Con la vista annebbiata, in piedi sul parapetto, guardò giù: l’acqua scorreva avvolgendosi in spirali lente, dandogli una vertigine sottile, ammaliante. Il cuore gli scoppiava nel petto, pareva che ad ogni battito se ne dilacerasse qualche fibra; dietro di lui non c’era più niente, il mondo era solo un accavallarsi di immagini di angoscia ormai incomprensibili; a un certo punto cessarono i colpi di mazza al cervello e subentrò uno stupore attonito e vacuo. Allora fu già cadavere in effetti, niente più che un automa spento cui rimanesse un moto inerziale sufficiente ad apporre l’ultimo sigillo (forse questo accade a tutti i suicidi).
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Era successo tutto in una settimana. O meglio: tutto era precipitato quella settimana. Lunedì trovò che ancora una volta il punteggio era calato per la sua mania di passeggiare dopo i pasti, e lo sapeva benissimo che la DR Deambulazione Ricreativa tirava giù punti, e la notifica arrivava subito con l’orribile bip che ben conosceva. Sua moglie gli aveva dato del deficiente, a ragione. Fatto sta che ultimamente non si sentiva in gran forma, al contrario. Il problema sospettava che fosse l’ultimo vaccino, contro l’alito cattivo, dell’anno prima. In ufficio c’era stata una vera gara a iniettarselo per primi: i pochi sociopatici che avevano opposto qualche resistenza (lui non era certo fra questi) erano presto stati relegati in reparti-ghetto, fuori dai giochi che contano. Per beffa poco tempo dopo fu chiuso definitivamente l’ufficio e tutti presero a lavorare in smart-working da casa; In ogni caso quest’ultimo vaccino, fra i più innocui, doveva avergli creato qualche scompenso.
Sulle prime pensò a un mal funzionamento del chip sottocutaneo – cosa abbastanza comune – tanto i valori ematici parevano sulle montagne russe. Invece no funzionava alla perfezione (almeno così aveva dichiarato l’ispettore): continue notifiche piovevano sul cellulare, e ogni volta era un salasso di punti. Cominciò a notare una sottile vena di disprezzo in sua moglie. Ma ovviamente questo era niente. L’assicurazione aumentava il premio vertiginosamente a ogni notifica; poi doveva assumere una marea di integratori alimentari disgustosi e indigesti, intraprendere cicli terapeutici: il bello era che erano le passeggiate che rimettevano a posto i valori, ma queste erano un lusso fuori dalla sua portata. Con le cure il punteggio risaliva ma era una fatica improba, un mezzo calvario.
Quel giorno dopo pranzo si sentiva uno straccio. Avrebbe dato chissà cosa per far due passi per digerire ma sapeva bene di non poter neanche accennare la cosa. – Ci andiamo a fare una passeggiatina amore? – suggerì ironica e spazientita la moglie mentre con gesti bruschi tagliava della frutta per la bambina, che innocente razzolava sul pavimento animando la sua scena di bambole. – Dai! – continuava – così quest’anno in vacanza ci andiamo con le partite iva! Eh? Dai! -. Non rispose. Pensava ai primi anni ’20, quando ci fu il movimento delle partite iva. Centinaia di migliaia di persone che mareggiavano tra slogan accattonaggio sommosse, che si proclamavano lavoratori e imprenditori traditi dalla nazione… alla fine parte emigrarono, parte sparirono, i più brutali divennero Angeli della Salute (una specie di milizia di kapò in veste di infermieri) ma i più rimasero straccioni ammassati in suburre, contentati da frumentationes imperiali pagate da Amazon. A lui in quel tempo, all’inizio della crisi, non fregava nulla di queste vicende… si era rimpannucciato nel suo impiego statale sicuro, e ‘sta gente si arrangiasse… in fondo così avevano abbassato le arie, e poi gli erano sembrati sempre tutti dei mezzi evasori fiscali.
Non rispose. Si spogliò, indossò una tuta, e uscì di casa. Con mezz’ora di AMI, Attività Motoria Intensa, al contrario delle passeggiate da perdigiorno, si tirava su qualche punticino… anche se lui aveva sempre odiato correre. Aveva un vecchio problemino cardiaco… nulla di troppo grave, innocui episodi di tachicardia in gioventù, che quando c’era stata la microchippatura generale della popolazione, aveva opportunamente provveduto a nascondere; ne erano a conoscenza il suo vecchio medico e pochi altri… non poteva in alcun modo permettersi venissero fuori ora. Ma uscì a correre, soprattutto perchè sperava di incontrare lei, Giulia… l’unica boccata d’aria pura della sua vita. Si erano conosciuti facendo stretching sulle panchine che punteggiavano la pista da jogging che seguiva il perimetro della cinta sorvegliata della loro cittadella. A lungo l’aveva quasi inseguita, una volta, ipnotizzato dalla coda di cavallo castana che ondeggiava al ritmo della sua falcata elastica di ventottenne. Che meraviglia, che freschezza… purtroppo per lui, coi suoi quaranta inoltrati e poltronati non era uno scherzo starle dietro. Comunque avevano parlato, avevano scoperto di aver fatto gli stessi studi, di avere interessi comuni… niente di più, ma si sorprendeva a pensare a lei sempre più spesso… ma cosa faceva, da dove veniva? Dolce mistero.
Uscì di casa in corsetta leggera, e come per incanto da un viottolo ecco spuntare lei, Giulia! Con i fuseaux neri, la lunga chioma castana raccolta tranne qualche ciocca ribelle che sfuggiva maliziosa a velare lo splendore delle pupille oneste e del sorriso sereno… gli correva incontro anelante, e lanciava amabili strali su lui pigrone che non si era fatto più vedere. Quasi non osava pensarlo… ma possibile che… no, impossibile, eppure… che lo stesse aspettando? Lo negava a se stesso risolutamente ma non poteva evitare di lasciarsi accarezzare da un paradisiaco residuo di dubbio.
Corsero come non mai. Scherzavano, parlavano, lei intanto aumentava l’andatura. Lui cercava di rallentare: impossibile, la ragazza era implacabile. Oltre una macchia di alberi folti c’era un tratto in pieno sole; quando vi sbucarono fu abbagliato dall’esplosione di luce delle due pomeridiane; di colpo sentì come una perdita di equilibro e un vampa di calore montargli alla faccia. Il cuore prese a battere all’impazzata, era in piena tachicardia. Si sdraiò a terra sulla schiena con le gambe flesse ansimando forte. – Giulia… – mormorava. Lei si comportava in modo strano: accosciata in silenzio, impassibile e fredda, gli prese il polso e gli controllava il battito cardiaco. Dopodichè, sempre senza far motto, si alzò e si allontanò camminando, senza voltarsi indietro. Non capiva; la guardò allontanarsi sollevando il collo a fatica, poi riappoggiò la testa al suolo. – No, no, no… non ora ti prego… – implorava, sentendo il cuore che pareva un motore in fuorigiri, mentre l’ansia accresceva ulteriormente la cosa. Il telefono mandava un suono di allarme assieme a campanelli di notifiche continue, messaggi, verbali, mentre i soccorsi giungevano.
Il giorno dopo trovò il coraggio di esaminare le situazione. Stava bene; non era stato che un breve episodio di aritmìa, ma sapeva bene cosa comportava. Cercò di connettersi per lavorare: your account has been disabled. Tutto qui. Seguiva una breve animazione di un coniglietto con le orecchie basse che si allontanava, e poi riprendeva a saltellare ricevendo pubblicità di soluzioni di credito di vario tipo, centinaia di pubblicità di farmaci e trapianti di cuore. Era precipitato sotto di tre categorie sociali. Presto avrebbero dovuto lasciare la casa, l’auto, il quartiere… beni e servizi che in quella fascia di punteggio si sarebbe sognato. Col respiro mozzato e un macigno sullo stomaco consultò il sito del suo ente… e vide. “La direzione saluta con entusiasmo facendole gli auguri il nuovo supervisory department counselor, Franca Alberti, che sostituisce il suo predecessore, passato ad altri incarichi!” neanche lo nominavano… ma questa Franca chi diavolo… guardò bene: era lei, “Giulia”. Nella foto era molto diversa, sorrideva con competenza e professionalità, sembrava più vecchia. Rimase immobile per qualche minuto. Uscì dall’ufficio e trovò la moglie in salotto che buttata sul divano guardava inebetita una gara di ristoranti in televisione. Indossava una vestaglia sporca. La bambina seduta sul tappeto confidava segreti all’orecchio di una scimmia di peluche.
Ma il modo di recuperare tutti i punti perduti c’era. Bisognava avere il coraggio e convincersi, che era soprattutto per il bene della famiglia. Tirò giù da internet tutto il materiale informativo, il contratto, lo scarico di qualsiasi responsabilità, firmò decine e decine di fogli. Prima volle consultare la moglie. – Cara dobbiamo prendere una decisione importante – lei restò inerte, neanche girava più lo sguardo. Niente, bisognava fare quello che andava fatto. Quattro giorni dopo arrivò il furgone delle consegne con il pacco. La cosa era estremamente semplice, e si dichiarava risolutamente (ovviamente senza assunzione di responsabilità) che il programma, anche se sperimentale, prometteva risultati straordinari, ed esisteva solo un 3-4% che sopraggiungessero problemi.
Andò nella cameretta della figlia, la trovò che cantava una filastrocca mentre disegnava un albero con dei pomi rossi. – Piccolina mia ascolta, ora il papi ti fa una punturina che ti farà crescere meglio, più bella e più alta, e più intelligente. – Ma io ho paura papi, mi fa la bua? – No amore no! Un momentino solo, metto questo cerottino con gli aghetti piccoli piccoli… – Come le formichine? – Sì amore come le formichine, no più piccoli! –. Quando sentì piovere punti col caratteristico gorgoglìo che faceva vibrare il telefono, fu come se il sangue tornasse a circolare in un arto intorpidito.
Il giorno dopo entrò con cautela nella cameretta. Aveva il respiro rotto. – Papi… – chiamò la bimba dalla penombra. – Sì amore dimmi, come stai? – Mi fa male il pancino, papi… – Sentì accapponarsi la pelle sulla testa e la bocca gli si asciugò. – Amore non… non è nulla… ma dimmi ti fa male anche qui… dietro gli occhietti? – lei stette un attimo in silenzio, poi rispose – Sì.
La testa gli girava, barcollando andò in a prendere uno spillo e rientrò. Infilò una mano tra le sbarre del lettino sotto la copertina, e chiese, con la voce che pareva si ringoiasse il fiato – Ma ascolta amore dimmi se senti un dolorino alle gambine – e mentre pronunciava queste parole pungeva il polpaccio bella bimba con lo spillo. – No. – Come no amore sei sicura, non senti niente? – e spinse forte lo spillo, che si conficcò un poco nella carne. – No.
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Con la vista annebbiata, in piedi sul parapetto, guardò giù. L’acqua scorreva avvolgendosi in spirali lente, dandogli una vertigine sottile, ammaliante. Il cuore gli scoppiava nel petto, pareva che ad ogni battito se ne dilacerasse qualche fibra; dietro di lui non c’era più niente, il mondo era solo un accavallarsi di immagini di angoscia ormai incomprensibili; a un certo punto cessarono i colpi di mazza al cervello e subentrò uno stupore attonito e vacuo. Allora fu già cadavere in effetti, niente più che un automa spento cui rimanesse un moto inerziale sufficiente ad apporre l’ultimo sigillo (forse questo accade a tutti i suicidi). Mentre il cielo e il fiume gli passavano sul capo rapidi gli parve per un attimo di vedere sporgersi dal parapetto un volto di vecchia mostrar le rughe della fronte, e ridere.
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