“Rinnega la conoscenza e il popolo cento volte ne trarrà giovamento”.
Tutti sono d’accordo nel dire che l’ignoranza è un male. Ma è chiaro che siamo tutti ignoranti, in quanto ogni conoscere ha dei limiti e i campi del conoscere sono infiniti. Tuttavia mi pare che oggi, quando si parla di ignoranza, si alluda a deplorevoli carenze di sapere scientifico, in quella cioè che si considera la conoscenza par excellence.
Questa conoscenza è oggi ritenuta un fattore primario dell’evoluzione sociale. Altri tipi di conoscenza – saperi tradizionali, saggezza popolare, intuizione spirituale ecc.. – non sono più ritenuti validi e, di fatto, vengono considerate forme di ignoranza. A questi saperi stabili, abbarbicati nel profondo dell’esperienza umana, si contrappone una conoscenza moderna, priva di radici, che volteggia fra ipotesi e teorie sempre cangianti. Tale conoscenza, essendo amministrata da una ristretta cerchia di esperti, produce nell’uomo medio uno stato di perenne minorità e lo consegna alla tutela di un clero scientifico, erede dell’autorità religiosa. Ma mentre il pensiero della Chiesa poggiava su basi ferme e costanti, quello della scienza, da Galileo in poi, ha sempre mostrato un carattere provvisorio. Nel suo tendere verso un progresso infinito implica una continua precarietà, e costringe a spingere su e giù i massi del sapere come in un supplizio di Sisifo.
Guardando come va il mondo, si può legittimamente pensare che questa conoscenza non abbia favorito la ricerca della felicità e la creazione di un mondo migliore. I più tuttavia difendono l’innocenza e la verginità della scienza. Sembrano ignorare che oggi la conoscenza non è, come poteva essere per i greci, pura teoria e contemplazione intellettuale, ma uno strumento di potere. Ciò che più ammiriamo è infatti la sua forza, la sua capacità di cambiare e dominare le cose. Una conoscenza che fosse una disinteressata comprensione del reale e non fosse al servizio del guadagno e del godimento, ci sembrerebbe una sterile perdita di tempo. Il sapere deve piegarsi a scopi pratici, tradursi in una tecnica, generare un profitto. Perciò i templi della scienza si riempiono di mercanti e prostitute.
Per un osservatore obiettivo sarebbe difficile distinguere la nostra conoscenza dalla nostra follia. Ma questo non ci turba né ci rende perplessi. I viaggi spaziali, l’energia atomica, l’ingegneria genetica, i vaccini, Internet e numerosi altri miracoli ci rassicurano sul valore della scienza. Se un tempo era inconcepibile mettere in dubbio la bontà di Dio, oggi è blasfemo non vedere nella scienza il Bene supremo. Criticare i suoi metodi e i suoi dogmi è un’eresia che minaccia l’ordine razionale del mondo. Infatti, secondo la nuova teologia, solo la conoscenza scientifica può salvare l’uomo, elevarlo e redimere l’assurdità della sua vita.
Si pensa comunemente che la conoscenza scientifica abbia portato grandi benefici all’umanità. Di sicuro ha trasformato l’essere e la vita in oggetti meccanici, in forze senz’anima. In ciò, paradossalmente, ha completato la dissacrazione della natura iniziata dalla Chiesa. Ha scalzato la metafisica e la religione, che offrivano una visione integrale dell’uomo, e ha messo al loro posto una babele di linguaggi frammentari, che rendono caotico e incomprensibile il mondo in cui viviamo. La sua natura amorale, penetrando nella forma mentis della società, ne ha corroso i fondamenti etici. Ha stremato lo spirito con analisi maniacali, rendendo la realtà un labirinto senza uscita. L’amore per la verità si è trasformato in lussuria. Per questo, conscio di infrangere un tabù, invoco il ritorno a una casta e semplice ignoranza.
Di fatto, quest’orgia di saperi si sta esaurendo, i suoi assiomi e la sua logica han cominciato a dissolversi. Credo che lentamente si prepari l’avvento di una nuova conoscenza. Sarà un’ignoranza pacifica e saggia, conoscenza di sé stessi e della vita, una ricerca di armonia che non si preoccupa di sapere ciò che può tranquillamente ignorare.
Commenti
Scusandomi con Livio e ….todos los amigos per la pubblicazione….vespertina, do inizio alle danze!
Ben tornato!
14 luglio 2019
Frutto della scienza numero 1:
https://www.youtube.com/watch?v=nk2QFHdlER8
14 luglio 2019
Frutto della scienza numero 2:
https://www.youtube.com/watch?v=6O2PyqTc2aU
La scienza è ormai ancella della tecnica. Una forma di magia operativa (più nera che bianca).
“Non abbiate fiducia che in voi stessi, nel vostro giudizio supremo, seguite il vostro cammino personale. Non fidatevi di alcun maestro. Ascoltate, praticate, constatate e comprendete da soli. Siate un uomo libero ” (Georges Ohsawa)
La nostra ‘conoscenza’ delle cose è soggetta all’autorità esterna. L’educazione, la scuola, la chiesa, la scienza, il partito politico, i libri, i giornali, la televisione ecc.. Riconoscere questa soggezione e liberarsene è quasi impossibile. Sarebbe come per un bambino ribellarsi ai genitori. Non solo non ne è capace, il punto è che non vuole farlo, ha paura.
La libertà implica un’ignoranza e una solitudine.
Il vecchio detto “se incontri il Buddha, uccidilo” oggi andrebbe tradotto così:
“se incontri lo scienziato, uccidilo”.
Ora mi capita sotto mano questa frase di James Joyce:
“Ho gli occhi stanchi. Da più di mezzo secolo scrutano nel nulla dove hanno trovato un bellissimo niente” (scritta in italiano al figlio Giorgio il 3 giugno 1935).
E’ la depressione affranta di un uomo maturo e provato dalla vita o la visione luminosa di chi ha capito tutto?
Propendo per la prima ipotesi. Nel mio pezzo ho parlato di uno spirito stremato dalla conoscenza e dalle sue analisi maniacali. Credo che in Joyce predomini la mania degli stati soggettivi, come nella scienza moderna prevale la mania degli stati oggettivi. Entrambi portano a un niente (che non è illuminazione del Vuoto metafisico, ma frustrazione e angoscia). Questo ‘niente negativo’ è conseguenza della disgregazione del Soggetto, del Sé, della sua dissoluzione in un flusso di fenomeni, fatti, stati ecc.. A questo bisogna opporre una reintegrazione dell’esperienza nella dimensione del Soggetto, ossia dello Spirito.
…che è in fondo quello che intendo con “casta e semplice ignoranza”…
Posto che ogni Ciclo umano segue naturalmente una traiettoria di beata infanzia – inquieta adolescenza – maturità e tramonto (e qui l’uomo ha ben poca voce in capitolo), non c’è dubbio che nell’ultimo secolo ci sia stata una vera e propria “istruzione all’ignoranza” e, forse, su questo punto sarebbe utile cominciare ad interrogarsi.
Perché sappiamo certe cose e ne ignoriamo altre? Non noi come singole persone (sarebbe fisiologico) ma noi come comunità umana. Me lo chiedevo (non per la prima volta) proprio stamattina, dopo aver ricevuto la segnalazione del video linkato sotto da un’amica di Chiavari che, a sua volta, si domandava per quale motivo la cittadina ligure non avesse intitolato neppure una strada senza uscita a uno dei suoi “figli” più celebri, fondatore addirittura della Bank of America. Forse perché l”istruzione all’ignoranza” ci ha addestrato a piangerci addosso? E’ più utile (a chi?) ritenere superlativi inglesi, americani e tedeschi, persino i francesi, mentre noi italiani siamo i soliti inaffidabili ed eterni pasticcioni? E se ci liberassimo del cappio della “conoscenza imposta” una volta per tutte?
https://www.youtube.com/watch?v=B_ev-vohk-c
“La libertà implica un’ignoranza e una solitudine”, dice Livio. Ma visto che non siamo mai stati schiavi come nell’ultimo ventennio, non sarebbe ora di scrollarci di dosso anche un po’ di ignoranza? Diventando increduli, magari, dubitando di tutto, soprattutto delle “notizie” che piovono da fuori. Sarebbe un timido primo passo, ma è meglio di niente.
Rita, spero di non venir frainteso. Per ‘ignoranza’ io intendo proprio il liberarsi dalla falsa conoscenza che ci opprime, dalle varie ideologie politiche o scientifiche che ci rendono schiavi. La vera conoscenza, come la intendo io, non si ottiene per accumulo di informazioni e di concetti, ma per sottrazione, attraverso il rigetto di questa falsa conoscenza che ci viene imposta. Questa tirannia non consiste solo nell’indottrinarci ma anche nell’impedire l’accesso ad altre fonti di conoscenza (censura in senso lato).
Credo di aver capito il tuo messaggio. Ritengo infatti che la vera conoscenza si ottenga: a) con l’esperienza; b) con la ricerca e la selezione di informazioni/concetti che c’interessano e la progressiva eliminazione di quelli imposti. Per quale motivo conosco alcuni personaggi ed eventi piuttosto di altri? Perché i primi sono quelli che fanno la voce più grossa, per cui mi dedico ai secondi, chiedendomi perché siano stati ignorati. Anche così si combatte l’Impero.
A proposito di scientismo, farei più un discorso di “fede”.
Sulla politica invece siamo alla farsa, lasciamo pure che si suicidi.
Rita, secondo me dimentichi una cosa. Alla vera conoscenza, sempre per come la intendo io, non bastano i due elementi da te ricordati (esperienza e concetto). Questa sarebbe ancora la visione empirico-razionale oggi predominante. Serve l’intuizione, la comprensione sovrasensoriale e sovrarazionale della realtà. Che è appunto ciò che la cultura moderna, scientista e anti-tradizionalista, considera impossibile e puramente immaginaria. In altre parole, per una conoscenza integrale serve il concorso di tre facoltà: sensoriale, razionale e spirituale. La nostra epoca esalta le prime due e nega l’ultima. Ma questa cultura materialista e illuministica è agli sgoccioli. Non le do più di un secolo di vita.
L’intuizione, fondamentale per la formazione della Coscienza, era infatti compresa nel “pacchetto esperienza”. Forse avrei dovuto spiegarmi meglio.
È che se oggi dici ‘esperienza’ uno non pensa all’esperienza dello Spirito, all’intuizione di realtà sovra-empiriche, ma al ‘fare esperienza nel mondo’.
Ed è proprio questa visione mondana e secolarizzata, tipica della nostra scienza, della nostra cultura e della nostra politica, che io vorrei evitare.
Non perché sia totalmente falsa ma perché prende una parte della realtà e la fa diventare l’unica vera. Come stare su un’isola ignorando l’oceano che la circonda.
Io lo desidero adesso questo nuovo sapere! è adesso che vorrei essere più semplice, nel metodo oltre che nei contenuti, quindi meno cerebrale eppure più sapiente, saggia, anche felicemente ignorante. E’ da tempo che ci penso.
Mi sembra che tutti, almeno qui, siamo già ‘pronti’ per nuove forme di conoscenza, non c’è alcuna resistenza o dubbio da abbattere. Se non altro ne siamo curiosi, stanchi di ‘precarietà’, orfani di risposte sul fronte positivista-scientifico, di sicuro disincantati e forse addirittura disposti, come già il povero Magellano, a sacrificare e sfidare la vecchia geografia (lui anche la vita stessa) per toccare il nuovo Oceano.
Ma la domanda è: possiamo affrancarci da ciò che siamo, cioè il prodotto di un’educazione, di una cultura che ha affilato i nostri strumenti, che ci ha formato nei modi applicati per ricercare, leggere, esplorare il mondo? Lo dico sperando che qualcuno mi dica che si può, mi spieghi come riuscire a deporre le ben note armi (cfr. ‘La terza via’) per mobilitare nuove energie e disposizioni d’animo. Perché io sto sperimentando che tutta la cosiddetta buona volontà non basta. E nemmeno la ‘professione di rinuncia’ alla conoscenza.
Gli artisti delle Avanguardie storiche l’hanno fatto: Picasso ha guardato alle ‘sculture negre’ per riportare nella sua opera la sintesi della figurazione primordiale; Klee e Kandinski hanno frugato nella semplicità figurale del disegno infantile e via dicendo. Se penso che la loro arte è ancora poco compresa oggi mi tremano le vene e pure i polsi: non siamo ancora pronti, la nostra cultura è ancora lontana e per noi questo rischia di restare una ricerca intellettuale. Niente di più lontano dal miraggio di un sapere nuovo.
E perdonate l’ingenuità del mio intervento, ma l’argomento di Livio oggi ha proprio toccato piani sottili….
Cara Silvia, questa è una domanda che emerge in noi come un riflesso automatico: dunque, che fare?
Io penso che, insieme ai moderni stereotipi del sapere, dobbiamo rifiutare anche quelli del fare: faccio questo per ottenere quello. È inutile agitarsi. Bisogna affidarsi all’anima. Ma l’anima ha i suoi tempi e le sue vie, che non coincidono con quelle della mente e del corpo.
Ti ringrazio del bellissimo commento, ma non ho nessuna ricetta da dare a nessuno. Condivido solo le mie riflessioni. Solo l’anima, la vita, può dare risposte.
Non avevo visto la risposta di Elena, che rende pleonastica la mia…
Sei tu, Silvia, che hai “toccato i piani sottili”: alleggerirsi di peso, gettare via un po’ di orpelli culturali (io, ultimamente, sto facendo piazza pulita anche di quelli materiali), è già di per se un’azione liberatoria. Via, via, non abbiamo bisogno di niente che venga “da fuori” ma solo di far funzionare la nostra Coscienza.
Oggi solo gli ultimi popoli considerati «primitivi» sono riusciti a conservare qualcosa della loro trascendenza originaria. Un abisso separa, ad esempio, l’immagine astratta che hanno gli Esquimesi dell’anima umana e il suo corrispettivo giudaico-cristiano. Sembra un miracolo, ma riusciamo ancora a fare paragoni! Non è un buon segno? Alla faccia di generazioni di intellettuali poco sensibili che si sono lasciati assorbire dal processo di degenerazione della cultura: quando qualcosa risultava ai loro occhi «incomprensibile» non facevano altro che semplificarlo, mettendolo nei libri a sostegno della recensione che ne avevano fatto. Ma quello che dicono ha smesso di fare testo, segno evidente che ci stiamo avviando verso un mondo più leggero. Ci vorrà ancora un po’, ma la direzione è quella.
Che piacevolissimo, inaspettato incontro. in questa piazza, Silvia!
Ingenuità dici?
Io direi pulizia mentale, condita in …….. salsa culturale!
Cara Silvia, i piani sottili creano riverberi in noi solo se siamo già in un’altra ‘disposizione d’anima’. Quindi, secondo me, la risposta che poni ha già una risposta affermativa: ci si può affrancare, ma bisogna che la Vita ci aiuti (con mezzi a noi molto sgraditi) e poi bisogna solo aspettare e favorire il sorgere spontaneo di una nuova visione…bisogna stare fermi, però… agire poco e avere una capacità di accettazione (fede??). Ci si ritrova soli. E si sente che è l’unica via percorribile, tutto il resto è menzogna.
Anima, leggerezza, affidamento, solitudine. Grazie per aver condiviso queste riflessioni…..ce n’è davvero bisogno.
Mi viene segnalata questa notizia:
“Avanzano gli studi per far nascere i bambini negli uteri artificiali.
Il dottore Alan Flake del Children’s Hospital di Filadelfia ha fatto richiesta all’ente FDA americano di avviare un trial clinico entro 1 o 2 anni, mentre il dottore Carlo Bulletti, professore alla Università di Yale e presidente della Società Italiana di Fertilità, Sterilità e Medicina della Riproduzione, ha ipotizzato che l’utero artificiale potrebbe diventare realtà in 10 anni con i giusti investimenti.
I benefici deriverebbero dall’azzerare i rischi per il feto e la madre, oltre che garantire lo sviluppo di bambini geneticamente sani. Questo potrebbe determinare un cambio notevole nell’evoluzione umana”.
…………………………………………..
Confermo: “Se incontri lo scienziato, uccidilo”.
Solo dopo un grande dolore o una grande paura, credo che, una volta scampata, si possa trovare quella leggerezza…la quiete dopo la tempesta. Quando va bene. Banale come la vita e la morte. Che mi pare sia quanto detto da Elena, senza stare a menarla troppo.
Trovo significativo che si indichi nella ‘leggerezza’ il valore da perseguire. C’è in noi questo desiderio di liberarci di zavorre e di ‘volare’. Ma forse noi siamo già troppo leggeri, siamo già dei palloncini che si perdono nello spazio infinito. Questo ricorda quella “conoscenza moderna, priva di radici, che volteggia fra ipotesi e teorie sempre cangianti”, presa di mira nel mio pezzo.
Forse dovremmo diventare più ‘gravi’, mettere radici nella terra e crescere, più che svolazzare qua e là.
http://www.cremascolta.it/archivio/index.php?option=com_zoo&task=item&item_id=1817&Itemid=311. Tema interessante, già dibattuto, ma di impossibile soluzione, se non mettendo i piedi per terra. Sono d’accordo, anche se sempre mi sembra che Lei rappresenti l’opposto di quello che dice. Guardi quante parole quando non c’è niente di più mistificatorio del linguaggio, prima invenzione dell’uomo.
“Chi si ammanta di saggezza si ammanta di afflizione, un cuore che sa rode le ossa come la ruggine”.
Sarei curioso di sapere da dove è tratta questa citazione.
Silenzio, silenzio, silenzio.
Il linguaggio non è invenzione dell’uomo. Le varie lingue e dialetti sono forme contingenti del linguaggio ma il linguaggio preesiste all’uomo. È una struttura inerente alla vita stessa. L’uomo non lo inventa ma lo scopre, come le leggi della natura, e lo rielabora in forme storiche. E il linguaggio non mistifica ma rivela, illumina l’essere. Che poi l’uomo usi le parole per mentire o per illudersi è un altro discorso.
Agostino, mi pare che Martini però
individui in Possidio, il suo biografo.
Di fronte a così stimolanti riflessioni, mi limito solo a suggerire, a proposito del tema dell’ignoranza, il bel pamphlet di Gustavo Zagrebelsky: Mai più senza maestri (una risposta alla diffusa ignoranza in tutti gli ambiti del nostro tempo in cui i “maestri” sono stati sostituiti dagli “influencers”.
So bene che Zagrebelsky non tratta dell’accezione che Livio conferisce a “ignoranza”, ma considero il libretto estremamente stimolante anche su questo fronte perché suggerisce, in alternativa alla “logica di Atene”, la “logica di Gerusalemme” (leggete quella pagina: fa riflettere molto).
Se posso aggiungere una postilla, dico solo che non vedo (ma posso sbagliarmi) contrapposizioni tra “saperi”: possiamo benissimo vivere (anzi tutti viviamo) “convivendo” con “più saperi”. Di sicuro, anzi, sono più i “saperi non scientifici” che ci guidano nella nostra vita.
Io (ma credo tutti) faccio uso del “potere” che si trova dentro la “tecnica” (sto utilizzando il pc, Internet), ma ciò che conta, ciò che dà “senso” alla mia fragile esistenza (sepre più percepita come fragile a una certa età) è ben altro che riguarda, appunto, l’anima.
Piero, “Atene e Gerusalemme” è un libro di Sestov che lessi molti anni fa. Sestov prende partito per la fede contro la razionalità, per Lutero contro Erasmo, per Tertulliano contro la filosofia greca, per Pascal contro Spinoza ecc.. C’entra qualcosa con Zagrebelsky?
Raga, io nn cela faccio a seguirvi a questo livello intellettuale, sapete, il tormentone dell’ingegnereetcetc, pero’ c’ho un amico che invece:
https://www.google.com/url?sa=t&source=web&rct=j&url=https://www.filastrocche.it/contenuti/considero-valore/&ved=2ahUKEwiTp92L5rfjAhWkMewKHX5FDncQFjAAegQIAhAB&usg=AOvVaw14mgRCYrYB5t_tT3ZQnxsl, si chiama Erri DeLuca!
Lascio che parli lui per me….
D’accordo, però io non direi ‘valore’. Valore è un termine economico, legato alle merci. Purtroppo è ormai usato in senso lato (i ‘valori’), a dimostrare il nostro pregiudizio economico nei confronti della vita. Anche il macellaio direbbe:
“considero valore ogni forma di vita, la mucca e il maiale, l’agnello e la gallina”.
Caro Franco, bisogna andare oltre il valore. La vita non ha valore.
Vorrei rispondere a Piero. Naturalmente vi sono saperi non scientifici. Puoi sapere di avere il mal di testa o di essere innamorato senza che te lo dica la scienza. Lo stesso per le percezioni dell’anima. Però questi ‘saperi’ sono giudicati impressioni soggettive. L’unica ‘conoscenza’ in senso nobile è oggi quella scientifica, ottenuta con una certa metodologia. Vi è in questo senso perciò non una convivenza equilibrata tra i saperi ma una vera egemonia o dittatura del pensiero scientifico. Infatti, nel senso comune, si è radicata questa equazione:
scientifico=vero, non scientifico=falso. La realtà va dimostrata ‘scientificamente’ per essere vera. Ma poiché non possiamo vagliare tutto con la conoscenza scientifica, una verità integrale la possiamo trovare solo attraverso una saggia ignoranza.
Se così fosse, e lo penso spesso anch’io, anche i rapporti umani sono economici. Se il termine valore usato in senso lato governa le nostre relazioni e le relazioni con gli alberi o gli animali, non si scappa dall’uso strumentale del termine, a significare che l’interdipendenza tra gli esseri umani e il mondo circostante, anche quando ammantata dei più nobili sentimenti, non sfugge a puri calcoli ragionieristici. Forse Erri De Luca è un’anima pia che ha capito che il linguaggio si piega, se onesto, al nostro volere, con le dovute distinzioni semantiche. E l’etimologia rivendicata dal signor Cadè si ferma alla prima definizione da dizionario. Credo che il termine valore possa essere usato oltre e la scrittura libera dello scrittore, con la sua libertà lessicale e sintattica, penso che lo dimostri. E poi, che il linguaggio sia stato inventato o trovato non significa nulla se usato con la libertà fuori dalle regole, vergate o comportate che siano, dotte o ignoranti che siano. Ma siamo purtroppo animali sociali e questo sempre sarà da impedimento alla libertà di cui forse parla il post di Cadè
Le relazioni umane non sono di natura economica. Noi le abbiamo trasformate in pure transazioni commerciali. Il ‘valore’ può essere economico o militare, ma non è conciliabile con l’idea di vita. La vita è segnata dai caratteri del sacro, della dignità, del mistero. Valore è un termine ambiguo. Ho sentito lo stesso Erri De Luca difendere il ‘valore’ dei migranti. Di fatto i migranti rappresentano un valore per le ONG che li finanziano, per le imprese che vogliono occupare l’Africa, per gli scafisti, per le ONG che li imbarcano, per le case d’accoglienza, per la mafia, per gli schiavisti che li sfruttano, per i politici che li strumentalizzano ecc.. Ecco un evidente esempio del ‘valore umano’.
Le parole sono importanti e, in questo Lei ha ragione, vengono oggi quasi sempre usate per mistificare o nascondere la verità.
Cavoli, era cominciato così bene questo discorso …. per finire a Erri De Luca?
Squallorrrrr …. mi ritiro.
Disammbiguare ilsignificato delle parole è spesso necessario.
Nel caso di Erri invece, proprio no!
Cadè h.9:17. Perfetto discorso salviniano. Se le relazione umane non sono di carattere economico Le ricordo che esiste anche uno spirito umanitario. Non faccia il profondo solo quando Le fa comodo, non generalizzi, non sia superficiale.
Prendo atto che ormai, per infamare il ‘nemico’, non si usano più termini obsoleti come ‘fascista’ o ‘nazista’. Basta dire ‘salviniano’. Sono tutti sinonimi di disumano, totalitario, irrazionale. A questo punto, sapere o ignorare non fa alcuna differenza, gli argomenti non servono. Si è già capito da che parte bisogna stare.
Ma non mi importa di questa squallida deriva politica. Io ne facevo un problema di linguaggio e di verità, adaequatio rei et intellectus. E dell’uso etico delle parole.
Dimenticavo, nello spettro semantico di ‘salviniano’ ci sono ovviamente anche razzista e populista. Altre nefandezze si possono aggiungere ad libitum, q.b..
Rita, dichiarato qui, spero nel frattempo che tu l’abbia conosciuto, fino a un paio di anni fa non sapevi neppure che esistesse.
Esatto!!! Ci sarà pure un motivo, visto che sono una curiosa patologica che va a ravanare fino in fondo ad ogni barile pur di saperne di più sul maggior numero di cose possibili. L’averlo sentito parlare un paio di volte in televisione, comunque, mi è bastato. La cultura-pop del Pensiero Sinistro non è nelle mie corde. Se poi a qualcuno piace, per carità, liberi tutti.
Speravo solo che un argomento importante come quello intavolato da Livio portasse più lontano. Tutto qui.
Sì, c’è stata una repentina degenerazione. E io che già mi sentivo beato tra le donne… Forse è vero che le donne son più vicine all’anima.
Forse le donne avvertono più degli uomini la sterilità del sapere moderno, l’ipocrisia della sua retorica, il narcisismo della sua cultura, la sua connaturata violenza ecc..
Disgraziatamente le donne si sono adeguate benissimo, ed essendo più agguerrite degli uomini in molti casi sono persino riuscite a superarli in questo gioco al ribasso. Siamo l’umanità della Fine, dopotutto, bisogna accontentarsi.
Possiamo solo augurarci che dopo di noi si proceda verso il transumanesimo, che si manifesta principalmente nella capacità dell’uomo di emanciparsi sviluppando le sue potenzialità, anziché verso il post – umanesimo, che prevede invece una scomposizione delle funzioni umane fisiche e cognitive progressivamente rimpiazzate da apparecchiature tecnologiche. Lo scientismo, in fondo, è nato per questo: più pensiamo e agiamo a compartimenti stagni, definizioni e slogan, più siamo malleabili.
Secondo la Blavatsky l’umanità sarebbe stata salvata da divinità femminili. Da quel che tu dici, Rita, pare che invece non vi sia più neanche questa speranza.
Posso capirla. La Blavatsky era una donna dell’Ottocento e ci sperava, non poteva sapere cosa sarebbe venuto dopo.
AIUTO
Da luoghi comuni a luoghi comuni.
Non so cosa Lei voglia dire. In ogni caso anche a me piacerebbe uscire dai luoghi comuni.
Ma quali di preciso?
Ieri, dopo settimane di resistenza, mi sono sottoposto a risonanza magnetica per far luce sul dolore ad un ginocchio che mi tormenta da un po’. Sperando che la tecnologia e la scienza ne individuino la causa e impostino la guarigione. Vi farò sapere.
Senza fare risonanze magnetiche, che sono pure dannose, gli Antichi avrebbero detto “mali di vecchiaia”, prescrivendo al paziente qualche lenimento farmacologico. La scienza medica moderna farà più o meno la stessa cosa (se non metterà i ferri addosso), ma il giro di soldi che ha mosso nel frattempo è infinitamente maggiore e in tanti ci avranno guadagnato. E’ una questione di “valori”.
“Sperando che la tecnologia e la scienza ne individuino la causa e impostino la guarigione”.
Ecco un vero luogo comune…
Vecchia sarai tu.🙂🙂🙂. Quanto ai lenitivi credi che non ci abbia provato? Quanto al business se mi fa passare il dolore ben venga.
Tanti auguri.
La parentesi ortopedica-sanitaria aperta dal signor Macalli mi ha fatto riflettere. In fondo ho sbagliato a considerarla un fuori tema. Vi si presenta al contrario il tema del sapere tecnico-scientifico visto oggi come l’unico strumento che l’uomo ha a disposizione per capire la realtà, per guarirla dai suoi mali e salvarsi.
Sono i medici-tecnico-scientifici, o gli economisti-tecnico-scientifici, a rappresentare la nostra speranza. Eppure, più gli economisti discutono, più l’economia peggiora, più i medici si specializzano, più i malati aumentano.
Occorre una grande fede, questo è sicuro.
Ah se non ci fossi io, visto che le Sue donne (stereotipi) l’hanno abbandonata.
Il fatto che io e lei, Ivano, non ci siamo mai conosciuti di persona può rendermi meno chiare alcune sue osservazioni, dal momento che non ho mai sentito la sua voce, il ritmo e il tono delle sue frasi e quindi forse mi sfuggono sfumature e ironie che -magari, dal vivo- potrei persino trovare simpatiche. Ma tant’è: queste pagine non sono il salotto di qualcuno di noi e neppure il bar all’angolo, dove per lo meno ci si guarderebbe in faccia. Chi legge non è tenuto a interpretare e tradurre i toni: le parole e i loro significati sono una questione delicata, soprattutto per i contenuti trattati.
Quindi mi permetto la disinvoltura di cui lei stesso fa uso, nel mio caso senza bisogno di essere interpretata nel tono: trovo che certi suoi interventi siano fuori luogo, in quanto sgradevoli e vuotamente provocatori ed è un peccato, per questi argomenti……
Ottima lezione di stile, cara Silvia.
Gli uomini incassano, le donne bacchettano.
In tutti i casi, di fronte al contingente io mi adeguo al mio tempo, ai tempi che corrono. Anche se mi incazzo continuamente non ho altra scelta. Invece con riferimento ad altro post leggo che senza la ricerca spaziale e la luna senza quella tecnologia la risonanza magnetica non esisterebbe. Saremmo ancora alla lastrina rivelatrice di niente di tanto tempo fa. Insomma, non tutto il male, o il sospetto o il complottismo, vengono per nuocere. Comunque aspettiamo il parere delle donne, notoriamente opposti ai nostri, o ai miei.
Ci si potrebbe fare un film: “Il ginocchio di Ivan” (in mancanza di Claire)…
Sarebbe una rottura di coglioni come tutti i film di Rohmer. Lasciamo stare.
No, sarebbe un ibrido tra Rohmer e Tarkovskij (“L’infanzia di Ivan”). Rohmerovskij.
E ormai siamo al CdQ.
Silvia, il sistema prevede un solo “rispondi”. Mi colloco in coda sperando di esser letto. Credo che ci sia stato un malinteso, e nessun intento ironico nei suoi confronti. Mi dispiaccio e mi scuso. Il tono usato era solo nei confronti del signor Cadè con cui mi sono permesso, senza conoscerci personalmente, ma con lungo conferimento virtuale, e reciprocamente mi pare, di usare un linguaggio, come spesso accade, sarcastico o provocatorio. Quindi nessuna intenzione voluta. Il rifermento a luoghi comuni e stereotipi non volevano né colpire Lei né Elena. Mi scuso ancora.
Rita, nuovi stereotipi.
… ???… boh! Di sicuro è qualcosa che non c’entra con l’anima, la leggerezza, il silenzio, né con la scienza socia in affari della finanza mondiale.
Immagino che gli stereotipi o luoghi comuni evocati dal signor Macalli si riferiscano alle differenze di genere, che oggi purtroppo tendono a sfumare nel caos. Infatti ho ‘banalmente’ detto che la donna è più vicina all’anima. È un’idea tradizionale, che non ho certo inventato io. In altre parole, la donna è per sua natura più recettiva al sapere non-razionale, non-logico, che non significa illogico o irrazionale e neppure semplicemente emotivo o sentimentale. Nella cultura popolare si parla di ‘intuito femminile’. Chi conosce le donne sa che questo è vero, anche se la cultura moderna vorrebbe negarlo. Salvo poi pubblicare scrupolosi esami sulle differenze del cervello nei due sessi e baggianate simili (lo so, non si dovrebbe più parlare di due sessi soltanto, ma su questo le neuroscienze sono in colpevole ritardo).
Esattamente signor Cadè. Mi spiace solo che Silvia mi abbia frainteso.
….a dire il vero, io la metterei sul piano di “maschile” e “femminile”.
A mio modo di vedere, in misura magari assai diversa per ognuni di noi, ogni persona è caratterzzata da un “maschile/razionale” e da un “femminile/intuitivo” e il particolare mixs di queste due caratteristiche personali, caratterizza (ops!) l’approccio vitale della persona. Ovviamente su questo “equilibrio”, ognuno può “lavorare”, nel suo percorso finalizzato alla sua consapevolezza.
Questo approccio, sempre a mio modo di vedere”, salutarmente spazza via tutta la ….robaccia diffusa tramite le “teorie del gender” (!) et similia, riconducendo la materia ad un approccio meno aggressivo e più equilibrato
“Chi sa di essere maschio ma si attiene al femminile”, secondo l’antica saggezza cinese, porta beneficio a tutto il mondo. Questo investe sia la sfera del sapere che quella dell’agire.
La nostra cultura, che è profondamente malata, ha da un lato esasperato alcuni caratteri maschili (la forza, l’aggressività, la competizione) creando una società fallica. La stessa emancipazione femminile è stata in gran parte un’affermazione di caratteri fallici a scapito di quelli femminili.
D’altro lato, abbiamo esasperato anche alcuni tratti femminili, creando mollezza, passività, finta accoglienza ecc., e cadendo in comportamenti isterici.
E infine siamo arrivati all’aberrazione del gender, dove queste patologie sociali diventano la normalità e quasi il summum bonum. Cioè siamo alla rovina, alla liquidazione dell’essere umano.
Ritrovare l’equilibrio sarà molto difficile.
P.S.: chi è interessato alla politica, può vedere anche nel conflitto tra governo e opposizione la dialettica tra pensiero fallico e pensiero isterico. Bisogna capire, considerate le circostanze, quale sia il male minore.
Francesco, intervento intelligente e rispettoso delle individualità. Oltre la tradizione, parola nefasta per le inevitabili derive ancor prima dei fanatismi. Conoscerete il film romeno del 2012 che racconta un fatto realmente accaduto in Romania nel 2006. E qui la tradizione si esprime al meglio quando le idee si estremizzano. La vicenda si svolge in un monastero di suore, donne quindi, anche se rette da un uomo, a cui donarsi in convinta obbedienza. Il titolo del film é Oltre le colline. Narra della disobbedienza di un’ospite occasionale condannata alla morte, anche se non prevista, in una rivolta dai presupposti amorosi che sfocia appunto in una follia indotta prima, in una guarigione mediata dall’indrottinamento poi, per culminare in una ribellione tale da indurre gli abitanti del monastero ad una pratica esorcistica che risulterà fatale per la protagonista. Siccome è una storia realmente accaduta ne consiglio la visione a quei fanatici della tradizione.
Il film rumeno non lo conosco. Mi sembra ricordi il caso delle monache di Loudun (da cui Ken Russell ha tratto il film “I diavoli”).
Un vero seguace della Tradizione non può essere fanatico. La Tradizione è l’opposto di ogni fanatismo.
Appunto la politica. Abbiamo un Salvini indubbiamente fallico e una platea elettorale anche maschile in ossequiosa dipendenza. Appunto femminile. Questo secondo la tradizione che vede le donne in genere sottomesse all’uomo. E anche questo non me lo sono inventato io. Il coso duro di Bossi avrà fatto sognare una moltitudine di donne, ma ho il sospetto anche di molti uomini. Immedesimazione? Potrebbe essere un’interpretazione, ma ne rimane anche una seconda. Una moltitudine osannante di fronte ad una identità così maschile fa nascere un sacco di dubbi, oltre il femminile e il maschile.
Sei in ritardo di trent’anni (il Pensiero Sinistro che t’ispira lo è). Anche del Berluska sempre gli stessi dicevano che “lo votavano le donne” (non le loro, notoriamente intelligenti, ma le ignorantone forgiate sul modello casalinga di Voghera). A volte mi domando e dico se mai certa gente si stancherà di raccontare la sempre stessa “pastocìa”. Eppure la verità è così lampante nella sua semplicità: se non ti votano è perché quello che fai e dici fa ridere i polli, non c’è bisogno di andare a scomodare la psicoanalisi, la filosofia o la matematica. Trattasi di elementare legge di mercato, il prodotto scadente non si vende.
Qualcuno mi spiega cosa si intende, qui, per “umanismo”? L’esistenzialismo di Sartre, o di Heidegger? Perché, personalmente, io sarei d’accordo solo con quest’ultimo, che riteneva compito principale del pensiero umano impegnarsi non per l’uomo, ma per l’essere.
Il fanatismo è una degenerazione della tradizione. Non ci sono palle che tengano.
Non c’è nessun nesso. Il fanatismo è una malattia che può colpire chiunque.
E nel la Storia è sempre accaduto.
Femminile, patologicamente femminile, è questa finta sinistra, con il suo umanismo pseudo-materno e le sue gravidanze isteriche. Patologicamente femminile è oggi anche la Chiesa.
Lei continua con gli stereotipi, che basta guardarsi intorno per verificare che non é così. L’umanismo non è una prerogativa solo femminile. Basta leggere quello che scrive Rita.😂😂😂
Lei continua a giudicare i miei pensieri ‘banalità, luoghi comuni, stereotipi’. Potrei anche risponderLe se Lei allegasse qualche argomento. Per esempio, “basta guardarsi intorno per verificare che non è così”, cosa vuol dire?
In ogni caso, preferirei non parlare di politica. La questione trattata qui riguardava il sapere e l’ignorare.
E sicuramente anche il sapere ha aspetti maschili e femminili.
Rita, sono io che, a proposito dell’attuale sinistra italiana, ho parlato di “umanismo pseudo-materno e gravidanze isteriche”. Come puoi facilmente intuire non c’è nessun riferimento a Heidegger.
Era un’allusione al suo amore per tutti gli esseri umani (tranne quelli che non la votano), contrapposto all’ ‘odio disumano’ che avanza.
Ovviamente non c’è nulla di vero in questo umanismo.
La differenza e’ sostanziale, ma non sta a me sopperire a decenni di mancata ricerca. E non ne ho neanche voglia.
Era la risposta a Macalli 13:05.
Adesso pero’ basta.
Rita, se alludi alla differenza tra uomo ed essere, in due parole, l’uomo è contingente e caduco, l’essere è eterno e necessario.
Si, è così. L’essere, dunque, e non l’uomo va preservato.
Che in soldoni significa ribaltare l’impianto concettuale degli ultimi 3-4 secoli, i peggiori.
Rita, che differenza c’è tra uomo e essere? Sai, qui non sono tutti filosofi. C’entra ancora il Sacro?
Cadè di stamattina: perché dice che io non porto argomenti? Io ho posto come argomento la relazione tra tradizione e fanatismo, e a mio sostegno ho consigliato la visione di un film. Se poi vuole altri esempi arriveranno, non si preoccupi. Altro esempio é l’ipocrisia imperante, tra chi brandisce rosari e vangeli, ma gli “esseri” li lascerebbe affogare. Questo accanimento per me è fanatismo derivante dalla presunta superiorità di alcune razze su altre. Degna tradizione iniziata negli anni trenta e che ora trova nuovi focolai, e fanatismo. Ma stiamo ritornando alla politica, cosa che Lei preferirebbe evitare. Ma non ci si scappa. Del resto non è da molto che da quella preghiera è stato tolto il riferimento ai perfidi ebrei. E questa tradizione antisemita sta ritornando. Stiamo ritornando al passato signor Cadè , fossero le sentinelle in piedi e il convegno di Verona, o gli attentati alle ciniche americane dove si pratica l’aborto, o gli attacchi alle coppie omosessuali, o l’accanimento verso i clochard, in una violenza ancor più violenta quando si credeva che alcuni cambiamenti dovuti ai tempi fossero ormai metabolizzati. E queste derive sono sempre supportate dalle tradizioni che alcuni vorrebbero procrastinate sine die. Io, questo ritorno al passato lo chiamo fanatismo.
Lo chiami fanatismo, lo chiami tradizione o lo chiami mortadella, è sempre un uso improprio dei termini.
La caducità, appunto. Cosa ne ne frega se l’essere è eterno e io no? Ma finalmente ho. capito la differenza. Signor Cadè , non poteva spiegarlo meglio
In poche parole le menate di secoli di filosofia. Bravo.
Ma anche Lei ‘è’.
E in poche parole l’ha capito anche Rita. Ancora bravo. In attesa di quello che inventerete.
Rita, “ribaltare l’impianto concettuale degli ultimi 3-4 secoli”, come dici tu, significa appunto elaborare una nuova, seppure antica, forma di sapere. Non può essere però una semplice regressione al passato, perché niente si ripete uguale. Si dovrà ripristinare la dignità della metafisica come cuore della cultura e della scienza. Cioè si ricreerà interiormente un nuovo Medioevo, anche se le forme esteriori saranno totalmente diverse.
Intorno e dentro di noi è già tutto perfettamente disegnato. Possiamo anche inventarci dei giochini nuovi, se ci fa piacere, ma il mondo questo è, mentre l’uomo è semplicemente un animale inserito come tutti gli altri nel meraviglioso disegno che la scienza moderna ha chiamato «evoluzione della vita». E’ persino improbabile che esista in qualche remoto angolo dell’universo il fantomatico Creatore poiché il «divino» già ci circonda, è qui, ora, davanti ai nostri occhi, dov’è sempre stato, anche se noi non lo vediamo. Come ha giustamente osservato l’astrofisico Hubert Reeves: “l’uomo è la specie più folle: venera un Dio invisibile e distrugge una Natura visibile, senza rendersi conto che la Natura che sta distruggendo è quel Dio che sta venerando”.
Prima di “ripristinare la dignità della metafisica” bisogna re-introdurre quella verso la Natura. Seriamente, non con una svolta green completa di aree plastic free che, in parole povere, significa lasciare le cose come stanno incentivando la ricerca tecnologica, la sola capace di rimediare agli errori umani. Così non ne usciamo.
Ma il sentimento della natura, per ritrovare dignità, dovrà essere religioso, metafisico e mistico. Se sarà una natura interpretata ancora attraverso i paradigmi della scienza fisica, chimica o biologica, secondo schemi meccanici, allora davvero non vi sarà via d’uscita. Saremo allora distrutti dalla tecnologia, dall’intelligenza artificiale, dai cyborgs, dal non-umano.
Per questo io vedo nel Dao De Jing, nel suo messaggio più profondo, che è radicalmente, totalmente antitetico al pensiero moderno, il ‘Vangelo’ del futuro. La Tradizione rivivrà, io credo, in quella forma.
Solo una saggezza che integri anima e corpo, immanenza e trascendenza, naturale e divino, in una unità indivisibile, può a mio avviso fornire le basi per la ricostruzione della nostra civiltà (quando la post-modernità sarà finalmente morta).
Ma il sentimento della natura, per ritrovare dignità, dovrà essere religioso, metafisico e mistico. Se sarà una natura interpretata ancora attraverso i paradigmi della scienza fisica, chimica o biologica, secondo schemi meccanici, allora davvero non vi sarà via d’uscita. Saremo allora distrutti dalla tecnologia, dall’intelligenza artificiale, dai cyborgs, dal non-umano.
Per questo io vedo nel Dao De Jing, nel suo messaggio più profondo, che è radicalmente, totalmente antitetico al pensiero moderno, il ‘Vangelo’ del futuro. La Tradizione rivivrà, io credo, in quella forma.
Solo una saggezza che integri anima e corpo, immanenza e trascendenza, naturale e divino, in una unità indivisibile, può a mio avviso fornire le basi per la ricostruzione della nostra civiltà (quando la post-modernità sarà finalmente morta).
Ma perché l’ha messo doppio? Forse perché non si capiva bene?
Sicuramente Livio, la “svolta green” è solo una moda.
Serve a vendere le rinnovabili.
La rivoluzione che serve è di tutt’altra natura.
Che indubbiamente è preferibile a ero. Almeno ancora un po’. È questa la mia metafisica. Posso anche inventarne altre, ma sul letto di morte cosa me ne farei? E sono certo che anche per i metafisici è così. Basta un male al ginocchio. 😂🤣😢
Secondo me, hai sbagliato piazza. Quelli che amano i botta e risposta inconcludenti, gli sfottò finalizzati a denigrare in modo violento l’interlocutore, le stronzatine che fanno sorridere solo loro, l’indulgenza verso i propri malanni e i propri affari personali, normalmente frequentano Facebook. E’ un consiglio disinteressato: avresti anche la possibilità di inserire una o più foto del tuo ginocchio.
Che cosa è dunque il tempo? Se nessuno me ne chiede, lo so bene: ma se volessi darne spiegazione a chi me ne chiede, non lo so: così, in buona fede, posso dire di sapere che se nulla passasse, non vi sarebbe il tempo passato, e se nulla sopraggiungesse, non vi sarebbe il tempo futuro, e se nulla fosse, non vi sarebbe il tempo presente. Ma in quanto ai due tempi passato e futuro, in qual modo essi sono, quando il passato, da una parte, più non è, e il futuro, dall’altra, ancora non è? In quanto poi al presente, se sempre fosse presente, e non trascorresse nel passato, non più sarebbe tempo, ma sarebbe, anzi, eternità. Se, per conseguenza, il presente per essere tempo, in tanto vi riesce, in quanto trascorre nel passato, in qual modo possiamo dire che esso sia, se per esso la vera causa di essere è solo in quanto più non sarà, tanto che, in realtà, una sola vera ragione vi è per dire che il tempo è, se non in quanto tende a non essere? […].Signor Cadè , è questa la differenza tra sapere e ignorare. Piccola lezione di umiltà da Agostino contro l’uso disinvolto del linguaggio quando crede di essere strumento di verità. Vale naturalmente non solo per il Tempo.
Mi ricorda quel frate che diceva: noi francescani non saremo dotti come i domenicani, non saremo ascetici come i certosini, ma in quanto a umiltà non ci batte nessuno.
La ringrazio per la lezione, anche se non l’ho ben capita. Cosa c’entra con la differenza tra sapere e ignorare?
Comunque, il classico problema del tempo, come tanti altri, forse si semplificherebbe se disponessimo di un diverso tipo di linguaggio, che non trasformasse dei processi in entità concrete. Le parole sono come lo sguardo di Medusa.
Tra il sapere e l’ignorare ci sta indubbiamente il linguaggio tanto più inutile quando si mette di mezzo attraverso l’inganno. Un cuore che sa…Conoscere più parole non significa capire più cose se usate come arma di potere. E mai come di questi tempi il linguaggio si è fatto prepotente. Tanto da annullare quella metafisica di cui parlava Agostino.
Lei parla di un linguaggio che è inganno, prepotenza, arma di potere. Credo che Lei abbia ragione. Ma non è certo un fenomeno legato alla nostra modesta realtà politica. È qualcosa di paurosamente invasivo e subdolo che inquina l’intero pianeta. E per difendersi bisogna conoscere a fondo il linguaggio e le sue trappole.
Linguaggio che é gestualità, mimica, ammiccamenti, frasi ad effetto, slogan, affabulazione. Il linguaggio ha mille armi. Forse qui ci vorrebbe il rasoio di Occam, riuscire a sgrossare imparando a riconoscere l’essenziale .
Sembra che Occam abbia molti ammiratori qui.
Si, Occam ultimamente è di gran moda.
Non credo, comunque, che l’essenziale abbia bisogno di parole. Il linguaggio serve principalmente per stabilire un contatto (di qualsiasi natura) con gli altri, che raramente sono essenziali, oppure per formulare i pensieri. Ma i pensieri sono essenziali? Fino a che punto, lo sono? E qui entra in gioco il “senso del limite” che l’uomo contemporaneo ha smarrito. Nell’Era del Tutto-è-permesso il limite è scomparso.
Si potrebbe fare un gioco. Prendere un intervento qui sul blog e provare a farne una sintesi. Non solo ridurlo alla semplicità, come diceva di fare Occam, perché un pensiero complesso è difficile ridurlo e forse tra due proposte non è automatico che la più semplice sia anche veritiera, abituati a ravanare oltre la ragionevolezza. E siccome tante parole possono ingannare provare ad intervenire sul numero di quelle. Di quante pagine narrarive o descrittive alla fine non rimane nulla. In verità quando va bene i concetti veicolano, invece difficilmente si riescono a mettere in fila il lessico e la sintassi usata per descrivere un paesaggio ad esempio, o uno stato d’animo. Cosa rimane se non l’impressione che l’autore intende comunicare? Non ricordo in quale racconto Poe descrive meravigliosamente una valle piena di boschi. Naturalmente delle parole usate non ne ricordo una, ma ricordo lo stupore che provai leggendo quelle pagine meravigliosamente scritte. Invece mi pare che ora, delle chiacchiere contemporanee, asfissiati da tante sono, non rimanga assolutamente niente. Neppure i concetti. Dappertutto nella babele contemporanea é tutto un girare a vuoto, fosse un discorso politico o un pensiero filosofico. E quindi chissà che con poche parole non si possa arrivare appunto all’essenziale. Già il nostro interlocutore si annoierebbe meno e questo faciliterebbe la comunicazione. Cosa che non sto facendo in questo momento.
Non credo che il problema sia la lunghezza ma la limpidezza.
Quando si parla di qualcosa, questa ci sfugge. Forse anche solo quando la si pensa. È vero. Eppure è vero anche il contrario. C’è una forza poetica nelle parole, cioè creativa, evocativa, che ci permette di comunicare non solo con gli altri ma con noi stessi e la realtà.
Un grande fisico, mi pare fosse Bohr, fu molto colpito dalle parole di Lao-Tze:
“quando si cominciò a intagliare il legno grezzo emersero i nomi; emersi i nomi bisogna sapere quando fermarsi”, parole nelle quali gli parve di cogliere una verità fondamentale, l’essenza stessa della ricerca scientifica.
(“legno grezzo” è il simbolo del Tao, cioè della realtà semplice da cui origina ogni cosa)
Ognuno capisca quel che vuole.
Comunque, vorrei scoraggiare dal fare ulteriori abusi del rasoio di Occam su questo blog. Potremmo arrivare a credere che la spiegazione più plausibile per la nascita dei bambini sia che li porta la cicogna. Questa è infatti l’ipotesi più semplice tra quelle proposte.
Perché? Non è cosi?
Secondo i complottisti no. Loro danno una spiegazione molto più complessa. Personalmente non saprei.
Personalmente, sto con la spiegazione tradizionale.
E’ sempre la più attendibile.
Da ” Canzone inutile ” di Enrico Ruggeri….
…”Chiedi qual’è la verità ?
Vedi che tu sei meglio di quello che credi ?
E la curiosità,
quella è la più grande ricchezza che hai:
fatti domande e vivrai “…