Il Partito Socialista Italiano è stato il partito dei tranvieri, diceva Enzo Biagi, della gente comune; pochi grilli per la testa, il lunario da sbarcare a fatica, contando gli spiccioli. Lo è stato, intendo, negli anni che dall’inizio del Novecento arrivano alla dirigenza, le segreterie Nenni e De Martino. Un partito inquieto, il PSI sempre attraversato da un’anima anarcoide; la concorrenza, e poi l’indecisione tra l’accettare le direttive internazionaliste dei sovietici, e la democrazia a tutto tondo; correnti e spifferi addirittura terzomondisti: ricordo Michele Achilli; e il piacere del potere, che quando lo ottieni, spiace cederlo, anche ad ogni costo. Ovvio, che fare una sintesi della storia del PSI in poche righe comporta un fracco di rischi, di approssimazioni, e si tralascia tanto della storia passata e trapassata, che fra i socialisti italiani fu assai tribolata. Massimalisti e riformisti; interventisti e pacifisti; ex-rivoluzionari, ex-riformisti passati al fascismo viaggiando su un treno in corsa. Carrieristi e militanti ingenui che pur di avere un dirigente a far loro visita, si lucidavano le scarpe e tiravano i capelli unti di brillantina. La critica più frequente che investiva il Partito Socialista era la sudditanza ai comunisti italiani e alle interferenze sovietiche; anche se il PSI seppe anticipare, ben prima dei comunisti la svolta verso la socialdemocrazia, le indecisioni del partito di Nenni, poi, di De Martino, ci furono, è indubbio. Ma gli anni del sol dell’avvenire, l’ubriacatura sessantottina, le pulsioni rivoluzionarie, il volevamo la Luna di Pietro Ingrao, i viaggi inutili a Cuba, in Cina di Rossana Rossanda che piacevano a tanta bella gioventù, l’abile doppiezza politica di Togliatti, relegarono in un cantuccio il Partito Socialista Italiano. Non importava che il PCI, anche a metà degli anni Ottanta mostrasse ancora nelle feste dell’Unità, come a Santa Maria della Croce a Crema, le immagini dei successi della DDR tedesca, le piroette delle campionesse tedesche dell’Est nelle gare di ginnastica artistica, mentre bruciavano sul fuoco le salamelle. Di lì a poco, venne giù il muro di Berlino. Chissà che fine hanno fatto quei documentari ridicoli, che i militanti del PCI gustavano insieme ai tortelli.
Così il PSI, stanco di non contare più elettoralmente, giocò, anche convintamente, la carta dell’autonomia a sinistra. Disperò di prendersi parte dei voti moderati, e dei progressisti vogliosi di dimenticare, cacciar via le ombre del comunismo staliniano; ombre lunghe che camminavano con la sinistra marxista italiana. Le percentuali elettorali, nonostante l’autonomia sbandierata, per il PSI restarono deludenti; anche se per equilibri di potere, i socialisti ottennero poltrone, seggiole, incarichi, ministeri, sottosegretariati, dirigenze un pò ovunque, dalla Rai, alle aziende di Stato. Con un Partito Socialdemocratico Italiano (PSDI) che riempiva i congressi, pagando a gettone di presenza, gli studenti universitari caricati a gruppi sulle corriere; un’ala di sinistra che uscì dal partito, poi andò in ordine sparso; l’autonomia del PSI rappresentò comunque una speranza di fresca e moderna socialdemocrazia, nelle premesse; ma poi, nella realtà, in Italia, passare dalle promesse ai fatti, è un salto nel vuoto. L’abitudine italica di sbandare politicamente, di fare della coerenza, dell’etica un maglione a volte soffocante, non ha risparmiato neanche il Partito Socialista, anzi: negli anni della Milano da bere, della dirigenza di Bettino Craxi, Claudio Martelli, Gianni De Michelis, Claudio Signorile, Enrico Manca, il partito ha accellerato fino a schiantarsi. Agli italiani piacciono i politici autoritari, la politica autoritaria, e i caratteri che nella politica sanno imporsi, sanno farsi largo senza chiedere permesso. E Craxi con la sua stazza notevole, il suo fare ben differente dal democristiano Zaccagnini, piaceva pure alla destra italiana, alla finanza, agli imprenditori delle grandi aziende, gli stilisti. Con l’avvento di Craxi, il PSI smise di essere il partito dei tranvieri, della gente comune, cercando di coniugare potere di governo, un più accentuato liberismo economico rispetto alle socialdemocrazie nordiche, diritti civili (e su questi diritti, l’apporto socialista fu importante e coerente), ma l’elettorato continuò a restare freddino. Nonostante Craxi si sbracciasse tutti i dì, il cuore della gente di sinistra restava con Enrico Berlinguer, e i moderati continuarono a votare democristiano.
Fu il denaro, per come la penso, a far concludere la storia, che fu anche gloriosa del PSI. Soldi per la politica (e non per faccende personali), che divennero prioritari, la pre-condizione per scaldare i motori. E debbo dire, che l’analisi più lucida su Bettino Craxi, l’ha scritta un giornalista con cui condivido ben poche cose, Giuliano Ferrara, sul “Foglio” del 18 gennaio 2020.
” Per Bettino – scrive Ferrara – il denaro era l’alfa e l’omega delle relazioni di potere (..) Ricordo la sua disordinata, sfrenata passione per il denaro (..) Devi intercettare il denaro prima che lo intercettino altri. E parliamo ovviamente di denaro in nero. Tutto, tutto dell’attività politica fu determinato da quello strumento stercorario, di cui tutti fecero uso da Aldo Moro, a Pertini, Mancini, Togliatti, Berlinguer. Del resto, la vanità è sempre in fiera anche nei momenti alti della politica creativa. Con i quattrini si vincevano i congressi, si consolidavano le leadership, si impediva agli altri di tagliarti la strada e fotterti, erano il complemento necessario delle buone idee, della capacità morale di unire per uno scopo forze sufficienti a realizzarlo. (..) Si vuole che la politica sia il fregio puritano dei fini disinteressati, quando in quel regno si affermano solo mostruosità e crudeltà e nichilismi. (..) Dove c’è potere di realizzare progetti e idee c’è il problema del denaro e chi dispone meglio di questi strumenti, sempre distribuiti più o meno ingiustamente, quali che siano le regole, ha partita vinta”.
Se il fare politica è questo, come dice Ferrara, e non può essere altro che questo, per essere politica efficace, si può capire il perchè un partito, prima o poi, finisce per andare a sbattere.
Ho un’altra concezione della politica; ma non è detto che alla prova dei fatti, il ragionamento di Giuliano Ferrara, pensando a Bettino Craxi, pensando all’Italia, sia fuori posto, sia assurdo. I denari in politica sembrano diventati indispensabili per ogni cosa; vincono le elezioni imprenditori ultraricchi anche con idee fatte in fretta, con quattro dirigenti presi dalla ditta, quelli bravi a non stringer le mani a foglia morta. Nonostante tutto, continuo a credere che la politica può essere coerente, seria, e non essere succube del denaro; e così, per come la penso, non andrò, da socialista, mai a rendere omaggio alla tomba di Bettino Craxi, nè ad alcuna sua commemorazione interessata.
Commenti
Che sia Giuliano Ferrara a parlare delle “sfrenate passioni per il denaro” altrui, caro Marino, colpisce non poco.
Rassicurato negli abbondanti averi e affetti comunisti da cotanto padre e cotanta madre, non è certo per i begli occhi di Bettino Craxi che, nei momenti di massimo fulgore e di massima scarsella socialista, le sue bretelle rosse zompano da questa parte politica. E poi, mentre Craxi viene inchiodato dal pool di Mani Pulite, lui percepisce ampie prebende come parlamentare europeo socialista. E, inoltre, i soldi della CIA, mica pochi, non gli hanno provocato problemi solo per prescrizione, a questo gran patriota italiano.
Per non parlare del resto.
Sulla tomba di quell’altro, RIP.
Dio distinguerà i suoi.
Pietro Martini fa bene a sorprendersi delle parole di Giuliano Ferrara su Bettino Craxi. Quando lessi il suo editoriale sul “Foglio”, restai di stucco; mi parve una dichiarazione onesta, anche se cruda di ciò che è stato Craxi, e ciò che è la politica “possibile e utile” secondo Giuliano Ferrara, quindi per Berlusconi, e per Renzi forse, e per nuovi arrivi con pari caratteristiche.
Bella “scheda” la tua, Marino quella su “Ghino di Tacco”, e devo dire che in proposito ho visto volentieri (ante coronavirus) il film di Gianni Amelio, strepitosamente interpretato da Pierfrancesco Favino.
In quell’occasione ricordo, uscendo dalla sala, di aver riflettuto con vera profonda tristezza sul ruolo giocato da Bettino nel porre la parola fine ad un Partito che si chiamava niente meno che PARTITO SOCIALISTA !
“Il partito dei tranvieri” ( negli occhi e nelle orecchie il controllore che, picchiando con la macchinetta per bucare i tesserini sul tubo d’allumnio del “baracchino”, diceva “avanti c’è posto”), diceva Enzo Biagi, ma anche e soprattutto il Partito dei lavoratori, per tanti anni riferimento della classe operaia, il Partito del Presdente Pertini!
La sua, una responsabilità da far tremare le vene ai polsi.
Caro Francesco, l’inserto fra parentesi che hai dedicato al tranviere di Enzo Biagi, è molto bello. Purtroppo, nel belpaese, la politica e i partiti si guastano prima e poi, e quasi sempre per i soldi. Il dio denaro, l’unico dio di cui non ho dubbi che c’è, e ci fiata addosso, giorni feriali o festivi; soprattutto non fa mancare la sua presenza, quando i soldi sono assenti.
A Pietro Martini chiedo scusa se lo scritto dedicato a Craxi e il PSI, essendo una sintesi, lascia liberi spiazzi enormi, vuoti di storie. Ce ne sarebbe da raccontare su Bettino Craxi, i suoi colonnelli, i tenenti, pure i sottotenenti. Come l’appoggio di Craxi e i suoi in Parlamento, ai “ripetitori” di Antenna Nord di un imprenditore edile brianzolo che in quegli anni coniò lo slogan (vado a memoria): quando a Milano piove, a Segrate c’è il sole, è cambiato tutto: il pensiero berlusconiano è diventato padrone della comunicazione politica. Il PSI avrebbe avuto un’altra storia, se invece di Craxi avesse vinto Antonio Giolitti, che era uno dei papabili che poi uscì dal partito e fu eletto come indipendente dal PCI? Oppure un linguaggio come quello di Berlusconi, le tv private, comunque, la loro strada, una breccia l’avrebbero trovata ugualmente? Pietro dice che Dio distinguerà i suoi; quindi, intende Craxi, poi, pagherà i suoi errori, le sue colpe, se ho ben capito. Me lo auguro, ma ho seri dubbi che ciò avverrà. Come ho già detto, i criminali che l’hanno fatta franca, ben vissuto in questa vita, non pagherrano (dopo) un bel fruc. Mentre chi ha avuto l’inferno (qui, sulla Terra) senza alcuna colpa, non credo troverà alcun paradiso, oltretomba, se non ha avuto la fortuna di uno spicchio di paradiso sulla Terra. Chi ha la fede è convinto (forse) che nell’altra vita, o seconda vita ci sarà giustizia. Almeno lì. Sui dubbi, anche riguardo all’Onnipotente, arrabbiato per il suo silenzio, oltre gli scritti di Bernanos, Padre David Maria Turoldo, ci sono gli scritti di Sergio Quinzio, purtroppo oggi completamente dimenticato. Mi piacevano molto “I racconti di padre Brown” (non mi perdevo Renato Rascel, nella serie tv, che vedevo al bar della Sorgente, in Via XX Settembre); gli scritti di Chesterton sono il frutto di un grande narratore. Chesterton aveva rispetto per Satana; il diavolo gli piaceva un sacco; trovava il male molto più divertente del bene, che in fondo lo annoiava. Padre Brown, scrisse Pietro Citati, sentiva “l’odore del male, come un cane sente l’odore dei topi”. Era uno scrittore-fanciullo tardivo e anzichè alla letteratura avrebbe voluto invece (disse Chesterton stesso) dedicarsi a ritagliare figure di carte e impiastricciarle di vivaci colori”.
Pagheranno, non pagherrano. Scusate. Anche di Giuliano Ferrara ce ne sarebbe da dire. La sua ombra lunga compare nel libro, stupendo, di Giovanni Ferrara “Il fratello comunista” incentrato sulla figura del padre di Giuliano, che fu un comunista ortodosso per quasi tutta la sua vita, e sul finire, divenne craxiano. Il figlio allora, si faceva le ossa nella dirigenza del PCI. I suoi commenti, la rubrica di Giuliano Ferrara “Bretelle rosse” piaceva a Scalfari, che pensò di portare Ferrara a “Repubblica”, ma poi cambiò idea. E il suo “Foglio”, così rigoroso, così sciccoso, piaceva a Paolo Flores d’Arcais che pensava di fare del nostro giornaletto “Moralità provvisoria”, un mensile gobettiano milanese (di cui ero un contributore fisso), un settimanale “stile Il Foglio”: fitto d’inchiostro, zero fotografie, sciccoso da paura, di sinistra. Il direttore era Andrea Riscassi, allora molto giovane, entusiasta (ora è a Rai Sport). Ci scriveva anche Filippo Sensi, “spin doctor” di Matteo Renzi. Ferruccio Sansa, genovese, poi giornalista a “Repubblica” e al “Fatto”. Genovese era anche Pierfranco Pellizzetti, oggi docente di qualcosa in Liguria. “Il Fatto Quotidiano”, in un articolo recente, ha rammentato la nostra rivista “gobettiana”, dicendo che tra chi ci scriveva, c’era anche l’attuale sindaca di Barcellona, Ada Colou, anche se questa signora non la ricordo affatto. Ci fu anche una due giorni in un castello sul Lago di Garda (fra gli intellettuali di sinistra c’è sempre qualcuno con la grana), e c’era tanto entusiasmo: sembrava arrivato il salto giornalistico, da mensile a settimanale; quindi anche in arrivo le palanche. Ma Flores d’Arcais, fece progetti, decise di pensarci, e alla fine ci mise una pietra sopra. Riscassi riuscì ad entrare in Rai; Sansa in un quotidiano, e chi scrive già lavorava e si sporcava le mani di brutto. Nonostante l’ombra lunga di Giuliano Ferrara, insomma, niente “Foglio due”.” Moralità provvisoria” chiuse i battenti, mentre Ferrara si lanciò lancia in resta a fianco dei “devoti”, i tradizionalisti religiosi, da buon “ateo devoto” (un’altra storia tutta italiana). E chi s’è visto, s’è visto.
Alla mente le parole di una canzone di Vasco (si sa, la mia cultura affonda le sue radici nelle canzonette!!!) “…..ti piace studiare/non te ne devi vergognare ….”!
Gran botta di culo la mia, Marino, quando ho fiutato che era proprio il caso di …..arruolartI!
Ci fai proprio bei regali …..
“Agli italiani piacciono i politici autoritari”
e poi crescono? Ma ché, peggio di Peter Pan! Forse questi politici da baraccone se li coccolano fino alla piena maturità come allattassero un gladiatore, un supergiullare, per il gusto di farli poi oggetto del lancio delle monetine, o forse il sentimento di delega, l’immaturità decisionale, sono così assoluti da essere incorruttibili. Vediamo un po’ questi di adesso se stanno allevando già il loro nuovo Craxi… No, Salvini no, quello è tutto nostro, ce lo siamo cresciuto ad arte, non ce lo toglierete mica puzzoni di sardine! Manco di rispetto? Il puzzoni, tutto marchigian-abruzzese, è affettuoso, per ora confido in voi, per una generazione di uomini, non di personaggi da avanspettacolo.
No caro Adriano, le sardine che “le spussa”, vero, non potranno fare molto contro il vento populista. A Bossi bastava comandare nelle regioni del Nord, ma abilmente Salvini ha fiutato che anche i napoletani, i siciliani sarebbero venuti buoni, il vento aveva girato: era il tempo di un “Fronte Nazionale” di matrice francese, ma cucinato all’italiana. In politica, come diceva Giuliano Ferrara, la coerenza non è una qualità. Le cose giurate e i riti ripetuti: faremo la Padania, l’ampolla a Pian del Re, i matrimoni celtici, i bagni nel mare di Camogli sbocco padano-occidentale della futura repubblica federale, Berlusconi “un mafioso” detto in diretta tv; poi, un amicone con cui mangiare la pasta tricolore. No Adriano la “puzza” delle sardine non faranno che un baffo alla vandea leghista. Ma è meglio di niente. E scendo in piazza con loro, come ho già fatto. Dureranno? Incideranno? Non credo alle rivoluzioni, ma ai piccoli passi avanti; intendo avanti, e le sardine non vogliono la Luna; credo vogliono correzioni degli errori di rotta, ma fermare questa marcia ventilata ai tempi bui con la vandea tradizionalista dei “religiosi senza dio”, come li chiama Olivier Roy, della cristianità esibita con i rosari che mai reciteranno, perchè a questi populisti interessa l’identità, la matrice originaria, mica la fede, per un cristianesimo vissuto molto scarso, e con loro si torna indietro. Si fa un salto nel vuoto. Non è la prima volta che succede. E il passaggio dal populismo al nazionalismo è breve; e dal nazionalismo al ringhio col vicino “straniero” è una probabilità molto alta.
Francesco, ti ringrazio. Credo che si finisca di studiare, d’imparare quando si tirano le cuoia. Ho sempre cercato di leggere, documentarmi anche su libri, e stampa molto lontana da come la penso, persino “Candido”, “il Borghese”, Prezzolini, Leo Longanesi. “Il Borghese” metteva in copertina le tette di Franca Rame, con la scritta “le tette marxiste dell’arte”. Poi, ci fu, in quegli anni la vergognosa spedizione punitiva di criminali fascisti che la violentarono. Una storia terribile.
Mi sarebbe piaciuto fare il medico, sapere di matematica, leggere “The Scientific American” e capirci qualcosa, ma sono nato storto, piccato per la letteratura, la storia, le geografie dei luoghi, pur con scarse fondamenta scolastiche, una scrivere sporco e inciampante nella forma corretta. Anni fa ho litigato su un blog del “nostro” Beppe Severgnini, con due degli Stati Uniti, che chiamavano Beppe “a idiot”; un’altro, italiano, mi scrisse che è un giornalista gramo, o un termine simile, non ricordo più. Quanta presunzione che gira; sapessero almeno scrivere con un decimo della sua qualità: una scrittura fresca la sua, eccellente, che sa pennellare spesso il nocciolo della questione. Poi, può piacere o no, le cose che dice; può non essere simpatico, ma è tutta invidia, credo. Per non riconoscere la propria mediocrità.
Caro Pietro, su Craxi avresti potuto benissimo scriverlo tu “il sunto”; tra l’altro hai una capacità di scrivere bella robusta, una proprietà cristallina, Basi grammaticali forti. Sul PSI, che fu anche il partito di Norberto Bobbio, di Riccardo Lombardi, le voci migliori se ne andarono con l’avvento del craxismo.
Non scusarti, Marino, tu ed io (che non sono socialista) sappiamo bene che, da quel giorno eroico nella sala dei carabinieri genovesi (e magari anche da molto prima), la storia del socialismo italiano è stata così importante e a tratti avventurosa, affascinante, sorprendente, da non lasciarsi offuscare da un decennio di sciagura.
Quel che mi colpisce, è che gli altri (comunisti, democristiani, persino gli azionisti, parecchi altri ancora) hanno saputo contemperare i propri periodi meno edificanti con narrazioni editoriali in cui sono stati messi in risalto i momenti, i fatti e le situazioni più meritevoli. Anche a Crema. Basta leggere alcune recenti pubblicazioni, magari di parte e però ben calibrate sugli elementi di maggior lustro, per rendersi conto di come sulla tomba di ogni dinosauro politico estinto si siano scolpiti gli epitaffi più acconci. Tranne, localmente, che sul dinosauro socialista, passando sbrigativamente su molti decenni di notevole valore storico, politico, umano, per concentrarsi proprio su quella parte della vicenda socialista in cui le ombre hanno prevalso sulle luci. I motivi? Forse non impossibili da decifrare. In ogni caso, un peccato. Qui da noi, quella socialista è una storia che aspetta ancora di essere scritta, almeno per la sua parte migliore. A partire da quella ottima declinazione del “libero pensiero” che è stata la “libera parola”. Poi, sappiamo quale “libera azione” abbia posto fine a questa bellissima storia.
E perchè non provi a scriverla tu, Pietro, che ….socialista non sei!
Ringrazio Marino e Francesco per l’apprezzamento. Non penso che ne sarei capace. Sarebbe una cosa troppo difficile per me. Ci vorrebbe qualcuno avente forti interessi in questa nostra importante vicenda storica, magari con tradizioni familiari socialiste, di sicuro con molta maggiore conoscenza della politica e dei suoi meccanismi. Ad esempio, qualche giovane ricercatore e studioso locale. Anche dalle nostre parti potrebbero essercene, in crescita culturale e in affermazione professionale. Comunque, grazie per la vostra stima, sempre ricambiata.