Siamo agli sgoccioli: domenica si vota. Indistintamente tutti i partiti in competizione dicono a parole di voler “cambiare l’Europa” sebbene, in realtà, vivano nel terrore che i popoli europei in libere, pacifiche e democratiche elezioni, decidano una svolta. Negli ultimi anni molti vecchi equilibri sono già stati infranti e numerose norme (comprese storiche Costituzioni) hanno subito ritocchi. Il mondo è radicalmente cambiato e la trasformazione si è resa più visibile nella geopolitica e nei rapporti fra gli Stati. Dopo la catastrofe finanziaria globale del 2008 che ha messo a nudo il Re (il sistema economico globale inventato dal cosiddetto Occidente, colpevole di aver guardato al mondo solo come a una fabbrica da cui estrarre profitti e vantaggi), l’America ha perso smalto e nel cesto-Europa non ci sono più limoni da spremere.
Il recente tramonto della Gran Bretagna sta dando inoltre il colpo di grazia all’antiquato universalismo liberale di matrice britannica, che ormai ha fatto il suo tempo. Lo sostituirà probabilmente un nuovo ordine mondiale, più giusto e sostenibile, definito in forme che possano garantire una duratura coesistenza di Stati e associazioni regionali tra loro affini, pur mantenendo il diritto, per ciascuno di essi, alla propria autodeterminazione. Nel frattempo, non sarebbe una brutta idea se cominciassimo a pensare a un ritorno alla “casa madre”: l’Eurasia.
L’Europa è un’inezia in confronto ai grandi colossi mondiali oggi imperanti, né può aspettarsi alcunché dal suo storico alleato, l’America, che fin dall’inizio del contratto capestro post-bellico l’ha trattata come una vassalla, un punto strategico dislocato dall’altra parte del globo in cui piazzare basi militari e centri finanziari da cui sferrare colpi su colpi ai nemici. Questa «parentela interessata» è ben diversa da quella storica che da tempo immemorabile unisce l’Europa al blocco eurasiatico, formatosi su un’unica cultura che ha diffuso da un capo all’altro del continente eurasiatico usi, costumi e lingua.
Europa, Russia, Cina e India sono molto più simili di quanto comunemente si creda. Non è un caso se il vocabolo-base del genere umano, cioè la parola «madre», si dice matar in sanscrito, maite in armeno, meter in greco, mati in serbo e in bulgaro, mat’ in russo, mati in ceco, matka in polacco, mate in lettone, moderin in svedese e danese, mutter in tedesco, moeder in olandese, mother in inglese, matair in irlandese, madre in portoghese, spagnolo e italiano, mater in latino. Si ritrova la stessa forma, con un lieve slittamento di significato, nel lituano mote (donna) e nell’albanese motre (sorella).
Persino dopo il Diluvio Universale la vita è ricominciata dall’Eurasia, che grazie alla sua conformazione geografica include in sé ogni possibile strategia di crescita e sviluppo. Mentre le Americhe sono molto più lunghe che larghe (14.000 chilometri da nord a sud e 4.800 al massimo da est a ovest, con un minimo di 65 all’altezza dell’istmo di Panama), non diversamente dall’Africa, anch’essa posta su di un asse nord-sud, sebbene un po’ meno accentuato, l’Eurasia è posizionata lungo l’asse est-ovest. Un particolare che fa la differenza, se si considera che proprio l’orientamento dei continenti influenza la velocità di diffusione della cultura e delle idee, dell’economia e della comunicazione, ciò a prescindere dal ripetersi ciclico degli sconvolgimenti che mettono a soqquadro il mondo.
Tutte le località poste alla stessa latitudine hanno giorni di durata uguale e stesse variazioni stagionali, tendono cioè ad avere climi simili, regimi delle piogge e habitat abbastanza omogenei. L’Italia meridionale, l’Iran settentrionale e il Giappone sono Stati posti più o meno alla stessa latitudine, si trovano separati l’uno dall’altro da 6.400 chilometri verso ovest o est, eppure hanno climi più somiglianti tra loro rispetto ad aree che distano solo 1.500 chilometri a sud. Come potrebbe un agricoltore canadese mettersi a coltivare una varietà di mais tipica del Messico? La povera pianta non potrebbe far altro che seguire le sue istruzioni innate: a marzo si preparerebbe a buttare i primi germogli e … si troverebbe sepolta sotto tre metri di neve. Se anche si riuscisse a riprogrammarla per una germinazione più sensata – fine giugno, ad esempio – non mancherebbero i problemi. I suoi geni le direbbero, comunque, di crescere con calma e di arrivare a maturità dopo cinque mesi. Quello che va bene in Messico non funziona in Canada, e viceversa.
Mentre in Eurasia – la più vasta estensione terrestre del pianeta, al cui interno vive il più alto numero di esemplari animali e vegetali – le specie non hanno difficoltà a diffondersi lungo la linea est-ovest, essendo già ben adattate ai climi delle regioni in cui arrivano. C’è inoltre un altro privilegio tutto eurasiatico: l’incredibile ricchezza orografica, e tutti sappiamo che l’acqua sarà l’oro del futuro. Nel mondo più inquinato di sempre, infine, la varietà di ambienti capaci di favorire la biodiversità sarà fondamentale per le prossime generazioni. In Eurasia si va dalla depressione più bassa al mondo, il Mar Morto, a catene montuose che superano i 5000 metri (il sistema himalayano), passando per pianure irrigue, steppe e deserti. Non è mai esistita un’«arca» più salvifica di questa, forse dovremmo salirci, in previsione della tempesta incombente.
Commenti
Si, un gran bel “continentone” sta Eurasia!
Anche se, te lo confesso, il repentino …. “cambio di ottica” nel guardare alle elezioni di Domenica, mi ha causato qualcosa di più che un capogiro!
Ci proponi un interessantissimo punto di vista geo/storico che però temo, rispetto a quello che potrà essere/non essere (ops!) il nostro comportamento in “gabina”, ci lasci solo …. “in bianco”!
Oddio, io dopo lo sbandamento dal ….guardare vicino con gli “occhiali da lontano”, qualcosa ci cavo: l’insensatezza dei “sovranismi”, per esempio, quando oggi, queste grandi distanze sull’asse est-ovest si percorrono (da persone e merci e …. notizie) in …..giornata! E allora qualcosetta rispetto alla “gabina” magari ce lo cavo anche fuori.
Senza farmi illusione alcuna nè sul peso specifico che potrà avere la mia scelta nella “gabina”, se non in chiave numerica di partecipazione al voto, ed è il solo obiettivo che mi farà uscire di casa dopodomani.
Perchè, ti do ragione Rita, molto meglio dedicarsi a qualche tipo di riflessione sul percorso di umanità che (magari in totale inconsapevolezza per i più!) stiamo percorrendo (ma si può? “percorrere un percorso” ….. ma non sapevo come uscirne!) piuttosto che lasciarsi fuorviare dall’arrogante supponenza alla quale oramai si improntano i comportamenti di chi, da un bacato sistema che era nato improntato a principi democratici, occupa posizioni di (ir)responsabilità!
Bisogna cambiare visuale e visione, prospettiva, progettazione. Di sicuro non possiamo continuare a votare i partiti inconcludenti e incapaci che abbiamo votato fino a ieri perche’, banalmente, se finora sono riusciti solo a peggiorare le cose vuol dire che non sanno fare di meglio. Dopo di che, ognuno nel segreto della cabina elettorale apponga la croce sulla coalizione che ritiene piu’ idonea a rappresentare il cambiamento.
Non tutti hanno capito, purtroppo, che i cosiddetti “sovranismi” non sono un punto di arrivo bensi’ un transito verso il “continentalismo” che, invece, sara’ il vero punto di approdo della nave su cui siamo imbarcati. Nel mondo/mercato/societa’ dell’avvenire ci sara’ posto solo per i grandi blocchi geo-politici: Eurasia, Americhe, Africa, area australe. Cosi’ e’ sempre stato e, chiusa la tristissima parentesi del capitalismo ordoliberista che tante sofferenze ha fatto piovere sull’umanita, cosi’ tornera’ ad essere.
Partiti e politicanti passano mentre la nostra Storia, le nostre origini e le nostre radici, restano e pensare di farne a meno e’ pura follia. Ecco perche’ in questi giorni la mia attenzione era istintivamente attratta dalle elezioni in India invece che da quelle in Gran Bretagna e Olanda. Non saranno certamente “i vecchi” a decidere il futuro.
Ex Oriente Lux…
E’ così da svariati millenni, in effetti. Anche i proto-indoeuropei ebbero la loro grande «occasione culturale» dopo il «passaggio» in India. Bagnarsi nelle sacre acque del Gange e dell’Indo cambiò radicalmente il loro destino, trasformandoli in indoeuropei, e noi tutti veniamo da lì. L’Eurasia è la nostra casa-madre, in cui l’Europa può rappresentare tutt’al più il pianterreno.
Bella riflessione molto simile alle mie sia in premesse che in possibili “spinte ai nuovi equilibri”.
L’omogeneità di radici, guardando ad Est, se vogliamo parlare di radici linguistiche, si spinge sino all’India, passando per l’Anatolia, con parole riscontrabili quasi uguali nella nostra lingua dopo millenni: Mitra, Deiva (i diavoli) aura (gli Haura, che come i Deiva hanno cambiato segno, buoni i cattivi e viceversa, in Anatolia), Mitra (da divinità copricapo)… Il Giappone invece non si può omologare, è un’isola-continente a sé, come la nostra Inghilterra.
La continuità era palpabile prima di Napoleone, con un Impero Russo che parlava francese, disprezzando la propria lingua madre come gergo da contadini. per quanto ci riguarda, per quanto l’italiano sia fra le lingue più studiate al mondo, la diffusione si è fermata al latino dilagato con l’Impero Romano fino ai confini al tempo noti, lasciando una traccia nelle lingue attuali. I legami commerciali con la Cina sono sempre stati solidi, molto prima di Marco Polo. Cosa frena una riattualizzazione? Un errore, un pregiudizio, una paura popolare: l’idea che i vincitori e liberatori (?) ci possano punire se dimenticheremo il patto di vassallaggio fatto scegliendo l’asservimento. Ci vorrà prima molto “tempo culturale” quindi, ma qualche segno del bambino sottomesso e supino, che inizia a non temere più lo zio Cowboy, e anzi si diverte a stuzzicarlo si inizia a vedere, ma ci vorrà coraggio e diffusione, che inizia col mettere sotto i riflettori le bugie che vengono dal Governo di Washington, dagli stessi che dopo aver derubato i Pellerossa, imbrogliandoli con falsi trattati e poi sterminarli, ora vorrebbero fare lo stesso in Medio Oriente, lungo le vie millenarie dell’andata e ritorno delle nostre carovane. Un patto di coesione dei popoli che sì, va rinsaldato, aprendo gli occhi della gente sul vero cattivo storico, del popolo matricida che abbiamo fatto assurgere al ruolo paternalistico che non può avere, per un’insufficienza etica e culturale storicamente dimostrata.
Che l’Europa non possa bastare a se stessa lo hanno dimostrato i risultati elettorali di ieri: nessuno ha davvero vinto, nessuno ha davvero perso. Gli equilibri nazionali sono certamente cambiati, soprattutto in Italia e Francia, ma se questi “basteranno” forse a governare un Paese di sicuro non saranno sufficienti a porci in una situazione “contrattualmente forte” a livello mondiale. La moneta unica, l’Euro, ha fallito clamorosamente. E’ stata una scelta sbagliata, diciamocelo. E cosa fa un figlio che va a vivere da solo e poi capisce di non bastare a se stesso? Torna alla casa madre, poi si vedrà.
Non che disdegni la serenità della solitudine delle idee, eppure mi conforta sempre trovare conferme nei pensieri altrui. L’uomo, in fondo, è un animale sociale.
http://www.conflittiestrategie.it/leuropa-si-salva-con-la-russia-2
Bello lungo ma collima. Gli accordi commerciali stanno già facendo qualcosa, e la fusione autoproduttiva Italia-U.S.-Francia non è che un passaggio ponte in direzione dell’Oriente = Nissan. Un’atto internazionale di clamorosa scissione potrebbe portare a colpi di coda inauditi del bestione, ma portar le cose commercialmente fino al fatto compiuto sarebbe una manovra ineccepibile, e intanto la “mala pianta” planetaria inizierebbe a soffrire di deperimento da isolamento.
Sulla “fusione autoproduttiva” non farei troppo conto. L’azienda di casa Agnelli, ormai, è italiana per modo di dire ma americana a tutti gli effetti. Mi sembra invece che Cina, Russia e India anche sul piano commerciale stiano lavorando con giudizio.
Rita, prendo spunto da un tuo commento in altro loco a proposito di geopolitiche. Perché la gente interviene su etica, costume e società e non su questioni geopolitiche? Credo sia perché sulle prime ognuno ha una sua opinione, fondata o meno, mentre sulle seconde no. Bisognerebbe prima informarsi e non basarsi semplicemente sul “io la penso così”. E se la gente si informasse sulle attuali dinamiche geopolitiche forse scoprirebbe che sulle nostre teste aleggiano minacce enormi, di cui quasi nessuno sembra consapevole.
Il problema, in effetti, è proprio questo: mentre tutti, o quasi, sono al corrente di elezioni europee, disegni di legge che fanno scalpore, fatti di cronaca e scandali che investono i colletti bianchi sentendosi “preparato” ad esprimere la sua opinione, la geopolitica internazionale è un mondo a parte. Quasi nascosto. Per cominciare a capirne qualcosa bisogna attingere a fonti fra loro diverse, scovare i commentatori più attendibili, confrontare i dati, essere disposti a cambiare idea smantellando i propri preconcetti. In poche parole, è un lavoro. Non biasimo pertanto chi non ha voglia di accollarselo. Sta di fatto che quando il blocco israelo-statunitense troverà la scusa giusta (tanto va la gatta al lardo …) per colpire l’Iran, che com’è noto dispone del nucleare e non è propriamente una nazione di straccioni privi di mezzi, a nulla ci servirà sapere chi è andato a sedersi su questa o quell’altra poltrona del Consiglio Europeo, o avere sostituito i sacchetti di plastica, che pure è una buona cosa.
La guerra è “il” problema. La guerra che dalla fine dell’ultima guerra non è mai finita ma, anzi, si è allargata a macchia d’olio, anche se nessuno ci fa caso perché non si combatte nel suo giardino. Solo la piccola “Itaglietta”, che non può dirsi certamente una potenza militare, spende circa 30 miliardi di euro l’anno per acquistare armamenti e mantenere il proprio esercito in giro per il mondo. Altro che flat tax!!!
La guerra che ultimamente è anche tecnologica, ma non per questo meno devastante. Sappiamo cosa sta succedendo tra Usa e Cina con il 5G ed è notizia di questi giorni che Netflix (la “mamma” delle serie televisive di cui ormai grandi e piccini non possono più fare a meno) ha minacciato la Georgia di togliere tutti i suoi investimenti dallo Stato delle noccioline se non verrà ritirata la nuova legge sull’aborto, più restrittiva rispetto a quella vigente. Più dichiarazione di guerra di così!!! A prescindere da come la si pensi sull’aborto, è inaccettabile che un produttore cinematografico, per potente che sia, decida sulla testa dei cittadini e delle istituzioni politiche di un Paese. Il voto, allora, a cosa serve? E’ una finta, diciamocelo una volta per tutte. Secondo me sono questi i “grandi temi” su cui confrontarsi. Tutto il resto, come forse ho già scritto altrove, è folklore.
Comunque la si pensi, bisogna riconoscere che il presidente della Regione Liguria Giovanni Toti è uno che ha la vista lunga (difatti ha mollato FI) e guarda lontano. Quest’anno è riuscito niente meno che a farsi invitare insieme al sindaco di Genova Marco Bucci allo Spief 2019, il Forum Economico Internazionale di San Pietroburgo. Due ospiti d’onore italiani accolti in pompa magna da Putin, Xi Jinping ed altri importanti esponenti di governi eurasiatici, e quasi nessun media ne parla. Sono troppo impegnati con il mantra quotidiano “questo governo deve andare a casa”.
Grandi affaristi da sempre, i liguri pensano invece al futuro ed esportano la loro azione di marketing territoriale in uno dei contesti economici più importanti al mondo, dove favoriranno gli incontri tra aziende liguri-italiane (Ansaldo Energia, Leonardo Technimont) e grandi imprese russe (Gazprom, Novatech). Mentre Bucci interverrà al convegno dedicato alla cultura scientifica e alla ricerca nel settore hi-tech, Toti sarà relatore alla bilaterale Italia – Russia a cui parteciperà, tra gli altri, il presidente della Fondazione Skolkovo (la ‘Silicon Valley’ russa). Da notare che sul fronte dell’innovazione e della ricerca, la Liguria è la seconda regione italiana per valore aggiunto dell’high tech sul totale della manifattura, la terza regione per specializzazione nei settori di alta tecnologia e per numero di laureati.
E l’Europa, nel frattempo, cosa fa? Continua con i suoi patemi senili: la Gran Bretagna è sull’orlo di una crisi di nervi, la Francia ha portato a casa un bel nulla di fatto nel tentato accordo Renault-Fca, la Germania ha tagliato le sue stime di crescita dall’1,9% a un misero 0,6% e Bruxelles ha preso di mira l’Italia che potrebbe rappresentare un pericoloso precedente. Mi domando, da semplice cittadina, se non sia ora di cambiare radicalmente linea strategica. Uno scatto di orgoglio, no?