“I giorni del vino e delle rose, non a lungo durano”.
– Ernest Dowson –
Una carpa appena pescata riflette i raggi del sole tra le mani del vecchio guardiano di villa Albergoni; apre e chiude la bocca come volesse pronunciare delle parole in un linguaggio muto e incomprensibile ma particolarmente affascinante.
Una scena breve, apparentemente superflua nell’economia del film, eppure magnetica, che obbliga gli occhi dello spettatore a seguire la lucentezza delle squame del pesce e a immaginarne il destino di lì a poche ore.
“Chiamami col tuo nome” è innanzitutto un film giocato su un linguaggio cinematografico inconsueto: carnoso come le albicocche mature sugli alberi; sensuale come i corpi dei protagonisti su cui indugia la macchina da presa; contadino, grazie al ripetuto muggire degli animali nella stalla; musicale, con una colonna sonora che accosta brani in grado di lasciare un’impronta indelebile nella memoria di ognuno; sacro, grazie al continuo risuonare delle campane che rintoccano dai campanili.
La complessità di questo linguaggio rigoroso e studiato nei particolari, ma per nulla elitario nella sua proposta allo spettatore, è molto probabilmente la chiave del successo dell’opera, che si dilata raccontando il più banale dei temi narrativi: la scoperta della passione e dell’amore da parte di un adolescente in una calda estate italiana.
La pellicola, mostrando il passaggio dall’iniziale riluttanza del giovane Elio a ospitare nella sua stanza il ventiquattrenne Oliver al suo innamoramento per quest’ultimo, si sofferma spesso sulla contrapposizione tra ciò che è esposto ed emerso con quello che è nascosto o sommerso dall’acqua, da una tenda, dalla natura, dalla notte, dalla paura.
Guadagnino sembra suggerire che il suo film spinge lo spettatore ad andare oltre l’apparenza, a scavare per scoprire, come l’archeologo che nel film scandaglia il fondo del lago alla ricerca della statua perduta, la realtà delle cose e l’integrità delle emozioni, da vivere senza il timore che il domani possa essere doloroso o possa portare alla perdita di qualcosa di prezioso.
“Cresci, ci vediamo a mezzanotte” scrive Oliver su un foglietto destinato a Elio, il quale avrà poco più che dieci ore per prepararsi alla sua prima notte con l’amato. Dieci ore intense, seguite dal regista nel loro dipanarsi e, analogamente, dallo spettatore desideroso di vedere cosa accadrà tra quei due maschi smarriti nel loro cortocircuito di desideri.
Anche in questo caso l’invito a maturare diventa un accompagnamento ad abbandonarsi alla novità, a essere curiosi verso ciò che non si conosce, ad assimilare ciò percepito come lontano ma che agita, innervosisce, rallegra e innamora.
“Chiamami col tuo nome” è un film connotato da una costante tensione emotiva e passionale, diretto magistralmente dal regista siciliano e apprezzato dagli spettatori che non disdegnano un film di oltre due ore, apparentemente noioso e adatto ai soli cinefili o ai sensibili all’amore omosessuale.
“Chiamami col tuo nome” non è un film per soli cinefili, vista la sua capacità di immergere la storia in un contesto storico sociale quotidiano e naturale, che elegge a set la pianura lombarda e coniuga l’ambiente famigliare alto borghese con i tavoli da briscola delle osterie di campagna.
“Chiamami col tuo nome” non è infine un film a tematica gay, perché i sentimenti tra Elio e Oliver non sono sentimenti di parte. L’amore e la passione tra i protagonisti sono sentimenti in cui tutti – come dimostrano gli incoraggianti risultati al botteghino, fondati tanto sul passaparola quanto sulla efficace campagna promozionale – si riconoscono, fino all’ultima intensa scena finale, che chiude un’opera in grado di riappacificare anche il più ostico spettatore alla poesia cinematografica, e trasformare la normalità dell’amore in una straordinaria storia universale.
Commenti
Complimenti all’autore per questa godibilissima recensione ironica. Quella poi dello “spettatore desideroso di vedere cosa accadrà tra quei due maschi” è una autentica perla che mi ha fatto ridere di gusto.
Grazie per l’apprezzamento, son felice di averla fatta ridere dopo averle ricordato il suo “desiderio di vedere” durante la visione del film.
…..senza parole!
Grazie, Lauro. So che tu hai una dimestichezza col linguaggio cinematografico: in più occasioni ti ho visto guidare dei cineforum con competenza e sensibilità.
La tua recensione per me – che sono profano – è uno grande stimolo (e forse anche per altri che non hanno la tua frequentazione di quel mondo).
Mi hai fatto notare alcuni particolari che a me erano sfuggiti.
L’episodio della carpa, ad esempio: mi aveva colpito per i riflessi del sole, ma non avevo colto il possibile messaggio.
L’accostamento tra l’ambiente familiare borghese con le osterie di paese.
I linguaggi a cui fa ricorso il regista: avevo colto solo il linguaggio “carnoso” (Guadagnino si sofferma moltissimo sui corpi – seminudi e nudi – dei protagonisti), ma per niente gli altri linguaggi (contadino, sacro…).
Ma quello che più mi sorprendere è la tua affermazione secondo cui il film non un film sull’amore omosessuale, ma ha un valore più ampio, un valore addirittura universale (la scoperta della passione e dell’amore).
In effetti Elio non ha solo una storia con l’archeologo americano Oliver venuto in Italia dal suo professore, ma anche con una ragazza.
Anche a me, Lauro, il film non è parso un film per cinefili e non mi ha per nulla annoiato: al contrario mi ha inchiodato per oltre due ore.
Grazie Piero.
Sul rapporto Elio – Oliver credo sia necessario uscire dalla sua identificazione come rapporto meramente omosessuale, perché è un rapporto di amore e basta.
L’amore nasce, si sviluppa e (a volte) finisce così come è stato portato sullo schermo da Guadagnino: un sentimento fatto di sensazioni, di reazioni fisiche, di sesso, di fantasia, di preoccupazione, … situazioni che non cambiano se a sperimentarle sono uomini, donne, transessuali o altro.
Per questo il film ha un carattere universale e non di piccolo cabotaggio.
A questo proposito è interessante una dichiarazione del regista che riporto di seguito.
“Non capisco perché ‘Chiamami col tuo nome’ si debba definire un film a tematica omosessuale o appartenente al genere LGBT. È solo la storia di due persone e non ha nessuna aderenza a una sorta di costrutto identitario di genere, relativo a categorie che nascono dalle fondamentali rivendicazioni dei diritti civili. Il desiderio e i diritti civili non vanno a braccetto, ma i diritti civili possono far comprendere che il desiderio non può essere incasellato”.
Ma certo, l’episodio della carpa e i riflessi nel sole … manca solamente l’occhio della madre e il montaggio analogico per far esplodere il lettore nel fantozziano urlo liberatorio sulla corazzata Potemkin.
Bruno, riveditelo. E’ sempre bello.
https://www.youtube.com/watch?v=k4Ul_BH0Efw
Ottima disamina, concordo, stavolta l’ha azzeccato, è riuscito a raccontare bene e con la giusta delicatezza un tema apparentemente banale -perché poi raccontare l’amore, le passioni e le cose belle dev’essere banale rispetto ai drammi?-.
Tuttavia si percepisce ancora il distacco tra la vita dei protagonisti e quella di chi vive i luoghi rappresentati -come in ‘A bigger splash’- che rimangono solo come comparse o intrattenitori per le avventure dei villeggianti.
Del resto nella ‘trilogia dei ricchi’ come l’ha definita Guadagnino ci può stare.
Molto curiosa la tua riflessione sul rapporto tra il regista e chi vive i luoghi rappresentati.
In ‘Io sono l’amore’ mi sembra che questo rapporto fosse ben evidente, essendo rappresentato con molta attenzione un contesto fortemente milanese per estrazione sociale, luoghi, frequentazioni, stili di vita, rapporti tra ‘classi sociali’, esigenza di apparire, …
In ‘A bigger splash’, invece, Pantelleria è solo il luogo di una vacanza e, come tale, non può che essere lontano dal vissuto dei villeggianti, soprattutto se stranieri. Affittare una villa su un’isola, proprio perché si vuole fuggire dal frastuono della quotidianità, porta necessariamente a cercare solitudine e distacco.
Diverso il caso del film cremasco.
Qui sicuramente gli scambi con gli abitanti sono maggiori e non sempre superficiali. Gli amici di Elio non sono solo intrattenitori, ma anche compagni e confidenti; sicuramente il loro restare in secondo piano ricostruisce – almeno secondo me – la classica situazione dei parenti o amici che abitano lontano e trascorrono alcuni mesi estivi in campagna: una condizione che fa appartenere alla comunità i visitatori, anche se restano al di fuori di certi riti e relazioni, competenza esclusiva degli indigeni. Forzare troppo l’inclusione della famiglia avrebbe snaturato il racconto.
Molto efficace però, in questa ultima opera, la fusione tra ambiente, racconto ed esperienza, come se proprio la campagna, le sue strade, il caldo e il lungo tempo estivo da riempire in una pianura silente e afosa, abbiano creato le condizioni per la conoscenza tra i due protagonisti.
Definisco banale il tema amoroso perché è uno dei motori del cinema di sempre, da Buster Keaton al Tempo delle mele, e, per fortuna, tanta banalità continua a stregarci.
…. in effetti nn rispondo a Gabriel (tirannide del sistema!) ma al …”.youtube” di Rita che mi sono permesso cercare di vedere, anche se ….”dedicato” al prof Cordani; ho detto “ho cercato di vedere”, perchè ( e premetto che considero in generale Crozza davvero ancor più che bravissimo, con uno staff tecnico e di autori di assoluto rispetto) l’ho abbandonato prima della metà, ripetitivo e proprio non divertente, nel reiterare la “caricatura”, una delle cose peggiori di Crozza!
Viceversa , approfittando del link, che prevedeva anche, poco dopo un “faccia a faccia” in cui Minoli intervistava appunto Sorrentino, me lo sono visto tutto con grande gusto, perchè a mio parere, guardando e ascoltando senza pre/giudizi condizionanti, lascia emergere nitidamente il “personaggio Sorrentino” con tutta la sua malinconica, ironica, intelligente, disincantata “napoletanità” di orfano da bambino di entrambi i genitori e…..tutto il resto che emerge dalla visione. Ne consiglio la visione a chi ama il cinema.
Via, Franco, un tipo ironico come te che non si gode la parodia di Sonlentino!
Certo che è ripetitivo e lento, sennò che Sonlentino sarebbe.
Crozza quando azzecca il personaggio, non c’è niente da dire, è imbattibile.
Anche questo è un bel contributo, Gabriele (anche tu sei nel… giro, anzi sei addirittura un regista!
…..un film che non può essere visto una sola volta!
La prima visione ti prende per l’evolversi dei sentimenti tra i due interpreti, per la solarità di tante inquadrature, per gli sviluppi della storia, per i dialoghi “chiave” (tra Elio e Oliver, tra Elio e suo padre, tra i genitori e gli amici), nel gusto di riconoscere i luoghi a noi familiari e, inevitabimente, ti sfuggono un sacco di altri riferimenti che viceversa il Regista ha disseminato con attenta intelligenza e attendono solo di essere scoperti.
Nulla nel film di Guadagnino è ….li “per caso”!
La scoperta ovviamente è …facilitata, accompagnata da chi “sa di cinema”, lo ama, si è educato a comprenderne il linguaggio e, magari, ne sa apprezzare anche la “poetica (ovviamente quando c’è, come in questo caso!).
Per questo mi piace ringraziare Lauro e Gabriel (che neppure conoscevo, prima di questo loro intervento sul blog).
Continuate a ….frequentarci!
Due domande…
La mamma sapeva?
Il termine semitico “Buono “,dato dal papà ai protagonisti,
non poneva un limite invalicabile al loro rapporto ?
….la domanda di Elio: “la mamma lo sapeva?” era riferita al “ci sono andato molto vicino” del padre! Limite invalicabile al rapporto Elio/Oliver intendi? (pensa che d’acchitto avevo iinteso al rapporto padre/figlio!) Non direi, ciò imporrebbe una premessa di limite…”morale” che non attribuirei alla figura del padre.
Paul Thomas Anderson, candidato col suo film “Phantom Thread”, in corsa per ben 6 Oscar, valuta il film di Guadagnino il migliore dell’anno. Guadagnino, e non credo diplomaticamente, ritiene invece che sia migliore quello di Anderson.
….uno attento a ciò che accde nell’….ex “mondo della celluloide” (che nostalgia!) Ivano!
Nel merito: sono due registi davvero bravi, a Los Angeles con due gran film e, al di la del gioco delle parti tra due che possono raccogliere molto dall’Accademy (in effetti con le 10 nominations in tot, hanno ….già raccolto!) mi piace pensare che si apprezzino l’un l’altro.
Checchè ne pensino personaggi da ….piccolo cabotaggio, magari nostrano, sono due grandi, che sanno fare cinema di livello qualitativo riconosciuto internazionale!
Che se poi uno si ….addormenta, di solito, salvo rarissime eccezioni, la multisala offre parecchie alternative no?
Francesco, non infierire troppo contro i “fantozzi nostrani”. E’ così formativo leggerli.
E finalmente, sfollate le sale, l’ho visto anch’io:
– La storia: un cliché facile da leggere di riedizione di un amore classico greco, che trascende, nei fatti qui narrati e nella tradizione storica, quello comune eterosessuale. La raffinata cornice ambientale dello splendido territorio cremasco è ideale e anzi caricata in molte scene di suggestioni neoclassiche.
-regia, scenografia, fotogarafia, musica: eccellenti.
-recitazione: non sono all’altezza, ma non vedo sbavature.
-ambientazione anni 80: logica per non banalizzare i fatti nella routinarietà attuale del costume. Gli anni della liberazione sessuale!
Resta un quesito: l’ambientazione ha ispirato la scelta del tema? O per un puro caso, l’esame di una narrazione capitata fortuitamente, ha affascinato l’autore fino al punto di dover rinarrare, rivivere?
Insomma ambientazione e storia si sposano proprio per caso?
Andava visto, senza farsi scoraggiare dalle fasi narrative nelle quali il ritmo sembra perdersi su cui molti muovono critiche di lentezza.
Può aver influito il nome della città ?
Semplicemente gli uomini del nord amano il sole del sud e quelli del sud le nebbie el nord. Una poesia sottile, avvolgente… il mare è sfacciato, irrequieto, disturba la concentrazione.
Si.
Ho rivisto il film e, da profano, ho trovato qualcosa che non va.
Ho letto che è stata ricostruita con precisione l’epoca, ma questo non risponde a verità: le automobili, ad esempio, non erano quelle che circolavano nel 1983, ma almeno 10-20 anni prima.
Ho trovato poi la parte finale esasperatamente lenta: so che è stata una scelta precisa del regista, ma mi pare una sfida eccessiva allo spettatore.
Poi mi domando che senso possa avere la sequenza della pesca (frutto!) nella economia del discorso del film: una sequenza, tra l’altro, disgustosa, che risponde più alla voglia di fare colpo, di far discutere (tipica di Bertolucci).
Non convince poi il tono sdolcinato dei genitori di Elio nei confronti del figlio: è vero che si tratta di una famiglia alto-borghese, ma mi pare poco credibile.
Come poco credibile è un Oliver che, appena giunto a Crema, si muove con disinvoltura come se fosse a casa sua (addirittura va a giocare a carte con dei vecchietti).
Lauro (o anche Gabriele), puoi rispondere, dal punto di vista di uno che ha una grande frequentazione di film, alle mie perplessità?
Caro Piero,
la ricostruzione dell’epoca ha destato perplessità non solo in te: il mio amico Fabio vedendo una Fiat Regata nella scena in piazza Duomo è saltato sulla poltrona al grido: “ma la Regata è dell’autunno 83/inverno 84, non poteva essere lì quel giorno!”. Evidentemente gli scenografi/arredatori non leggevano Quattro ruote.
La lentezza del finale, secondo me, ricalca il flusso emotivo dei protagonisti: dalla velocità del colpo di fulmine, alla intensità della passione fino alla lentezza della conclusione che nessuno dei due – forse – vorrebbe provare. Non mi ha infastidito particolarmente, piuttosto è stata fonte di disagio, poiché ha prolungato il difficile sviluppo della relazione tra Elio e Oliver.
Oliver e la sua innata capacità a sedersi al tavolo coi vecchietti moscazzanesi hanno inizialmente stupito anche me, poi però mi sono ricordato di un amico che non abitava in zona e che d’estate veniva sempre in villeggiatura da amici di famiglia. In pochissimo tempo riusciva a interagire con gli indigeni come fosse uno di loro. Da un lato è un imprinting sapersi destreggiare nei nuovi mondi – io non ne sarei capace -, dall’altro lo stesso romanzo di Aciman parla di questa quasi sfacciata naturalezza di Oliver nel relazionarsi con l’ambiente in cui si è trasferito. Evidentemente è un meccanismo per sottolineare l’apparente forza del suo personaggio agli occhi di Elio, che vede l’amato difficile da conquistare proprio per queste caratteristiche.
Arrivo alla scena della pesca: momento singolare nello sviluppo del film, ma non direi disgustoso. La natura e i suoi frutti che nel corso del film hanno riempito cene, colazioni, ristori, …. diventano un tramite per il piacere – sottolineato in sottofondo da Battiato -. È proprio perché il film parla della scoperta del corpo, del sesso e della fisicità che tale sequenza diventa la tappa di un percorso naturale e non credo così inusuale nella vita dei più. È un atto liberatorio ma anche intimo, egoistico eppure universale, perché Elio si appropria di un pezzo di mondo per godere. L’arrivo di Oliver, e il conseguente imbarazzo di Elio, riporta invece il giovane di fronte agli occhi degli adulti, dai quali spesso si fugge perché – come accade per molti spettatori di fronte alla scena -, non capiscono i gesti giovanili.
Le reazioni dei genitori di Elio le trovo consone al mondo in cui vivono, che sembrano quelle della famiglia di ‘Io sono l’amore’, di tanti altri film, e di molte altre famiglie, borghesi, nobili o proletarie che siano. A mia volta, quando le vedo nella realtà quotidiana mi stupiscono sempre.
Mi fa piacere, Lauro, che anche tu (che sei un addetto ai lavori) hai trovato qualche limite e non solo sulla ricostruzione dell’epoca (io in quegli anni avevo già la Ritmo e le macchine che ho visto nel film per me circolavano molto tempo prima). Non sono un frequentatore di film, ma credo che le forzature ambientali non abbiano una logica filmica: sembra quasi che il regista abbia usato le macchine che qualche collezionista di auto d’epoca aveva messo a disposizione.
Non ho visto, Lauro, altri film di Guadagnino e quindi non posso fare confronti, ma credo che una famiglia borghese come quella di Elio è un’altra forzatura del film: semmai le famiglie borghesi erano più “esigenti” nei confronti dei figli perché avevano più aspettative da loro.
O no?
…. maaa, fermarsi a guardare “il dito” che indica la “Fiat Regata” e non vedere “la luna” risplendente che illumina tutto lo splendido poetico film di Guadagnino, mi sembra davvero uno “sgarbo” al “cinema d’autore” che il regista cremasco (d’adozione) davvero non si merita!
Allora viva la faccia del pezzo ….. “generalista” di Beppe Severgnini ( ma sul NYT, è, mica ceci!) linkato da Renato Costantini, sull’altro post….”principale” a medesimo argomento!
Chiedo scusa se dipiaccio ai …… detrattori ( e non sfioro nemmeno la bellissima recensione di Sangaletti, sia chiaro) ma io amo questo film!!!!
concordo su tutto con Francesco, la Regata in fondo è anticipata di poche settimane 🙂
penso che questo film – a prescindere dalla sua collocazione geografica – sia uno dei più bei testi cinematografici degli ultimi anni, per la valenza filmica e la potenza delle immagini. Caratteri che raramente troviamo nel cinema contemporaneo destinato “alle masse”.
buona fortuna a Guadagnino.