La faziosità del giornalismo italiano, militante, schierato, sboccato a volte, non è mai stata una caratteristica anglosassone. Questo si dice. Ma la realtà che ho conosciuto nel Regno Unito, ai tempi della Thatcher, di Tony Blair, fu differente. Giornalisti che scrivevano per la gente istruita, quelli per l’Inghilterra profonda, e chi sapeva la marca di mutande della Regina. La gente comune leggeva (oggi, non so) “The Sun”, versione, allora, non molto distante dalla nostra “Cronaca Vera”. Gli operai laburisti buttavano un’occhio su “The Daily Mail”; i commercianti, gli agricoltori su “The Daily Mirror”. I quotidiani-lenzuolo che sporcavano le dita, roba seria per gente “posh”, li leggevano gli snob, e li vedevi sottobraccio ai professionisti, intellettuali, politici, insegnanti, studenti universitari. “The Daily Telegraph”, monarchico e conservatore; “The Times”, liberalconservatore; “The Guardian”, laburista, schierato a sinistra. Preferivo leggere “The Indipendent”, che aveva le corrispondenze dal Medio Oriente di Robert Fisk, e “The Observer”, un settimanale ricco d’inchieste. Ai britannici piaceva acquistare il domenicale, pesante come un cesto di patate. Sul domenicale si trovavano notizie e servizi dai paese del sole, dove svernare appena è possibile; compravendita di mobili usati di seconda mano, pure scontati; tutti i colori del mondo per moquettes per bagni signorili (ma senza bidet); cassette per camini con il fuoco finto per il salotto, dove si guarda la tv, con un vassoio sulle ginocchia e sandwich con la marmite, la crema spalmabile per stomaci forti. Sul “Sunday Times” oltre a eccellenti “pezzi” di giornalismo scritto, si poteva acquistare il Colosseo, o la Fontana di Trevi dipinta su carta da parati da applicare facile-facile, in camera da letto. Ma è stato “The Economist”, settimanale imprescindibile per chi è appassionato di politica, di economia, a far girare l’idea di un giornalismo capace di raccontare i fatti tenendo a bada le opinioni personali del cronista. Era proprio vero? In parte sì. I cronisti (anonimi) dell’Economist si sono sempre sforzati di far parlare i fatti, con dati alla mano, secchezza delle osservazioni. Un liberalismo giornalistico ragionato e aperto, attento alla realtà delle cose.
La sera si guardavano le “situation comedy”, le commedie comiche. A Londra “EastEnders”; ma c’erano commedie comiche serali regionali, scozzesi, gallesi, del nord ovest, ognuna accentata diversamente. Capivo niente; mi limitavo a guardare gli inglesi ridere, con l’immancabile birra in mano, o una tazza di tè, o caffè annacquato. Dopo le cinque del pomeriggio, gli inglesi staccavano dal lavoro e si precipitavano al pub; non tutti, certo. C’era chi la birra in confezioni da dodici lattine, la teneva sotto il lavandino della cucina. La prima cosa che fa un inglese quando entra in casa dopo il lavoro è sgolare una birretta, poi un’altra, tre o quattro anche. Poi s’infila gli stivali, quelli per andare a funghi, e porta a spasso il cane, nei campi. Trovavo tazze di tè o caffè sparse per le case, mezze bevute, o ancora intoccate, il caffè ormai freddo. Le dimenticavano in giro, e così, riempivano di nuovo d’acqua il bollitore. A parte Londra, che non è l’Inghilterra, ma solo Londra, la gente quando non andava in ufficio, indossava la prima cosa che capitava a tiro, senza guardare se i colori fossero accostabili. E si mangiava a tutte le ore, anche saltando il pasto, poi abbuffandosi di sandwiches. Ma non è vero che la cucina inglese fa schifo. E’ solo che la cucina tradizionale di campagna è quasi sparita, e gli inglesi sono generalmente pigri. Ma i giovani li ho visti svezzare molto prima, rispetto ai “fighetti” nostri, del belpaese, assillati da genitori che se potessero continuerebbero ad imboccarli fino a tarda età. I giovani britannici maturano prima, nel bene e nel peggio.
La BBC è sempre stata un esempio di buona televisivione. Scienza, natura, inchieste, documentari storici, programmi per l’infanzia, e storie originali, arte, cinema. Oggi, non so, ma ho letto che non è più così. L’avvento delle televisioni commerciali (ricordo, già allora, la concorrenza della ITV); le pressioni della politica, i tagli del personale, internet. Ricordo che un giorno visitai la sede della BBC World Service a Londra, grazie a una ragazza, amica di famiglia che pur venendo da genitori poveri, dopo l’università, conduceva un programma radio mattiniero di un’ora “Britain today” che si ascoltava anche in Australia, Sudafrica. Ho visto una redazione che pareva un aula universitaria in attesa del docente. Tutti giovani. Programmi in varie lingue per le ex-colonie. La BBC ha sempre beneficiato di autonomia, e finanziamenti anche per questo, perchè serviva un notiziario ampio ed efficiente per tutte quelle nazioni che furono britanniche, dove resistono tradizioni e cultura britannica; dove gli inglesi, grandi viaggiatori, vanno a vivere, per scappare al vento stizzoso, e alla pioggia in diagonale.
Mi chiedevo, allora, come si fa a vivere senza il bidet; ma imparai presto ad arrampicarmi sul lavandino del bagno. Non ho mai osato chiedere, ai britannici, se c’è un’altro sistema, piuttosto che arrampicarsi di schiena, in bilico sul lavandino, bagnando poi la moquette, perchè forse c’è. Purtroppo, è rimasto, a me, sconosciuto. Un giorno mi farò coraggio e chiederò.
Commenti
Se poi pensi che nello stesso lavandino si lavano pure i denti…☹😢😣
Sempre piacevole leggerti Marino, c’è sempre tanta voglia attenta di osservare, provare, toccare con mano (oddio, nel caso del ……bidet!) rielaborare; poche opinioni, tanto documentarsi.
Dire quasi …. radical ma senza un briciolo di scic!
Un bell’acquisto per il blog! Grazie
“come si fa a vivere senza il bidet” ? Ma ovvio, se lo chiedi a un Inglese ti risponderà che loro dopo fanno la doccia! Proprio sempre? Ma certo! Anche se scappa in ufficio! Ovviamente!
Bel siparietto il tuo, complimenti. Dai miei ricordi di una ventina di anni fa di soggiorni di lavoro e turistici con famiglia, e sempre snobbando la capitale, posso dire che due cose mi colpivano: 1 Gli inglesi sono davvero poco puliti, anche senza considerare il bidet. 2 Gli Inglesi non guidano al contrario, pensano al contrario: tutto deve essere fatto a modo loro, come volessero costringere l’ospite a superare dei test preliminari.
Comunque se bevi almeno una birra con loro ti fanno sentire a casa. Tuttavia sconsiglio di berla all’isola di Skye, dove la aromatizzano con sciroppi alla menta o amarena. E poi escono e vedono i fantasmi (primato mondiale per numero di avvistamenti). Ma sarà per lo sciroppo o per il fatto che lo aggiungono per riuscire a ingollarne una decina nonostante la lingua già bruciata?
Comunque al mondo ci sono Uomini e ci sono Inglesi: sempre difficile mettere insieme mele e pere!
Ringrazio per i commenti più divertenti del mio “pezzo” che dava seguito, in qualche modo, al commento di Piero Carelli sulla BBC. Ho dimenticato, tra i giornali, il “Daily Express” che ancora oggi titola a caratteri cubitali le vicende della “ditta”, cioè la monarchia. Ma si trattava di una sintesi, di ricordi a brandelli, di smemorie, piuttosto che di memorie. Ricordo l’isola di Skye, il Loch di Portree, dove i ragazzi del posto si buttavano in acqua, d’estate, facendo finta che fosse caldo sul serio, che il sole scottasse davvero, e forse per loro era così, o c’era solo la voglia di divertirsi. Se il Mediterraneo non c’è, uno se lo inventa. Ricordo la Scozia del Sud, dove gli italiani mica si fermano, perchè vogliono andare nelle Highlands, nelle terre alte, dove la cima più alta è più bassa del Monte Altissimo di Borno, Val Camonica, dove con l’Olivetti andavo a sciare in corriera. Ma la temperatura è così fredda, nelle cime alte scozzesi che è come essere al rifugio Margherita, sul Monte Rosa, nonostante la quota sia molto inferiore. Escludendo Londra, nel Regno Unito, molte famiglie hanno all’esterno della casa, un fazzoletto di giardino davanti, e un’altro dietro, dove sedersi all’aperto quando esce il sole. Noi, italiani abbiamo tanti palazzoni, condomini che chiamiamo, quando sono lussuosi, signorili, con un balcone vista strada dove metterci tre piantine.
Marino, hai dimenticato lo humour inglese. Appena letto. “Rimane famoso un diverbio pubblico tra Winston Churchill e un’aristocratica che lo detestava. “Se lei fosse mio marito”, lo apostrofò la contessa in questione, “le metterei il veleno nel caffè”. E Winston, senza batter ciglio: “se lei fosse mia moglie, signora, io lo berrei”.
È sempre un piacere tornare a Londra. I tuoi “ricordi”, Marino, portano molti di noi a confrontare i propri “ricordi” con quanto oggi, andando a Londra, si vede e si trova. Del resto, lo stesso vale per altre città in cui si torna ogni tanto, come per esempio Parigi, Berlino e certe capitali europee in cui noi cremaschi andiamo più volentieri.
L’enorme abbattimento dei costi aerei, magari senza mettersi in mano alle compagnie più scaccione, e la pratica acquisita sul posto, che evita le tipiche fregature del neofita, consentono di godersi queste città con poca spesa e di farsi un’idea diretta di come, anche oltre Manica, come sulla Senna o altrove, le cose cambino, per certi aspetti, oppure non cambino, per altri.
La Brexit, almeno per chi ha tempo per viaggiare e buona salute, non credo cambierà molto. Cambierà qualcosa se si tratta di piani di studio, scelte di lavoro o problemi di cittadinanza particolari, come il possibile “addio all’Erasmus” o le restrizioni a certa immigrazione facile. Ma sarà solo dai prossimi mesi (forse anni) che lo potremo verificare davvero. Comunque, per i viaggiatori liberi da “curae et negotia”, soprattutto con attività professionale conclusa, nessun problema.
Sulla stampa britannica, da sempre c’è di tutto e il contrario di tutto. Come su quella italiana, francese, tedesca e di tutto il mondo. Lo stesso per la televisione. Il bidet c’è sempre stato in certi alberghi e non in altri. A Londra da ragazzino ho fatto docce igienicissime quando in Italia vedevo ancora galleggiare saponate di risulta nella vasca da bagno. La fola della scarsa igiene degli inglesi fa il pari con quella per cui tutti i francesi puzzano d’aglio, tutti i tedeschi hanno lo stomaco dilatato dalla birra e tutti gli italiani suonano il mandolino. Ovviamente, certi afrori, certe agliate, certe panze e certe mandolinate esistono davvero.
Boris Johnson è un cialtrone molto amato a Londra (ogni nazione ama i suoi, e qui mi fermo), soprattutto da quando ha imbestialito la comunità musulmana prendendo in giro le donne bardate col burqa integrale: “sceme che vanno in giro conciate come cassette delle lettere”.
Umh Pietro, non credo di aver portato la mia famiglia in bettole, ma nemmeno in 5*, certo,. Sai, un mese in albergo in quattro… ma certi residui di presenze umane in alcune camere, nei nostri tri o quadristellati non mi è mai capitato.
Anche noi in quattro (cioè, con due figli). Però più spesso da solo, ogni tanto per lavoro. Probabilmente, Adriano, a Londra ci sono stato meno di frequente di te e, soprattutto, sono stato particolarmente fortunato. Ed è anche vero che ho bazzicato e considerato, nelle mie precedenti affermazioni, pure le piccole città di contea, dove le situazioni possono essere differenti, non solo la metropoli.
In ogni caso, ho compreso dai tuoi interventi che sei uno dei Grand Viaggiatori dell’antica tradizione itinerante europea e quindi …… ubi maior minor cessat!
Il bello delle esperienze, anche di viaggio, è che sono diverse e soggettive. Ad esempio, certe tracce pregresse (se ho ben interpretato il tuo cenno ai “residui umani”) le ho trovate più ad Atene che a Londra (lo dico sottovoce se no i sodali di Varoufakis insorgono). Insomma, dipende. E il bel testo di Marino (il quale è sempre capace di risvegliare ricordi, interessi e dialoghi stimolanti) è stato un’occasione anche per me di seguire i pensieri su una città che, Brexit o non Brexit, da sempre attrae gli italiani e, nel nostro specifico, parecchi cremaschi.
Si, indubbiamente il pericolo di cadere in stereotipi c’è sempre.
Evabbeh, come dimenticare la mia landlady a Cambridge (ero studentello allora!), praticamente incomprensibile (le labbra si muovevano ma la dentiera restava drammaticamente chiusa!) che , in omaggio al fatto che ero Italiano mi scodellava per colazione spaghetti freddi appena usciti dalla scatoletta?!?
Ma la fame era tanta e …..alura ghavevi vint’an!
Non ho, Marino, ricordi così dettagliati come i tuoi (e riferimenti così colti).
Londra l’ho vista solo qualche giorno e ciò che ricordo bene sono i “garden” che sono, forse, la vera ricchezza della city, gli edifici “imperiali” (tutti con lo stesso stile: al contrario di Berlino) e una lingua che non ha nulla a che vedere con la musicalità del francese (quando a Parigi entravo in un locale pubblico, era una meraviglia sentire parlare le commesse).
Peccato che sia stato l’inglese a vincere nella competizione internazionale: ormai è solo l’inglese, soprattutto nella versione Usa, ad avere trionfato (perfino la nomenklatura iraniana – l’abbiamo visto in questi giorni – ricorre all’inglese per i tweet!).
L’Italia non è Milano, e Londra è un mezzo Stato in un Regno disunito. Se vai a Londra, hai solo visitato un centro mondiale, internazionale, ma non sai quasi niente dell’Inghilterra. Ho frequentato soprattutto il nord ovest Yorkshire, Cumbria, il Lake District, Manchester, Leeds, e le Midlands, Birmingham più volte. E con Londra c’entrano poco. A Parigi che è solo Parigi, dove andiamo noi turisti, ci sono i “bobos”, i benestanti figli di papà e mamma, non la Francia profonda. Il “titi”, il ragazzo sveglio, smaliziato, birbante delle periferie, noi vacanzieri ne sappiamo poco o niente. Il francese è la mia lingua preferita, che studio con passione. Leggere Simenon in originale, è faticoso, ma è così che sento l’odore della provincia francese. E da provinciale, è anche il mio odore. Per uno che ha fatto le scuole basse, ingoiato merda per anni, riuscire a dedicare tempo alle lingue straniere, è utile assai, oltre che una fatica, ma vale la pena. Non ci guadagno niente, o forse imparo qualcosa, o molto.
Dell’ironia britannica ho citato le “situation comedy”, che sono ironia allo stato puro. In una casa di gente colta, a Birmingham ho addocchiato “The Punch” un settimanale satirico che ha una lunga storia. Ma ci sono riviste letterarie, anche online di qualità, come “London Review of Books”, e “TLS”, il cui cartaceo si può leggere, acquistare, ma non a Crema. Di politica, tra i migliori siti online d’inchiesta c’è il francese “Mediapart”, (bisogna abbonarsi), e l’americano “Politico”. Importante per la qualità di chi ci scrive è “Foreign Affairs”, un mensile, ma la copia cartacea è costosa. Di letteratura e politica e giornalismo, ritengo il migliore di tutti “The New Yorker” insieme al “The New York Times magazine”, entrambi visitabili online gratis. I reportages del “New York Times” sono ancora tra i migliori che mi capita di leggere. Per saggi di letteratura, seguo online “The New York Review of Books”. Di spagnolo, oltre “El Pais” che è un gran bel quotidiano, per informazioni non castigliane, è buona cosa il quotidiano “La Vanguardia”, di Barcellona. Segnalo tutto questo per chi ha curiosità, interesse, passione di queste cose, e non intende accontentarsi solo della minestra nazionale, o peggio ancora locale.
Da trent’anni fa a tre mesi fa…
Le ventiquattrore di viaggio,il treno ,il traghetto,le scogliere di Dover,e finalmente Londra…
All’aeroporto,centro città,sviluppato in altezza,contrasti,personalità,il Tamigi,monumenti…
Impallidisce anche Milano.
Caro Graziano, come ho già detto gli italiani conoscono un pochetto di Londra. Soltanto e soprattutto Londra, che come Parigi è una città-stato, con un area metropolitana di oltre dodici milioni di abitanti, cioè tre volte l’area metropolitana milanese. Il paragone non regge e non serve. Questo non vuol dire che Milano è poca cosa: ha da qualche anno un incremento turistico che cresce notevolmente, e ciò sta diventando un problema, perchè quando sono troppi, i turisti, sono un problema, non solo un affare per i commercianti. Stravolgono il luogo. Milano è la città europea, seconda (o terza) solo a Londra, per i prezzi degli immobili nel centro città, e per preferenza delle grandi agenzie immobiliari, i grandi alberghi, che stanno puntando Milano. Ho visto Milano cambiare molto negli ultimi dieci anni. Tutto sommato, in meglio. E’ una vera città europea, con una forte presenza giovanile studentesca, una grande offerta culturale, cinque orchestre di musica classica, cinema di gran qualità, musei, le case-museo, le fondazioni, tanti teatri, danza, la Scala, lo stadio di San Siro, negozi tra i migliori d’Europa, la moda, un comune efficiente, case editrici, i Navigli, librerie dove puoi sederti e pranzare, bellissime chiese, spesso appartate, diversi locali, di tutti i generi, anche piacevoli dove puoi installare il tuo computer, e passarci la giornata pagando solo un semplice caffè da 1 euro, trattorie- osterie con musica. E le biblioteche, alcune molto belle, e fornite.
Quante indicazioni, Marino, ci dai.
Beato te che hai dimestichezza con le lingue e riesci a leggere giornali e riviste in originale (io faccio fatica a leggere testi in inglese del mio piccolo giardino filosofico).
Birmingham: bel ricordo, variopinta vitalità. Sta emergendo la netta differenziazione, nella comprensione di una cultura nazionale, della capitale dalla periferia. Amico Marino, mi hai fatto pensare di preferire Crema a Milano perché sono… già, vecchiotto. Non è così! Ero giovane e nerboruto quando ho fatto girare la mia famiglia per l’Europa, fra roulotte, camper ed auto-alberghi, sempre escludendo dal giro le capitali. Lì ci andavo per lavoro o con mia moglie da soli. Paradigma: Capitale = andare per fare qualcosa, Paese = andare per stare. Grazie, mi sento più giovane.
Birmingham è un pò come La Spezia con, circa, uno zero di abitanti in più. Una città metropoli cresciuta dal nulla, con niente di antico e un’area residenziale lunga lunga che mai finisce. Siamo stati più volte a casa di amici vicino a un parco (a proposito di parchi: anche a Londra i grandi parchi, i turisti non li vedono perchè sono un pò fuori dal centro-centro, come Richmond, sul Tamigi, che è molto bello e vasto), dove una squadra tutta vestita di bianco giocava a cricket. Un verde intenso, spruzzato spesso da una pioggerella stizzosa. E ricordo un’area di Birmingham grande quasi come la città di Crema ab itata solo da pakistani, e l’amico che è medico, mi raccontò di donne pakistane che non volevano farsi visitare da medici inglesi; insomma, i soliti problemi che conosciamo. Di recente, Birmingham è diventata più internazionale, con grandi università, teatri, e spettacoli culturali di livello. E villaggi a 50-60 miglia dalla città abitati da finto-neorurali, architetti, professionisti, con case ultramoderne, che vivono in campagna con la testa e rapporti di lavoro a Birmingham.