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IVANO MACALLI

Leggerezza

LEGGEREZZA

“Se i mortali si guardassero da qualsiasi rapporto con la saggezza, la vecchiaia neppure ci sarebbe. Se solo fossero più fatui, allegri e dissennati godrebbero felici di un’eterna giovinezza. La vita umana non è altro che un gioco della Follia.

Erasmo da Rotterdam

Cala il sipario, dirittura d’arrivo, finale di partita, giro di boa superato da un pezzo, mai tante metafore per raccontare la fine di una vita, dove riservatezza, vita integra, dignità lasciano involontariamente il posto alla sguaiatezza della vecchiaia, al disordine interiore ed esteriore, al corpo che poco per volta non risponde più, agli acciacchi, alle occhiate furtive e invidiose alle giovinezze che esplodono, e lo specchio che ci rimanda come mai vorremmo essere, postura, il peso degli anni, da non riconoscerci più. Si arriva all’età della pensione quasi vecchi e la città è piena di coetanei o quasi che bighellonano di cantiere in cantiere, tra una panchina ai giardinetti e la caccia di uno spiraglio di sole in piazza quando il freddo dell’inverno gela anche i pensieri. E poi il racconto delle malattie, senza pudore di termini e situazioni , perchè tanto non si deve essere seducenti per nessuno, non si accendono desideri di fronte a un corpo in dissolvimento. In verità molti dicono di praticare ancora con conquiste da centri diurni e le loro balere, supermercati e cimiteri. Sempre più frequenti gli incontri negli studi medici. Poi i pensionati diventano un clan, e comune denominatore sono le soste davanti agli avvisi funebri, dove pare che ci si sia conosciuti tutti. Naturalmente darsi del tu diventa la pratica: hai visto? E’ morto anche lui. E chi lo conosce, verrebbe voglia di rispondere, ma non si fa, pena l’esclusione da questo club. Poi ci sono pensionati da reddito alto e quelli da reddito basso, che sono i più. I primi in gruppetti privilegiati sostano nei bar e si raccontano le piccole evasioni che li distolgono dagli affanni dell’età, non so, la vacanza in riviera, pullman e tutto organizzato, o l’uscita al ristorante con figli e nipoti. Gli altri, capelli lunghi perchè anche il barbiere costa, e qualche “padela” sui vestiti, con quell’odore che la vasca da bagno, difficile da entrarci e uscirci senza quegli ausili moderni che anche quelli costano, come costano gli adeguamenti strutturali, visitano poco. Viene in mente l’odore delle case dei vecchi di Jep Gambardella che naturalmente non ha niente di poetico soprattutto se la dipartita capita prima alle mogli con mariti non avvezzi alla gestione del quotidiano. Così che quelli soli, i vedovi, li individui subito, i figli non han tempo e, insomma, questi padri imbranati avrebbero potuto nel corso della loro lunga vita imparare un poco di gestione casalinga. Invece quelli a scarso reddito sostano ai giardinetti dove le panchine non costano, i discorsi cambiano e anche le espressioni. Qui sono più tristi per solitudine, mancanza di distrazioni, pochi soldini in tasca o a far lunghe file per esenzioni e aiuti vari. Naturalmente si è considerati sempre meno, con impiegati insofferenti agli sportelli, anche in ospedale, che se sei un po’ sordo si spazientiscono, dimenticando che quello è proprio il luogo privilegiato per questi signori che una medicina impietosa tiene in vita sine die e che quindi saranno numericamente sempre di più a riempire corsie di ospedali. Dove è meglio arrivare in ordine e puliti perchè un vecchio corpo, se sporco, è anche peggio. E poi gli occhi, con quelle espressioni che entrarci è facilissimo con quei pensieri che accomunano tanti, le privazioni, i conti da pagare, la dentiera che nessun collante tiene, più il frigorifero mezzo vuoto che si va avanti a minestrone con l’odore che si imprime in case, vestiti e sentimenti. E tutto questo finchè si mantiene quel poco di autosufficienza con quella dignità residua di cui un tempo ci si faceva vanto. Invece adesso per strada si barcolla, si inciampa, passanti caritatevoli si fermano per quel minimo di assistenza finchè non arriva l’ambulanza, e tu, spaventato per l’accaduto, neppure riesci a comunicare un numero di telefono di figli o cugini. Certo, abbiamo tutti il cellulare in tasca e prima o dopo rintracciano qualcuno che trafelato arriva al pronto soccorso sbuffando. E poi c’è la convalescenza, a casa tua, solo, senza più vicini di casa di lungo corso che ogni tanto danno un’occhiata e ti passano un piatto caldo. Perchè dappertutto c’è un ricambio continuo, generazionale e abitativo. Nei condomìni i condòmini cambiano spesso così che non ci si conosce più. O altrimenti si è tutti vecchi che già aiutare se stessi è difficile, figurarsi gli altri. E allora rimangono solo i ricordi a farci compagnia, si apre un cassetto, vecchie fotografie e poi tutte le cianfrusaglie così sentimentali che alla morte, senza nessuna selezione, tanto tutto sa di muffa, e di minestrone, i rimasti mandano al rogo senza nessuna pietà. Cenere eri e cenere diventerai. La politica ormai ti interessa sempre meno, perchè è per chi ha futuro, gli interessi diventano faticosi, la memoria vacilla, si scordano i nomi e questo mondo moderno corre troppo in fretta, e allora tutto stanca. E alla fine, disincantati, disillusi, si passa la giornata pigramente in attesa della sera e della notte che sarà, se non insonne, perlomeno travagliata.
O della casa di riposo.
Insomma, meno male che sono ancora giovane!

IVANO MACALLI

08 Nov 2019 in Società

33 commenti

Commenti

  • Scusate la leggerezza o pesantezza del tema, tra post così dotti e grandi analisi, ma cosa volete farci, vecchi si diventa tutti e tra tante opinioni discordanti, accese polemiche e spesso il gusto della contrapposizione a tutti i costi, diciamo che ho facilmente trovato un comune denominatore. Chi si sente vecchio e felice? E come si può esserlo se tra la senilità e i sepolcri il passo è così breve? Buona vecchiaia a tutti, se auspicio possibile.

    • Da veramente giovane una delle mie affermazioni che più scioccavano era “La gioventù non è mica tanto dignitosa!”. E quindi ora dovrei esere appagato! Ma l’inghippo è nel tuo “Naturalmente si è considerati sempre meno”. Forse quando facevo queste affermazioni ero inquadrato in un mondo che ancora considerava “l’austera saggezza” come un valore, forse ora vige “la compassionevole demenza seniile, ma non ci credo. In ogni caso, giovanotto mio amico, resta un fatto: quando nella vita hai avuto la coscienza di non dover rendere conto a nessuno? Penso ancora che quando saremo vecchi, anche se pare che la cosa sia fuori moda, godremo almeno di questo bene!

  • Negli ultimi anni della sua vita mia madre (giunta in perfetta autosufficienza alla vigilia dei 90), portando piuttosto bene gli anni si divertiva a sbandierare la sua età al prossimo, cosa che normalmente le donne non fanno. Accadeva così che l’interlocutore, dopo aver strabuzzato gli occhi e mostrato stupore, immancabilmente le dicesse: “Ma come li porta bene, davvero non si direbbe, e che fortuna stare bene di salute”. A quel punto arrivava la stoccata finale: “Perché, scusi, la vecchiaia secondo lei non è una malattia?”

    • Simpatica tua madre, molto realista. Me la ricordo bene. Anche mia madre da vecchia, per vezzo archeologico, dichiarava orgogliosamente la sua età.Ma era per sentirsi dire: ma come li porta bene. É morta a 92 anni, lucidissima fino al giorno prima, ma era ormai stanca di vivere.

  • Adriano, devo rifletterci.

  • E’ uno dei tuoi migliori post, Ivano, soprattutto per alcune… pennellate (sei un pittore!) poetiche, anche se l’oggetto di cui tratti di poetico non ha nulla.
    Hai fatto un ritratto molto realistico.
    Per ora (io sono fortunato, ma anche tu lo sei) siamo ancora ricchi di interessi e ci attiviamo per realizzarci ancora (ci si può realizzare anche quando non solo la giovinezza ma anche la maturità sono sfiorite) e per essere ancora utili agli altri.
    Sono anni (non è una consolazione) in cui, se la salute regge, possono essere vissuti pienamente ed essere perfino gratificanti.
    Certo, si tratta di vivere con la filosofia del… carpe diem.
    Ma basta andare alla Casa Albergo che il buonumore scema e ci viene l’angoscia. E’ il ciclo della vita.

  • Grazie Piero. Intanto mi stavo chiedendo se in prospettiva della vecchiaia o del fine
    vita sia meglio avere avuto una vita appagante, piena di bei ricordi, e magari qualche soddisfazione, o una vita di merda che tanto non si ha niente da perdere. Cioè, non è che un incidente, una malattia una defaillance vanificano tutto così che non c’è nessuna differenza? Basteranno, quando agonizzanti o anche peggio, non più autosufficienti, le fatiche o i ricordi faticosamente collezionati ad alleviare le pene del contingente e della terribile quotidianità? Per chi la vecchiaia è più dolorosa? Per il barbone sotto i portici di Milano o nel proprio letto accuditi e ben voluti? O la paura è uguale per tutti? E il testamento biologico, l’eutanasia? Pur non essendo ancora legge applicata, sto parlando delle dat, quanti di noi hanno già dato disposizioni? E’ come se atropaicamente ci accontentassimo di vaghe disposizioni quando sappiamo bene che le parole volant. E sto parlando soprattutto della vecchiaia, con lo spauracchio della casa di riposo, promiscuità, assistenza anaffettiva come lavoro e non missione,e tutto come se riguardasse gli altri e mai noi stessi, se non coltivando la paura e mai la determinazione di dire io vecchio mai, piuttosto morto, e quindi fate quello che dico inconsciamente si speri di allontanare il problema, come se il caso stesse lì ad aspettare i nostri tempi. Ho frequentato la Casa di riposo di via Zurla per sei anni, durata della permanenza di mia madre, che magari facendo buon viso ha ritrovato quell’equilibrio che a casa aveva perso. Ma non è per tutti così. Molti si disperano, rifiutano la condizione o altrimenti subentra la rassegnazione per un destino inevitabile. Ma se io mi rifiutassi? Quali strumenti avrei per oppormi ad una condizione coatta come condividere la camera con sconosciuti, la perdita di tante funzioni e a totale dipendenza dagli altri? Va bene che si contribuisca al business di quasi multinazionali che si sono appropriate anche della vecchiaia? Perchè adesso, come per i supermercati, avanzano le catene con tanto di marchio, dove anche lì l’unico interesse è il profitto, con l’assistenza ridotta all’osso e solitudine anche maggiore. Che allegria vero? Se sto rovinando l’inizio giornata al alcuni chiedo scusa. Quindi Carpe diem del sole che oggi e domani farà capolino, e chissà che una passeggiata salutare nel verde o una pedalata ritardino di qualche ora l’accanimento di un destino imperscrutabile, cazzo.

  • L'”Esproprio”.
    è un invito a fare i conti con l’Assoluto.

  • Graziano, quale Assoluto? Il destino, l’incomprensibile? Tanto vince sempre Lui.

  • Ci fa porre queste domande.

    • Graziano, le domande esigono risposte e rispetto a questo tema non ce n’è una convincente.

  • Piero, e poi c’è l’esposizione. In Casa di riposo la privacy sparisce. Schierati nei vari saloni comuni, tra sedie a rotelle, bascule e contenzioni varie, se non ci si può opporre, eccoci lì, esibiti più alla curiosità che non alla compassione dei vari visitatori occasionali o residenti, ti costringono al cambio di domicilio anche se hai la fortuna di avere ancora la tua casa, quelle orribili feste dei compleanni, quell’animazione per mentecatti, sull’onda della nostalgia, come se la giovinezza dei sopravvissuti fosse stata solo valzer e tanghi, ormai diventati brutti, dementi, insomma fenomeni da baraccone, freaks sopravvissuti contro la nostra volontà.

  • Da una lettera di Van Gogh a un suo amico pittore:
    “Senza saperlo,l’accademia è un’amante, che impedisce che un’amante più ardente e più fecondo si risvegli in te.Lascia perdere questo amante e innamorati disperatamente del tuo vero amore:la natura o la réalité.Anch’io
    mi sono innamorato di una certa natura o réalité,e da allora sono felice,anche se mi rifiuta crudelmente e ancora mi rifiuta”.

  • “…Resiste crudelmente e ancora mi rifiuta.”….Ops

  • Non abbiamo altro che il… carpe diem (per chi ha ancora la fortuna di stare sufficientemente bene).
    Ogni tanto, tuttavia, non è male aprire gli occhi sul… dopo.
    Tu evochi il testamento biologico, ma questo ha a che vedere solo per situazioni-limite, non per una perdita progressiva delle nostre funzioni mentali e fisiche.
    Uno scenario che inevitabilmente ci fa rabbrividire.

  • Eh sì Piero, se testamento biologico,suicidio assistito non possono ottemperare al loro compito non rimane che il classico suicidio, sempre prima che sia troppo tardi. Una malattia invalidante, fisica o mentale che sia, invalida indubbiamente qualsiasi azione. Senza quello gli altri agiscono in tua vece. Ma che vita è. Però non era questo il tema. Quasi sempre la vecchiaia diventa condizione necessaria e affidarsi al determinismo, diciamo filosofico, di chi riesce ad accettarla come condizione inevitabile, perchè se siamo ancora invita una ragione ci deve pur essere. Ma è arrampicarsi sugli specchi, anche per chi crede in vecchie dottrine che tanto poi c’è la resurrezione e questo è il prezzo da pagare per l’aldilà. Colpe da espiare, rimorsi da elaborare, rimpianti sempre meno pregnanti, più leggeri, per raggiungere la pace con noi stessi e prepararci all’evento. Naturalmente sappiamo tutti che sono tutte balle. Perchè alla fine non c’è infinito, l’unico in cui fingersi è la bara. O fingere sempre che si costruisce sulla roccia, non sulla sabbia, ma sono balle letterarie o filosofiche o religiose, che sai cosa ce ne facciamo diventati vecchi e spesso rimbambiti? Avete mai conosciuto dei vecchi saggi?

  • Non so, Ivano, se siano ancora molti che credono nell’aldilà (ricordo di avere letto i risultati di una inchiesta si cattolici: perfino una percentuale significativa di loro non crede che non vi sia un “oltre”).
    Ciò che vorremmo tutti è di lasciare qualche segno positivo: è questa l’unica… immortalità che i più (credo) sognano.
    Non credi?

  • Questa riscrivila Piero, dai! Prima però: met se i ugiai!

  • Storicizzare, storicizzarsi. E’ indubbiamente questa l’ambizione di tutti. Hai ragione, lasciare segni tangibili, idee scritte, oggetti, propri manufatti, figli, ci metto anche loro alla stregua di tante eredità possibili. La memoria, protagonista di tutte le nostre azioni, pare che si viva per questo mausoleo che tutti cerchiamo di costruirci, morti ancora vivi, programmi, progetti, perchè guai che si dimentichino di noi, buone azioni, più garanzie che valori in sé. Il posto al cimitero, quasi mai ceneri sparse al vento, anniversari sul giornale locale per ricordare agli altri che ci ricordiamo di chi è scomparso, alla fine più per noi che per i trapassati, calcoli, calcoli, la Storia di che ci è stato caro, ma anche la nostra presenza qui, passaggio di testimone, restituzione e ringraziamento, ipoteca sul futuro, cari figli o nipoti, tutti gli anni ricordo i nonni, vedete voi di ricordarvi di me. Nessuna trascendenza, immanenza spicciola. La generazione successiva poi, che se ne val la pena, procrastina idee, oggetti, senza più anima, solo materia. Alla fine, in tutti i casi, della maggior parte di ognuno di noi rimane un gran poco. A meno che non si sia davvero grandi. Ancora adesso si leggono e rappresentano le tragedie greche, si leggono gli antichi filosofi, un pittore si fa il suo catalogo, uno scrittore si pubblica il suo libro, qualche volte si finisce su un giornale, tanto in provincia è facile far parlare di sé, e magari ci si compiace, e non sono miserie umane o facili soddisfazioni. Tutto diventa importante, pur di lasciare una piccola traccia. Che poi è un vizio contemporaneo, il tempo della visibilità, dell’esposizione mediatica. Un tempo, secoli fa, questi pensieri di chi sarebbero stati? Del villano che faticava a tirar sera, del poveraccio che viveva di stenti? Certo, adesso visitiamo antiche dimore, ci si affascina per la villa dove tutto è rimasto uguale, arredi importanti che nel tempo è stato doveroso mantenere, in una fissità che è già Storia nel suo comporsi. Ma chi quelle case le ha abitate? Invece adesso questi pensieri sono di tutti, riscatto per quei privilegi da cui tutti erano esclusi. Certo, non si lascia il cassettone comprato al Mercatone, ma il pensiero della dipartita tormenta tutti. Cosa lasciare, quali ricordi e a chi? Anche se lo sappiamo tutti, di molti noi non c’è traccia significativa da lasciare, non c’è bisogno che qualcuno si ricordi di noi.
    P.s: riflessioni vergate di getto, tanto nessuno se le deve ricordare.
    P.s 2: Signor Cadè perchè è scomparso? Sono irriverente se La interpello? Lei come sta preparando la Sua vecchiaia e sempre più tardi la sua dipartita?

    • Come diceva Novalis, dare al finito un’apparenza di infinito.

  • Piero, naturalmente ne parlo in casa, dove incontro una certa contrarietà e l’avvertimento che il tema potrebbe scivolare su un crinale pericoloso, quello delle vite degne o indegne di essere vissute. Sai che Viviana, e scusate se personalizzo, tutti gli anni, organizza presso la Casa di riposo di Romanengo “Tracce di memoria”, dove con testimonianze di parenti e operatori, si ricordano i morti dell’anno precedente. E qui la Memoria non ha nulla di speculativo, ma appunto, fino all’anno successivo, si consegnano gli ospiti ormai scomparsi a quell’attimo di infinito prima dell’inesorabile finito. Infinito di gente comune di cui i libri di Storia non parleranno mai.

  • …E come il vento odo stormir tra queste piante,

    io

    quello infinito silenzio a questa voce vo comparando:

    e mi sovvien l’eterno…
    (Leopardi)

  • E le morte stagioni….

  • Si,
    però…Sovvien

  • Consiglio a todos los amigos, se non l’hanno ancora visto, di vedersi il film “Still Alice” (Golden Globe 2015 ad una splendida JULIANNE MOORE !).
    C’è dentro ….parecchio!!!!

    • Allora, visto che ci siamo, consiglierei anche Iris di Richard Eire. Tema anche qui l’ Alzheimer. “La vita straordinaria di Iris Murdoch, una delle più grandi scrittrici dei nostri tempi: dai giorni spensierati di Oxford, in cui conduce una vita anticonformista e spensierata, attraverso la sua brillante carriera di scrittrice ed insegnante di filosofia, fino al senso di smarrimento procuratole da una malattia spietata. Il tutto con il grande amore della sua vita, John Bailey, sempre al suo fianco, nel bene e nel male, per amarla ed accudirla fino alla fine dei suoi giorni.” Questo l’ho visto fino alla fine, e non so come ho fatto. Quello che consigli tu, forse in un momento di maggiore fragilità, non l’ho visto finire. Ho prefertito, per la mia salute mentale, andarmi a bere un bicchiere di rosso. 😊

  • E quel, comunque, al va sempre be, Ivano!!!!
    Il bellissimo finale di tragica, dolcissima tenerezza d’amore, fa dire alla figlia, ad una madre oramai demente: “Perché niente è perso per sempre. In questo mondo c’è una sorta di progredire doloroso. Desideriamo ciò che abbiamo lasciato indietro e sogniamo ciò che è avanti, o almeno credo che sia così.
    “https://www.cinematographe.it/rubriche-cinema/focus/still-alice-significato-finale-film/
    Ma qui, oramai, di amore ne parlano solo i …”buonisti” (io tra quelli, e me ne vanto, perchè continuo a sorridere quando incontro una “persona”!) e quelli del …. “Ministero dell’amore”!

  • Però è strano Francesco che alcune firme non stiano intervenendo. Perchè in fondo, se non coetanei, siamo quasi tutti in parabola discendente. Potrei fare della congetture, tipo che Il signor Cadè si è sentito offeso da qualcuno ( forse Orwell? ), Martini è in giro per la campagna, però il tempo…e poi capita spesso che sparisca per periodi più o meno brevi, Guido ormai irrimediabilmente perso, anche se qualche rimembranza di Leopardi potrebbe riesumarlo, o magari non ci sta leggendo, poi gli afisionados, come li chiameresti tu, hanno commentato. A meno che davvero questa spaccatura tra buonisti o Ministero dell’amore e i cattivi si sia fatta ormai insanabile. Ma non credo, secondo me non intervengono per scaramanzia. Più di me rifiutano di invecchiare.

  • Non tutti, alcuni credo abbiano comportamento ….”asintotico”, Ivano!
    Piuttosto, questa tua versione (de noiartri) del termine “aficionados”, per assonanza mi ha portato, con una “s” aggiuntiva, agli ….. “asfisionados”!
    Ma quella, probably è un’altra storia…..
    Peace and love, neh”

  • Sai una cosa, Ivano?
    Che nel mio tramonto non solo affiorano alla mente i miei… peccati, ma anche ricordi di eventi così intimi di cui non ho mai parlato con nessuno e che porterò nella tomba.
    Non so se accada anche ad altri.

  • Piero, non intendevo indagare nelle menti di nessuno, sia chiaro, chi non ha segreti o intima doppia vita? E in verità non saprei bene cosa aspettarmi, se non riflessioni generiche di semplice confronto. Poi è vero che non si rimuove niente, se non l’inutile. E tutto quello che affiora ben venga, e meno male che non si deve dichiarare tutto. Con gli anni si accumulano pensieri tali che solo quelli mai espressi hanno significato. Il resto è solo chiacchiericcio necessario per gli animali sociali che siamo.

  • Piero, per un attimo ti avevo frainteso. Poi, scrivendo, credo di aver corretto il tiro.

  • Hai fatto una descrizione, Ivano, molto realistica di alcuni dei modi più tristi di invecchiare e poi di chiudere l’avventura. Alcuni passaggi ricordano citazioni letterarie sulla decadenza fisica fino al disfacimento, quasi baudelairiane. Ci sono anche gli “orrori della coabitazione” richiamati da Bulgakov. Un quadro di avvilimento individuale e di gruppo che ha del dickensiano, con “odor di minestra nel sentor d’ospizio”. In realtà, dietro un’esposizione apparentemente semplice e quasi dimessa, si avverte narrativamente la bravura che fa rima con cultura. Per me, un testo certamente sentito e veritiero ma non foriero di ineluttabili destini così sconsolanti per chiunque abbia iniziato a prepararsi alla partita vera del fine vita.

    Partita che non è quella descritta da tanti capolavori artistici, letterari, musicali, ormai anche cinematografici (ovvia e quasi sdata la bergmaniana partita a scacchi). No. Quella non è una vera partita. Lì c’è un avversario che può solo vincere e che non perde un colpo. Come si suol dire, lì “non c’è partita”. La partita vera è quella con la propria vecchiaia, dai settanta o ottanta in su, dipende dalle persone. Le tue descrizioni rappresentano finali di partita finiti non proprio benissimo. Come del resto, purtroppo, accade nella maggioranza dei casi. Ma non escludo che la partita con la vecchiaia si possa provare a giocarla magari un pochino meglio, preparandola per tempo, dai cinquant’anni in su, per certi aspetti forse anche prima.

    Non esistono schemi di gioco validi per tutti. Ognuno ne elabora e ne sviluppa uno proprio, in base a componenti essenziali e meccanismi attuativi specifici. Se si agisce per tempo, forse si trovano spazi sufficienti per limitare (evitarli è impossibile) i danni peggiori della vecchiaia. Certo, è più facile dirlo che farlo. E poi, conta molto anche la fortuna.

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