernardino? Forse alle Quade? Dove? Se qualcuno sa qualcosa, parli e sciolga questo enigma. Il cartello alla Benzona cita invece una “strada dei sapori lodigiani” tutto sommato meno misteriosa, anche se poi si legge pure “e dei vini di San Colombano”, quindi vini “milanesi”, vista la scelta amministrativa fatta anni addietro dalla popolazione banina.
Però secondo me, Marino, come cremaschi non dovremmo inquietarci troppo per questa segnaletica. Sono cartelli che fanno sorridere, più che inquietare. Se non anche irridere. Siamo tra Arbasino e Ceronetti, con questi bizzarri landmarks di velleitaria gastro-viabilità. Del resto, ogni specie marca il territorio come può, anche certe grosse scimmie antropomorfe. Tra l’altro, se le giovani generazioni cremasche non fossero tutte composte da Garrone r se ci fosse ancora qualche Franti, quei cartelli avrebbero vita breve. Beninteso, nell’ipotesi di manomissioni, mi dissocio sin d’ora da qualsiasi comportamento in proposito, in particolare ai sensi dell’art. 414 C.P.
Che poi altri cartelli abbiano indicazioni di distanze chilometriche errate, non mi sembra debba turbarci così tanto. Lo stesso per il fatto che Crema non sia indicata in certi snodi viabilistici cremonesi o lodigiani. Invece mi sembra che sul bergamasco e sul bresciano Crema sia ben segnalata, anche se non ho fatto studi particolari su questa segnaletica. Sarà che siamo tutti gente di Terraferma veneta.
Nel complesso, penso che a Crema i problemi siano ben altri. E mi permetterò in un prossimo commento di indicarne alcuni che a mio parere dovrebbero davvero preoccuparci.
In ogni caso, Marino, non direi che sarebbe una cosa positiva aggiungere alla “via del gusto cremonese” e alla “strada dei sapori lodigiani” una “via delle gru milanesi”, magari a Pandino.
Stai tranquillo, caro Pietro, che a Pandino non faranno cartelli con scritto “Via delle gru milanesi”, non credo almeno. Pandino è luogo di quasi tre confini, anzi quattro. So bene che la cartellonistica stradale conta un fico secco, come conta un fico secco se dicono alla Rai che Sergnano è nel cremonese, che Vergonzana è una strada del gusto cremonese. Non è neppure adatto quale argomento da conversazione accademica dire che a Crema non risultano filiali di banche cremonesi, mentre ci sono state banche di Desio, Novara, Treviglio, Caravaggio,dall’Emilia Romagna, Milano, ecc. Se Crema dista ben meno di 41 km da Milano, vuol dire che l’aritmetica è come tirare le palline a centrare le bocce di vetro e indovinare il pesciolino rosso, se va bene. Si tira a indovinare, magari si fa centro. Ma sono bazzecole, dici.
Sono abituato ai dettagli che sommati fanno qualcosa. Il problema è che tra tanti sapientoni, anche ben strutturati nel lessico, magari in consiglio comunale, non c’è un cane che si accorge che tanti dettagli non sono più un dettaglio. E Milano non ha bisogno di avvicinarsi a Crema, con decine e decine di luoghi che farebbero carte false per avere migliori canali viari più spediti con Milano. Crema può stare pure nel suo splendido isolamento e godersi quel niente che è. So bene, come ho scritto più volte che molti sono contenti così. L’importante è non lamentarsi se giovani di qualità se ne vanno, ma questo credo non frega niente agli anziani tanto affezionati alla passeggiata prima di cena, che non vogliono fastidi, e per loro basta leggersi “Il Nuovo Torrazzo”, e uno spettacolo musicale di un quartetto della Scala, che così gentile è venuto a Crema – così recitava il notiziario – a deliziarci di ottima musica.
Non mi sembra che il problema principale di Crema e dei cremaschi sia oggi quello di una decadenza culturale, di una carenza di attività ludiche o di una insufficiente movida, con corollario ferroviario annesso, per più agevoli trasferimenti a tali fini. Per cui, la concentrazione di gran parte delle colpe locali sulla stazione e sulla linea ferroviaria mi pare eccessiva. Il problema esiste per i pendolari lavorativi e andrebbe risolto soprattutto per loro, che a Milano e in altre città ci devono andare e tornare per sopravvivere. Tuttavia, avremmo anche altri problemi, che a mio modesto avviso sono alquanto più gravi.
Per esempio, la crescita demografica oltre le 30.000 unità residenti, comprese le frazioni e i sobborghi, una crescita che ha incrinato (e ormai quasi rischia di stravolgere) assetti, equilibri e rapporti locali risalenti e proficui, con risultati che sono sotto gli occhi di tutti. In particolare, l’ormai incontrollata immigrazione di numerosi soggetti, spesso clandestini, di difficile assimilazione e, in prospettiva, di ancor più difficile gestione in termini di ordine pubblico. La recente frenata della crescita demografica non impedisce purtroppo evidentissimi fenomeni di sostituzione etnica, a partire dalle scuole e dai luoghi di assistenza sanitaria.
Inoltre, il consumo continuo di suolo, non solo agricolo ma anche naturale e a verde, con alterazioni architettoniche e talvolta con scempi urbanistici e paesaggistici tanto palesi quanto impuniti.
Quindi, l’irresponsabile distruzione del patrimonio vegetale locale, in particolare di quello arboreo d’alto fusto. Un aspetto spesso dovuto a fini speculativi ma talvolta anche a incapacità tecnica e gestionale nella manutenzione di queste risorse arboricole. Tutto muore prima o poi, in natura, ma se non lo curi o lo curi male muore prima e peggio.
Poi, l’inquinamento dell’aria, del suolo e dei corpi idrici, giunto ormai a livelli di notevole allarme e, ciò nonostante, senza che si intraveda alcuna strategia complessiva a lungo termine per porvi rimedio. Non basta dire che una grande nuvola di smog copre tutta la valle padana e quindi amen. Anche perché il problema del traffico urbano, dei parcheggi selvaggi e delle zone verdi a curiosa e non casuale mezzaluna la dicono lunga sul perché, sul chi e sul che cosa.
Infine, la sempre più diffusa inciviltà della dispersione dei rifiuti, di ogni genere e con ogni mezzo, nell’ambiente urbano in tutto il territorio circostante, dappertutto ci sia possibilità di anonima maleducazione: strade, campi, rogge, sentieri e dovunque l’umana cialtroneria possa esprimersi.
Certo, poi abbiamo pure il problema del tribunale, dell’università e di altri scippi in vista. Ma su quel “poi” e su quel “pure” ci rifletterei, magari anche solo un momentino.
Si, Pietro, su quel “poi” c’è molto da dire, perchè io credo che più che un “poi” i temi Tribunale e Università siano da considrare come temi di fondo, la modaità di soluzione dei quali, va poi a condizionare anche tutto il resto. Ma proprio come atmosfera socio/culturale, come modo di pensare e di essere cittadini di un territorio.
Si tratta di come pensare, voler progettare, il futuro di questa città o di questo …..paesotto!
Ed i problemi relativi allo spostamento delle persone e delle cose (SS 415 Paullese e trasporto su ferro) pur ai tempi di internet (magari 5G!), telelavoro e videoconferenze, hanno pur sempre rilevanza cruciale e bene fa Marino a continuare a pestarci.
Sottolineo cmq il come si è sviluppato ed articolato il confronto/dibattito partito dal “titolo”, allargandosi ad un ventaglio complessivo di temi, per toccare con mano, de facto, l’assoluto rilievo che il poter contare su un laboratorio di “ricerca applicata” (si LABORATORIO DI RICERCA APPLICATA, questo è, proprio come “metodo”!) potrebbe/dovrebbe avere per Crema!
Forse, anzi sicuramente, sono un po’ tonto, ma se non si fa una mappatura delle potenzialità, se non si identifica “Crema, che sa fare?”, cercar di farla crescere con iniezioni ricostituenti o condotti di flussi umani più rapidi è un goico alla dispersione. Ogni città ha la sua vocazione, come ogni persona. E vi roisparmio il solito esempio monocoltura – trattori Lamborghini – Lamborghini e Ferrari nel triangolo emiliano dei motori.
Crema sapeva fare tante cose all’eccellenza fino a pochi decenni fa. Cosa c’è da recuperare? Se mi sbaglio e bisogna lanciarsi verso orizzonti nuovi allora non insisto. Ma Crema è un pozzo di cultura, la buttiamo via? Ciò resta solo come un nobile passatempo, un gioco nello scambio di chiavi di lettura, tutte private? Crema che sa vendere? Questa manna dal cielo cosmetica di cosa è figlia?
Io dico che la città sa fare tanto, ma facciamo l’inventario, poi si vedrà cosa serve per rinverdire quelle più promettenti e su cosa spingere.
Facciamo un gioco semplice! Crema è una città… e forza con gli aggettivi!
L’industria negli anni 80 lo faceva con le parole, facendo elenchi e sparandone una a caso fra quelle razionali per provare tutte le interstezioni. Può saltar fuori di tutto, dall’industria spaziale al parco giochi al….
Intersezioni, manco il mare e il sole mi sanano!
Ardisco farvi notare che i nostri commenti continuano a riferirsi al passato e al presente di Crema, non al suo futuro. Anche chiedersi cosa abbiamo fatto bene finora, non è sufficiente: il risultato di questo esercizio può essere solo la perpetuazione dell’esistente. Meglio chiedersi “cosa vorremmo sapere fare”, “come vorremmo diventare”, “quale Crema vogliamo per i nostri figli o nipoti”. Tradizioni e vocazioni non necessariamente coincidono; anzi, le vere “vocazioni” (l’idea che abbiamo del futuro) chiedono sempre di superare le tradizioni (l’idea che abbiamo del passato). Il tema “università” va affrontato così. Se no, “tutto finirà in formazione professionale per la cosmesi” come ha profetizzato un mio stimato collega qualche anno fa, andando in pensione, dopo parecchi anni di docenza nella nostra sede universitaria.
Pensavo che fosse implicito in quanto ho scritto: parlare di valenze è futuro. Forse devo intendere il commento nel senso che le radici non devono essere necessarialmente locali, per lo sviluppo di qualcosa, cxioè l’esatto opposto dei mei presupposti, ma capisco, chi ha tanti contatti guarda oltre la recinzione.
Ha ragione Francesco, pesto su Crema e insisto, magari facendomi qualche antipatia. Ma i fatti sono che Crema ha un nocciolo duro di cremaschi a cui importa poco che sia più mezzacampagna che mezzacittà; ti rispondono: vabbè, non è meglio restare mezzacampagna con gli alberi capitozzati, o spariti del tutto sui bordi dei fossi, che avere Milano alle calcagne? Mezzacampagna qual’è Crema, che se anche perde pezzi importanti, come sta avvenendo, forse è meglio così, che non arrivano le gru, e si può giocare a ramino, o godersi le vestigia del passato lontano, e farsi un caffè in piazza ad ascoltare i pensionati che guardano le locandine dei giornali, ma non li comprano perchè hanno il braccino corto, e vabbè, qualche volta verrà pure anche a Crema qualcuno d’importante, che lo dirà anche “La Provincia di Crema” giornale di Cremona, e magari ci sarà scritto sulla locandina, così lo si saprà lo stesso.
Ho scritto che sulla circonvallazione interna di Cremona, davanti alla Tamoil ho visto due grossi cartelloni che indicano città di mezza Lombardia, ma non Crema, citata solo all’altezza di Cremona Po. E’ citata Lodi, mentre Crema che da quelle parti è la direttrice più vicina, manca. Perchè? Pietro risponde che da Bergamo venendo a Crema il nostro paesotto-città è citato. Certo che lo è da Bergamo. Scrivo mele e mi risponde albicocca. Bergamo non colonizza Crema, non serve ridicolizzarla e trattarla come luogo dipendente. La segnalazione di Crema manca due volte nei grossi cartelli perchè non è considerata da Cremona un luogo importante, ma una colonia, non una città vera come indicano i due cartelli che citano Pavia, Mantova, Parma, Milano, Lodi, e forse anche Bergamo. Potrei andare avanti con altri esempi dove Cremona ridicolizza Crema, considerando il cremasco come territorio del cremonese. Ma ho già citato vari esempi; ripetersi non serve.
E la faccenda comica che i cremaschi, neanche ci fanno caso, non hanno neanche l’orgoglio di rendersi conto di essere ormai una colonia senza qualità, una dipendenza che non ha più un tribunale, non più una succursale universitaria, rischia di perdere l’autonomia ospedaliera, ha un cinematografo adatto ai ripetenti delle Segretarie d’azienda bocciati al primo anno. Un grande piazzale della ferrovia con una ferrovia monobinario ridicola.
Lodi è una cittadina con residenti in crescita. E’ arrivata a 46mila. Non molti anni fa aveva poche migliaia di abitanti più di Crema. Ma i suoi collegamenti rapidi con Milano hanno permesso a Lodi un maggior sviluppo, una migliore consistenza di città, e personalità maggiore rispetto a Crema. Devo fare la lista di ciò che Lodi ha rispetto a Crema, degli anni che sono servitia Crema per avere una piscina comunale, un teatro rispetto a Lodi?
Si certo Giovanni, è su un doveroso progetto per il futuro della nostra cità del nostro territorio che un’Amministrazione avveduta dovrebbe lavorare (oltre che sull'”ordinario” che è routine d’obbligo!).
Nostro compito proprio pungolare in quella direzione!
E tu, continua a “….ardire nel far notare….” ce n’è bisogno.
I cattedratici “incattedrati” rappresentano un passato che serve assai poco!
Giovanni Righini dice bene: Crema dovrebbe sapere cosa vuol fare da grande, cosa si aspetta dal futuro.
Ma c’è un problema. Crema non sa cosa vuole dal futuro, perchè non sa che luogo è. Non è una città, anche se c’è scritto sullo scartafaccio. Anche Soncino, Orzinuovi, Soresina, anche Castelleone sono “città” sul notiziario comunale. Che cos’è una città? una città vera? Quel luogo che ha tutti i servizi essenziali: un certo numero di negozi per cui vale la pena buttarci un occhio; uffici vari, tutte le attrezzature sportive, un ospedale valido, un tribunale, una seria ferrovia, tutte le scuole Medie e anche scuole universitarie o parauniversitarie di qualità. Un pò di cultura almeno di medio livello. Teatri, cinema, con programmazioni di buon livello. Una personalità spiccata. Un ruolo autonomo e non una colonia altrui. Una città vera è un luogo appetibile dove c’è chi vi si trasferisce per scelta, e non perchè si è vinto un concorso.
Crema ha tutte queste caratteristiche? Macchè. Ci sono piccole città, come Lodi che hanno quasi tutte queste caratteristiche; Treviglio è proiettata ad accrescere il suo ruolo di piccola città molto ben comunicante.
Crema non sa se è una mezzacittà, se è mezzacampagna; è sotto i talloni di Cremona, con cui ha continue frizioni, perde i pezzi, ma è rassegnata ad essere un luogo inconsistente.
Un futuro ce l’ha, “Crema paesotto” come la chiama Francesco, quello di essere borgo-mercato di richiamo per i paesini e paesetti che sono tanti nel circondario. E infatti Crema oltre ad essere il paesotto del tortello, la piccola capitale lombarda della cosmetica, è anche ricca di supermercati. Cultura scarsa; spettacoli pochi; una ferrovia di campagna, ma tante marche di pannolini che si possono acquistare, a tutti i prezzi, e ci sono altri supermercati in arrivo. Questo è il futuro di Crema.
Una specie di “paese dei balocchi dei consumi” Marino? Ma con quali soldi? Quelli dell”apri/chiudi negozi di abbigliamento su via Mazzini/XX Settembre? Un sorta di “lavanderia” dei contanti? Per questo è anzi molto adatto questo assetto …..tranquillo!
Sì, credo che la stagione della grande distribuzione si sta incrinando, come negli Stati Uniti, ma la gente trova piacere ancora aggirarsi, non solo per acquistare, nei centri commerciali. Anche diversi pensionati, prima dell’emergenza Covid si ritrovavano alla Coop di Crema, a guardare chi entrava e usciva. E c’erano famigliole che portavano anche la nonna all’ipermercato, che quando superavano le porte scorrevoli all’ingresso rallentavano, per godersi tutta la bellezza delle luci, i negozi, da subito. Non perdersi niente. Così arrivavo io e andavo a sbattere contro di loro con il carrello. Rallentare all’ingresso di un supermercato dovrebbe essere vietato. Il massimo della goduria popolana era, sempre prima dell’era Covid, l’iper Cremona Po che il sabato o la domenica è un luogo imperdibile. Un forte odore di fritti, balocchi, famiglie foreste e bambini che corrono come matti, una vera piazza contemporanea con le “tabelle” delle campagne cremonesi a riempire il viavai al primo e secondo piano. Tutta brava gente. Un odore di cibo McDonald’s così forte che dava alla testa. Imperdibile. Per rifarmi l’aria, cambiavo aria e in altri giorni mi aggiravo in un’altro centro commerciale più intellettuale, molto raffinato, a Citylife, nella metropoli. Belle ragazze, belle signore, spazio tanto, un’architettura di qualità, spazio per studiare più che in biblioteca alla Sormani. Cosa vuoi, Francesco, il comunismo era noioso, e la socialdemocrazia che ha vinto alla grande sul comunismo, e non ha mai nascosto la necessità, anche il piacere del liberomercato con ipermercati connessi, quando ero ragazzo era sbeffeggiato dai miei amici benestanti comunisti. I comunisti guardavano i socialdemocratici con disprezzo. E certi comunisti anche nella Germania Est, come il commediografo Muller dissero amaramente che non capivano perchè il popolo preferisce passare tempo piacevolmente al centro commerciale, piuttosto che il teatro greco, o Sofocle, o i testi del teatro dell’assurdo, o certo cinema angoscioso che fa scappare le nonne. E questo è anche il motivo per cui certe ex comuniste, figlie di comunisti bravi, Bianca Berlinguer si diverte tanto con Mauro Corona in televisione. Al centro commerciale, in televisione a fare il finto battibecco il popolo, pure gli intellettuali non si annoiano: c’è tanto da vedere, dirsi stupidaggini, e tante cose nel negozio grande di negozi, con le offerte speciali. Gli sconti.
https://www.cremaoggi.it/2020/07/23/consumo-suolo-provincia-cremona-secondo-maggior-incremento-annuo-lombardia/
Ivano, nn realizzo bene come il link (pur di grande interesse in quanto tale) si relazioni al tema oggetto del post!
Non è certo di consumo di suolo che si sta parlando, il “suolo” è già stato impegnato a suo tempo!
“Inoltre, il consumo continuo di suolo, non solo agricolo ma anche naturale e a verde, con alterazioni architettoniche e talvolta con scempi urbanistici e paesaggistici tanto palesi quanto impuniti.”. Francesco, questo é quanto ha scritto Pietro qualche commento fa. Poi si parlava anche di gru in prospettiva di future megalopoli come succede in tante parti del mondo. Il futuro di un territorio c’entra anche con l’utilizzo del suolo, non credi? Abbiamo un paese con un dissesto idrogeologico da far paura, vedi Palermo e Milano, nonostante i soldi che si potrebbero spendere e le pastoie burocratiche che lo impediscono. Insomna, il futuro di un territorio c’entra eccome con la tutela del suolo e del suo utilizzo. Non pensi anche tu?
Sono molto dì’accordo sulla necessità di minimizzare il consumo di suolo. L’abbondanza di verde rispetto al grigio è una delle più pregevoli caratteristiche del nostro ambiente. Basta confrontarci con il Nord Milano e scopriamo di essere in paradiso da questo punto di vista. Aggiungo che a mio parere c’è consumo e consumo. Per certi scopi può valer la pena aprire un cantiere, per altri direi di no. Esempio 1, si potrebbe risparmiare suolo se invece di costruire sovrappassi e scavare sottopassi si spostasse un sensore di qualche centinaio di metri per far sì che la chiusura di un passaggio a livello duri mezzo minuto (come accade nei paesi civilizzati anche in piena città) e non mezz’ora. Esempio 2: piuttosto che mantenere una vasta area verde allo stato selvaggio e chiusa al pubblico, meglio edificarvi qualche residenza universitaria e trasformarla in un campus universitario (come ce ne sono tanti nel mondo civilizzato). Anche da queste scelte si vede quale idea di futuro una città ha in mente.
Infatti a Milano hanno utlizzato aree dismesse come in zona Greco Pirelli per centri universitari e mostre d’arte contemporanea. Ma non solo lì. A Crema, grande paesotto di pianura, vicino e lontano da tutto, sono anni e anni che cincischiano sulla “cittadella della cultura”, mentre ogni tanto, quando tira lo stravento (roba nuova per i cremaschi) volano pezzi della scuola cattolica, del “mostro” ai Sabbioni, ma non sanno cosa farne, perchè il paesotto non ha l’energia viva di Milano, ma l’andazzo lento dei paesotti di campagna. E si tira a campare. La realtà è questa, poi se vogliamo contarci altre storie o altre balle, come il consumo di suolo tanto per farci ambientalisti da granoturco facciamo pure.
Ed ecco che il prof, diretto interessato, ha realizzato al meglio la relazione, Ivano.
Si tratta di vedere “….quale idea di futuro una città ha in mente”.!
Io dico che una città non è avulsa dal territorio che la contiene in quest’Italia a macchia di leopardo, quando abbiamo una moltitudine di paesaggi da far invidia a paesi continentali di clima e poveri di orizzonti. Abbiamo paesaggi naturali, un tempo, di bellezze riconosciute, deturpati dal cemento, da un dissesto idreologico e ponti che crollano, senza troppo incanto per quello di Genova edificato in brevissimo tempo, ma una goccia nel mare. Abbiamo uomini importanti a costellare un firmamento che non è la politica di una classi dirigente mediocre, clientelare, assistenziale, affaristica, complottista, magari un tempo stragista. E non basta certamente l’arcobaleno che ieri ha colorato il cielo all’inaugurazione del ponte a dare nuova linfa, o che pare basti dire “non piove, governo onesto” nella triste inaugurazione- commemorazione di ieri per un po’ di ottimismo. Un’Italia da riformare quindi, nel corpo e nell’anima, uomini lo stesso, malati dentro e fuori, risanare in ardua impresa che buona parte andrebbe dedicata a macerie di capannoni e strade inutilmente impattanti. Un’impressione, magari ricordi non circostanziatissimi: un viaggio di qualche ora di macchina per visitare a Possagno la gipsoteca della casa natale di Canova, luogo straordinario con un bianco impatto visivo da fa strizzare gli occhi e villa Barbaro di Maser per vedere gli affreschi del Veronese. Ma per arrivarci, strade, stradine, sottopassi, tangenziali, costruzioni civili e fabbrichette in ordine sparso da assoluta mancanza di un piano regolatore, in un nord- est, impulso certamente all’economia, ma devastante per un territorio labirintico di malefatte architettoniche e ambientaliste e dove di naturale è rimasto ben poco. Come quella villa Palladiana di cui si parlava tempo fa con una tangenziale a pochi metri. In una logica del costruire come se fosse ancora oggi l’unico fattore di sviluppo quando tanto si parla di dematerializzazione e start up capaci di sovvertire il paesaggio fisico e quindi anche mentale di tutti noi. Comprendendo anche che una manifattura lasciata nelle mani di potenze in grande sviluppo economico ci sommerge di sottoprodotti senza regole solo in nome di un profitto a bassi costi. Quando tutto invece andrebbe conciliato, tra bisogni materiali necessari che non selezionati portano a quell’iperconsumo indotto dalla nostra cultura materialistica che appunto ha legittimato tutti i capannoni ridotti ormai a cattedrali nel deserto con tutto quell’asfalto per arrivarci. Salvo poi incantarci di fronte ad una collina toscana o umbra orlata di cipressi, con la vecchia torre stagliata contro un cielo del Perugino. Cosa fare quindi delle nostre città? Domanda sbagliata dal mio punto di vista, con le cortine periferiche che neppure fanno immaginare che oltre c’è una campagna ancora bella con strade sterrate ancora da scoprire. Percorro il canale, imbocco una strada bianca e mi ritrovo tra sipari di granturco che non vedi l’orizzonte, senza sapere quale paese stai per incontrare. Così da sentirti un esploratore, finchè svetta un campanile e ti ritrovi dove in bicicletta non ci sei mai stato. Poi magari subito dopo ti imbatti in quella discontinuità fatta appunto di fabbrichette in ordine sparso o stalle che sono ormai enormi prefabbricati che non hanno più nulla di bucolico, in un disordine o pasticcio paesaggistico che viene in mente quello che a partire dal Settecento i viaggiatori romantici annotavano nei loro taccuini di viaggio che “ l’Italia era un paese affascinante, colto e decadente insieme, cosparso di pittoresche rovine, abitato da briganti. I viaggiatori inglesi che rientravano dal Grand Tour in Italia riferivano unanimi che la penisola si presentava come un immenso museo in rovina popolato da gente miserabile e viziosa che si affollava rumorosamente nelle strade vivendo in pratica all’aperto grazie alla clemenza del clima, ricoperta di cenci o seminuda, del tutto inconsapevole delle glorie trascorse. Insomma l’aura di quel passato non s’è completamente dissolta”.
Cosa si osserva ora? Si osservano capannoni dismessi che mai diventeranno romantiche rovine o strade che mai saranno fiancheggiate da cipressi per amene passeggiate, e magari gente vestita, però piena di negazionisti in questo momento nudi di mascherine, concupiti, maschi e femmine, sesso o potere, da politici certamente non di rango che raccolgono i fedelissimi e rumorosi accoliti al suono dell’Inno di Mameli sparato a palla con coreografie leopardate. I briganti poi non sono mai scomparsi.
O qualcosa sta cambiando? Allora, ripensare le città o sapere di quale Paese, un tempo “bel”, abbiamo in mente?
Francesco, sempre orgoglioso di essere italiano? Io no, anche alla luce anche delle ultime vicende che han visto detentori di partita Iva, nonchè onorevoli, chiedere all’Inps il bonus di 600 euro, poi diventati mille, quando per molti lavoratori, quelli sì alla fame, la cassa integrazione non è ancora arrivata, mentre si discute sulla trasparenza e i il diritto alla privacy come se si trattasse di salute, orientamento politico o sessuale con tutte le discriminazioni che ancora caratterizzano la nostra società “incivile”, cioè diritti fondamentali. Insomma, dobbiamo sapere chi sono o no? Lasciamo stare il giudizio di fior di costituzionalisti che si richiamano alla nostra carta dove appunto la privacy è tutelata, io mi chiedo come il disonore di nostri onorevoli debba essere tutelato nascondendo tutto. Soprattutto in tempi che ci portano verso un referendum col proposito del taglio dei parlamentari per cui viene da chiedersi , qualora prevalessero i sì, cosa succederebbe se i prossimi oligarchi fossero di quella risma. Oltretutto con questi decreti che senza nessuna condizione hanno elargito bonus indiscriminatamente come è successo col reddito di cittadinanza regalato a mafiosi e spacciatori agli arresti domiciliari. Viene anche da chiedersi come i nostri politici scrivano le benedette leggi che dovrebbero regolamentare la convivenza civile. Sia bonus che reddito sono stati promossi oltretutto da Ministri grillini che, se avessero scritto da ubriachi avrebbero dovuto avere almeno l’accortezza di correggere da sobri. Certo, non siamo in Bielorussia e neppure fortunatamente in Libano, ma viene da domandarsi sempre con quale accortezza il cittadino si avvicini all’urna elettorale. E l’Europa, pur considerato i partita Iva beccati un piccolo episodio, avrebbe tutto il diritto di chiederci come mai noi italiani siano così inconsapevoli di essere ammaliati, o circuiti, da una classe politica di affabulatori da strapazzo che di onorevole non ha proprio niente. Generalizzazioni? Può darsi, ma in tutti i casi, e faccio propaganda, basta vedere l’appartenenza dei 5 furbetti ed è tutto detto. Non solo: Salvini, dopo averne chiesto le dimissioni, una volta quasi svelata l’identità, ha ritrattato riparando verso una sospensione temporanea. Cosa c’è di onorevole in tutto questo?
E mi scusi il Prof. Righini per questo spostamento, ma che si parli di università, o di suolo, o di malefatte italiane, alla fine sempre di politica si tratta.