La lettera dell’amico Livio, in realtà, era molto più lunga, e quella che segue è la seconda parte. I quadri che accompagnano i due post sono tratti dalla serie “La carriera di un libertino” di William Hogart, del 1735. Vi si narra di un tizio che riceve una grossa eredità, la sperpera stupidamente e viene incarcerato per debiti (quadro di ieri, il penultimo della serie). Infine (quadro di oggi) finisce in manicomio. Chi ha orecchie per intendere…
“Quindi, cara amica, quando si vogliano valutare i fenomeni che accadono intorno a noi, sarebbe necessario prima sapere se disponiamo di un organo di valutazione affidabile. In altre parole, dovremmo sapere se siamo folli o sani di mente, se cioè siamo in grado di vedere le cose nella loro realtà o se sostituiamo ai fatti i nostri deliri personali. Ma tu capisci che questa analisi, che vorrebbe essere obiettiva, è di fatto impossibile, perché non disponiamo di una seconda coscienza che possa giudicare e correggere la prima. E quando lo fa, sulla base di nuovi dati o di nuove deduzioni, non può sfuggire al sospetto di agire comunque e sempre nell’ambito della propria incapacità di intendere. Dunque, sulla scorta di una tale premessa, a noi resterà il dubbio di essere pazzi noi stessi, che parliamo e pensiamo in modo diverso dal cosiddetto ‘pensiero dominante’ o al contrario che il mondo in cui viviamo, per la maggior parte, sia una gabbia di matti. E questo è un vecchio discorso su cui potremmo arrovellarci all’infinito.
Per esempio, Ezra Pound era matto? Il fatto che fosse un genio e uno dei più grandi poeti del secolo scorso, certo non lo rendeva immune alla follia. È anzi uno degli stereotipi più cari all’uomo comune quello secondo cui genio e pazzia vadano spesso a braccetto. Di fatto, Pound venne chiuso dai ‘liberatori’ in una gabbia, come una bestia feroce, esposto alle intemperie e alla fame. Si potrebbe pensare che lo scopo di quella tortura fosse di farlo impazzire ma questo sarebbe in contraddizione con l’ipotesi che fosse già pazzo prima della prigionia. In ogni caso, dovette scontare molti anni di reclusione in un manicomio criminale prima che un presidente, non ricordo quale, lo rimettesse in libertà. Ora, questa storia ha qualcosa di fortemente emblematico in relazione al mio dilemma, cioè, chi è il vero pazzo?
Nel caso di Pound, è facile riconoscere in lui i segni della follia, se analizziamo le sue convinzioni in materia di economia politica alla luce del pensiero oggi più diffuso. Pound riteneva infatti che l’intera storia occidentale, negli ultimi due secoli, fosse legata all’evoluzione dell’usura, ossia a quella che noi oggi diremmo la finanza internazionale controllata dalle grandi banche. Era convinto che tale strategia speculativa avrebbe causato il progressivo e insanabile indebitamento degli Stati, portato alla perdita delle sovranità nazionali e all’impoverimento dei popoli. Un mondo il cui destino è deciso da una cricca di potenti speculatori, era per Pound una prospettiva terrificante. Oggi insomma lo diremmo affetto da quella forma paranoica che va sotto il nome di ‘complottismo’. Con l’aggravante di un’illusione ben più grave, cioè che le politiche di Hitler e di Mussolini fossero l’unico baluardo contro quel Male dilagante, l’unica reale ‘resistenza’. Questo era certo più che sufficiente per rinchiuderlo in una gabbia e confinarlo in un manicomio.
È facile quindi immaginare che a Pound quella che noi chiamiamo ‘liberazione’ dovesse apparire come la vittoria del Male. Ovviamente, direbbero i benpensanti, a tale interpretazione dei fatti lo spingeva la sua follia. Ma se questo può sembrare chiaro a molti di noi, non poteva essere chiaro a lui. Ora, se la vicenda tragica di un individuo, per quanto geniale come Pound, può essere liquidata senza grandi perplessità dalla storia ufficiale, la perplessità resta comunque a livello più profondo e filosofico. Cioè, la storia oggi ci insegna, e si preoccupa di non lasciare in noi dubbi residui, quali fossero nel passato la verità e il bene e di converso dove stessero il male e la menzogna. Tuttavia l’intelligenza critica non può esimersi dalla pratica del dubbio.
Avrai notato invece l’apparente naturalezza con cui la storia si trasforma in ortodossia e dogmatismo da un lato e in eresia dall’altro. Per molti la storia assume i contorni di una fiaba più volte sentita e sul cui contenuto non è più lecito dubitare. Ma io sospetto che queste stesse persone, tanto sicure di ciò che non hanno mai né visto né sentito o che pure hanno conosciuto solo in minima parte, se fossero vissute ottant’anni fa avrebbero narrato altre storie e ci avrebbero ugualmente creduto. C’è infatti in loro un istinto di branco che li guida a collocarsi in un certo establishment intellettuale, dove si sentono protetti. La loro coscienza si riduce a una serie di riflessi automatici che li rende perfetti per marciare al suono del tamburo e per rispondere alla problematicità della vita con le parole degli ‘esperti’ e degli ‘specialisti’. Sono liberi di dire ciò che vogliono ma non di volere ciò che dicono. Diventano così docili casse di risonanza della Dottrina, semplici strumenti di un regime che costantemente, al di là delle apparenti mutazioni, si restaura e si consolida. Ricordare una lontana ‘liberazione’ può quindi essere un espediente utile per dimenticare che dobbiamo ancora essere liberati o peggio, può creare l’illusione che vi sia qualcuno che ci deve liberare, mentre l’unica liberazione reale è quella che ci conquistiamo da noi.”
LIVIO CADE’
Commenti
Anch’io sono convinta che ancora si debba essere “liberati”, così come credo che il fascismo immaginario degli ultimi tempi tempi serva solo a tenere in vita l’antifascismo, che altrimenti non avrebbe ragione di esistere. Pateticamente la retorica finisce in ipocrisia quando si ricordano i momenti fausti della Liberazione ignorando i nefasti. I tedeschi erano nostri alleati e noi li abbiamo pugnalati alle spalle, cerchiamo di non dimenticarlo. Una scena indimenticabile del film “Tutti a casa” offre uno spaccato perfetto della situazione in cui vennero a trovarsi i soldati italiani, ignari del voltafaccia del Re, quando cominciarono ad essere mitragliati dai tedeschi. Credevano che questi ultimi fossero passati con gli Alleati!
https://m.youtube.com/watch?v=qqbHkPSRbhM
Dopo di che partì l’innamoramento per tutto ciò che era amerikkano e ispirato dalla civiltà (?) degli Stati Uniti d’America, decantati ancora oggi come portatori della più grande democrazia del mondo. Tra un secolo, quando ci sarà da elencare le campagne belliche, le invasioni, i colpi di Stato, i milioni di morti e i raggiri imposti dal Pentagono, non basterà un’enciclopedia per contenerli tutti. Sarà ancora un magnifico Alberto Sordi a rappresentare l’americanocentrismo::
https://m.youtube.com/watch?v=kSAAxPNO3Ak
La cosiddetta occupazione tedesca durò una manciata d’anni mentre quella amerikkana va avanti da più di 70 anni. Come ci si libera da questo giogo? Quel giorno, giuro, festeggerò anch’io.
…..pur sotto la spada di damocle dell’arrivo (sempre per interposta Margarete von Kupfer) della “lettera dell’amico Livio”, innalzo manifestazioni di sommo gaudio e immensa letizia, per la ricomparsa sul Blog del raffinato, impegnativo in veirtà, pensiero di Livio Cadè.
Il tema e le modalità scelte per questo “grande ritorno” hanno le caratteristiche del “coup de théâtre” che il personaggio si merita tutto!
Considerato il ruolo che rivesto e i miei ….limiti oggettivi da “ingegnereconlemaniuntedigrasso”, mi limito a questa educata, affettuosa, doverosa espressione di benvenuto, dandomi il tempo per entrare nel merito “come si deve”, a tempo debito.
E credo proprio non mancherà l’occasione!
Mi sono preso il tempo per rileggere con attenzione i due tributi di Livio, arrivati….. “di sponda” sul blog..
E’ sempre bello leggere chi sa pensare e sa scrivere e Livio è emblemarico in questo.
Ma il suo non è solo uno “sfoggio di sapere” argomentato in modo fascinosamente impeccabile; se tu ti ci affidi, ti accompagna alla conclusione (con un persorso praticabile anche da un ingegneremeccanicoconlemanisporchedigrasso qual sono) : “….Ricordare una lontana ‘liberazione’ può quindi essere un espediente utile per dimenticare che dobbiamo ancora essere liberati o peggio, può creare l’illusione che vi sia qualcuno che ci deve liberare, mentre l’unica liberazione reale è quella che ci conquistiamo da noi.”
Ecco questo è il punto: “L’UNICA LIBERAZIONE REALE E’ QUELLA CHE CI CONQUISTIAMO DA NOI”.
Ho di che pensare prima di addormentarmi, stanotte……
È interessante rileggere il discorso che Benedetto Croce fece in occasione del suo rifiuto di sottoscrivere il trattato di pace.
http://www.ilgrandeinquisitore.it/2016/06/benedetto-croce-1947/
Ammesso che la ‘liberazione’ fu di fatto opera delle forze alleate, dalle parole di Croce si dovrebbe dedurre che l’Italia non fu in realtà liberata ma occupata e che, in conseguenza della sconfitta, le vennero imposte dai ‘liberatori’ condizioni che la umiliavano e la rendevano schiava (qui l’uso del tempo passato è eufemistico).
Se Croce ha ragione, celebrare il 25 Aprile potrebbe piacere al barone von Masoch o ai cicisbei del regime, ma non a chi ancora conserva un briciolo di dignità e amor di patria.
Eh, si, quelli erano uomini. Lungimirante l’osservazione “L’Italia dunque, dovrebbe, compiuta l’espiazione con l’accettazione di questo dettato, e così purgata e purificata, rientrare nella parità di collaborazione con gli altri popoli. Ma come si può credere che ciò sia possibile se la prima condizione di ciò è che un popolo serbi la sua dignità e il suo legittimo orgoglio?”
Ecco, noi, non abbiamo conservato né dignità né legittimo orgoglio, accontentandoci di recitare la parte degli amerikkani a Roma. Non potendo odiare i nuovi invasori (c’era un Paese in macerie da ricostruire), li abbiamo amati. O meglio, idolatrati. Solo adesso le catene cominciano a dare fastidio, e difatti non si sono mai letti e sentiti come quest’anno tante voci che fuor di retorica si chiedevano “ma cosa c’è da festeggiare”? E’ un inizio.
Davvero di grande interesse e occasione di profonda riflessione la lettura del Discorso di Croce che ci proponi, Livio.
Difficile, e forse insignificante metterla sul piano: Croce aveva/ha ragione/torto: Croce è Croce con il suo portato di vita, cultura, storia; Croce ha “la sua ragione” in quanto tale!.
Così come difficile e forse insignificante richiamarsi a residui di “dignità e amor di Patria” in questi nostri tempi segnati dal verbo di “grandi fratelli” e “maremaionchi”!
Certo è che a chi interessi andare al “cuore” del tema, alla “malattia” e non ai “sintomi”, le parole di Croce a motivare, sostenere le ragioni di una scelta di voto, fuori da qualsiasi posizionamento ideologico di mera convenienza/opportunità, sono una bella spinta motivazionale, sol che si scelga un contesto di dia/logo (occhio all’etimo!!!), anzichè di “belato pecoreccio” o, peggio ancora “raglio d’asino”!
Niente a che vedere ovviamente, con beceraggini tipo la squallida esibizione degli ultras Lazial/interisti nei pressi di Piazzale Loreto, o con quelle di chi si ispira a sproposito a un significativo personaggio della cultura del ‘900,( uomo libero a “ibridare” culture al di qua e al di la dell’oceano) quale Ezra Pound.
Meglio affermarlo con chiarezza a eviare facili, equivoche “catalogazioni”!
Il discorso di Benedetto Croce contro il Trattato di pace. Forse si dovrebbe leggere questo per un’analisi storica non ideologica. In tutti i casi chiedersi se sia meglio liberarsi dalla sudditanza americana di questi settant’anni contro la liberazione dalla sudditanza ad un regime fascista, nazista, feroce, dittatoriale lungo vent’anni mi sembra un’ulteriore barbarie. Si potesse vivere atemporalmente le due situazioni e si chiedesse al popolo bue, gregge, massa, “cicisbei del regime” cosa sceglierebbe io credo che non avrei dubbi. Quei 70mila che hanno sfilato il 25 aprile a Milano e tanti altri in tante piazze d’Italia credo che supererebbero di parecchio quattro nostalgici che credono di essere dei liberi pensatori. Viva le catalogazioni.
100mila spettatori è la media di un normale concerto di Vasco Rossi, o di Ligabue, giusto per parlare di attrazioni nazionali. Non mi sembrano campioni rappresentativi. In Italia vivono 62milioni di persone.
Che fortunatamente non la pensano tutti come te.
No, certo. Ma la maggioranza che la pensa come me, è già un dato incoraggiante. Forse ci stiamo svegliando dal sonno della Bella Addormentata nel Bosco.
Magari sostenitori di quella Izabella Nilsson Javard, piuttosto di Greta Thunberg, che inneggia all’uomo forte e crede ancora ad una fantomatica teoria gender. Valuta tu, vista la tua maggioranza, quale delle due è la più manovrata.
Le fanciulline sono chiaramente manovrate tutt’è due (l’hanno capito anche all’asilo), ma non so cosa c’entrino con il 25 aprile, o con le catene dell’Italia. Non stiamo parlando di questo?
E comunque io andrei piano a cantar vittoria.
Non ho finito. Io non so chi sono i lettori di Cremascolta, ma questo mio intervento, da campagna elettorale, è un appello ad eventuali followers democratici perchè alzino la voce contro chi crede che questo blog sia nelle mani dell’estrema destra. Anzi, lancio un hashstag, che però non so neanche come si fa. Basterebbe aprire il commento con: “il pensiero democratico non ha bisogno dell’uomo forte”! Basterebbe questo, anche anonimo a questo punto, vista la riluttanza di chi legge a scrivere. Pur con la consapevolezza confortante che Cremascolta non è il mondo.
E poi che palle con stè Pound. Ormai lo citano solo Livio Cadè e Patty Pravo. Ma forse fa bene la cantante. E’ un’anticonformista anche lei.
Io faccio solo un’osservazione non inerente al tema ma al metodo: è possibile che persone amiche si debbano servire di un portavoce per entrare nel blog (vedi il micione, vedi Livio che comunque compare in piena e palese identità). Se quest’esigenza è sentita mi sa che o qualcosa abbiamo sbagliato, oppure è giusto così! Aspetto il prossimo uomo mascherato, e la serie non è stata beve in passato! Oppure stiamo riscoprendo la funzione del portavoce, degnissima, ma perché? Qui nessuno è armato.
Condivido le riflessioni e, soprattutto, le perplessità di Livio. Sono d’accordo peraltro con Piero quando ricorda che ogni Paese ha le proprie giornate di commemorazione di importanti eventi che ne hanno caratterizzato l’evoluzione storica. La fine della dominazione nazi-fascista in Italia è uno di questi. Ritengo dunque giusto che non se ne perda la memoria e che vada festeggiata. Ma al riguardo aggiungo alcune annotazioni.
1) La Resistenza è stata indubbiamente monopolizzata dalla storiografia marxista, che ne ha fatto per decenni un cavallo di battaglia di stampo partitico, volutamente dimenticando che i partigiani appartenevano a tutte le forze politiche antifasciste, ed erano anche democratico-cristiani, o liberali, azionisti, socialisti. I comunisti erano una delle parti, non certo la maggioritaria. Per anni il Pci, attraverso l’Anpi, si è invece preso indebitamente il monopolio dei risultati militari e sociali della Resistenza.
2) Sono stati peraltro proprio i partigiani comunisti, ad occupazione finita, ad aver dato vita a numerosi episodi di violenza e di vendetta, ad uccidere seminaristi e ragazze pie, a collaborare attivamente nell’infoibare italiani istriani, a tentare con le armi – come già avevano fatto subito dopo la prima guerra mondiale – di dare vita alla rivoluzione bolscevica da sempre sognata. Fu solo l’intervento deciso degli anglo-americani, e la saggezza dei governanti del tempo, ad evitare la guerra civile.
3) L’Italia è stata liberata militarmente dalle truppe anglo-americane, e non certo dai partigiani. Quest’ultimi hanno indubbiamente aiutato gli Alleati nella loro vittoriosa, seppur troppo lenta, avanzata. Le brigate partigiane hanno in ogni caso compiuto una scelta degna di riconoscenza e di memoria perpetua da parte della popolazione italiana.
4) Mi paiono patetici quei giovani che, in cerimonie pubbliche, parlano a nome e per conto dell’Anpi, e continuano, non so quanto in buonafede, nel tentativo di manipolare a vantaggio della sola Sinistra la storia della Resistenza. Sono certo che non pochi fra costoro, che discettano con tanto entusiasmo di ciò che non hanno mai vissuto, sarebbero stati negli anni Trenta degli entusiasti camerati fascisti.
5) Prima del 25 aprile 1945 tutti gli italiani erano fascisti; dopo tale data tutti divennero ufficialmente antifascisti. Il che, storicamente, è come credere che gli asini possano volare.
6) La demonizzazione e la damnatio memoriae del fascismo, attuate per decenni da storici e politici marxisti, hanno impedito una credibile e realistica storicizzazione del Ventennio; e le accuse di revisionismo e di eresia piovute per anni su ricercatori come Renzo de Felice sono la prova della ottusa malafede di tali marxisti. Detto che la Storia non può che condannare a priori una dittatura illiberale e violenta, agli storici non prevenuti, e non ideologicamente accecati, non resta che conoscere e comprendere (che non è certo giustificare!) gli avvenimenti realmente accaduti in quel periodo, giudicando nel contempo i protagonisti con occhio critico e non mai prevenuto. Io stesso, nelle mie piccole ricerche storiche su Crema, ho potuto verificare che alcuni podestà, seppur aderenti al fascismo (e come potevano non esserlo?) hanno governato la nostra città con più che buone capacità amministrative e con sinceri intendimenti politici positivi. Ritengo che intitolare alcune strade di Crema a personaggi come Antonio Premoli o Cirillo Quilleri sarebbe storicamente oltremodo giusto, oltre che un importante segno di una sanificazione mentale e sociale a questo punto più che opportuna. Ma sono certo che le “anime belle” della Sinistra, i partigiani d’accatto, e gli “eroi” sedicenti antifascisti non sarebbero punto d’accordo.
A proposito di Anpi ricordo che l’associazione fu fondata dai partigiani che fecero la Resistenza e che oggi, in larghissima misura, non ci sono più. Attualmente, dunque, chi beneficia del 5×1000 e dei cospicui fondi elargiti dallo Stato sono soggetti indefiniti riuniti sotto la generica denominazione di “antifascista” che negli ultimi sei anni hanno percepito dal Ministero della Difesa oltre mezzo miliardo di soldi nostri. Vi sembra giusto? A me, no.
Poco più di un anno fa in Liguria sollevarono il problema in tanti, quando il capo dell’Anpi di Savona, con una dichiarazione demenziale, definì “fascista” una bambina di 13 anni giustificando il suo stupro e il suo assassinio avvenuti nel 1945 ad opera di alcuni sbandati partigiani. «Brigatista nera» a 13 anni? Responsabile di essersi schierata coi fascisti e perciò meritevole di morte? Stupro giustificabile, vista la situazione dell’epoca? E noi diamo i soldi pubblici a questi esaltati? Se vogliono manifestare non c’è problema, l’Italia è un Paese ricco di belle piazze, abbiano almeno la decenza di farlo a spese loro. Come fanno tutti.
Grazie, Livio, e grazie, Guido!
I vostri interventi allagano l’orizzonte della “memoria” che rappresenta il 25 aprile.
Che noi siamo stati liberati dagli anglo-americani è un fatto, come è un fatto che la Resistenza ha giocato un ruolo significativo, ma sotto il profilo militare abbastanza marginale (di semplice supporto alle forze alleate).
E’ pure un fatto, comunque, che la Resistenza nel senso più ampio del termine, ha rappresentato un fenomeno “diffuso” e “capillare” (coinvolgendo donne, preti, contadini, ragazzi e ragazze…
Un conto, quindi, i partigiani – un numero relativamente esiguo costituito non solo da brigate di tutti i colori politici, ma anche di tanti giovani… ricercati dalla Repubblica di Salò) e un conto la Resistenza di chi ha dato il proprio contributo – talvolta eroico – a casa propria.
Concordo con Guido (con una piccola variante): non prima del 25 aprile 1945, ma prima del 25 luglio 1943 pressoché tutti avevano la tessera fascista (ho letto personalmente – e forse anche Guido) – tutti i nomi delle persone iscritte al Fascio di Crema, alcune delle quali hanno fatto carriera politica sotto altre spoglie). Dopo il 25 luglio non pochi fascisti di rango a Crema e non solo) si sono eclissati… e sono rimasti… alla finestra. Dopo il 25 aprile molti si sono proclamati partigiani, ma partigiani non sono mai stati.
Dopo il 25 aprile (concordo anche in questo con Guido) sono stati soprattutto i comunisti (ma non solo) che a Crema sono stati i più decisi a volere “giustizia” (cioè… vendetta): pensiamo alla fucilazione dei 4 fascisti (di cui una donna) al Campo sportivo.
Guido e io siamo stati tra i ricercatori locali che hanno studiato (o almeno ci hanno provato) il fenomeno fascista e posso confessare anch’io che tra alcuni facinorosi ci sono stati uomini di solida levatura.
Consiglio a tutti di leggere quanto è stato scritto sul fenomeno fascismo e sulla Resistenza a Crema (da me, da Guido, ma anche da molti altri): lo considero un esercizio utile perché ci fa uscire da certi stereotipi che si studiano a scuola.
Tornando alla riflessione di Livio, possiamo parlare non di “liberazione”, ma di “occupazione”?
In Germania i vincitori hanno occupato militarmente per decenni Berlino.
In Italia non c’è stata un’occupazione militare, ma è noto a tutti che i vincitori (anglo-americani e russi) prima o poi hanno chiesto di pagare il contro ai paesi “liberati”, in primis di
considerarsi zona di influenza americana o russa (anzi la Russia ha di non poche repubbliche dei veri e propri satelliti). Sappiamo che quando il nostro capo di governo si è recato in visita a Washington nel 1947, si è sentito dire (o… suggerire) che avrebbe dovuto scaricare dal governo stesso i comunisti.
Non dimentichiamo poi le basi militari Usa sul nostro territorio come pure in altre zone di influenza.
Lo ripeto: nessuno dei Paesi vincitori ha liberato altri Paesi per semplice altruismo, neppure il Piano Marshall voleva essere solo un… dare senza un… avere.
Possiamo dire che per noi il 25 aprile è stato utile: abbiamo provato a fare un po’ luce di quel periodo (anche della fatale alleanza tra Mussolini e Hitler).
“ …l’Italia era rimasta per molti la nazione «colpevole» di aver trascinato il mondo in guerra, insieme a una Germania che alla Conferenza di Pace non presenziò neppure, in quanto integralmente occupata e quindi non riconosciuta come soggetto di diritto internazionale.”
Piero, non capisco proprio dove tu possa essere d’accordo con Livio che banalizza il 25 aprile come se fosse per molti una gita fuori porta con pane e salame, quando, indipendentemente dai compromessi del Trattato di pace, è per molti italiani un giorno di festa, non solo di celebrazione, ben contenti di ricordare la fine della guerra e della dittatura fascista. Allinearsi con chi dice che non è un giorno da festeggiare mi sembra una collusione di stampo reazionario, come dire che la sudditanza nei confronti degli Alleati è stata peggio della guerra. Che è poi in sintesi, se ho ben capito, è il pensiero di Livio. E questo a me sembra eretico. A parte il fatto che i nostri rappresentanti a Parigi non avrebbero potuto fare di meglio, ricordiamo che pur di mettere fine ai disastrosi anni precedenti compromessi territoriali o economici li si doveva pur accettare, considerati forse i sensi di colpa che accompagnarono i trattati, di fatto, ragionevolmente, il Trattato venne ratificato con con 262 voti favorevoli, 68 contrari e 80 astensioni.
De Gasperi fece all’epoca questa dichiarazione: «In questa ora agitata l’Italia riafferma la sua fede nella pace e nella collaborazione internazionale. Sarebbe ideale se una simile affermazione fosse dell’intera Assemblea ma quello che importa soprattutto è che essa sia un’affermazione chiara, onesta, senza riserve e senza equivoci, e che dimostri in noi una volontà nazionale autonoma che, sulla via del sacrificio, ci incammini verso la nuova dignità e indipendenza della nazione». Magari non è andata esattamente così, ma comunque questi anni sono stati meglio dei precedenti. Ritornando quindi al testo di Livio io mi sentirei di dire che il 25 Aprile è una data importantissima e che la liberazione dagli Alleati, qualora prima o dopo si festeggiasse, non credo proprio che avrebbe la stessa intensità. Ricordo che abbiamo vissuto settantadue anni di pace e che con l’aria che tira è sempre più minacciata.
Quanto al dopoguerra poi io non farei troppi distingui tra giustizia e vendetta. Proviamo noi ad immaginarci a guerra finita e con i sentimenti o risentimenti di allora. E proviamo quindi a contare i morti, i torturati, i deportati. Se trovare pacificazione è difficile ora immaginati a quei tempi.
Con Guido sono sostanzialmente d’accordo anch’io, magari senza, in nome di chissà quale pacificazione, arrivare ad intitolare vie.
E se quel Trattato non fosse stato ratificato quale cammino avrebbe intrapreso la Storia? Non è che il suo contrario sta facendosi strada funestamente oggi?
Da sempre la storia dei vinti viene scritta dai vincitori poiche’ gli altri non hanno piu’ voce in capitolo. Per questo motivo i posteri farebbero bene a valutarla dopo almeno un secolo, quando le parti coinvolte non possono piu’ interferire. Col tempo, poi, viene smorzata anche tanta retorica, e questo e’ un bene..
Le catene (i trattati) pero’ restano, e allora ci si chiede quanto puo’ durare un debito di gratitudine. 70anni non sono sufficienti? Perche’ non possiamo riavere le nostre riserve auree? Perche’ dobbiamo impegnare il nostro esercito (con costi enormi) in territori stranieri di cui poco o niente c’importa? Perche’ dobbiamo servire da base militare per le incursioni altrui? Perche’ dobbiamo sottostare a trattati commerciali che danneggiano i nostri prodotti? Siamo liberi di obbedire, per il momento. Quando ci sara’ qualcosa da festeggiare, festeggeremo.
Io rimango della mia idea. Nessuno può più essere autosufficiente in un mondo globalizzato come quello attuale. Che poi alla fine lo è sempre stato, con pregi e difetti e anche terribili conseguenze. Le prime migrazioni dall’Africa, l’Impero romano lo fu, come lo furono tutti gli altri Imperi, anche l’unificazione d’Italia fu un’operazione di globalizzazione, l’Europa lo è. Se poi qualcuno è così sicuro che i nazionalismi e i sovranismi riporteranno giustizia economica, decisioni in casa propria senza ingerenze, lo devono però dimostrare. Perchè azzardare ipotesi senza prevedere probabili scontri è rischiosissimo. Non dico che si dovrebbe arrivare ad una pace universale, ma mi sembra l’unica strada percorribile. E difatti mi viene da ridere quando vedo Salvini affannato al sud a ramazzare voti quando fino a pochi anni fa la Lega teorizzava la secessione. Vuoi vedere che anche lui ha capito che piccolo può sembrare bello, ma assolutamente impraticabile? Vuoi vedere che dopo il 26 maggio, in caso di successo, anche lui capirebbe che siamo troppo piccoli per difenderci da tutti gli altri? Vuoi vedere che anche lui non potrà sottrarsi a quei compromessi diplomatici o sostanziali che ci hanno garantito in questi settant’anni? Se poi non lo capirà staremo a vedere. Perché la Storia, patrimonio di tutti, sgombrata da faziosità o letteratura, una sintesi obiettiva prima o dopo la restituisce. Sperando che non restituisca solo dejà vu.
Piccolo è sicuramente bello. Non per niente i pensatori dell’antichità, ai quali l’intellighenzia moderna potrebbe tutt’al più grattare i calcagni, per descrivere un mondo perfetto usavano la metafora dell'”isola”. Il termine (piccolo è bello) fu coniato negli Anni ’80 da Leopold Kohr, autore del celeberrimo “Koyaanisqatsi”, che nella lingua hopi significa «vita pazza, folle, squilibrata, in via di disintegrazione», o, comunque, una condizione che richiede un urgente cambio di passo. La nostra vita, insomma. Già allora Kohr metteva in dubbio il mondo globalizzato e tutto ciò che in esso tendeva a diventare gigantesco, sproporzionato, esagerato, dilatato, planetario. In una parola, ingestibile. Il perché era presto detto: il troppo stroppia, come ha dimostrato il percorso proiettato all’autodistruzione di molti «grandi imperi» del passato (tutti scoppiati!) e conferma lo stesso mondo attuale, segnato dal gigantismo messianico e dall’ipnosi tecno-totalitaria.
L’esperienza insegna che qualsiasi filosofia politica unificata e fondata intorno alla grandezza ha vita breve, costituendo la grandezza un rischio enorme. Non c’è problema che non abbia la sinistra tendenza a crescere geometricamente insieme all’organismo di cui fa parte, all’opposto della capacità dell’uomo di fronteggiarlo, la quale, per quanto possa essere estesa, procede aritmeticamente.
Se l’esistenza su un territorio circoscritto è facilmente armonica, in una società che si sviluppi oltre la sua taglia ottimale i problemi superano le facoltà umane che sono necessarie per risolverli. Nessuna ideologia della pace, nessuna «cultura dello spirito», può essere sviluppata in una babele di forme, suoni, odori e sapori dentro cui, al massimo, ci può stare il grigio Regno della Mediocrità, della sterilità culturale, musicale, artistica e, ovviamente, spirituale. Chi meglio di noi può saperlo, visto che ci siamo dentro fino al collo.
Come qualcuno ha detto qui, io posso aver banalizzato la questione, cadendo forse in una pericolosa eresia. Ciò si spiega, io credo, con la mia viscerale avversione nei confronti degli USA. La definizione che Reagan diede dell’Unione Sovietica – “evil empire” – si attaglia infatti, secondo me, alla politica estera degli Stati Uniti. So che altri lo pensano e mi stupisce che un intellettuale critico come Chomsky non sia ancora in un manicomio criminale. A esser sincero, ancor più mi piace la definizione di “Grande Satana” che degli USA diede Khomeini. Penso infatti che nessuno, nella storia a noi nota, abbia commesso atrocità paragonabili a quelle compiute dal potere politico-militare statunitense, nella sua ansia di colonizzare e dominare l’intero universo, e che nessuno possa contendere agli USA il primato delle menzogne e della propaganda ingannevole.
Ricordo un documentario – “The Fog of War” – in cui un McNamara ormai vecchio riandava con la memoria alle sue esperienze di guerra. È una testimonianza da cui si può imparare molto. Per limitarsi a un caso emblematico, basta ricordare ciò che di orrendo e oltre ogni immaginazione l’esercito americano fece in Giappone (http://www.nonsolobush.it/page5.php). Lo stesso generale Curtis LeMay, sanguinario regista di quelle stragi, riconosceva che se gli americani avessero perso la guerra sarebbero stati processati e impiccati come criminali di guerra.
Ovvero, come dice Croce nel succitato documento “segno inquietante di turbamento spirituale sono ai nostri giorni (bisogna pure avere il coraggio di confessarlo), i tribunali senza alcun fondamento di legge, che il vincitore ha istituiti per giudicare, condannare e impiccare, sotto nome di criminali di guerra, uomini politici e generali dei popoli vinti… Un’infrazione della morale qui indubbiamente accade, ma non da parte dei vinti, sì piuttosto dei vincitori, non dei giudicati, ma degli illegittimi giudici.”
Cosa c’entra questo col 25 aprile? Il mio problema è la difficoltà ad ammettere che un potere intrinsecamente maligno, un “evil empire”, possa liberare chicchessia. Quello che può fare è solo alleggerire qualcuno di vecchie catene per caricarlo di altre più pesanti. Questo è il pregiudizio di fondo che accompagna le mie riflessioni e che forse mi ha portato a banalizzare.
Capisco il suo turbamento di fronte alle nefandezze del potere quando è arbitrariamente esercitato. Quello che non capisco, chiamiamolo pure in altro modo al posto di banalizzazione, è come si possa sottovalutare, e questo me lo conceda, quello che il potere ha rappresentato per l’Italia nel ventennio e guerra conseguente. Posso anche indignarmi per quanto successe in Giappone ma, senza troppa identificazione o appartenenza, credo che ci si debba indignare anche per quello che rappresentò il nazifascismo qui da noi. E’ come quando si paragonano comunismo e fascismo con l’avvertenza di riconoscere che da noi il comunismo non ha avuto modo di nuocere direttamente a nessuno. Il fascismo sappiamo tutti cosa ha rappresentato. E’ per questo che non potendoci liberare dalla sudditanza atlantica almeno si festeggi quello che è possibile celebrare.
E poi Livio, una persona intelligente come lei, o per lo meno speculativa, analitica, come fa a dichiararsi vittima dei pregiudizi? Sta scherzando vero? Del resto qualche argomento l’ha portato. Quindi, o si dice che gli americani sono terribili, circostanziando, o altrimenti si deve riconoscere che le nostre catene sono meno catene delle altre e le mie libertà maggiori delle altre. Ma questo l’ho già scritto.
Su quella che oggi viene scambiata per libertà:
https://www.ereticamente.net/2019/04/il-veleno-della-liberta-emanuele-franz.html
Il confronto, Livio (e grazie per essere tornato nella nostra piccola piazza), non può che arricchirci tutti perché ognuno, anche grazie ai propri pre-giudizi (tutti ne siamo schiavi) vede certe cose e non altre.
Una cosa credo condividiamo: gli Stati agiscono non tanto sulla base dei valori (anche), quanto degli “interessi”. Stalin, Roosevelt e Churchill, ancor prima della fine della guerra, si sono trovati più volte per “spartirsi” le aree di influenza ed è quello che hanno fatto.
Pensiamo che l’Urss, oltre ai tanti satelliti, si è preso un bel pezzo della Germania (la Germania orientale che è rimasta sotto l’influenza russa – un governo di fatto eterodiretto da Mosca – fino al 1989!). Non dimentichiamo che la Russia aveva avuto 20 milioni di vittime a causa soprattutto del nazismo e quindi si spiega (non si giustifica) una tale ritorsione.
Gli Usa non sono arrivati a tanto, ma hanno di fatto concesso l’autogoverno ai Paesi sotto la loro influenza, purché non fossero in contrasto con la politica e soprattutto l’economia americana.
Se l’Urss ha “occupato” militarmente e politicamente diversi Paesi, gli Usa hanno “occupato” soprattutto dal punto di vista economico: non dimentichiamo che la generosità dimostrata dagli Usa nei confronti del debito tedesco era del tutto “interessata”; e non dimentichiamo pure che era “interessato” anche il Piano Marshall.
E’ il caso inoltre di ricordare che con gli Accordi di Bretton Woods si è stabilita il primato del dollaro (quale valuta degli scambi internazionali).
Un’egemonia “economica”, ma anche “militare” se pensiamo alle basi militari Usa e Nato che abbiamo dovuto accettare.
Un’egemonia “militare” che, tuttavia, costa agli Usa: non a caso Trump oggi non perde occasione per dire all’Europa (liberata dal nazi-fascismo) che gli Usa continua a spendere una valanga di dollari per proteggere, grazie alla Nato, l’Europa, quando l’Europa dà alla Nato stessa, un contributo di gran lunga esiguo.
Piero, i pregiudizi sono strumenti di interpretazione, non bisogna demonizzarli. I miei pregiudizi sono molto semplici e banali. Innanzitutto, mi sembra grottesco che si definiscano liberatori quelli che ci hanno occupato e dominato per 70 anni, imponendoci un vergognoso “vae victis” e rendendoci di fatto una colonia. So che ufficialmente bisogna dire altre cose, ma la retorica di regime mi provoca malesseri viscerali (e purtroppo, tra due giorni, ne avremo una nuova dose massiccia. Unico rimedio è l’isolamento).
In secondo luogo, ho ricordato il caso di Pound come di chi, invocando una diversa liberazione – dal giogo dell’usura internazionale, delle grandi banche – finisce in un manicomio criminale. Questo è un monito a chi sia tanto temerario da sfidare Mammona.
Inoltre, credo che liberarsi sia un atto dello spirito, aiutato dalla Grazia, e che ogni liberazione intesa come realizzazione di desideri sia una tentazione satanica. La società moderna ne è un esempio, ma questo ci porterebbe troppo lontano dal 25 aprile.
Infine, tu parli di una generosa protezione della Nato nei nostri confronti. Forse è giunto il momento di liberarci da una simile amorosa tutela e correre i nostri rischi. Forse, in futuro, il giorno in cui divorzieremo dalla Nato, dalle basi militari americane, dall’Europa delle banche, verrà ricordato come una liberazione.
Tu dici che questi discorsi arricchiscono. Non certo quelli come te o me, troppo vecchi per cambiare idea. Tu non sarai d’accordo su ciò che io dico, io troverò non convincenti le tue obiezioni e ci terremo i nostri pregiudizi. Forse qualche mente più giovane e duttile andrà a leggersi Kohr o McNamara o Pound, e ne trarrà ispirazione. Spero non solo per accumulare qualche nuovo pregiudizio, com’è delle menti accademiche, ma per portare più bellezza e più verità in questo mondo dissestato.
Si Livio e Piero, proprio questo è il punto ed anch’io sottolineerei il taglio positivo che si può/si deve dare (a meno che l’obiettivo sia cercare la rissa!) ai “pre/giudizi”.
Ho usato in alcuni miei recenti interventi sul blog il termine “dia/logo” (una volta, addirittura, richiamandone l’etimo) che quasi sempre è interpretato in modo direi “sdolcinato”, pacioso, mentre può/deve essere ben altro, con significante ben più costruttivo.
Obiettivo del blog CremAscolta sono convinto sia dare spazio comunicativo a chi ritenga ancora importante impegnarsi a dare una propria elaborazione socio/culturale degli accadimenti in atto “….non solo per accumulare qualche nuovo pregiudizio, com’è delle menti accademiche, ma per portare più bellezza e più verità in questo mondo dissestato….).
A proposito di “menti giovani e duttili” guardavo giorni fa un’intervista di Rai 2 (l’unico Tg decente di tutto il palinsesto, secondo me) in cui si chiedeva a dei giovani interpellati per strada cosa si festeggiasse il 25 aprile. Quasi nessuno lo sapeva, e stiamo parlando di una generazione (20-35 anni) super scolarizzata. Anche questo e’ un segno dei tempi: cio’ che non si “sente” intimamente ma viene imposto dall’alto finisce per esaurirsi insieme alla mentalita’ che l’ha generato. Dopo di che arriva qualcos’altro. Magari fra 20anni si festeggera’ la liberazione dagli usurai di Wall Street che hanno affamato i popoli, e fra cent’anni ci sara’ dell’altro ancora. E’ una ruota che gira.
E dopodomani, un altro bagno nella retorica. I festanti stavolta saranno sindacalisti, che forse non avranno saputo fare gli interessi dei lavoratori, ma i loro se li son fatti meravigliosamente bene.
Curioso. Scopro ora che nell’economia di questo blog i pregiudizi sono legittimi. Quello che però non capisco è come sia possibile conciliarli con “una propria elaborazione socio/culturale degli accadimenti in atto “, quando oltretutto il fine ultimo è “portare più bellezza e più verità in questo mondo dissestato” . Come se delle due ultime cose menzionate fosse possibile trovare definizione, se non razionale almeno ragionevole o condivisibile. A meno che non si sia questa la cifra stilistica di Cremascolta: la speculazione intellettuale fine a se stessa. Ma anche qui cozzerebbe con la perentorietà della “propria elaborazione socio/culturale degli accadimenti in atto”. E sottolineo “accadimenti in atto”. Interessanti queste dinamiche relazionali o amichevoli di puro carattere strumentale. Tutto ai fini dell’economia del blog, che a questo punto cozzerebbe ancora di più col virgolettato e soprattutto con la ricerca della “verità”. E della “bellezza”. Ma anche qui…
Bisogna intendersi sulle parole. Se per arrivare a un ‘giudizio’ obiettivo è necessaria una conoscenza completa dei fatti e delle loro relazioni, è chiaro che ogni idea umana rappresenti sempre un pre-giudizio, disegnando una curva asintotica che tende indefinitamente alla ‘verità’ senza toccarla mai.
Definire la bellezza mi è impossibile e non ne avverto neppure la necessità. Nondimeno l’amore della bellezza mi ha guidato per tutta la vita e in ciò non vedo alcuna contraddizione.
Infine, le “dinamiche relazionali o amichevoli di puro carattere strumentale” sono solo un Suo pregiudizio.
Per Rita delle 14.24 di oggi: ma Rita, non sai come si monta un servizio televisivo? E non sai che con una Rai politicizzata ti fanno credere quello che vogliono? Non sai che il tg2 è nelle mani della Lega? Non sai come funziona l’informazione?
Non so se tu capisci quello che dico, ma credo di no. Ho scritto che attualmente il Tg2 è l’unico “telegiornale decente” e non che è uno spettacolo supercalifragilistichespiralidoso. Il che significa, in parole povere, che se fai la scelta di Livio di tagliare fuori di netto tutta l’informazione (che in realtà è disinformazione), questa è sicuramente la cosa giusta. Ma se proprio devi guardare un Tg, perché mentre ceni sei abituato ad avere una voce di sottofondo, allora meglio il Tg2. Anzi, facendo un passo oltre, non è male neanche il successivo Tg2 Post. Mi sento di consigliarlo.
Dimmi se non mi sono spiegata, provo con un’altra formula.
A proposito di pre-giudizi, ripeto, ne siamo tutti schiavi. Tutti (o quasi), infatti, tendiamo a selezionare le nostre letture di giornali, telegiornali e social sulla base del nostro orientamento o di ciò che ci aspettiamo (c’è chi, come Rita, che preferisce il Tg2 perché diretto da un giornalista in quota Lega e chi, come Ivano, legge la Repubblica perché la considera una fonte credibile perché ha come riferimento un punto di vista di sinistra anche se “critico”).
Non nego che anch’io seleziono, ma grazie alla mia formazione tendo ad essere “diffidente” (il dubbio socratico) nei confronti di tutte le testate, anche quelle che si dichiarano “indipendenti”: in altre parole tendo fa fare la “tara” a tutti (conoscendo il loro orientamento.
Ma… chiedere ai tutti di leggere più fonti e poi confrontarle è un “modello”, ma non tutti hanno il tempo (e la voglia per farlo).
La cosa bella che io continuo a ribadire: CremAscolta è uno spazio in cui ci si confronta da punti di vista diversi e questo rappresenta (almeno da parte di chi “ascolta” le ragioni degli altri) un arricchimento per tutti.
Piero, il punto non è che “tutti siamo schiavi dei nostri pregiudizi”. Nella vita di tutti i giorni i pregiudizi ci servono e senza di loro non sapremmo cosa pensare, cosa dire o cosa fare. Il problema è che possiamo diventare schiavi dei pregiudizi di altri. Questo è ciò che facilmente accade, soprattutto quando uno legge molto i giornali, ascolta molto la tivù ecc. Anche quando uno legge molti libri, ahimè. C’è un condizionamento continuo e, senza neppure esserne consapevoli, si creano in noi dogmatismi inattaccabili. La politica, la scienza, la religione, le ideologie sociali ecc., inducono in noi dei pregiudizi inconsci che riducono il nostro pensiero a una serie di riflessi automatici, tanto più potenti quanto più si radicano in una profonda oscurità. Allora perdiamo il contatto con la nostra esperienza, con la vita reale, con la nostra stessa libera intelligenza, e vediamo il mondo attraverso sovrastrutture interpretative che altri ci hanno imposto. A questo punto, la libertà d’espressione diventa un concetto vuoto perché è inutile poter dire quello che penso se quello che penso è deciso da altri. Questa è la fondamentale occupazione, dominazione e colonizzazione che sempre ci minaccia, ed è solo qui che si può parlare di una vera liberazione.
Piero, c’è differenza tra un Tg (1, 2 o 3) e un giornale che letteralmente è una “narrazione”.
Il Tg, essendo una comunicazione prevalentemente visiva e sonora, non ha il tempo di infiocchettare le notizie, o pseudo tali, cercando di intortare i suoi lettori.
Mi spieghi perché tu dovresti essere “diffidente” (leggasi “accorto”) mentre gli altri degli allocchi? Perché se non volevi dire questo, in realtà lo hai detto. Mica penserai che chi ascolta un Tg si beva tutto quello che dicono? Spero di no. Mentre tu, grazie alla tua formazione, ogni due per tre sei lì a citare in virgolettato quello che hai letto su Repubblica o sul Corriere. Non potresti esprimere il concetto con parole tue, magari mettendo insieme 10 opinioni diverse?
Rita, adesso mi incazzo. Ti sei spiegata benissimo, sempre se per te è una spiegazione dire che il tg2 è l’unico decente. O meglio di altri, come le tua è un’opinione come un’altra. Quindi lascia stare i consigli.
Aggettivo “decènte” secondo il vocabolario Treccani : “Conforme alle norme del pudore, della dignità, del decoro.” Avrei potuto dire “decoroso” e sarebbe stata la stessa cosa.
Non era rivolto a te il consiglio di guardare il Tg2 Post. Guardatelo. Il fatto che i parrucconi dem lo possano vedere come il fumo negli occhi è un fatto molto, ma molto, molto positivo.
E’ l’alternativa “decorosa” ai salotti stantiti delle due mummie Gruber (Pd) e Palombelli (Forza Italia) che oltre a dire le stesse cose invitano ormai i soliti quattro amici al bar. Da Capalbio agli studi romani, si sa, il passo è breve.
Il tg 2 e altre testate non infiocchettano, ma inchiappettano. Come montare un servizio per dimostrare pro domo sua che i giovani non sanno niente del 25 aprile. Altro che narrazione. Quella dei giornali arriva a pochi, troppa fatica leggere, la televisione invece arriva a tutti. Anche il tg2 con un servizietto montato ad arte da far credere che tutti i giovani sono degli imbecilli. E che tutta l’Italia considera insignificante festeggiare il 25 aprile. Continua pure ad accontentarti del tuo meno peggio.
Chiedi tu in giro a tutti i giovani che conosci, io l’ho fatto. E’ così: tanto se ne fottono del 25 aprile quanto del 1 maggio. Quanti giovani vedi ai cortei? Facciamo l’1%? Dai, vada per il 2%.
Gruber decente. Palombelli indecente, già ai tempi di Barbato. La prima volta che la sentii mi chiesi chi fosse quella poverina.
Un’amica mi segnala il seguente articolo, pubblicato credo non a caso il 25 aprile:
https://www.repubblica.it/robinson/2019/04/25/news/la_storia_e_un_bene_comune_salviamola-224857998/
Lo propongo come manifesto della retorica oggi diffusa tra gli intellettuali del sistema.
La perla è: “la storia serve a non ripetere gli errori del passato”, ma questo articolo gronda perbenismo culturale dall’inizio alla fine. Io, che sono un noto complottista, proporrei invece di bruciare i testi scolastici attualmente in uso.
Perché? Lei non ha imparato niente dalle sue esperienze? Continua forse a ripetere gli errori che eventualmente ha fatto? Imparare dalla Storia non è la stessa cosa?
Perché? Lei non ha imparato niente dalle sue esperienze? Continua forse a ripetere gli errori che eventualmente ha fatto? Imparare dalla Storia non è la stessa cosa?
Li vorrebbe scrivere forse Lei i libri scolastici? Sì proponga al Ministero. Dire poi che quanto racconta Liliana Segre é retorica mi sembra una cattiveria. Ma forse perché Lei non è passato per i campi di concentramento. Che retorica vero?
Non c’e’ dubbio che i testi scolastici siano stati pensati per “istruire” in un certo modo i cittadini di domani. E’ sempre stato cosi’, da quando esiste la scolarizzazione obbligatoria, resa tale proprio a questo scopo. Come uscirne? Non sara’ facile, anche in considerazione del fatto che, dall’altra parte, le famiglie non sono piu’ solide dal punto di vista del giudizio e del pensiero. Quanto alla Storia, si comincia ad avere una vaga idea di quel che e’ successo quando da adulti si decide autonomamente un percorso di studi.
Signor Macalli, ognuno può certo imparare dalle sue esperienze. Ma la ‘storia’ insegnata nelle scuole non è ‘le nostre esperienze’. C’è una differenza essenziale fra il passato che abbiamo personalmente vissuto e quello che ci viene raccontato. La storia può insegnare quello che si vuole, a seconda di come la si racconta. Chi decide quali sono gli errori da non ripetere?
Naturalmente, l’articolo esorta a non dubitare degli ‘esperti’ – si tratti di storia, di medicina o di altro -, come se costoro avessero un’esperienza e una conoscenza indubitabile. Io invece dubito.
“Ma forse perché Lei non è passato per i campi di concentramento. Che retorica vero?”
Beh, in effetti…
Comunque, io non scriverei mai testi scolastici. Non ne sarei capace e, in generale, non voglio insegnare niente a nessuno.
Io invece dubito degli inesperti di cui è pieno il mondo, come dubito molto della convinzione che gli insegnanti siano tutti di sinistra. Almeno gli esperti qualche fatica l’han fatta. In tutti i casi mi piacerebbe molto che Lei mi spiegasse, da non retorico qual è, anche delegando agli inesperti di cui Lei ha considerazione, quale narrazione si aspetterebbe del racconto delle leggi razziali e delle deportazioni, se non affidandosi al negazionismo. Un esempio come altri sia chiaro. Alrimenti me lo faccia spiegare dalla sua amica che legge Robinson.
Non intendevo dire, Rita, che gli altri non siano diffidenti. Mi sono limitato a citare te e Ivano che esplicitamente citate le “fonti” che ritenete più credibili.
Non mi azzarderei a giudice degli altri: ho solo espresso il metodo che seguo e vedo che anche tu lo segui (facendo, immagino, la tara anche al Tg2, come io la faccio al… mio Corriere, La Stampa e Il Sole 24 ore).
Anch’io, Livio, non ho alcunché da insegnare a nessuno, tanto meno a te.
Dico solo che io leggo molto per “capire” i grandi fenomeni che segnano profondamente il nostro tempo e quindi, anche la nostra vita quotidiana, le sofferenze di chi ha perso il lavoro e chi non lo trova, il senso di precarietà che ormai caratterizza un po’ tutti…
Naturalmente, lo faccio leggendo “più punti di vista” (l’ho scritto anche recentemente: leggo anche il leghista Bagnai e il discusso Paolo Savona – invito tutti i leghisti a leggerlo perché volta molto alto), cercando aspetti diversi che un singolo autore non vede o omette volontariamente.
Tutto qui.
Insisto, fuor di retorica e sgomberato il campo dai condizionamenti culturali, come racconterebbe signor Cade’ gli avvenimenti che ho menzionato ?
Signor Macalli, dove ha letto che io ho considerazione degli inesperti? Ragione ed esperienza sono i nostri due maestri. Ma in genere, su argomenti che non conosco, che non capisco o in cui trovo elementi di ambiguità o di contraddizione, ho l’abitudine di sospendere il giudizio.
Sì, è vero, dubitare degli esperti non significa fidarsi degli imbonitori. Tornando invece all’esperienza, se è grave che il singolo non impari dai propri errori, e questo lo verifichiamo anche su noi stessi, trovo anche più grave che il genere umano lo faccia. I nostri errori li paghiamo noi stessi. Gli errori della Storia li paghiamo tutti. E non esiste altra documentazione che le testimonianze di chi certi eventi li ha vissuti in prima persona. A meno che non si considerino narrazione anche i ricordi degli altri. Come quelli di Liliana Segre magari. Ma questo è rischiosissimo.
La storia degli altri è sempre narrazione e forse anche la nostra. Tuttavia vi sono delle differenze.
Quando un individuo fa un’esperienza dolorosa, diciamo ‘un errore’ nella vita, se ne ricorda e cerca di non ripeterlo. Questo non vuol dire che ci riesca. Da un lato, oltre la sua volontà, vi sono tanti fattori esterni che possono determinare le sue esperienze, dall’altro la sua stessa volontà può essere ambigua e in conflitto.
Se allarghiamo l’idea di ‘esperienza dolorosa’ o ‘errore’ al genere umano, l’analogia non regge perché le esperienze di milioni di persone e le loro interpretazioni sono dissimili e non presentano una percezione solidale dei fatti.
È vero che ogni società cerca di crearsi e consolidare una memoria storica in cui fatti e interpretazioni divengono funzionali all’affermazione di una certa ideologia, e questo può essere pure legittimo, ma uno spirito critico può mettere in dubbio la visione condivisa dalla maggioranza (interiormente nei modi che lui sceglie, esteriormente nei limiti che la censura gli impone).
Anche la testimonianza di chi “ha vissuto gli eventi” non può avere che un valore relativo. Infatti ogni testimone ha una prospettiva limitata e spesso in contraddizione con quella di altri testimoni, soprattutto nel giudicare le relazioni, le cause, i valori implicati negli eventi vissuti. Anche qui, è la società che si preoccupa, per i propri scopi, di dare valore preminente o assoluto ad alcune testimonianze, ad alcuni documenti e di negare consistenza ad altri o di privarli di valore.
Non è questione di malafede degli storici o dei testimoni diretti (a parte i casi evidenti di propaganda politica), ma di un fenomeno collettivo, intellettuale e sociale, che trascende in larga misura l’autonomia di pensiero del singolo individuo.
Rischioso mettere in discussione i punti fermi della storia ufficiale? Questo è sicuro.
Ma in questo modo signor Cadè Lei azzera la Storia, il valore delle testimonianze, il lavoro di ricercatori che Lei dà per scontato sempre in malafede o vittime delle loro ideologie nel raccontare il mondo. E’ come se il Suo fosse un invito a far tabula rasa di tutte le esperienze e ricominciare sempre daccapo. E allora a cosa servono le sue conoscenze, le sue citazioni quando finge una metabolizzazione di cui forse farebbe volentieri a meno? Perché se vale per la grande Storia vale anche per le piccole vite di ognuno. Eppure pare che Lei faccia grande uso della cultura, di ciò che ha imparato dai libri di cui Lei fa sfoggio. E quindi della Storia. Che poi Lei creda di aver fatto buon uso delle sue conoscenze a dispetto di altri che non han capito niente allora questo è altra storia. Per inciso, ho letto il suo ultimo intervento con una certa fretta, prima dell’effetto benefico del caffè, e quindi potrei aver travisato il suo pensiero. Ma visto che ne fa una questione di metodo io potrei allo stesso modo argomentare che non è vero che si impara dai propri errori, per lo meno non sempre, ritornando ad un concetto già espresso ieri, ma io credo che se facessimo un tentativo di trovare una linearità nella storia dell’evoluzione umana io crederei di poter concludere, dal mio punto divista, che sono esistiti momenti fortunatamente di non ritorno, a significare che qualcosa di buono si è sommato. E io di questo me ne compiaccio. A parte incidenti di percorso che pare che in certi momenti ne abbiano rallentato il cammino. Non dico di fare troppa sintesi che naturalmente fallerebbe il giudizio per troppa superficialità, ma se confronto la nostra epoca, e so già che Lei non sarà d’accordo, con epoche precedenti, io non avrei dubbi su quale epoca o latitudine transitare. Per questo ritengo che l’umanità abbia sempre fatto uso della Storia, e se non l’avesse fatto vivremmo momenti anche più bui. Non sottovaluti quindi il racconto della Storia. E’ di questi mesi l’estromissione della materia dalle scuole e addirittura dagli esami di maturità. E questo è gravissimo dal mio punto di vista. Altrimenti smettiamo la di fare le persone colte, non io naturalmente che sono un semplice, e smettiamola di citare Cicerone quando dice che historia magistra vitae. Per dire semplicemente che magari è difficile trarre insegnamento dal singolo evento o pensiero, ma in una visione generale direi che alcuni uomini hanno imparato dai propri errori, ma fortunatamente anche da quelli degli altri. Ecco, io vorrei essere annoverato tra questi ultimi. Quanto alle testimonianze e alla veridicità di alcune narrazione io credo si possa riconoscere la differenza tra realtà e fantasia. Le ferite profonde lasciano cicatrici visibilissime e classificare queste nella sua affermazione che copio e incollo “ Anche la testimonianza di chi “ha vissuto gli eventi” non può avere che un valore relativo. Infatti ogni testimone ha una prospettiva limitata e spesso in contraddizione con quella di altri testimoni, soprattutto nel giudicare le relazioni, le cause, i valori implicati negli eventi vissuti.” mi sembra molto qualunquistico. Come mi sembra superficiale o strumentale che lei affermi che Il racconto della Storia sia “funzionali/e all’affermazione di una certa ideologia. Se mi permette, questo è troppo banale, e riduttivo. E scusi la lungaggine, ma come direbbe Pascal, per restare in tema di citazioni, e quindi di Storia, questa mattina non ho avuto il tempo di essere più breve.
https://www.repubblica.it/robinson/2019/04/30/news/storia_bene_comune_ecco_l_italia_che_non_vuole_perdere_la_memoria-225203269/. Signor Cadè,questo è di oggi, a seguito dell’articolo di Robinson segnalato dalla sua amica. Prima che lo faccia lei.
Per carità, ho già fatto uno sforzo ieri. Se leggo anche questo mi viene la psoriasi.
Va bene, però non ha commentato il mio intervento precedente. Per quanto riguarda la psoriasi c’è comunque una nuova cura il cui principio attivo è dimetilfumarato, anche se non ho dubbi che lei dubiterebbe anche della Storia della medicina, preferendo affidarsi a qualche unguento medioevale.
Esatto.
Signor Macalli, a parte le battute, non vorrei continuare una inutile polemica. Qui si dà sempre grande importanza al dialogo ma forse ci si dimentica che per dialogare bisogna parlare una lingua comune.
Che cazzata di risposta. Piuttosto niente.
Signor Macalli, perché non riesce a contenersi e tracima sempre, passando alle offese personali? Neppure a Lei la storia insegna niente. La mia risposta al Suo lungo commento era già contenuta in quello che avevo scritto prima. Per questo ho il sospetto che non parliamo la stessa lingua.
Signor Cade’, nel dialogo potrebbe ricredersi. Lo considero un mio dovere civico insistere. Non si sa mai. Dalla Storia ho imparato questo: sacrificarsi quando ci si sente nel giusto. 😂😂😂 Sa, la speranza è sempre l’ultima a morire.