Ci sono tutti gli elementi per sentirci vicini all’Evento, quest’anno più che nei precedenti. Innanzitutto è ritornato il freddo, dopo un autunno che già ci parlava di riscaldamento globale, ma alla fine i parabrezza delle auto son gelati, come ai vecchi tempi. Poi la grande madre TV ci mostra piste innevate in montagna. Usciamo, e troviamo strade intasate di maleducati automobilisti aggressivi: e già, il solito spirito natalizio, la corsa all’accaparramento prima degli altri!
Qualche suicida proverà addirittura a recarsi all’IPER. Per far cosa? Sentirsi insultati per uno stallo auto, rigare la macchina in manovre convulse nella sua grande caverna-parking, o fare un pieno di “tanti auguri”, che solo lì siamo sicuri di ricevere? Già, la nostra socialità è ormai in vendita come oggetto di acquisto, fra un detersivo e le lucine nuove per l’albero. E non a caso un altro supermercato punta proprio sullo spirito tribale, sull’accoglienza salottiera, e questo già mi piace di più, anche se come costume… non è una gran cosa.
Che ci volete fare, casa, chiesa e ipermarchet. Peccato che le percentuali siano tutte spostate a destra…
Ma sarà sempre così? La società è turbolenta, tutto sta per cambiare, minuto per minuto. E allora tranquilli! La tecnologia ci restituirà forse un Natale dal sapore di vera festa. Come? Bene, immaginate strade silenziose, percorse da auto elettriche e navette senza conducente, in moto perpetuo; poca gente, perché ce ne sarà di meno, e non avrà bisogno di andare in nessun posto: fattorini robotici sapranno cosa portare e a chi. E poi arriva il gran giorno, quello dei regali! E allora si esprimerà la grande genialità della rete, perché in un mondo in cui il 70% dell’Umanità ha già tutto, la ricerca automatica si interesserà di procedere al dono del superfluo (del 30% residuo che poco ha non interessa a nessuno, manco alla rete). Infine il dono arriverà…sorpresa! Calato da un drone rosso con guarnizioni in pelliccia sintetica bianca, non proprio dalla cappa del camino, ma esattamente avanti alla vostra finestra, o balcone. Se ne starà lì, fermo, col suo pacco pronto da portar dentro, salvo tempesta, e allora tutti pronti ad aprir la bocca e fare un grande OHHHH! Ma i bambini, l’atmosfera? Ma certo, ancor più intensa, perché i media trasmetteranno una simulazione della Santa Nascita in diretta, e sarà anche personalizzabile, visto che ognuno potrà decidere colore di pelle, occhi, capelli del Divin Bambino secondo i propri gusti, e così tutte le etnie, o quasi, sarano pacificate.
Ovviamente è una provocazione, quindi cerchiamo di tenerci quel poco di buono che ci è rimasto!
Beh, Natale è Natale, guai a chi dice per primo “io me ne vado ai Caraibi”!
Commenti
Bravissimo dottor Adriano!
Come al solito, le sue riflessioni squarciano la nostra mente e ci aiutano ad usarla in modo migliore.
Personalmente mi rileggo, puntualmente, soprattutto in questo frangente, lo straordinario racconto del Sommo DINO BUZZATI, sempre attualissimo, “Ce n’è troppo di Natale”.
Trovo questo racconto una medicina formidabile contro il conformismo più becero.
Grazie, con tutta la mia stima per Buzzati mi mancava questo racconto, rimedio subito.
Per il Natale il mio atteggiamento è ambivalente, fra il nostalgico e l’infastiito per la demenza che ora l’accompagna. Forse nel corso della mia vita sono già cambiate troppe cose.
“..Sara tre volte Natale e festa tutto il giorno…
…Vedi caro amico,cosa ti scrivo e ti dico,
e come sono contento di essere qui in questo momento…
…Io mi sto preparando,è questa la novità” (Lucio Dalla )
Bella citazione! Ma ne deve valere la pena! Penso di aver visto troppi Natali degenerare per gustarlo ancora.
Si,anch’io,
ma poi mi sono detto:”Scusa,fermati,guarda adesso”
La descrizione che Dino Buzzati fa del Natale nel 1959, in questo racconto di “Milano nostra”, vale ormai per buona parte del nostro mondo attuale. Quell’asino e quel bue si troverebbero, anzi, in una situazione ancora più demenziale. E rialzando gli occhi in alto, si accorgerebbero di un inquinamento ben maggiore di quello di una sessantina di anni fa. Anche nell’altro suo “Racconto di Natale”, Buzzati stigmatizza un certo nostro modo assurdo di vivere il Natale. E lo fa sempre in modo esemplare.
Edgardo Berticelli ha centrato in pieno il punto essenziale della faccenda e la citazione giusta, soprattutto per noi italiani. Ed è sempre peggio, questo Natale. Una pazzia collettiva, come i due animali tornati in terra avevano ben diagnosticato, in un crescendo alternante tra il consumismo più compulsivo e la più melensa stucchevolezza. Per di più, ogni anno tutto si anticipa e tutto poi si posticipa. Quasi sempre e dovunque, a inizio novembre se ne cominciano i prolegomeni e a fine gennaio si stenta a chiuderne gli strascichi. E c’è da prevedere che, dai tre mesi di vigenza attuale, la sindrome del business psicosensoriale natalizio si estenderà ulteriormente.
Ma anche qui, il problema è il solito. In tanti ci contano, in tanti ci lavorano, in tanti ci campano. E tutto contribuisce, tutto aiuta, tutto muove e fa crescere l’economia, lo sviluppo, il progresso. Per cui, chi la pensa come Buzzati lasci perdere, rinunci, non si opponga al benessere, al PIL, al mercato. Le favole son favole, la vita è un’altra cosa. Jingle bells, jingle bells, jingle business way.
Un altro dei tuoi pezzi brillanti e… intelligentemente ironici.
Posso dirti, Pietro, che mi sorprendi? E’ vero che anche nelle tue vesti di “storico” non rinunci alla leggerezza stilistica, ma i pezzi che ci regali su CremAscolta hanno un valore aggiunto.
Grazie, Piero, per quanto dici.
Sul Natale, credo resti il senso di un momento di riunione familiare, dove possibile.
Per questo, chi ancora può passarlo in famiglia (genitori, figli, parenti) ha la possibilità di salvarne qualcosa, comunque la pensi in termini culturali o religiosi.
E poi, ci son momenti dell’anno, come i giorni del solstizio invernale, che portano a riflessioni e sentimenti che vanno oltre l’esteriorità e la materialità circostanti.
In fondo, ci resta sempre la libertà di trascorrere il Natale con lo spirito che riteniamo giusto. Non è così in molte parti del mondo. Anche per questo, penso che possiamo ritenerci più fortunati di altri.
http://www.cremascolta.it/2017/12/20/il-solstizio-dinverno/
Esatto. Grazie Rita.
Qualcosa mi infastidisce più degli altri anni: la cometa lunga 28 metri dall’alto della torre pretoria al palazzo comunale.
Ha un significato? Si tratta di un ritorno alle nostre origini cristiane contro il mainstream del multiculturalismo? Un omaggio a Salvini?
Non credo.
E allora?
E poi è vero quanto scrive oggi La Provincia che tutte le luminarie (da piazza Duomo a piazza Garibaldi) costano ben 50.000 euro di cui 35.000 a carico del Comune?
Ragazzi
da parte mia, cioè di uno che il Natale l’ha visto da bambino in un paese (Manziana) immerso nelle foreste del Lazio (sì allora erao tali, non boschi) dove solo mio padre forse possedeva un’autovettura, e gli uomini portavano il cappello con la piuma, il travalico con l’attuale è secolare: come volete che perdoni il genere umano? Posso solo cercar di limitare i danni. E i danni non riguardano il senso estetico o la mistica, ma la sensazione di nervosismo strisciante che ci accompagna tutti dopo le feste, quando non si sa come riprendere il ritmo normale come antidoto. E non voglio arrivare ai frequenti suicidi di gente che si trova a toccar con mano la propria, presuntamente unica, festività infelice. E allora anche se non possiamo fermare la grande macchina, anche se constatiamo che la tredicesima ci attraversa semplicemente il portafoglio, seza lasciare traccia, purtroppo trovo un solo antidoto: crederci un po’ di meno.
“…E a pensarci,che pazzia,è una favola è solo fantasia…
E ti prendono in giro se continui a cercarla ma non darti per vinto perché,
chi ci ha già rinunciato e ti ride alle spalle,forse…”
Dalla canzone -L’isola che non c’è- ( Bennato )
….belle le tue citazioni Graziano, fanno parte anche del mio di Back-ground culturale.
Si, culturale, ripeto senza timidezza una parola che credo proprio ben si attagli alla “canzone d’autore”!
Nessun imbarazzo a citarne i testi, quindi, anzi!
Se poi uno, dentro di se riesce anche a dargli una ….”ripassata” in musica, meglio ancora!!!
Rimango sempre sorpreso dai costi delle luminarie riportate dalla Provincia per quanto riguarda la competenza del Comune di Crema: io voglio credere che siano “coperti” da sponsor. C’è qualcuno che ha informazioni dirette?
….si, Piero, perchè poi gli eventuali “sponsor” i soldi dove li prendono?
Oppure ci hanno …. “na macchinetta” e allora …..abbiamo scherzato!
Vero è che stiamo “surfando” su questa …. onda di tsunami, e di tornare indietro non se ne parla nemmeno! E allora, via con i supermercati ad “asfaltare l’erba”, via con i motori accesi fuori dal negozio, con le porte aperte a riscaldare l’aria (si fa per dire) aperta, via con le luminarie che tanto la corrente la paghiamo a forfait, e si va anche a pattinare ai giardini toh!
Solo dei “miserabili”, come eravamo negli anni ’50, potevano divertirsi a …”fà al les ‘n mes a via Botesini” e a diertis, anche, sensa spent an ghèl! (cosa ne dici Walter di questo revival gergal/nostalgico è?).
Cosa c’entri poi, tutto questo con il “Santo Natale” fa parte di una esegesi che lascio ad altri ben più “attrezzati” affrontare.
Mi viene un dubbio, però: non è che Adriano nostro, nel titolo abbia tenuta nel polpastrello una “e” per : < Future-Natale> ? Con un Natale corredato di sottostante mercato come merci, valute, indici di Borsa, azioni etc. ?!?
Va beh, buon natale e …..morta li!
La e è un anglo-italianismo. Il tuo commento è fantastico, e anche la critica di Piero.
Le luci iniziano a innescare l’effetto allucinatorio, poi interviene l’acquisto smodato, e ci manca solo la bancarella con zampognaro ed estasi… E ribadisco, non sono antinatalizio, ma ho visto nella mia ormai transgenerazionale vita i Natali veri.
Il Natale vero è dove qualcuno,qualcosa, lo rende vero.
E meglio sarà se la finestra non si aprirà!
Grande festa ieri alle 17 (una folla sterminata) in piazza Duomo alla cerimonia di… accensione delle luci: l’albero, la cometa lunga 28 metri, il presepe…
Una festa di… popolo (non l’avrei immaginato) con musica, vin brulé, cioccolata.
Una festa sotto l’egida delle due autorità: politica (il sindaco) e religiosa (il vescovo).
Un’organizzazione avviata fin dalla fine di agosto.
Un colpo d’ala dell’Amministrazione comunale (in attesa, naturalmente, che arrivino gli sponsor)?
Allora la speranza che il succo vero della celebrazione sia rimasto sotto le ceneri sta trovando risposta.
Per il resto, le spese, amico-maestro, non riesco a capire come possa costare tanto!
Che coloro investiti del compito di perseguire la soddisfazione del popolo allestiscano riuscite feste di popolo, mi pare cosa buona e giusta. E mi sembra che i nostri reggitori municipali abbiano allestito delle attrattive pubbliche per le festività natalizie (luminarie, albero, decorazioni e così via) ben confacenti a tale compito.
Nessuno nega agli oppositori del Natale luna-park, tutto sagra e shopping, di potersi raccogliere in luoghi, tempi e liturgie di più riservata sacralità. Viva la libertà: viva chi medita in raccoglimento e viva il popolo che, come le “girls” di Cindy Lauper, “just wanna have fun”. Ringraziamo Dio (o il Demonio, fate voi, o più umanamente le nostre sinapsi neuronali) di vivere in tempi e in luoghi in cui si è liberi di usare a Natale i calli sottorotulei piuttosto che la carta di credito, magari entrambi (so che con questo verrò ascritto ai reprobi del Kali Yuga e del Ragnarǫk e del Götterdämmerung e chissenefrega).
Esiste una dimensione pubblica, in cui i pubblici poteri seguono istanze di popolare soddisfazione, ed esiste una dimensione personale e familiare, in cui possono svilupparsi pensieri, sentimenti e riti sottratti alle logiche del consenso collettivo e della pubblica rassicurazione.
Che i sistemi di gestione e i meccanismi operativi di tale consenso collettivo e di tale pubblica rassicurazione vedano uniti i poteri civili e religiosi, le istituzioni locali e le gerarchie ecclesiastiche, il gonfalone e il turibolo, è pure cosa buona e giusta, tale da aumentare nella popolazione il senso di legittimità dei propri svaghi e quel senso di utile pacificazione sociale e di ecumenica mansuetudine proprio delle ricorrenze natalizie.
Libero Natale in libero Stato. (Quanto ci manchi, Camillo Benso).
L’augurio di un Natale allargato e moltiplicato (e di qualcos’altro ancora) era del resto cantato, già circa quarant’anni fa, dall’indimenticato autore di questo testo: “Sarà tre volte Natale e festa tutto il giorno / Ogni Cristo scenderà dalla croce / Anche gli uccelli faranno ritorno”.
Cyndi, non Cindy. Effetto della Crawford.
“Parole di verita” (senza accento), disse il profeta Manuel di Alto gradimento, ricordate vero?
Libero Natale in libero Stato: sferzante, anche se diplomatica, la battuta.
Il connubio potere politico e potere religioso, in effetti, è apparso a qualcuno quanto meno anomalo. Ma oggi, tutto si sta rimescolando: sappiamo tutti che cosa ha fatto Salvini in un comizio pubblico!
Nel momento in cui i supemercati si pongono come luogo di salottiero incontro in alternativa a Chiese e teatri, sì, tutto si sta rimescolando, ma chiediamocci anche cosa dirà l’uomo del 3000. Sarà forse nostalgico ed esclamerà: “Ai tempi in cui c’era il supermercato…”?
Ma torniamo al Natale: qualcuno è in grado di stabilire quando ha iniziato a erodersi la sua valenza religiosa per dar luogo a quella meramente regaliera? Certo no, perché il fenomeno era sotto gli occhi di tutti, ma niente di più difficile che stabilire la velocità di un treno per chi ci viaggia. Così, nel passaggio da beni materiali a immateriali, un domani forse nemmeno i regali sarano più bramati, e il tempio della celebrazione del rito della vendita, l’ipemercato, crollerà sotto il suopeso.
Difficile immaginare l’uomo del 3000, Adriano. Probabilmente, già l’uomo del 2050 gestirà diversamente le ricorrenze religiose. Futur-Natale? Ci sarà probabilmente un panel con delle App a scelta. Clicchi l’App del Natale e partono presepi, musichette, buoni sentimenti indotti da stimoli sui sensori sottocutanei. Clicchi l’App islamica e parte il muezzìn, col visore ti sembra di chinarti a pregare ma intanto stai comodo in poltrona, magari cyber-sgozzi qualche infedele cristiano o sciita (o sunnita, basta un clic). E così via, per induisti, buddisti, taoisti, con pittoresche variazioni antropologiche per gli animisti. Per gli ebrei, che non possono toccare la Torah, apposite “manine” smart-pen per il touch-screen. Del resto, da sempre i best guys della fede hanno ascesi sapienziali e illuminazioni top rank, mentre tutto il resto della gente vive di omologazioni mediatiche, tra prediche dal pulpito e affreschi motivazionali. Cambiano i tool, non il concept.
Ah, bei tempi, quando c’era la metafisica. Hélas, non c’è più la trascendenza d’una volta.
Ahimè, l’umano porta agli algoritmi, al datismo e alla biogenetica. Ma troppo spesso il divino ha portato alle guerre di religione tra masse oligofreniche, analfabete e fanatiche. Come diceva il gran baffone, non è la tolleranza ma l’attuale debolezza di certi mistici asceti a evitarci roghi, pogrom e intifade. Infatti, dove gli oligofrenici, analfabeti e fanatici di qualche divinità o profeta possono far danno, lo fanno. Storia di questi giorni. Ecco allora che questa informatizzazione di festività, liturgie e pulsioni religiose potrebbe avere i suoi vantaggi. Ad esempio, ci sarebbero delle App con kit “Pro”, per gli utenti particolarmente versati in integralismi, messianismi, soterismi, bioeticismi e via dicendo. I terroristi islamici si dedicherebbero agli attentati virtuali davanti alla consolle, meritandosi paradisi e vergini in casa loro. Lo stesso i terroristi induisti e tutti gli altri sbarellati religiosi. Il trasferimento nel mondo degli ologrammi gioverebbe anche a molti cristiani. Gli ortodossi potrebbero sbizzarrirsi in cerimonie, paramenti, addobbi e riti sontuosissimi, noiosissimi e interminabilissimi, senza mandare in letargo mezza Europa. Certi protestanti apocalittici, visto che il mondo reale è per loro catastrofico, potrebbero coltivare i loro revival alla Parsifal e le loro sindromi schifamondo attaccandosi al joystick. E noi cattolici? Continueremmo a peccare, pentirci e campare in santa pace.
Insomma, tutti contenti.
Sempre brillante Pietro. In premessa quella dell’uomo del 3000 è una mia espressione simbolica che manda in visibilio Piero Carelli, con la quale intendo semplicemente un futuro ineluttabile ma insondabile. Vedo che il tema si sta spostando dal Natale alla religiosità, considerato anche il commento di Graziano Calzi. Non ipotizzo che il mondo futuro abbia la stessa fame i quello passato di trascendente, anzi, si sforzerà con l’aiutino della mediazione informatica di sondarlo, con esperienze individuali e raccolta dati suggestivi, quali possano essere state del resto le visioni di gruppo del passato, non tanto lontano, quando esempi anche non religiosi di suggestioni collettive ci sono stati sino a decenni fa. La convinzione che l’uomo non può vivere, in senso individuale ma tanto più come gruppo, senza fede sarà posta al vaglio dei fatti. Personalmente, convinto che per poter scegliere si debba almeno poter sfogliare un catalogo, mi son posto il problema per i miei nipoti, che non hanno esempi intorno di praticanti. Anche l’ora di religione, di cui ho chiesto al più grande, pare sia usata per argomenti neutri, naturistici, forse per paura di traumatizzare bambini impreparati, per rispetto a quanti non esonerati di fedi non cristiane, o semplicemente per disuso del tema originario. Ma ci stiamo allontanando da un tema che, se da una parte era una finestra sul futuro, nemmeno tanto lontano, intendeva avere comunque un sapore sì nostalgico, ma in fin dei conti giocoso.
Hey raga, come dice il nostro capo-redattore, avete già iniziato a scolarvi bottiglie di brut ma bon? Con tutti gli appuntamenti “mondani” di questi giorni, niente di più facile. Cosa vuol dire “il mondo del futuro non avrà la stessa fame di trascendente di quello del passato”? Ne avrà di più. Con quali mezzi contiamo di poter cogliere la molteplicità del mondo, adesso che i nostri sensi non sono più adeguati a vederne e udirne i differenti aspetti, neppure se andassimo a sbatterci il naso contro? Pensiamo di andare avanti a spiegare la realtà all’interno del nostro (limitato) universo concettuale?
Il mondo a più dimensioni, oggi confermato anche dalla fisica quantistica, ci risulta totalmente estraneo perché non siamo più in grado di usare il ragionamento analogico, che pure esiste e fa parte della nostra natura. Attualmente noi non siamo capaci di unire fenomeni estremamente diversi che per logica non si possono imparentare tra di loro ma che, analogicamente, sono affini in quanto compresi in una medesima funzione universale. E illudersi che le macchine da noi progettate possano farlo al posto nostro è pura follia. Per noi «lo spazio» è quello a tre dimensioni: altezza, larghezza e profondità. Peccato che la questione non sia così semplice. Stentiamo a capire uno spazio a molte dimensioni in cui, appunto, non vi è alcuno «spazio». Già arranchiamo davanti alla quarta dimensione, il «tempo», perché siamo costretti ad ammettere che lo spazio si può deformare in maniera tale da cambiare completamente aspetto, figurarsi se le dimensioni diventano otto o dodici. E’ tutta questione di «percezione», di «coscienza». Il fatto riguarda da vicino il nostro grado di «maturità» dello Spirito, e dunque la trascendenza in futuro (anche per dare un senso alle nostre macchine) ci servirà eccome.
Le religioni, ovviamente, sono una faccenda completamente diversa.
Nel confermarti, Rita, la mia piena sobrietà cognitiva e argomentativa (che penso di poter estendere all’amico Adriano), mi permetto di dubitare cortesemente della fondatezza della tua affermazione circa le bulimie trascendentaliste dell’umanità futura.
Chiarisco subito che nutro qualche dubbio sugli scenari futuri transumanisti, algoritmistici, datisti e via dicendo, che oggi non sono più ristretto appannaggio di nicchia. Certo, devo ammettere che è soprattutto la “ridotta”, la “trincea”, il “vallo ultimo” della Coscienza a resistere, a non lasciarsi spiegare dalle neuroscienze, dalla biogenetica, delle forze che già stanno costruendo un futuro in cui l’Informazione, l’Intelligenza Artificiale interfacciata con l’Umana e altre aree e funzioni fisiologiche della nostra cognizione e volizione mettono in forse parecchi miti, riti e spartiti metafisici. Insomma, viva la Coscienza, altrimenti di questo passo, fra una trentina d’anni, mettiamo in soffitta parecchia roba, magari roba bella, ma resa suppellettile polverosa, a partire da ciò che tu nobilmente chiami Spirito. Speriamo che la Coscienza tenga duro con la Scienza. Se salta la Coscienza, si scopre la Scemenza.
Ciò posto, nutrendo quindi tutti i dubbi ancora possibili sul transumanesimo, sull’algoritmismo, sul datismo e sull’IA, ho ancora più dubbi su certe mistiche confezioni religiose, venate di reminiscenze vediche o arturiane o evoliane, di un futuro in cui, per spiegare quella che tu chiami “molteplicità” delle cose, dei fatti e del mondo, si dovrà ricorrere a un presunto sovramondo di non meglio identificata trascendenza rispetto all’essere del molteplice. Intanto, sappiamo che i trascendentisti sono come i rabbini, i socialisti e i commercialisti: se sono in quattro, riescono a dividersi in cinque opinioni diverse sulla Torah, sul sol dell’avvenire e sulle detrazioni fiscali. E poi, sul principio unificatore del molteplice, sarebbe un tornare indietro, dal logo al mito. Che facciamo, quando non comprendiamo i fenomeni torniamo a qualche noumeno celeste? Ci facciamo fare cipiromerlo persino da Talete?
Non è più probabile brecce fra le parti,
per l’aumentata comunicazione e consapevolezza?
Lei ha ragione, così dovrebbe essere, signor Calzi.
“Nessun uomo è un’isola” e già quarant’anni prima di questa affermazione di Donne, in un bellissimo libro, si invitava la religione a legare l’uomo all’uomo invece che a creare divisioni, a liberarsi della follia distruttrice dei fanatici intolleranti (allora contrapposti tra cattolici e protestanti, oggi varrebbe per i terroristi islamici, induisti e tutti gli altri), a favorire “azzioni morali de li uomini a riguardo de gli altri uomini”.
L’unica trascendenza che io vedo è quella di quelli che danno fuori da matto. Destinata ad aumentare se non nel moltiplicarsi di sette, vedi i Testimoni di Geova che ormai, pur essendo sempre esistiti, nelle città sono sempre più visibili. Se poi qualcuno è in grado di spiegarmi la differenza tra religioni e trascendenza ne sarei contento. Perchè visti i danni prodotti dalle prime mi chiedo cosa la seconda possa mai produrre di diverso. A meno che, come sempre accade, anche la seconda, si produca in dogmi e dogmatismi che potrebbero creare guai ben peggiori. La trascendenza non è di questo mondo. E’ una parola assolutamente vuota di senso e nessuna opera o azione umana l’ha mai testimoniata, anche qualora la si identificasse, se mai possibile, appunto nell’azione o opera più bella che l’uomo abbia mai creato. In principio fu l’uomo, non lo spirito. E di questo abbiamo preferito fare a meno, trascendendo appunto la sua stultifera essenza: l’unico campo d’azione.
In principio, Ivano, chissà quali bestie, uomini e dei ci saranno stati.
Per Giovanni, in principio era il Verbo.
Il bello di tutta la faccenda è che ognuno è libero di credere a ciò che vuole, anche sul nostro principio, anche sulla nostra fine. Forse in futuro non sarà così e questa libertà di narrazione verrà a mancare.
Lo Spirito tiene ancora duro, sulle barricate della Filosofia, della Coscienza, sotto i bombardamenti della Scienza. Io spero, dopo tanto affettuoso sodalizio, che non ci lasci pure lui.
Siamo una generazione fortunata. Forse l’ultima a poter ancora, meravigliosamente, “credere” in certe cose. La realtà è quella che è. Ma noi abbiamo ancora bellissime storie da raccontare, simboli, senso del sacro, persino a Natale.
Ecco, tornando al Natale e al post di Adriano, certo che possiamo vivere un buon Natale. La cosa essenziale è che ognuno abbia una propria foresta di Manziana, quel giorno, ancora da abitare. Certo, bisogna crederci. Si può fare. Se si ha una famiglia (non tutti l’hanno) riesce meglio.
Spiegare cos’è la trascendenza via blog è una bella sfida. Comunque, senza andare a scomodare i grandi pensatori per spiegare l’inspiegabile, basta guardarsi attorno: tutte le leggi fisiche generali, sia per gli enti animati che inanimati, rivelano in maniera inequivocabile un Logos superiore. I minerali dimostrano di crescere e svilupparsi sulla base di precise ed evidentissime direttrici matematiche e geometriche mentre ogni organismo vivente possiede una struttura biologica estremamente intelligente. Quando non è infettato dall’interferenza esiziale dell’attività industriale umana, l’ecosistema terrestre dimostra di essere costantemente in uno stato di equilibrio perfetto concepito da un’unica intelligenza onnisciente.
La tesi evoluzionista nega tutto ciò, affermando che l’intelligenza sarebbe il prodotto di un’evoluzione casuale degli organismi più complessi; ma è fin troppo evidente che: 1) la loro struttura non ha assolutamente nulla di casuale, risponde anzi a una logica rigorosa; 2) l’intelligenza in oggetto dovrebbe essere semmai un presupposto indispensabile del progetto genetico e non solo un suo esito finale. Se davvero è stata la presunta evoluzione a produrre la Coscienza e l’intelligenza, come mai tale importantissimo risultato evolutivo non implica anche la necessaria consapevolezza del processo e la cognizione precisa e permanente della sua struttura interna?
Se la materia contenesse già in sé stessa, intrinsecamente, l’intelligenza produttrice delle forme biologiche, allora noi dovremmo percepirla nel nostro intero corpo, in ogni suo atomo, invece per capirci qualcosa siamo costretti a «studiarla», come se fosse un oggetto estraneo. Dovendo ammettere, per giunta, essendo esseri pensanti, che l’intelligenza che l’ha prodotta non è la nostra bensì «una misteriosa entità esterna» che, comunque la si chiami – intelligenza indipendente, trascendente, divina, eccetera – risiede fuori dal mondo fisico in cui noi ci troviamo.
Grazie Pietro per l’immagine delle tante “bellissime storie da raccontare, simboli, senso del sacro” che ancora abbiamo. Sono convinta anch’io che “il racconto” alla fine ci salverà, principalmente perché raccontare è stare insieme.
Eppure la scienza sta sempre più tenacemente addentando la coscienza: le neuroscienze definendo sempre più precisamente le aree cerebrali interessate, le scienze di stampo informatico dando un senso a una coscenza extraindiviuale, condivisa con le figure rapportanti col reale, col grosso vantaggio che può essere tradotta in numeri. l’etologia ci insegna inoltre la grande importanza della fisicità: l’uomo, che ha trasferito l’organo di esplorazione fisica dalla lingua all’indice è agevolato nel concettualizzare l’io.
Personalmente ho la mia idea, intuitiva, ma basata sul fato che se certe specie sono divenute coscienti non può essere che per un motivo utilitaristico. Se si riflette sul “a che serve la coscienza” si arriva anche a definirla. E il film “Avatar” è abbastanza illuminante. Se poi guardiamo altre specie da quanto fanno possiamo dedure il loro grado di autocoscienza. Ad esempio animali quali le nostre cugine scimmie antropomorfe o i corvidi, i topi, essendo stati osservaqti nella costruzione e-o utilizzo di atrezzi devono avere un’autocoscienza, perché non puoi inventare qualcosa se non immginando un te stesso che ne fa uso. Noi ce ne serviamo solo più sofisticatamente, per questioni non solo di progettazione futura ma anche etiche, ad esempio: il porsi nei panni, immaginarsi mentre: travaso di coscienza interspazio/temporale.
Il film “Avatar” spiega anche da dove vengono Coscienza e intelligenza animale e vegetale? Perché in questo caso saremmo a posto; si potrebbero risparmiare un sacco di soldi in ricerca e sperimentazione, affidando direttamente l’incarico a Hollywood. Un futuro redditizio (per loro) in pixel ci attende.
Anche ammettendo “il motivo utilitaristico” dell’intero ambaradam, a chi, a cosa, tutto questo sarebbe “utile”? Al povero, piccolo uomo, che sulla Terra è nient’altro che una cacata di mosca? A chi altro? A cos’altro? Se continuiamo a usare il metro antropocentrico nei nostri cosiddetti ragionamenti, rimarremo fermi al palo per i prossimi mille anni. Lontano dalle religioni, oggi il mistico è il fisico quantistico, costretto dall’evidenza ad accettare la presenza del trascendente e del mistero nella realtà che lo circonda.
Grazie, Adriano. Comprendo dunque che anche sul tema della coscienza si sta procedendo speditamente. Avevo letto qualcosa ma adesso approfondisco meglio. Avremo altre terre incognite da scoprire ma capisco che anche questo continente sta per uscire dalle brume sciamaniche. Avatar è un film ben confezionato e il concetto di appartenenza a una natura una e indivisibile è espresso in modo attraente, anche se mi pare che stiamo parlando, Adriano, di cose un po’ meno divulgative.
Cito Avatar per indicare, appunto, un avatar, e l’esempio mi è venuto lampante. La coscienza non è il frutto di una certa quantità di inteligenza (poi potremo definire anche quella, e lì ne escono riscattati i nostri giovani). Dicevo, la coscienza richiede un minimo di complessità che esca fuori dal semplice arco riflesso azione-reazione tropismo chimico positivo-negativo, ma è mia convinzione che si sia strutturata data l’utilità di “immaginare i un sé in un dove e quando ipotetico”, un training che serve a immaginare di usare un randello come arma come un coccio di vetro come telescopio; cose non casuali, ma che partono da un’ipotesi e una conoscienza. Dice Rita “metro antropocentrico”. No, ho citato il corvo, e non è per niente antropos, e inoltre fa parte del mondo aviario, cui non abbiamo mai attribuito gande intelligenza, e questo è il punto: ha IDEAZIONE, cioè intercvonnessione e simulazione. E così, dovendo estrarre cibo da una scatola 4 corvi su 10 hanno usato un bastoncino, e quando son stati loro forniti bastoncini troppo corti alcuni hanno imparato a praticare la prolunga giuntandoli, uno sino a 4 elementi. Einstein stesso usava la fantasia, e ha categoricamente affermato il primato di tale dote su tutte le capacità intelettive. Il passaggio successivo, etologicamente, è stato portare la coscienza dalla soluzione di un problema “esterno” all’introspezione. E quando parlo di rapporto, più che di protagonisti, intendo proprio questo: capacità di rapportarsi nello spazio e nel tempo ad altro. Le emergenti valutazioni di intelligenza, di coscienza, di fisica quantistica, parlano di rapporti, non di cose o identità. Non voglio dire che questa è la chiave per sondare il paradiso, ma questa chiave interpretativa ci porterà a fare nuovi paragoni, a farci sembrare certe affermazioni delle scienze e della prospettiva del nostro ruolo vitale meno aliene. Il processo è ineluttabile, se non si fermerà per ingordigia e stupidità umana, e se si fermerà ripartirà. Ecco dove attendo al nastro di partenza i più giovani, e mi sento così meno inutile per aver almeno potuto allacciare loro le scarpe da corsa. E visto che il tema originario è stato travalicato, mi arrendo al “cazzeggio di qualità”: ecco un esempio di libera associazione ideativa, in questa etichetta, onore al nostro Franco!