Un incubo
Mi permetto, amici, sempre in un’ottica costruttiva, di suggerire un’idea (grezza, tutta da sviluppare).
La tragedia del ponte di Genova ci ha fatto scoprire tutta la nostra vulnerabilità: tutti avremmo potuto essere là, sul quel ponte, in quell’ora fatidica. Tutti, italiani, europei… E tutti, d’ora in poi, avvertiremo un brivido sulla schiena ogniqualvolta attraverseremo un qualsiasi ponte (perfino nella stessa Germania dove si stanno interrogando come noi). Un incubo che ci perseguiterà e da cui potremo liberarci solo a una condizione: se tutti i Paesi europei avranno la piena consapevolezza del “bisogno di sicurezza” dei cittadini e sapranno, di conseguenza, promuovere un Piano straordinario di investimenti pubblici tesi non soltanto a ricostruire i ponti giunti ormai alla fine della vita (solo in Italia sono decine di migliaia i ponti costruiti negli anni Cinquanta e Sessanta), ma anche a mettere in sicurezza strade, scuole (anche le chiese!).
Un diritto primario
Il diritto alla sicurezza è un diritto primario che può essere garantito, in questi ed altri casi, solo dall’Europa (non vi è nessuno Stato che, data l’imponenza degli investimenti necessari, è in grado di farcela da solo).
Se così sarà, realizzeremo insieme un vero e proprio miracolo: la “quadratura del cerchio” capace di risolvere non pochi problemi.
Oltre a rispondere a un sacrosanto bisogno di sicurezza,
- creeremo centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro, il che darà uno nuovo slancio a un’economia, quella europea, che da troppi anni (a parte vistose eccezioni) langue,
- daremo il via a un circolo virtuoso: più occupazione, più reddito, più consumi (con conseguente più occupazione), più entrate per gli Stati (risorse che potranno essere messe a disposizione, magari, anche per realizzare in Italia il reddito di cittadinanza e la dual tax)…,
- potremo, viste la difficoltà e l’onerosità dei rimpatri degli immigrati irregolari, offrire a quelli disponibili – naturalmente se (e solo se) non tutti i posti di lavoro non fossero coperti da italiani – un’occupazione in questi lavori pubblici,
- con le nostre infrastrutture così disastrate e con un debito pubblico così soffocante, saremo noi italiani a guadagnare di più da tale Piano,
- lavorando insieme, potremo magari riscoprire l’urgenza di un’Europa più integrata e più forte.
I 43 morti di Genova ci indicano la strada da percorrere.
Non possiamo permetterci di perdere questa preziosa opportunità.
Commenti
Non ho dubbi: senza un Piano europeo, faremo tanti annunci, lanceremo tanti proclami e poi piangeremo ancora altri morti. Succede dopo ogni tragedia, dopo ogni terremoto.
Le ragioni (credo) sono due: gli investimenti pubblici che lasciano il segno sul medio-lungo termine non creano voti; in secondo luogo, gli investimenti richiesti sono onerosi e noi, col nostro debito che abbiamo, con lo spread che cresce e ci costa miliardi di euro (ma nessuno o quasi ne parla), non abbiamo risorse sufficienti.
Che i morti di Genova ci scuotano!
Approfondisco.
Magari, la Commissione europea potrebbe concederci un po’ di flessibilità in più per le opere pubbliche (lo stesso Giorgetti ieri ha sottolineato come dovremo negoziare questa flessibilità con l’Unione europea), ma non dimentichiamo che i mercati sono sempre pronti a colpire o, meglio ancora, a perdere ulteriormente fiducia nello Stato italiano: se in questi ultimi mesi sono scappati più creditori esteri che nell’anno fatidico del 2011, vuol dire che l’affidabilità del nostro debito pubblico sta crollando (e fa bene il ministro dell’economia Tria a voler accelerare il Def per rassicurare i mercati).
….certo Piero, avevo detto anch’io cose in sintonia in un mio commento del 29.8, su “Ma da cosa nasce la democrazia?”, sottolineando peraltro in quella sede, con riferimento al Progetto di Piano, anche “……un’ottica progettuale complessiva, di “rammendo” del tessuto stracciato di un quartire chiave di Genova, caricando il progetto anche di un significante valoriale troppo spesso estraneo al mondo della politica……”
E’ un’occasione che “mette alla prova” la reale volontà di cambiamento, da centrare sul “fare bene” per il Paese prima che per ogni altro “particulare”!!!!
La mia idea si basa su un presupposto: che il problema di mettere in sicurezza, ponti, viadotti, strade, scuole, chiese… sia comune a tutti i Paesi europei perché lo sviluppo (il miracolo economico e quindi anche le infrastrutture connesse) si è verificato più o meno nello stesso periodo.
Non è escluso, comunque, che vi siano differenze perché qualche Paese ha avuto l’avvedutezza (non pensando ai voti immediati) di investire nella manutenzione ordinaria e straordinaria (o direttamente o tramite le concessionarie).
Se così fosse, sarebbe necessario, dopo un adeguato monitoraggio (i sindaci italiani l’hanno fatto in questi giorni e hanno consegnato i risultati entro ieri, il giorno ultimo della consegna), ripartire gli oneri a seconda del “bisogno”.
Di sicuro, comunque, noi italiani avremmo tutto da guadagnare perché non solo (forse) abbiamo le infrastrutture più disastrate, ma anche perché siamo più… impotenti di altri Partner, soffocati come siamo dai quasi cento miliardi di interessi sul debito stesso.
dopo autostrade e Trenord adesso parte una cordata per la statyalizzazione di Tirenia (traghetti per la Sardegna, fra l’altro). La via non è percorribile, ma il sistema el genarl contrattor nel mio ramo ha dato sempre pessimi risultati 8radoppio di spesa). questo in sanità balza all’occhio perché c’è il regime i urgenza e il fiato sul collo del magistrato. mai visti contratti di gestione così sciatti come nella cosa di utilità comune. Investire e controllare con pene severissime e decadenza dei contratti, pr direttissima!
Altro problema che rischia di minare la resiua democrazia, nel senso di “era urgente l’uomo forte…” Confuso forse ma spero abbiate capito il parallelo con un mondo ristretto ma che ho vissuto “fino all’osso”.
E scusate gli orrori errori.
Più che un’opportunità, quella del ponte Morandi è un cappio al collo. Oltre a una concessione che dura fino al 2042, ideata e poi rinnovata per periodi sempre più lunghi dai governi di centro-sinistra, ci sono i vincoli europei che tanti soloni in questi giorni hanno negato, forse in malafede, ovvero i vincoli esterni che una classe dirigente liberale ci ha imposto per attuare la sua rivoluzione silenziosa. Lo Stato italiano non può spendere perché deve rispettare il percorso verso il pareggio di bilancio, e se lo facesse dovrebbe pagare sempre maggiori interessi sul debito dato che la Bce, non garantendolo, lascerebbe campo libero ai cosiddetti mercati. È il vincolo europeista che impone allo Stato italiano la strada impervia della trattativa o quella lunga e incerta della revoca. Se fossimo stati uno stato sovrano il problema era bell’e che risolto: nazionalizzare, che fino a prova contraria è una scelta politica. Ma sovrani non siamo.
Quanto al “lavorare tutti insieme”, mah!, s’è vista la collaborazione nello sbarco dei clandestini, o anche semplicemente nell’ora solare o legale, dove non si riesce a trovare un comune accordo. Più facile, secondo me, che i Cinesi comprino il nostro debito pubblico e pensino loro a rifare ponti e strade.
Piero, quello che tu invochi mi sa tanto di autarchia, relativa o assoluta che sia , nazionale o inter-nazionale, europea o inter-europea. Sei sicuro che funzioni? Non ti vengono in mente le autarchie del secolo scorso con tutte le connotazioni sovraniste o protezioniste qual dir si voglia? Già la battaglia del grano conteneva delle pecche, e comunque era un piccolo settore dell’economia, magari dato dall’urgenza, dalla necessità. E un poco è come se in una famiglia girassero sempre gli stessi soldi scambiati vicendevolmente. Ed è anche un poco come nella barzelletta yiddish che racconta di due amici che si vendono vicendevolmente un dipinto, illudendosi volta per volta di guadagnarci, finchè il più furbo dei due capisce che per dare impulso alla propria, di economia, deve vendere a terzo. Per sentirsi rimproverare dall’altro che gli dice: che stupido che sei stato, stavamo guadagnando così bene noi due.
La mia idea, Ivano, è molto semplice ed è troppo… banale per essere originale (di originale, credo, sono i vantaggi straordinari che avremmo tutti nel caso fosse realizzata):
– è urgente, dopo la tragedia di Genova, effettuare massicci investimenti pubblici per “mettere in sicurezza” le nostre infrastrutture;
– si tratta di urgenza che immagino sia avvertita (da quello che ho letto) anche dagli altri partner europei;
– da soli (questa sarebbe il sogno autarchico) non ce la facciamo per le ragioni analizzate;
– di conseguenza, l’unico modo per realizzare tali investimenti è quello di “metterci insieme” per rispondere a un “bisogno di sicurezza comune” (comune sarebbe pure se il problema fosse solo italiano: ormai tutti gli europei circolano ovunque);
– in altre parole, “riscoprire” le ragioni profonde per cui noi europei abbiamo intrapreso l’avventura di una “casa comune” (pare un unicum nella storia): “insieme” possiamo “fare” molto di più di quanto siamo in grado di fare “da soli”.
Tutto qui, Ivano: un’idea semplice, banale (anche se immagino sia difficile, con le tensioni che attraversano oggi l’Europa, da concretizzare).
Auspichiamo tutti, Rita, che i cinesi si lascino conquistare dal nostro ministro dell’economia Tria, arrivino ad acquistare massicciamente i nostri titoli pubblici (che almeno riescano a rimpiazzare i tanti investitori fuggiti stranieri fuggiti in questi mesi).
I cinesi, poi, sarebbero… maestri nel costruire infrastrutture pubbliche: lo stanno dimostrando ovunque (non solo in Africa), ma i cinesi farebbero lavorare i loro connazionali (così, almeno, si comportano in Africa), non noi europei.
So bene, Rita, che, qualora l’idea fosse condivisa e fosse condivisa, di conseguenza, la volontà di rispondere a “un forte bisogno collettivo di sicurezza”, la strada sarebbe in salita.
Ma non vedo un’altra strada: da soli, anche se un domani dovessimo uscire dall’euro, non siamo in grado di farcela perché a maggiore ragione da soli saremmo messi in ginocchio dai mercati senza più l’ombrello aperto per lunghi mesi dal governatore della Bce che ha acquistato titoli di Stato italiani, calmierando il prezzo).
Una consapevolezza che avverto anche nella Lega al governo (nonostante le veementi polemiche).
L’autarchia (che mi risulta non vuole nessuno dei governanti) non risolve nulla, ma semmai, aggrava i problemi in un mondo che, volere o no, è profondamente interconnesso.
Certo, ci sarà il problema di reperire le risorse e le modalità di reperimento.
Da anni, a cominciare dal nostro Tremonti, si parla dell’idea di introdurre gli eurobond, titoli pubblici cioè “europei”: non sarebbe il momento di rilanciarla?
Se non ora, che non solo la “casa comune” brucia, ma… bruciano anche i nostri ponti…, quando?
Ho volutamente omesso, Adriano, il problema nazionalizzazione sì o no perché il dibattito attuale è oggettivamente influenzato (anche emotivamente) dal “caso Autostrade”.
Si tratta di vedere nel tempo, i vantaggi e gli svantaggi delle due scelte (che a mio avviso non dovrebbero essere di carattere “ideologico”), uno studio che sarebbe lontanissimo dalle mie e dalle nostre competenze (anche se tu, a livello professionale, hai avuto a che vedere sia col pubblico che col privato e forse hai qualche esperienza in più di me).
….ritornare in possesso dei “gioielli di famiglia”, fonti di quel reddito che solo ci consentirebbe di cominciare a riempure la voragine del debito pubblico, fonte dei nostri guai.
E’ l'”uovo di colombo”, solo che si possa disporre di un apparato che nel tempo i partiti hanno sapientemente demolito, e di un Governo che si muova con unità di intenti!
Ho detto ,,,,niente, lo so bene, però per lo meno, proviamoci!
Avremo un progetto per cui ….vale la pena!
Un progetto, Francesco, che risponde a un bisogno collettivo di sicurezza, a uno di quei bisogni fondamentali insoddisfatti che stanno creando un diffuso malessere.
Spetta al governo (unitario!) prendere l’iniziativa di portare a Bruxelles lo “spirito di Genova”, lo spirito della “ricostruzione”, la volontà di mettere in sicurezza le nostre vie di comunicazione, le nostre scuole, le nostre case…
Uno spirito “costruttivo” (dopo tante polemiche) e, nello stesso tempo, uno spirito “unitario” (giusto quello di Genova).
E’ solo “insieme” che possiamo far ripartire questa Europa e indirizzarla verso le finalità per cui l’abbiamo costruita con fatica: risolvere insieme problemi che da soli non siamo in grado di risolvere.
Dico di più: non spetta solo al “governo” italiano farsi promotore di detto Piano straordinario, ma spetta all’Italia, governo e opposizione “insieme”.
Lo spirito di Genova dovrebbe diventare anche lo spirito dell’Italia: non solo basta con le polemiche con l’Europa (l’Europa… siamo noi, con i nostri governi legittimati dalla volontà popolare e/o dal consenso parlamentare), ma basta anche con le lacerazioni interne, almeno sui grandi temi (nel caso specifico la sicurezza) che rappresentano bisogni di tutti.
…..sottoscrivo, “padron Piero”!
totocorde (che al ga entra mia col fubal neh!)
Costruire/ricostruire i ponti e… costruire/ricostruire uno spirito unitario in Europa a partire, appunto, da ciò (dal molto) che ci accomuna, non da ciò che ci divide.
Che i morti di Genova siano l’occasione per una… rinascita dell’Europa.
I cittadini europei, oltre ad avere un forte bisogno di sicurezza, hanno un forte bisogno di nuovi posti di lavoro.
Ora, i massicci investimenti pubblici in questione darebbero il via all’apertura di una molteplicità di cantieri e quindi di crescita dell’occupazione.
Svolgerebbero il ruolo di volano della ripresa (non siamo ancora usciti del tutto dalla Grande recessione che ha avuto inizio dieci anni fa), creando anche un nuovo clima di fiducia nel futuro.
Si parla tanto, e giustamente, del bisogno diffuso di “protezione sociale”: il Piano straordinario offrirebbe qualcosa di più (e di più… dignitoso) di una mera assistenza, perché offrirebbe lavoro, cioè la fonte del reddito.
Leggo su La Stampa che è salito il numero dei comuni (siamo al 91%) a rischio di frane: una ragione in più per attivare un grande Piano di investimenti pubblici.
Sarà anche una cartina di tornasole: verificheremo quanti europei doc saranno disponibili a occupare i nuovi posti di lavoro (io spero tanti, considerato che le statistiche ci dicono che sono ancora numerosissimi i disoccupati).
La Politica, quella alta, quella che si carica della responsabilità di prendere misure strutturali e durature, deve volare alto, oltre il proprio “particulare”, oltre gli immediati interessi elettorali.
La tragedia di Genova è una “tragedia nazionale”, una “tragedia europea” e rappresenta un campanello di allarme per tutti: ci dice che è il momento di “mettere in sicurezza” ciò che oggi non è sicuro, cioè la nostra stessa vita.
Dovrebbe quindi accomunare tutti, sia chi governa sia chi è all’opposizione.
Anche questa è la Politica alta: mettersi attorno a un tavolo e lavorare insieme per lo stesso obiettivo.
Ma questa non è la politica che vedo: gli uni contro gli altri, gli uni che si vendicano degli altri, tutti alla forsennata ricerca di una fetta crescente di elettorato (o di recupero dell’elettorato perso).
E’ questa Politica?
Cito spesso la formula di Paolo VI (ripresa da altri), cioè che “la politica è la forma più alta di carità”. Già, lavorare per l’interesse della comunità, lavorare per la sicurezza dei cittadini (in tutti i sensi: qui parliamo di infrastrutture, ma possiamo allargare il discorso a ogni forma di illegalità, alla delinquenza…), lavorare per tutelare le vittime della globalizzazione (una globalizzazione non governata e, quindi, supina nei confronti dei potentati economici) non è la più alta forma di carità?
Ma… non vedo nessun sussulto né in Italia né in Europa.
Nessun colpo d’ala:
Nessuna consapevolezza che la “casa comune” sta bruciando (anzi, pare proprio che vi sia chi è contento che bruci ancora di più per un guadagno elettorale immediato) e che quindi “tutti” dobbiamo rimboccarci le maniche.
Un incendio che possiamo spegnere se cominciamo da quello che accomuna tutti, se proviamo noi italiani a fare dei passi con un approccio “costruttivo”.
E’ questa, a mio avviso, la grande lezione di Genova.
Una lezione, come tante altre, che lasceremo… cadere nel vento.
Meno male Piero che sei passato dal “bisogna governare i fenomeni” alla “globalizzazione non governata”. Benvenuto fra noi.
Lo sto dicendo da anni che sia la globalizzazione che l’introduzione di tecnologie digitali (Intelligenza Artificiale, automazione) sono due grandi fenomeni globali che, proprio perché non sono stati governati, stanno provocando tanto e diffuso malessere (non solo in Europa).
Occorre che la Politica (quella, appunto che io scrivo con l’iniziale maiuscola) si assuma il ruolo suo proprio che è quello di rappresentare l’interesse “generale”, cioè di imporre il Primato della Politica sulla economia, in altre parole di interpretare le giuste aspirazioni delle vittime, degli esclusi, dei paria di un sistema che ha accresciuto la ricchezza dei ricchi e la povertà dei poveri.
Non a caso ho parlato qui sopra di due bisogni fondamentali a cui deve rispondere l’Europa: il bisogno di sicurezza (ho dedicato il post a questo, o meglio a un certo tipo di sicurezza) e il bisogno di “protezione sociale”, il bisogno cioè di tutela dei “diritti sociali” (dopo la sbornia dei “diritti individuali”), o più precisamente di “ripristino” – dopo il vento del neo-liberismo, dei diritti sociali “perduti”.
Piero, sembra la “Bella Addormentata nel Bosco”. Una favola. Ha senso continuare a parlare di cose che non esistono, tipo “Europa”, “politica bella”, “interesse generale”? O stai facendo degli esorcismi e speri che a furia di ripetere ad alta voce un sogno prima o poi questo si realizzerà? Alla droga dei diritti civili spacciati in cambio dei diritti sociali molti mesi fa avevo dedicato un post, ma non ricordo grandi consensi. Comunque, meglio tardi che mai.
Piero, siamo realisti. I diritti individuali non sono costati niente, i diritti sociali in periodi di vacche magre mettono a dura prova i governi. I precedenti lo sapevano bene, operando con cautela e pragmatismo. E quello che sta succedendo nell’attuale, e la difficoltà a trovare la quadra, per richiamare il titolo del tuo post, è la dimostrazione che i miracoli non li fa nessuno. Quello che dovrebbe essere sacrosanto, vivere con dignità, non lavorare più se si è vecchi o migliore equità fiscale, che non è la flat tax, si scontrano inevitabilmente con le diverse opinioni in campo, non solo ideologiche, ma soprattutto economiche. Se poi questo governo realizzasse anche solo un poco di quello promesso saremmo tutti onesti da riconoscergli il merito, ma non a costo di compromettere il futuro. Non siamo solo qui è ora. E di visione futura io non ne vedo. Non è quindi questione di contrapporre diritti individuali e diritti sociali perché questo rispolvererebbe vecchie categorie superate dai tempi, anche se lo scenario, magari minoritario, ha già mostrato le prime avvisaglie.
Non si tratta, amici, di cancellare i diritti individuali per sostituirli con i diritti sociali, ma di concentrare tutti gli sforzi versi quei diritti sociali (quelle tutele) che un po’ ovunque la globalizzazione non governata ha fortemente ridimensionato.
So ben, Ivano, che i singoli Stati non ce la fanno, tanto meno l’Italia che continua a pagare una “tassa” elevatissima a causa della sfiducia dei mercati (e non si tratta solo di investitori stranieri, ma soprattutto di investitori italiani che non sono tutti speculatori, ma che hanno affidato a dei fondi la gestione dei loro risparmi).
Ecco perché, l’Italia ancor più che gli altri partner europei, “bisogno di un’Europa più integrata e più forte”.
Più integrata per affrontare la questione migranti (sono i nostri attuali governanti che avvertono più che mai questo bisogno, ma siamo tutti noi italiani, nessuno escluso, che ne avvertiamo il bisogno – e non solo per ridistribuire i richiedenti asilo -).
Più integrata e più forte per rispondere al bisogno di sicurezza dei cittadini: ecco il piano straordinario di messa in sicurezza delle infrastrutture, l’oggetto del presente post.
Più integrata e più forte per rispondere al “bisogno di protezione sociale” (nessun Paese può farcela e questo vale anche per la promessa del reddito di cittadinanza).
Più integrata e più forte ora per fronteggiare l’ennesima crisi della Libia che rischia di travolgerci (dopo l’irresponsabile decisione di Francia e Gran Bretagna di bombardare la Libia nel 2011)…
Io continuo a sperare che proprio ora che stiamo precipitando, tutti avvertano il bisogno di mettersi al lavoro, fianco a fianco, intorno a un tavolo, con un atteggiamento “costruttivo”.
L’Europa, al di là della retorica di chi l’accusa ma anche di chi la esalta,… siamo noi, noi partner: che si rafforzi e risolva gli urgenti problemi “comuni”, dipende esclusivamente da noi.
Provando a guardare oltre le elezioni europee del 2019!
Vallo a dire a Macron e Merkel, che l’Italia ha bisogno di un’Europa (?) più integrata e più forte.
Io, no capire.
Essere transalpino.
La mia sensazione, Rita (ed è la cosa più bella che ho scoperto in questi ultimi mesi) è che sono proprio i cosiddetti “sovranisti” a scoprire il ruolo centrale dell’Europa e quindi l’urgenza di rafforzarne l’integrazione se vogliamo risolvere i “nostri” comuni problemi.
Piero, di quale Europa parli? Di quella di Bruxelles o di Visegrad? Mi cito: europeisti nel chiedere e sovranisti nel dare.
Un’ Europa amichevolmente unita sarebbe sostegno per tutto il mondo.
Amici Ivano e Graziano: l’Europa che tutti auspichiamo è un’Europa che dobbiamo “costruire” con pazienza, insieme, giorno per giorno, in silenzio, in ascolto delle ragioni degli altri (anche dei Paesi di Visegrad: vedo che anche in Svezia c’è un diffuso malessere sul tema migranti e i governi, piaccia o no, devono tenerne conto).
Un’Europa che possiamo costruire non sparando ogni giorno contro una fantomatica Europa (l’Europa siamo noi tutti, tanto più che le decisioni più importanti passano dal Consiglio europeo – cioè dai capi di governo legittimi di tutta Europa).
L’Europa è un “matrimonio di interessi” (non tanto di ideali): è facendo leva su questi “interessi” che dobbiamo ripartire, nella consapevolezza che tutti i grandi problemi che abbiamo (dai migranti alla Libia, dalla protezione sociale alla sicurezza fino alla… dignità del lavoro) possono essere risolti “insieme” (gli stessi Paesi di Visegrad lo sanno bene perché ricevono molto di più – in primis la Polonia – di quanto danno).
A leggere il Def (da quanto risulta dalla stampa) mi rafforza nella mia convinzione (che ora scopro essere di molti economisti) che la mia proposta lanciata con questo post sia davvero l’unica… quadratura del cerchio che consentirebbe anche di finanziare (non in deficit) le riforme promesse agli elettori.
La ricchezza va innanzitutto “creata”, se vogliamo poi “distribuirla” e la si crea con “investimenti produttivi” che “creano lavoro” e attivano un “circolo virtuoso”.
La strada aperta dal Def è tutta in salita: spread che schizza in alto (con costi crescenti a carico della collettività), tensioni con l’Unione europea (che chiede solo il rispetto di regole decise all’unanimità – regole che naturalmente possono essere cambiate, ma ci sarà sempre qualcuno che ne chiederà il rispetto -), rischi di far saltare la stessa Unione europea…
La strada degli investimenti produttivi (in perfetta sintonia con le regole europee), invece, darebbe avvio a una vera e propria inversione di tendenza e non preoccuperebbe i mercati: questi temono le “spese correnti”, non le spese in conto capitale che sono un investimento per il Paese creerebbe le condizioni per tagli alle imposte (perché vi saranno nuove entrate) e per la distribuzione della ricchezza prodotta a favore del cosiddetto reddito di cittadinanza (a maggior ragione perché per riconvertire i centri di impiego – leggo – ci vorranno degli anni e non qualche mese).
Rilancio perché rimango della mia idea: “Ed è anche un poco come nella barzelletta yiddish che racconta di due amici che si vendono vicendevolmente un dipinto, illudendosi volta per volta di guadagnarci, finchè il più furbo dei due capisce che per dare impulso alla propria, di economia, deve vendere a terzo. Per sentirsi rimproverare dall’altro che gli dice: che stupido che sei stato, stavamo guadagnando così bene noi due.” Piero, sei sicuro di quello che dici, cioè che le spese in conto capitale possano rilanciare l’economia? Proprio non riesco a capire. A me pare che i tempi migliori siano stati quelli dell’esportazione, non quelli del facciamo girare i soldi fra noi. Ci sono studi economici che supportano quello che dici?
Dicono i francesi che il volano dell’economia è l’edilizia: prova a immaginare quanto indotto mette in moto l’edilizia.
Lo stesso discorso vale (e immensamente di più – l’edilizia può trasformarsi anche in una bolla immobiliare come quella che ha travolto la Spagna qualche anno fa) per le infrastrutture.
Pensiamo all’urgenza di mettere in sicurezza ponti, scuole, case…
Pensiamo all’urgenza, per non perdere il treno delle innovazioni, delle infrastrutture alla base del digitale.
Si tratta di investimenti che darebbero una spinta enorme all’economia facendola “crescere” (è da almeno un ventennio che non cresce o cresce… zero virgola), creando opportunità di lavoro, producendo reddito che, a sua volta, produce domanda sul mercato che crea ulteriore occupazione (e il circolo gira… virtuosamente).
Si tratta, inoltre, di rispondere a un bisogno diffuso di “sicurezza” (uno dei bisogni primari a cui dovrebbe rispondere uno Stato).
Ma… potrai domandarmi: dove reperire le risorse per tali investimenti?
Non entro qui nel tema noto della spending revew (che produrrebbe risparmi considerevoli, ma in tempi non brevi). Dico solo che, quand’anche tali investimenti si facessero “in deficit”, vale a dire chiedendo soldi (prestiti) ai mercati, i mercati reagirebbero bene perché ciò che conta è la “aspettativa” che possono dare gli investimenti stessi (crescita, più occupazione….), come reagirebbe bene l’Unione europea che guarda con un occhio benevolo agli investimenti “produttivi” (mentre guarda con diffidenza le “spese correnti” come quelle che andrebbero al reddito di cittadinanza).
La “prova” della bontà di questa strada è stata data ieri sera dallo stesso Tria che che è rientrato in fretta a Roma dal Lussemburgo per completare il Def proprio sul lato degli “investimenti produttivi”.
E’ questa la scommessa del Def: credere in una “crescita” dell’economia (per questo Tria auspica una riduzione del debito di un punto percentuale nonostante il deficit del 2,4 (per tre anni consecutivi). Paolo Savona scommette in una crescita addirittura del 3%.
Solo che, dovendo rispondere alle promesse elettorali, la coperta rimane corta e quindi le risorse per investimenti si riducono a una manciata di miliardi ogni anno rispetto all’ingente mola in uscita (spese correnti).
Ho apprezzato la modifica del Def (il 2,4% solo per il 2019 e non per tre anni): si tratta di una decisione “realistica”, che tiene conto cioè delle aspettative e preoccupazione di chi presta i soldi allo Stato (400 miliardi di euro ogni anno) e dei vincoli Ue (regole fissate all’unanimità).
La prova che il governo riesce ad andare oltre la “propaganda”.
Del resto è noto che l’unica opposizione al governo (quella politica non esiste) oggi è rappresentata dai mercati.
Poi, Ivano, il governo sta febbrilmente lavorando sia sul versante degli “investimenti produttivi” e, sull’altro, sulla spending revew.
Già, solo così potrebbe il Def potrebbe diventare più credibile.
La reazione di oggi dei mercati è la prova che questi non sono tout court… complottisti: è bastata una piccola retromarcia (il 2,4% solo per il 2019) che lo spread è sceso di una trentina di punti.
I mercati vivono di “fiducia”: è questa che va “conquistata” (uno non presta soldi se non ha fiducia che questi soldi gli vengano restituiti con l’interesse pattuito).
I due giovanotti al governo pare l’abbiano capito, come hanno capito che per rendere “credibile” il Def occorre operare sugli investimenti che sulla spesa corrente.
Allora Piero vuoi dire che stanno venendo meno al loro programma elettorale e al loro contratto di governo? Perché se così fosse avrebbero tradito i loro elettori, quelli che volevano tutto e subito. E allora cos’è quella sceneggiata dal balcone, almeno quella di Di Maio?Non credi? Perché allora vorrebbe dire che è vero lo slogan vincente delle manifestazioni di sabato che titolava che “abbiamo paura dei balconi non dei barconi”! E dello stallo del ponte di Genova cosa dici? Perché va bene essere indulgenti, ma quando è troppo e troppo.
I due leader lo sanno che non possono mantenere le promesse “tutte e subito”: realisticamente, le spalmeranno nell’arco della legislatura.
Oggi leggevo un commentatore che sosteneva la tesi che Di Maio e Salvini hanno scritto il Def con il cinico intento di farlo bocciare dall’Ue: solo così faranno alle elezioni europee il pieno di voti.
Io non ci voglio credere, anche perché il governo non è solo formato dai due, ma anche da uomini con i piedi per terra.
Sul nuovo commissario, mi pare una buona soluzione: un ex manager, un sindaco che conosce bene la situazione e può coordinare tutte le attività (e non solo la ricostruzione del ponte).
Forse anche certi commentatori dovrebbero bere di meno.
La reazione spropositata dell’apparato burocratico e mediatico che fanno da cani da guardia ai mercati, se non altro, ha fatto capire alla massa in quale bozzolo l’aveva rinchiusa la cultura elitaria ed arrogante degli ultimi decenni. Chissà che non si sveglino anche la ex-sinistra, che continua ad inseguire i miti della globalizzazione e sta con i forti, e la ex-destra, che sperava nell’immortalità del neoliberismo sfrenato. Non tutto il male viene per nuocere, dopotutto.
Non tendo, per habitus mentale, a generalizzare.
Non so se il commentatore che ho citato senza nominarlo (è Aldo Cazzullo) sia di sinistra o di destra: so che non ha peli sulla lingua nei confronti di nessuno.
E non mi interessa neppure conoscere il pedigree di ciascuno: vi sono leghisti che ieri erano barricaderi di sinistra (della sinistra).
Sinistra e destra sono dei… mare magnum in cui si trovano le posizioni più differenti.
Stiglitz, ad esempio, il premio Nobel conosciuto come un… liberal (di sinistra), è sempre stato ferocemente critico nei confronti della globalizzazione selvaggia
E’ ininfluente che Cazzullo sia di destra o di sinistra, di sbieco o di centro, categorie ormai vuote di significato, ho solo detto che forse anche lui (come tanti) dovrebbe contare fino a cento prima di esternare quello che gli passa per la mente. Ne abbiamo piene le scatole di quelli che al mattino svuotano le loro visioni notturne sulle pagine dei giornali. Anche basta.
A posteriori, con tutto quanto è accaduto (la tassa sullo spread – e sono miliardi di euro – che stiamo pagando, la fuga di capitali, la perdita del valore patrimoniale delle banche a causa sempre della svalutazione dei titoli di Stato in pancia alle banche stesse, la prospettiva quasi certa di una stretta creditizia a danno delle imprese e delle famiglie…), mi rendo sempre più conto che la mia modesta proposta che ho lanciato con questo post (proposta dettata dal buon senso e supportata da fior di economisti di ispirazione keynesiana) avrebbe evitato tutto questo e avrebbe innescato davvero un circolo virtuoso in grado di generare ricchezza – gli investimenti pubblici creano lavoro che a sua volta genera reddito che a sua volta alimenta la domanda…) – da distribuire poi per reddito di cittadinanza…
Del resto, dopo tutte le critiche che sono piovute, che cosa sta facendo in fretta e furia il governo? Altro non fa che andare alla ricerca di risorse da destinare agli investimenti, ma ormai sono rimaste solo le briciole.
Già, le briciole.
Tutto in nome della “manovra del popolo”, tutto in nome delle “promesse elettorali da mantenere” per non tradire il popolo.
Ma… con gli effetti che già ci sono, il governo non sta… tradendo il popolo?
Gli investimenti pubblici, Piero, non durano per sempre. Hanno un inizio e una fine la costruzione di una strada, di un ponte, di una galleria, di una linea ferroviaria, eccetera. A meno che, non si creino tante “Salerno-Reggio Calabria”. In questo caso, però, si parlerebbe di “lavori statali” e non credo che lo Stato possa mantenere tutti, altrimenti vien da chiedersi chi mantiene lo Stato. Come te non sono un’economista ma, a rigor di logica, non credo che questa possa essere la strada giusta da percorrere. Ci vuole una profonda “rivoluzione” dei paradigmi di riferimento, i vecchi modelli keynesiani sono stati ampiamente superati dalla realtà dei fatti.
E’ lo stesso governo giallo-verde che sta correndo ai ripari: il lavoro (e… il circolo virtuoso) si crea con gli investimenti (pubblici e privati) non solo nelle infrastrutture, ma anche in ricerca, in innovazione, in quella grande risorsa (è questo il “capitale” che conta davvero, tanto più nel nostro tempo) che è la scuola (dal nido all’università).
Non c’è bisogno di richiamarsi a Keynes: basta il buon senso, basta vedere il “bene” degli italiani (anche delle nuove generazioni), non gli interessi immediati del consenso elettorale.
Non sta assolutamente correndo ai ripari. Basta vedere a quali tagli si sta assistendo. Scuola, sanità, servizi, pur di ramazzare qualche spicciolo. Come col condono. Non sanno più cosa inventarsi per accontentare il loro elettorato, con discorsi autarchici di antica memoria. Sembra di essere negli anni trenta del secolo scorso. Quanto agli investimenti interni, infrastrutture ecc. non posso fare a meno di ricordare la barzelletta yiddish dei due ebrei che si vendono un quadro tra di loro credendo di guadagnarci. Sarò ripetitivo, anche con la barzelletta, ma la proposta di Piero servirebbe solo ad indebitarci ulteriormente, dando uno slancio all’economia senza nessuna prospettiva futura. Secondo me.
Il governo può parlare solo d’investimenti pubblici. Non potrà mai fare i conti su quelli privati, che dipendono da una miriade di fattori. Mi auguro che i giallo-verdi non ripetano gli stessi errori dei bianco-rosè, che per anni hanno privilegiato le grandi aziende e puntualmente queste hanno investito all’estero i loro guadagni. Dagli Agnelli ai Benetton, da Valentino a Pininfarina, da Lamborghini a Krizia e Ducati. Un elenco che non finisce più.
Per fare “ricerca e innovazione”, bisogna essere competitivi e, secondo me, non è in questo ambito che brilla l’Italia. Non che ci manchino i cervelli, quelli ci sono dappertutto, ma per smantellare le strutture burocratico-amministrative ci vorranno decenni se tutto va bene. L’unico futuro pensabile (e attuabile) in tempi brevi per l’aumento dei posti di lavoro nel nostro Paese è indissolubilmente legato a ciò che ci contraddistingue nel mondo: siamo tra i paesi più ricchi di biodiversità, siamo imbattibili nell’enogastronomia e siamo un museo a cielo aperto. Un museo di cui se ne sono sempre stra-fregati tutti quanti, a cominciare dai cittadini, che sotto questo aspetto non sono molto diversi dagli egiziani che si vendono i pezzi di piramidi. C’è tutta una cultura da rigenerare, e i nostri giovani smartphone dipendenti non fanno ben pensare.
Ivano fai l’elenco dei capitoli di spesa relativi a “scuola, sanità, servizi” che verrebbero decurtati, sennò qualcuno potrebbe pensare che si tratti di aria fritta.
Rita, se non tagliassero lì ce li dovrebbero mettere di tasca loro. Ma appena ritrovo l’elenco lo rendo noto. Grazie per il consiglio in odore di verità.
Cerca, cerca. Gli odori di verità non puzzano mai.
C’era, Rita, una promessa elettorale che avrebbe potuto creare le condizioni per investimenti privati: la flat tax (o la dual tax).
Ma… altre promesse hanno avuto la prevalenza (la platea dei pensionati e quella dei richiedenti il reddito di cittadinanza è maggiore in termini di consenso).
E’ qui il nodo di tutti i nodi: non il bene del Paese (investimenti pubblici col placet dell’Unione europea e investimenti privati facilitati da misure ad hoc – anche tramite la decontribuzione per le imprese che assumono -), ma il… consenso elettorale.
Questo il… peccato originario di tutta la manovra.
Una cosa credo sia chiara: l’Ue non boccia la legittima facoltà di un governo sovrano di mantenere le promesse elettorali, ma di mantenerle in deficit, ricorrendo ai mercati finanziari.
Tutto qui.
No Piero, la flat-tax era nel programma di Centrodestra, ma poi il Centrodestra non è andato al governo. Ci sono andati invece i giallo-verdi, nel cui contratto c’è uno sgravio fiscale graduale che andrà spalmato sul quinquennio, e difatti nel 2019 si partirà con partite Iva e piccole imprese, per poi andare avanti. Calma e sangue freddo, ci arriviamo.
La bocciatura di Bruxelles, comunque, ormai è chiaro a tutti, non ha nulla di economico: è esclusivamente politica. E’ arrivata addirittura prima della manovra! L’Italia ribelle non piace agli eurocrati, che sentono già la seggiola scricchiolare sotto il sedere. Tutto quello che viene dall’Italia non va bene, persino il 41bis applicato a un criminale mafioso come Provenzano che ne ha fatte peggio di Bertoldo. Siamo alle comiche finali. Loro, soprattutto, speriamo siano alle battute finali.
Che sciocchezza. Mettiamo pure insieme Visegrad, l’Austria, un po’ di Svezia, un po’ di Germania. E un po’ d’italia. Non tutta, sia chiaro ai nostri sovranisti. Difficilmente avrebbero i numeri per vincere e per ribaltare l’Europa. Basta fare pronostici di appartenenza. Nel senso che non basta proprio. Si facciano quattro conti, invece di sparare giudizi su cosa è economico o politico.
Un errore, Rita, che pagheremo tutti: l’unica misura che avrebbe potuto agevolare gli investimenti privati o, comunque, nuove assunzioni era proprio la flat tax (che era prevista dal contratto, tanto è vero che su questo fronte si sono già messe risorse, ma appena mezzo miliardo contro i 6-7 della quota 100 (un centinaio di miliardi di dieci anni) e altri 9 miliardi per il reddito di cittadinanza.
Si è rovesciato ogni logica: mezzo miliardo contro una quindicina di miliardi di “distribuzione del reddito”!
Ha vinto la demagogia.
Appunto il cosiddetto populismo.
E pagheranno le nuove generazioni.
Ma scusa, Piero, tu non era quello che fino a ieri additava la flat-tax come la rovina dell’Italia, dati alla mano (quelli di Cottarelli)? Adesso, invece, la invochi? Ho l’impressione che nella quadratura del cerchio ci sia qualcosa che non quadra.
Non ha vinto la demagogia, hanno vinto i giallo-verdi, ma sembra che qualcuno ancora non riesca a capacitarsene. Eppure aveva fatto tutto giusto ….
Mi sono limitato, Rita, a esprimere delle riserve (io per principio non condanno, ma voglio capire i pro e i contro di ogni proposta, a prescindere da dove venga) sulla prima versione, quella davvero piatta (non la dual successiva).
Proprio perché il mio atteggiamento mentale è sempre quello di capire, ho sottolineato che la stessa tassa “piatta” in realtà non andava contro il principio costituzionale della progressività perché di fatto, grazie alla esenzione di una fascia di reddito, un minimo di progressività non mancava (quella progressività senza la quale una legge non potrebbe essere considerata costituzionale).
Ho anche chiarito che una semplificazione fiscale è più che utile e, nello stesso tempo, ho sottolineato il fatto che nella formulazione originaria era lasciata invariata la pressione fiscale perché si trattava di un togliere a qualcuno (togliendo le detrazioni) per darlo ad altri.
Ho aggiunto poi che la flat tax (quella piatta) dove è stata applicata, a parte una eccezione (la Russia dove si era registrata una variazione del prezzo del petrolio), non ha dato i frutti positivi sull’economia.
Sono queste alcune osservazioni (vado a memoria).
Come vedi, non sono mai tranchant: di ogni proposta guardo i vantaggi e gli svantaggi.
Ciò che ho fatto anche a proposito della manovra (ma… non pretendo che tu legga tutti i miei… tentativi di analisi).
Ma quello che ho voluto sottolineare è che un alleggerimento fiscale (che entrava nella logica della flat tax) alle imprese che assumono personale non può che essere positivo: questo, è vero, non garantisce di per sé la creazione di posti di lavoro, ma può favorire tale creazione in un contesto di ripresa della domanda sul mercato
Della serie “io non condanno”:
“Ha vinto la demagogia.
Appunto il cosiddetto populismo.
E pagheranno le nuove generazioni.”
C’è un giudizio peggiore di questo, o è solo un’impressione? Sulla flat-tax non voglio infierire, chi ne ha voglia può andare a rileggersi i nostri confronti sull’argomento di qualche mese fa. Detto ciò, cambiare idea non è reato, basta ammetterlo.
Sono sempre, Rita, in atteggiamento di ricerca: non ho bandiere di partito (praticamente non le ho mai avute) – quelle che tu, invece, legittimamente sventoli in ogni commento.
Provo solo, con i miei mezzi (pochi) a disposizione, cerco di capire e, quando, ho la sensazione di avere capito qualcosa, mi pare più che sacrosanto il dovere di esprimere un giudizio pacato.
Una cosa è chiara: non mi interessano i partiti in sé, ma solo nella misura in cui “risolvono i problemi”. Ora, se dopo avere esaminato con attenzione (sempre con i miei modesti mezzi) il positivo e il negativo di una decisione politica (che venga da destra o da sinistra, o dall’estrema destra o dall’estrema sinistra o da chi non si professa né di destra né di sinistra) mi permetto di dare il mio… modesto giudizio che – sia chiaro – è sempre provvisorio perché le mie “verità” (opinioni) sono sempre oggetto di attenta e seria ricerca.
Ognuno nella vita sceglie di fare il suo mestiere.
Il mio è questo.
Ci provo almeno.
Piero le tue bandiere sono più che visibili, e di sicuro non sono la sola a vederle. Niente di male, ci mancherebbe, ognuno è libero di sposare le cause che meglio crede. Se a questo mondo la pensassimo tutti allo stesso modo, non ci sarebbe più niente da dire.
La pacatezza dei tuoi giudizi, invece, la vedi solo tu. Se uno si rivolge al governo dicendo “ha vinto la demagogia”, è chiaro che pensi a dei venditori di fumo che non realizzeranno mai nulla di buono nella vita. Se gli affibbia l’epiteto “populista” con un certo disprezzo e precisa di non amare “il popolo fatto carne”, si è già schierato dalla parte antipopolare. Se conclude catastroficamente con l’anatema “pagheranno le nuove generazioni”, significa che ha già letto la mano ai programmi di governo predicendo sventura. Non so, forse mi sbaglio, ma con un semplicissimo “questo governo mi fa schifo” si poteva fare a meno di tante inutili pseudo-previsioni corredate da numeri del lotto; che, tanto, del doman non c’è certezza, e non sa niente nessuno.
Personalmente non ho problemi a dire, ma già ho espresso la mia idea in altre occasioni, che secondo me i giallo-verdi sono la nostra ultima speranza, dopodiché l’Italia diventerà un grande supermercato dove chiunque può comprare qualsiasi cosa a prezzo di saldo (i pezzi migliori sono già stati svenduti) e di questo Paese e di questo popolo non rimarrà più nulla. Zero. Fine della storia. Non c’è pertanto da vergognarsi se uno per motivi affettivi è rimasto legato al Pd, o a Forza Italia. Sui sentimenti non si discute. Basta dirlo.
La cosa paradossale, Rita, è che con il mio ragionamento io ho sposato una tesi cara alla Lega: la priorità è alleggerire il fisco sulle imprese, creare ricchezza prima di pensare di distribuirla, fare investimenti in infrastrutture (non a caso la Lega oggi esulta dopo la scelta di Conte di proseguire con il Tap!).
Investimenti pubblici e sgravi fiscali e contributivi per chi investe erano la ricetta della Lega e dei Cinque Stelle contro la mancia degli ottanta euro di Renzi.
Ora, lo scrivo io e sono legato affettivamente a partiti spazzati via dall’onda popolare: una logica, Rita, che non capisco, tanto più che sono gli stessi due leader della Lega e dei Cinque stelle che sostengono ancora oggi la bontà della ricetta degli investimenti e degli sgravi fiscali.
Ho paura (come ho sempre avuto paura) di chi si presenta come… ami du peuple, pardon come l’incarnazione della Volontà Popolare, come… il Popolo fatto carne (Rousseau, Robespierre, Saint-Juste…). Ed ecco la tua logica: io sarei antipopolare! Io che dico che occorre privilegiare gli investimenti pubblici che creano ricchezza e posti di lavoro (rispetto alla distribuzione del reddito non creato ma chiesto in prestito ai mercati) sarei “contro il popolo”, mentre il governo che ha invertito ogni ragionevole priorità (per ragioni puramente elettoralistiche) e che già ci sta facendo pagare la tassa dello spread e con ogni probabilità ci farà pagare (a causa della svalutazione del patrimonio delle banche) un rialzo del costo del denaro per famiglie e imprese e che ha già fatto fuggire oltre 60 miliardi sta lavorando “per il popolo”.
Sono logiche che sono estranee a me.
Dire, poi, che delle misure prese, se non verranno rettificate, pagheremo le conseguenze non è una bestemmia perché già stiamo pagando queste conseguenze!
Ho parlato di misure populiste di Berlusconi e di Renzi: io, Rita, non sposo nessun e cerco sempre di non bere niente di quanto dicono i politici (di maggioranza o di opposizione) perché tutti dicono solo… mezze verità, cioè mezze menzogne.
Non ho passioni, Rita, né sentimenti.
L’unica mia passione è per la Politica alta, una Politica che guardi lontano, che non sia asservita ai sondaggi del giorno dopo giorno, che guardi alle conseguenze nel medio e lungo termine delle decisioni che si prendono, non alla scadenze elettorali.
Una Politica che creda nel dialogo, che ascolti le ragioni degli altri, che sappia dire l’intera verità ai cittadini (non le mezze menzogne che raccontano i partiti di maggioranza e di opposizione di ogni Paese e di ogni latitudine).
Piero, non hai passioni né sentimenti però hai paura degli amici del popolo. Delle due, scegline una. Non è vero, comunque, che i giallo-verdi non si sono preoccupati di investimenti e sgravi. La manovra ha sterilizzato gli aumenti di Iva e accise per il prossimo anno e aggiunto 0,2 punti di Pil per finanziare gli investimenti pubblici, a cominciare dai 15 miliardi previsti nel triennio 2019-2021. Il vero punto debole di questo Def è, come ben sappiamo tutti quanti al nord, il reddito di cittadinanza che aspetta il sud. Ma nessuno, oggi, è nella posizione di poter dire a un partito che ha preso il 31% dei voti “no, non lo facciamo”. Riteniamoci pertanto soddisfatti dei paletti messi dalla Lega, che sono talmente tanti e complessi che si vedrà chi/come/quando prenderà quei soldi. Se li prenderà.
Se hai voglia (fuori piove) leggiti questo articolo del “Sole 24 ore” che, onestamente, dice “è importante capire la portata e il significato di quei numeri inseriti nel primo Def gialloverde”. Cosa che non hanno fatto i giornalini di giamburrasca in queste ultime settimane in cui abbiamo sentito dire cose allucinanti da persone che nella loro vita sono riuscite a leggere a malapena l’estratto conto della banca.
https://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2018-10-04/manovra-quasi-rivoluzionaria-meno-tasse-e-piu-investimenti-074413.shtml?uuid=AEO9IZGG
Hai scelto proprio un articolo sbagliato: laddove parla di due errori, Piga espone proprio quanto sostengo io da non economista!
Non esiste una manovra senza “errori”, dipende da che parte la si guarda. Il dato importante, invece, è la puntuale sottolineatura dell’intento di “rottura” di questo Def, che non ha precedenti in Italia, né probabilmente in Europa. Altrove, è un altro paio di maniche. La manovra non è economica bensì squisitamente politica, come hanno capito ormai anche i non-economisti come noi. Ecco perché suscita clamore: rompe.
Dell’1,6, o del 2,4, in realtà non gliene frega niente a nessuno, a cominciare da Bruxelles. E’ sbagliato, dunque, valutarla con gli occhi del ragioniere, ci vogliono quelli del politico. Altrimenti si fa la fine (e sottolineo “fine”) delle attuali minoranze di governo che (dopo quello che ci hanno combinato negli ultimi anni!) sanno solo dare addosso agli economisti di tutto rispetto che l’hanno redatta. Politicamente parlando, non è una scelta vincente. A mio avviso, è anche profondamente anti-italiana.
Che sia una scelta “politica” anti-establishment non vi è dubbio (ne ho parlato anch’io).
Che sia una scelta che si basa su una “scommessa” (la scommessa di una crescita significativa) è altrettanto indubbio.
Ma ciò non toglie che quanto ho sottolineato io (sostenuto da persone ben più autorevoli di me) abbia una sua forza:: non si tratta tanto di numeri, ma di priorità di scelte.
Io sarei ancora più contro-corrente: arrivare anche al 3% di disavanzo ma con un massiccio piano di investimenti – gli unici (o quasi) che possono creare posti di lavoro e quindi ricchezza da distribuire.
Una volta questa ricchezza fosse creata, non avrei alcuna difficoltà ad accrescere pure le risorse destinate al reddito di cittadinanza purché finalizzate a creare posti di lavoro!
Non bisogna aver paura di scommettere, Piero, quando si è convinti di essere sulla strada giusta. E’ vitale rompere un circolo vizioso. Il problema, qui, adesso, in questo momento storico, non è legato ai numeri.
Il dissesto idrogeologico che abbiamo toccato con mano ancora una volta drammaticamente è l’ennesima dimostrazione che la… quadratura del cerchio (di cui ho parlato molto tempo fa) non sta nella manovra giallo-verde, ma nel suo rovescio: investimenti pubblici, investimenti pubblici, investimenti pubblici…
Sono questi che mettono in sicurezza le nostre strade, i nostri viadotti, le nostre scuole, il nostro… territorio.
E sono questi che creano lavoro e quindi ricchezza da “distribuire”.
Lo riconosce lo stesso Salvini che parla di 40 miliardi che sarebbero necessari solo per il dissesto idrogeologico.
Siamo ancora in tempo: il parlamento sovrano può ancora – se davvero pensa al “popolo” (agli orticelli elettorali) – rovesciare la manovra.
Ma… non lo farà: siamo troppo sotto le elezioni europee, l’occasione ghiotta per abbattere quel poco di “unione” che è rimasta in Europa!
Si, l’ha detto anche Tria dal dal palco del Forum Bloomberg di Milano. Cito testualmente: “Gli investimenti pubblici devono tornare a 3% Pil nel breve termine. Negli ultimi anni sono crollati pesantemente; dal 2005 al 2017 la contrazione è stata del 20% ma, rispetto al 2009, punta massima di crescita registrata prima della crisi, la riduzione è stata -35%. Nessun altro indicatore economico ha registrato una caduta percentuale così rovinosa. A pagare maggiormente è stato il settore della mobilità.”
Il problema vero è che fare investimenti pubblici prima di mettere mano alla burocrazia e alla giustizia è un suicidio assistito. Chiunque abbia seguito appalti pubblici (io, ad esempio), sa perfettamente che i lavori finiscono sempre in tragedia. Subappalti mai chiari e incontrollabili, ritardi accompagnati da ripetuti adeguamenti del prezzo iniziale, cause eterne con aggravio di costi legali, opere spesso fatiscenti prima ancora di essere inaugurate perché “la legge” obbliga ad assegnare l’appalto non a chi lavora meglio ma a chi lavora sottocosto. Il tutto a carico dei cittadini.
Non sono mancati gli schiamazzi della minoranza parlamentare per il “decreto Genova” che, nei limiti della legalità, bypassa una serie di norme affidando le decisioni direttamente al Commissario straordinario. E meno male!!! La paura dei genovesi era proprio quella di finire “incartati” come i terremotati del Centro-Italia.
Vedo che ormai sono in molti a orientarsi in questa direzione (leggo anche, a commento di un altro post, la posizione di Franco Torrisi).
Per Tria, poi, la politica degli investimenti pubblici rappresenta la bandiera, la carta con cui lo stesso ministro potrà giocare con l’Europa, come pure il “valore” aggiunto che può rappresentare in un governo marcatamente “politico”.
Ma né Tria né l’opinione pubblica – temo – potrà orientare diversamente i due cavalli di razza del governo e con loro il governo.
Ci vorrebbe un colpo d’ala!
In attesa del colpo d’ala possiamo se non altro respirare una boccata di ossigeno. Il Tribunale del Lussemburgo ha dichiarato che lo Stato italiano deve recuperare l’Ici non pagata dalla Chiesa nel periodo 2006-2011. Tutti gli enti non commerciali, sia religiosi sia no profit (come fa a essere no profit un albergo, o una scuola privata con dei dipendenti a libro paga?), devono pagare gli arretrati per una cifra che, secondo stime dell’Anci, si aggira intorno ai 4-5 miliardi. Mica male! Speriamo che i giallo-verdi non si lascino intimorire, come hanno fatto prima di loro tutti gli altri.
Me lo auguro anch’io.
Mi permetto solo di aggiungere che il grado di giudizio europeo è un… valore aggiunto in quanto si è di fronte a un giudice… terzo (rispetto ai singoli Paesi).
Non c’e’ bisogno di un “terzo” per decidere che albergatori e dirigenti scolastici che riscuotono fior di soldi sotto forma di tariffe e rette, anche se indossano il clergyman, devono pagare i tributi come chiunque altro. Basta il buon senso.
Ogni giorno che passa, a prescindere dal contenzioso con la Commissione europea, sempre più commentatori (ma anche uomini di area giallo-verde) sostengono che la l’unica… quadra possibile (io l’ho chiamata la… quadratura del cerchio) è rappresentata dagli investimenti e quindi dall’inversione della manovra: due terzi di investimenti in infrastrutture materiali e immateriali e un terzo alla spesa corrente.
Se si fosse seguita questa strada, non avremmo avuto il costo di un miliardo e mezzo che abbiamo dovuto sopportato in soli sei mesi per via dello spread (se ne prevedono 5 miliardi nel 2019 e ben 9 nel 2020, sempre che lo spread si dovesse mantenere a questi livelli) e non ci saremmo isolati nell’Europa (tutti, anche i sovranisti, contro l’Italia!)
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Con questo non nego affatto il diritto del governo di mantenere le promesse elettorali, ma queste sarebbero sostenibili proprio grazie a investimenti in infrastrutture che avrebbero creato ricchezza poi da “redistribuire”.
Anche Trump, dopo le elezioni di mid-term, si sta orientando in questa direzione.
Tutto è ancora possibile.
La politica (non quella degli 80 euro e dei 780 euro) richiede di guardare avanti, ciò che è difficile per i politici che sono ossessionati giorno dopo giorno dai sondaggi!
Così Matteo Salvini: si possono spostare voci dalla spesa corrente agli investimenti, ma il 2,4% non si tocca!
Bravo, Salvini: non solo voci, ma i due terzi agli investimenti (che creano lavoro) e un terzo alla distribuzione di ricchezza!
Vedo che ora un po’ tutti, anche i baldi giovani del governo scoprono la… quadratura del cerchio (da me suggerita, con il semplice buon senso, tempo fa, appena dopo il crollo del ponte Morandi).
Un po’ troppo tardi (anche se ora si corre ai ripari) perché troppo risorse sono state destinate altrove.
A mio avviso sarebbe stato più saggio allargare di molto la platea del reddito di inclusione (il contrasto alla povertà è una priorità assoluta) per destinare tutte le altre risorse agli investimenti in infrastrutture: questi, sì, che avrebbero generato un impatto moltiplicatore creando posti di lavoro “veri”.