La malattia può diventare unâopportunitĂ di riflessione sul valore della salute, condizione di cui ci accorgiamo di solito in absentia. Lâessere umano è energia e lâorganismo si esprime attraverso la complessitĂ fluida di un insieme che coinvolge anche correnti di emozioni, pensieri, spirito. La malattia stessa deve trovare un senso allâinterno di questo equilibrio dinamico per favorire lâinterazione con qualunque forma di terapia.
In realtĂ la salute è una condizione di equilibrio dinamico che presume un processo costante di sorveglianza, attenzione, cura, lâenergia vitale come carburante, la forza interiore come presupposto. Henry Bergson la scorgeva nel desiderio umano di agire, nella volontĂ di partecipare alla creazione della storia, adattandosi in modo elastico alle vicende della vita e allâambiente. Essa si legherebbe quindi allâazione creativa, che si nutre di immaginazione e che talvolta conduce allâarte; la quale – di per sĂŠ – non âfa guarireâ ma di certo contribuisce al recupero della salute.
Reduce da una diagnosi difficile, sentivo di aver perso il contatto con la sorgente della linfa vitale, si era verificato un cortocircuito emotivo. Mi percepivo dolorosamente slegata dal resto del mondo, sola, con il mio pensiero fisso, con lâansia, la paura del domani, ero diventata il centro di un piccolo, lontano, claustrofobico pianeta. Un giorno, piano, molto dolcemente una sconosciuta sensazione si è fatta largo e ha rilasciato il suo tepore, un sollievo indicibile dentro la mia mente.
Finalmente riuscivo ad appoggiare il mio stanco pensiero su altro da me, su qualcosa di piacevolmente silenzioso eppure tuttâaltro che muto, una âcosaâ che consolava senza sforzo. Avevo acquistato una scultura, era stato âamore a prima vistaâ e ora abitava in casa, con me; guardarla mi procurava un nuovo benessere – sensazione che ormai sembrava solo un ricordo – mobilitando energie sopite, anestetizzate dalla sofferenza. Mi parlava, con linee genuine, un dolce profilo, una corporeitĂ che sembrava venire da molto lontano, attraverso le accidentalitĂ che lo scultore vi aveva lasciato con la sgorbia. Come è stato possibile che un uomo sia riuscito a imprimere un tale senso di infinito in un oggetto appena creato – mi chiedevo. Questa certezza stringeva la mano alla paura di volare via, di svanire nel nulla.
At last di Etta James o I prigioni di Michelangelo sono creazioni non deteriorabili dalle disfunzioni umane, sono sostanze forti, la loro identitĂ resterĂ tale, qualunque cosa succeda. Appartengono al comune tesoro dellâumanitĂ , portatrici di forme preesistenti di energia che tendono a esprimersi attraverso strutture simboliche; trovano dimora nella materia, generate da una forza universale che ci contiene e ci attraversa. Eâ cosĂŹ che riconosciamo unâopera dâarte, convalidata o meno dalla critica e dalla storia: quando vibra di qualcosa di eterno e ha catturato in sĂŠ una sembianza di infinito.
Lâarte può aiutare a colmare quel vuoto di senso, di affettivitĂ e di memoria che la malattia scava intorno a sĂŠ. La contemplazione della bellezza ci mette in relazione con la migliore cifra stilistica dellâumanitĂ e allo stesso tempo relativizza lâosservatore, i suoi pensieri, nel caso del malato lâangoscia e la paura del domani. In quanto âassolutoâ, lâarte mi rende un ârelativoâ, definisce il mio limite e parla la lingua che scelgo o sono in grado di comprendere. E allora âcoraggio, uomo! sappi apprezzare questa villeggiatura, questo mutare una volta tanto, come lâaria, il punto di vista ⌠ti aiuta a deporre la spoglia, per qualche istante a fingerti Dioâ. Questo diceva Paul Klee riguardo allâarte, forma espressiva che possiede enormi potenzialitĂ di rigenerazione, in territori dove âlâanima va a ristorarsiâ.
Il nostro sistema di cura, anzichĂŠ integrarla, ha imparato a confinare la malattia al di fuori del ritmo della vita quotidiana. Ecco perchĂŠ molti pazienti lamentano quella penosa sensazione di âinvecchiareâ un minuto dopo lâaltro in corridoi dâospedale e sale dâaspetto. Si vive una sorta di estraneitĂ dal flusso del tempo, dal palpito del creato, anonimi prigionieri di un ginepraio di cure, appuntamenti, attese, diagnosi. Come se la vita vera non debba essere contaminata dallo spettro del dolore e, viceversa, il luogo della cura non possa ospitare manifestazioni di vita quotidiana.
Ă un passo significativo verso la guarigione quando gli ospedali offrono spazi dedicati allâarte, regalando alla contemplazione dei frequentatori opere di pittura e scultura o della buona musica -perchĂŠ non una jam session di ottimo jazz? (cfr. Fondazione Maugeri di Pavia, settembre 2019). Sono il segno della vittoria dellâuomo sulla morte, sullâeffimero, costituiscono un simbolo al quale consegnare le umane fragilitĂ .
Sempre Klee, nel saggio Vie allo studio della natura suggeriva: âSi potrebbe ancora ragionare sullâeffetto benefico esercitato dallâarte, dicendo che la fantasia, mossa da stimoli istintivi, ci finge situazioni le quali sono piĂš ricche di suggerimenti e incoraggiamenti delle situazioni terrestri a tutti note..â.
Silvia Merico
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