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RITA REMAGNINO

Con il senno di poi

Ci sono libri che letti settant’anni dopo dimostrano la loro lungimiranza e la malafede di chi non ha voluto raccoglierne il messaggio. Uno di questi è “L’enraciment” (Il radicamento) di Simone Weil, in cui l’autrice descrive con incredibile lucidità la città europea del futuro: urbana, metropolitana, cosmopolita, post-industrializzata, la distruzione dei bistrot e delle botteghe tradizionali a vantaggio dei grossi centri di commercio e distribuzione. Parlando dei “satelliti periferici” l’autrice si riferiva alle banlieues di Parigi, Marsiglia, Lione, ma in fondo è stata un po’ questa la parabola di tutte le metropoli d’Occidente, a partire dal Piano Marshall (1945) passando per il Sessantotto (1968), in cui la città è divenuta sempre meno rappresentativa dello spirito profondo della Nazione e sempre di più espressione di Mondo, un’entità indefinita che significa tutto e niente.

Da una parte Paesi come Francia e Gran Bretagna videro un’impennata della curva demografica legata al loro passato coloniale e alle politiche immigrazioniste che richiedevano mano d’opera a basso costo, dall’altra indistintamente tutti i Paesi d’Europa subirono una trasformazione economico-simbolica venendo letteralmente colonizzati da marchi e prodotti-spazzatura statunitensi (dalla ristorazione al vestiario, dal Mc Donald ai jeans), che in breve tempo soppiantarono quelli tradizionali. Entrambi questi due elementi, il “multiculturalismo” (convivenza forzata di culture diverse) e il liberismo sfrenato (vende chi s’impone sul mercato, tutti gli altri chiudono bottega) erano i presupposti dello sradicamento che sarebbe arrivato di lì a qualche tempo. Per usare un sillogismo: il multiculturalismo doveva portare allo sradicamento e lo sradicamento condurre alla mentalità cultural-mondana i cui desideri sono quelli fabbricati dal mercato.

Scriveva l’allieva di Heidegger che “Un essere umano possiede delle radici attraverso la sua partecipazione reale, attiva e naturale all’esistenza di una collettività che mantenga vivi i suoi tesori del passato e alcuni presentimenti dell’avvenire”. Nel contempo, ammoniva: “Il denaro distrugge le radici ovunque penetri”. E così è stato. Con il senno di poi, oggi viene spontaneo chiedersi: perché quasi nessuno le ha creduto? Non era abbastanza chiaro che le “nuove popolazioni” non avrebbero portato nel loro bagaglio la propria cultura, ma lo sradicamento? Se Simone Weil bighellonasse oggi per le strade di Parigi non vedrebbe fiere donne africane vestite con splendidi abiti tradizionali bensì patetiche fotocopie di Rihanna o Beyoncé. Né incontrerebbe uomini di fede islamica con un Corano in mano, ma incazzosi racailles (così vengono chiamati i ragazzi delle banlieues) che sono una via di mezzo tra Fonzie da giovane e lo scugnizzo napoletano stagionato.

Come la Weil aveva previsto con lucida lungimiranza, in questo mondo di plastica in cui viene forzata la fusione tra la popolazione locale e quella forestiera nessuno è felice. Ne è valsa la pena? Per lo zero virgola della popolazione mondiale che nel frattempo ha fatto soldi a palate, sicuramente si. Ma per tutti gli altri? E che dire delle vergognose complicità dei politici occidentali che hanno permesso lo scempio di popoli e nazioni? A muovere le loro azioni sembra essere il motto di Céline: “me ne fotto dei posteri, il futuro appartiene ai cinesi”. E meno male, viene da dire con un sospiro di sollievo, era ora che si cambiasse direzione.

RITA REMAGNINO

20 Gen 2018 in Società

25 commenti

Commenti

  • Può ancora succeee di tutto, senza pensare al solito 2115 del fine corsa, ovvio. Può succedere di tutto perché il turismo è una forza economica in campo, come le altre peché la caduta demografica è inevitabile (ma non salverà l’umanità, il costume sì).
    Simone ha descritto una fase, e, a lasciar fare alla storia, succederano altri aggiustamenti e perturbazioni del sistema caotico. Nemmeno i più grossi nomi della fantacienza ci hanno preso in sociologia! L’unico trend assodato è l’iperintegrazione, e del resto, leggevo in un articolo di neuroscienze oggi, che da un’analisi comparativa fra razze (quelle vere, non le etnie) tutto il nostro eccesso di neuroni non sarebbe altrimenti giustificato, come anche il cane ne avrebbe troppi rispetto al gatto, se non fossero necessari ad interfacciarsi. Per quanto riuarda mode, costume, folclore, ci saranno ampi ritorni, credo… già credo. Umh

    • Simone Weil ha descritto una fase economico-sociale-culturale con 70anni di anticipo!! Ti pare poco? Come solo i grandi visionari sanno fare ha tracciato un ritratto della situazione attuale che più realistico di così non si può. E non è vero niente che l’iperintegrazione (questa si, è frutto di fantasia) metterà le cose a posto e che i grossi nomi della fantascienza non ci prendono quasi mai. A conti fatti, negli ultimi decenni sembra invece che siano tra i pochi a prenderci.

      Fino a pochi anni fa pensavamo tutti che il Ministero della Verità di “1984”, il celebre romanzo di George Orwell, fosse nient’altro che un capitolo di letteratura fantasy o fantascientifica. Il Ministero orwelliano spacciava fake news a tutto spiano convalidandole con il sigillo di garanzia dell’ufficialità, si trovava in una mega-piramide bianca (un sinistro rimando massonico) sulla cui facciata si leggeva “La guerra è pace”, “La libertà è schiavitù” e “L’ignoranza è forza”. Il suo compito principale era quello di declinare la “neolingua” della propaganda governativa in tutto ciò che avrebbe potuto contraddirla: romanzi, dossier, dati statistici, libri di storia.

      Fantasie di un talentuoso romanziere? Neanche per sogno. Due giorni fa, a Roma, il Ministro dell’Interno Minniti e il Capo della Polizia Gabrielli hanno presentato il nuovo servizio di segnalazione istantanea contro le fake news. In pratica, un pugno di appuntati chiusi in una stanza raccoglieranno le segnalazioni di quanti si sentono offesi dal tal sito, blog, social network, pagina Fb, instagram ecc. e provvederanno a stilare una “lista nera” di “cattivi” da tenere sotto controllo. Nel caso costoro avanzino rimostranze o pretese, verrà chiamato un pm affinché indaghi sul presunto contenuto diffamatorio del messaggio e tolga dalla circolazione la fake incriminata. Una volta la chiamavano “censura”, ma adesso la tecnologia ammanta queste operazioni di “progresso”.

      Non hai idea, Adriano, di quanto possano essere lungimiranti certi grandi visionari. Il problema è semmai che la maggioranza, che ha la vista corta, non li ascolta.

  • Che s’intende per “Tesori del passato “, dell’allieva di Heidegger ?

    • “Una collettività che mantenga vivi i suoi tesori del passato e alcuni presentimenti dell’avvenire”, è una collettività che non ripudia le tradizioni su cui poggia (come l’attuale, che non ha più alcuna tradizione di riferimento) e nello stesso tempo non si ferma, guarda avanti. Non è succube delle sue macchine (la tecnologia) ma le usa consapevole dei pro e dei contro, andando oltre il calcolo economico, perché “il denaro distrugge le radici ovunque penetri”. Mi sembra che il messaggio, di grande buon senso, sia un po’ questo.

  • ….Rita, mi piace l’approccio e “ci entro volentieri”, pur nella piena consapevolezza che ……… non so dove mi porterà!
    Il primo incipit: “una collettività” ….. e mi trovo già in difficoltà: quale collettività?
    Sono già spaesato: Città, Provincia, Regione, “buffo stivale”, EU, fb, il blog….
    Mi par d’essere il “nonno” di Amarcord che esce di casa e si trova nella nebbia fitta della bassa “….ma dov’è che sono? mi sembra di non stare in nessun posto! ma se la morte è così, non è un bel lavoro….”https://www.youtube.com/watch?v=oJJmMJlqt5A.
    Il “lavoro bello”, da fare, è mettersi a …”.far pulizia” , facendo un bella cernita tra i “tesori del passato”, i valori della tradizione da conservare e tutta la robaccia, il ciarpame (anche quello che viene dal passato neh) da quale siamo inondati.
    Ieri sera sono andato al Gallery all'”aperitivo ‘n dialet cremasc” : l’invito era arrivato dai ragazzi di “RinasciMenti”, come non aderire?
    Bene la spinta a “socializzare”, a mettere assieme giovani e no, ma il gap generazionale iperalimentato come è dall’accelerazione tecnologica, dall’ipertofia della pesudo comunicazione dei social, dalla prevaricante onnipresenza degli smartphone, non riesce a trovare nel dialetto, “cittadino” per di più (quando il dialetto addirittura diversificava, separava profondamente comunità distanti solo qualche km l’una dall’atra) un legante”efficace!
    Il lavoro da fare per “rammendare” il tessuto sociale così “liso”, lacerato”, “sbragato”, deve essere impostato, progettato da “personale esperto”, è un lavoro da “anropologia culturale”, se lo si vuol fare come si deve! Non bastano certo quattro volonterosi che recitano poesie in dialetto , magari con l’amlificazione cosi/così ed un chiacchericcio di fondo da mercato del pesce”.
    Bene certo aver cominciato, ma ….ci vuol altro!
    E allora?
    Allora il nostro primo “intorno” è queso blog che, in qualche modo ci fa da “collettività”, ok, diamoci da fare! Meglio: continuiamo a darci da fare , come stiamo facendo da 5 anni!
    http://www.cremascolta.it/ebook/noi-pietro-carra/#comment-837

    • Si, hai ragione Franco, non basta gettare nell’arena “quattro volonterosi che recitano poesie in dialetto , magari con l’amplificazione cosi/così ed un chiacchericcio di fondo da mercato del pesce”. Ci vorrebbe attorno a questi eventi la “collettività” di cui parlava la Weil, oggi completamente dissolta.

      In quella “collettività” non c’era bisogno neppure dell’animatore per mettere insieme “giovani e no”, perché nessuno si era mai sognato di separarli. Finché non siamo arrivati noi, gli scemi del villaggio, e abbiamo mandato tutto a ramengo. In compenso abbiamo gli smartphone al posto delle mutande, sempre addosso. I giovani anche incoraggiati da quell’altra scema del villaggio, la Ministra all’Istruzione, che dice che devono essere considerati “strumenti didattici”. Forse, per quelli come lei che sono arrivati ad agguantare il “posto” d’oro taroccando il titolo di studio.

      Sai come i Sumeri chiamavano il pianeta Terra?
      «K», il cui significato era lo stesso di «ki» (An.unna.Ki). In accadico, Ki divenne Gi (o Ge) – da qui l’elemento «geo» (geografia, geologia, geometria, ecc). Furono in un secondo tempo gli Indoeuropei ad aggiungervi «aia», che significa «nonna». La parola Gaia andrebbe tradotta dunque correttamente in «Nonna Terra», anche se gli antropologi – lasciamo stare i commenti – hanno preferito tradurlo in «Madre Terra».

      Per migliaia di anni, prima che arrivassero gli scemi del villaggio globale, l’umanità ha considerato un onore ricoprire il ruolo di nonno/nonna, mentre oggi il ragazzino fulminato spinge il vecchietto giù dal pontile per vedere come si annega. Mi è molto piaciuta l’intervista, ieri sera, alla neo-senatrice Liliana Segre perché in piena autorevolezza ci ha tenuto a sottolineare “ai ragazzi che incontro dico sempre consideratemi una nonna, sono una nonna che racconta storie”. Può esserci qualcosa di più importante?

      Lo smart-cretinetti, o l’incazzoso racaille, ti risponderebbe: c’è l’IPhone 8, c’é l’Huawei P 10, il loro mondo è tutto lì. Diciamo pure che, nel nostro piccolo, siamo fortunati ad avere una piazza di confronto come Cremascolta, uno degli ultimi brandelli di “collettività”, teniamocela stretta.

  • Commento di ieri delle 15:20 dove si vuole negare che le fake news esistano, in nome della libertà contro la censura. Ora interviene anche Zuckerberg che vuole che Facebook cambi per contrastare proprio le notizie false. E qual è il metodo? Il metodo è la dittatura della maggioranza alla quale viene chiesto di esprimere un’opinione. Come se potesse esistere una verità fatta di numeri e di consenso. Se per tanti una verità fosse tale, allora lo diventerebbe per davvero. E come si chiede Tom Nichols, chi non sa chi è si informi, ” cosa potremmo dire di una fonte che è giudicata attendibile dal 51% dei lettori e falsa dal restante 49%? Dovremmo crederle oppure no? E ancora: “oggi una notizia può acquistare una sua credibilità – magari indebita – solo per il numero di like e retweet set che vanta, indipendentemente dal contenuto”. Insomma, senza essere un Boldriniano, ed è un nome come tanti, sappiamo benissimo quale sia ormai il grande potere dei social. E meno male che esistono anche i contro social. In tutti i casi, senza sposare il metodo Zuckerberg, credo sia davvero ora di intervenire, prima di tornare ai Ministri della propaganda, che poi lo siamo ormai diventati tutti, che anche quelli di verità ne avevano ben poca da spendere. Non ho idea naturalmente di come si possa fare, ma credo che la tecnologia legata all’informazione sia proprio la piaga del contemporaneo, tra fine e mezzo a fasi alterne, innocua per i videogiochi e pericolosissima nel delirio di onnipotenza che ormai ha preso chiunque. Ho il delirio di credere a tutto quello che voglio e di scrivere tutto quello in cui credo, e se poi siamo in tanti, allora significa che quello che penso è vero. Quindi, la tecnologia, veicolo di libertà e verità? E dopo tutto questo stordimento? Credo che nessun futurologo possa prevederne le conseguenze. O forse sì, ma sarebbero drammatiche. Che poi – la tecnologia e il suo utilizzo – non sono altro che il naturale proseguo di quella cultura di massa che avrebbe dovuto dotare tutti di qualche strumento in più. Ma si sta verificando esattamente il contrario.

    • La tecnologia è un’arma di controllo micidiale, forse la più potente mai creata dall’uomo.

      Bisogna essere ciechi e sordi per non vedere/sentire ciò che sta accadendo. I giganti dei social media sono in azione da mesi. Google ha cambiato persino il proprio algoritmo in modo che diventi sempre più difficile trovare fonti di informazione alternative. Nessuno dice che si tratti di voci perfette, ma si tratta pur sempre di voci necessarie a bilanciare le “voci del padrone” rappresentate dai media tradizionali.

      E’ uno specchietto per le allodole l’idea che le fake siano un’esclusiva della Rete (visto che gli altri media sono già ampiamente sotto controllo!!!), come conferma il “proclama” diramato dalla Polizia il 10 gennaio: “ATTENZIONE!! Fake news. È tempo di campagna elettorale e, come spesso purtroppo accade, assistiamo ad un’impennata nella diffusione di fake news via internet e social network…” Caso strano, non sono comprese nel pacchetto le super-balle dei giornali di Stato e la loro successiva diffusione, intesa a colpire fatti o personaggi di pubblico interesse. Anche il più ingenuo degli ingenui ormai lo ha capito.

      I provvedimenti italiani, la cui concomitanza con le elezioni di marzo evidentemente non è casuale, sono nient’altro che il seguito dei diktat della “Task Force Europea contro le fake news” istituita da Juncker al quarto whisky e composta da 39 “esperti”, fra cui Gianni Riotta (uahahah!!). Se qualcuno si riterrà in buone mani, tutti quelli che ancora non hanno smesso di pensare con la loro testa a quest’ora si stanno chiedendo: a chi giova la battaglia contro le fake news? Come mai le fake appaiono solo online e non sui media tradizionali (gli stessi che ci hanno venduto la bufala delle armi di distruzione di massa in Iraq e delle “vessazioni” di Gheddafi, del gasatore di popoli Assad, e via dicendo)? Possibile che il pubblico, a detta di chi gestisce il potere e dei loro subalterni piazzati nella politica, debba essere protetto solo dai siti web e dai bloggers?

  • Sì e tu ne sei la prova. Forse se la gente, e anche tu, comparasse quanto legge, e soprattutto leggesse, il confronto potrebbe essere più proficuo. La dittatura dell’informazione che proclami continuamente non esiste. Esiste solo il settarismo delle proprie idee. E basterebbe distinguere tra buon senso e no per discriminare tra le tante bufale circolanti in rete. Ma il buon senso è scomparso. Più sono grosse e più la gente ci crede e le prossime elezioni lo confermeranno. Tutta la campagna elettorale e’ ormai improntata sulle fake news che la gente non e’ più in grado di riconoscere. Ormai viviamo nella fantascienza che tu ami tanto. Firmato da uno che col potere non c’entra un ca××o, ma che cerca solo di ricercare il buon senso.

    • “Basterebbe distinguere tra buon senso e no per discriminare tra le tante bufale circolanti in rete”? E cosa ci vuole per discriminare tra le tante bufale circolanti sui media istituzionali? L’intelligenza, probabilmente. Ti ricordo che la bufala più bufala degli ultimi giorni è stata sparata dalla “Stampa”, uno dei giornali di riferimento dei bravi soldatini italiani, che ha addirittura costretto la Procura della Repubblica di Milano a entrare in campo per dichiarare ch’era stato inventato di sana pianta il presunto riciclaggio di danaro Silvio Berlusconi-Milan-Yonghong Li. Oppure, se preferisci, possiamo parlare dell’editore di riferimento di quelli come te, San Carlo De Benedetti, uomo di grande “buon senso”, che sta per essere condannato per un reato molto di sinistra: avrebbe “trascurato” (per soldi, ovvio) di bonificare dalle polveri di amianto gli impianti in cui morivano gli operai della Olivetti.

      Vogliamo parlare della bufala, sempre diffusa a mezzo stampa, delle “presunte interferenze” russe (mica volevamo essere da meno degli american dem!) nella campagna elettorale in corso? Morale: invece di Mosca, si siamo trovati a ficcanasare in casa nostra Moscovici.

      Premesso che la verità non esiste e tutti utilizzano le balle a proprio uso e consumo, è sempre stato così, oggi si assiste a un fenomeno inedito e per certi versi inquietante: serpeggia in questa società moribonda (amen) un nuovo bigottismo, un nuovo clericalismo, che liquida come postverità sia le bufale bell’e buone (per lo più palesi, solo un cretino non saprebbe distinguerle) che le interpretazioni “diverse” che non rispecchiano l’ideologia dominante, il pensiero unico. I portabandiera di questo nuovo bigottismo sono proprio quelli sempre pronti ad accogliere le falsità prefabbricate. Più che pronti, proni.

      Ciò detto, è chiaro che ognuno è libero di credere a quello che gli pare.
      Siamo tutti maggiorenni e vaccinati.

      Certo, se ci fosse ancora la “collettività” di cui lamentava la scomparsa Simone Weil (figuriamoci noi!) non avremmo di questi problemi perché, allora sì, il buon senso sarebbe un bene comune. Cosa che non è.

  • Per altri motivi ho avviato una ricerca sul futuro dell’uomo, e, fin quando nessuno se ne accorge, uso ancora la bibliotecaria-naso di segugio dell’ospedale: quindi roba seria, che esce da pub-med, mica da wikipedia. Fra le risposte un libro del prof. Ynharari, così serio da contenere un sito e un’email per la comunicazione permanente degli errori predittivi, in poche parole un collettivo autoaggiornante.
    Lasciatami approfondire (sono intasato di libri) poi, se l’argomento sociologico oltre a quello bio-umano (oppure -oide?) saranno pertinenti vi metterò a parte, oltre si intende a comunicare i canali di correzione delle ipotesi ed assunti sulla prova del campo!

  • Sull’esigenza di recuperare seriamente (non con la retorica) le nostre radici, Rita, sono perfettamente d’accordo. In un mondo sempre più globalizzato, abbiamo tutti (noi occidentali, ma anche orientali, africani…) bisogno di coniugare “localismo” e “mondo globale”, coniugare il meglio che può offrirci l’interconnessione degli abitanti del pianeta – pensiamo alla circolazione di idee che non è solo circolazione di un modello dominante, ma anche di idee alternative, che è circolazione anche di idee scientifiche, che è anche “condivisione della ricerca” su tutti i fronti, con il nostro essere “radicati” nella nostra comunità, nella nostra “tradizione”, nei “nostri valori occidentali”.

    Bene ha fatto, a mio avviso, la mia ex allieva Cristina Cappellini nel suo ruolo di assessore regionale alla cultura. che ha investito molto nel recupero dei “dialetti”, anche del teatro dialettale, delle nostre comunità lombarde. Non conosco i dettagli (e quindi non mi esprimo nel merito), ma ho apprezzato la “direzione” del suo lavoro.

    Non intendo, certo, entrare in campagna elettorale, ma sarebbe opportuno che tutti noi riuscissimo a fare un “bilancio” dell’attività della Giunta Maroni: giusto per valutarla e quindi per chiarici le idee su chi votare il 4 marzo.

    • Non vedo come il “localismo” potrebbe coniugarsi con il “mondo globale”, è una contraddizione in termini. Il mondo globale non ammette localismi, gli esempi sono quotidiani, costanti e puntuali.

      Le idee circolano da che mondo è mondo, sono sempre circolate, non mi sembra che l’invenzione della ruota sia rimasta appannaggio di un popolo, o abbia cominciato a diffondersi dopo la globalizzazione. Fenomeno che, invece, ha favorito enormemente il pensiero dominante.

  • Vedo che tra i commenti del post si affronta pure il tema delle fake news.
    A me pare che il pensiero unico non c’entri nulla con le fake news: queste, proprio perché sono “fake”, sono false sia che vengano create dal pensiero unico che dal pensiero alternativo, che dal pensiero alternativo al pensiero alternativo.

  • Lo sradicamento è uno dei temi conduttori di tutta l’opera della Weil e penso tu abbia fatto bene, Rita, volendo indicare questo fenomeno come una delle cause della nostra situazione attuale, a citare questo scritto. L’autrice è un personaggio da prendere con le più prudenti cautele ma, in effetti, su alcuni temi ha saputo prefigurare i nostri problemi di oggi.

    Un autentico e corretto radicamento può essere condizione necessaria, anche se non sufficiente, per iniziare a correggere determinati errori al momento forieri di rischi per la nostra società. A patto di sapere in che cosa ci si debba radicare e senza far prevalere i condizionamenti specifici sulle istanze d’ampio respiro. In pratica, rinforziamo le radici ma sviluppiamo anche foglie e frutti oltre i recinti.

    C’è un brano della Weil, apprezzato anche da Camus (forse non dal suo traduttore Fortini), che mi è parso significativo. “Quando in un paese esistono i partiti, ne risulta prima o poi uno stato delle cose tale che diventa impossibile intervenire efficacemente negli affari pubblici senza entrare a far parte di un partito e stare al gioco. Chiunque si interessi alla cosa pubblica desidera interessarsene efficacemente. Così, chiunque abbia un’inclinazione a interessarsi al bene pubblico o rinuncia a pensarci e si rivolge ad altro, o passa dal laminatoio dei partiti. Anche in questo caso sarà preso da preoccupazioni che escludono quella per il bene pubblico”. Radicarsi va bene, soprattutto per il bene comune. Meno bene radicarsi in un partito, dando priorità al bene di quel partito.

    • Nel proporre il tema del radicamento non pensavo affatto a un partito – per carità! – ma a una collettività. Credo che al giorno d’oggi, dopo aver tagliato tutti i legami che ci univano al nostro passato, non ci resti altro da fare che … rimetterci insieme. A cominciare dai piccoli gruppi (poca brigata vita beata!) poiché mi sembra che sia ormai chiaro a tutti che il “villaggio globale” non funziona. O meglio, va bene al mercato ma per tutto il resto è un fallimento totale. E’ come chiudere in un appartamento cinquanta persone diverse tra loro per mentalità, lingua e abitudini, e poi gettare via la chiave. Se tutto va bene, ci scappa il morto.

      Una collettività deve avere dei punti in comune, non ci si mette insieme se non si ha nulla da spartire, e dunque si dovrebbe partire da una reale condivisione di principi e obiettivi. Partire, appunto, perché arrivare è un’altra storia.

      Si sa che chi pianta datteri non mangia datteri.
      Io, nel mio piccolo, ho intenzione di piantarne.

  • Simone Weil aveva un fratello Andre, matematico, meno noto al grande pubblico ma dalla statura intellettuale enormemente superiore (cosa fra l’altro sempre ammessa da Simone), tanto da essere annoverato fra i più grandi dello scorso secolo. Leggete queste tre sue frasi: https://www.frasicelebri.it/frasi-di/andre-weil/ e voliamo alto.

    • Grande. Non lo conoscevo, grazie della segnalazione.

    • Cosa c’entra Cristo con la matematica ? ……… C’entra !

  • Non conosco il libro, quindi mi ricollego solo alla scia di commenti che offrono spunti interessanti.

    * separo in due commenti per facilitare la risposta e non sovrapporre gli argomenti.

    1) Fake News
    Le notize false sono sempre esistite, ma un tempo il mestiere del “mentitore seriale” era costoso: aprire un giornale, una tv, o anche scrivere un libro e convincere la gente a pagare per vederne il contenuto… direi fuori dalla portata e dagli obiettivi dei più.
    Con internet tutti hanno potuto aprire un sito, ma anche così, la questione rimaneva riservata a pochi smanettoni dell’informatica.
    Con l’avvento dei social, tutti hanno potuto gratuitamente pubblicare testi, immagini, video, audio… e così ci siamo accorti di un problema che c’è sempre stato.
    Basarsi sul parere della maggioranza, come si vuole tentare di fare su facebook può sembrare poco efficace, ma credo potrebbe funzionare se affiancato ad un sistema di “credibilità” associato ai voti “vero” o “falso” degli utenti. Inoltre tutti i big della tecnologia stanno investendo pesantemente su block-chain, il protocollo di trasferimento dati alla base delle criptovalute, che ha in sé un sistema di autocertificazione dell’attendibilità delle informazioni.

    • Diciamo pure che social, blog e siti vari, erano stati “inventati” allo scopo di … tenere la situazione sotto controllo ma poi, come sempre succede, l’invenzione è sfuggita di mano all’inventore. Ecco allora piovere i provvedimenti di restrizione sottoforma di “caccia alle fake-news”. Andando avanti, sarà sempre peggio. Non dubito che coloro che intendono cercare notizie vere in rete – che rimane comunque una grande risorsa – saranno capaci di trovare metodi alternativi per accedere alle informazioni censurate, ma si tratterà sempre di una estrema minoranza. I più si accontenteranno di quello che Google propone, e Google non è neutro, non lo è mai stato. prossimamente su questo schermo vedremo dunque sempre più persone che fruiranno per le loro ricerche dei risultati “certificati” di Google, e si accontenteranno di quelli. Se la timeline di Facebook non mostrerà alle masse i contenuti “falsi”, le masse non cercheranno oltre. Si prospettano tempi duri per tutti coloro che hanno a cuore il futuro dell’informazione. Eppure, c’è ancora chi difende questo Sistema. Il migliore dei mondi possibile.

      https://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=59898

  • 2) Collettività
    Magari la mia visione è mascherata dal mio settore di studi, l’edilizia, ma io credo la responsabilità del disastro sociale in cui viviamo sia dello sviluppo urbano post guerre. Le nostre città non appartengono agli uomini, ma alle auto. Le dimensioni di strade, piazze, quartieri ed edifici sono pensate per la comodità delle nostre automobili. Se vivessimo in “cars” (cartone animato disney), probabilmente avremmo molti meno problemi. I centri cittadini italiani non sono piacevoli perché costruiti con “stile” classico, ma perché sono pensati per le persone. Ne è esempio è il rapporto larghezza-strada / altezza edifici, che è di circa 1:1, il giusto bilanciamento tra l’esigenza di uno spazio aperto e la sensazione di protezione. Altro esempio è la multidisciplinarità: le attività commerciali, produttive e residenziali condividono gli stessi quartieri, gli stessi lotti di terreno su piani diversi. Questo rende la città “camminabile”, perché tutto si può raggiungere a piedi; il famoso negozietto “sotto casa” e il “barettino all’angolo” sono il cuore della vita sociale di una città. Ancora oggi seguiamo i ridicoli canoni del modernismo urbano, che professano la separazione delle attività: ed è così che le case si spostano in periferia su lotti di terreno con grandi giardini, strade ampie, parcheggi smisurati. Le attività commerciali chiuse in enormi blocchi di cemento raggiungibili solo con l’auto. Le attività produttive lontane dalle residenze, così “tutti a lavorare in macchina!”. Se in centro si è sempre immersi nella vita sociale, nei quartieri periferici non c’è vita sociale. Come potrebbe essercene? Le case sono lontane l’una dall’altra, non ci sono attività commerciali, niente piazze…

    * preciso che con “centro” intendo un luogo di attrazione sociale, e con “periferia” un luogo che ne è privo. Poco importa se il centro è al centro e se è storico o meno.

    Nella storia le persone si sono sempre trovate a vivere in collettività, perché la città glie lo consentiva / imponeva.
    Oggi, in nome della privacy e dell’uomo moderno, siamo tutti aristocratici che sognano la villa in campagna, un luogo dove poter accusare, senza essere disturbati dal vicino, la globalizzazione che ci isola.

    Sono solo io ad imputare il problema all’urbanistica?

    • Hai ragione: le radici del disastro sociale affondano nel Dopoguerra. Con la scusa che in quel periodo c’era mezzo Paese da ricostruire è stata data carta bianca a tutti, così, senza un’idea, un progetto, un obiettivo da raggiungere. L’Italia è piena di orrori edili targati Anni ’50-’60. L’apoteosi è stata raggiunta un po’ dopo, negli Anni ’70, quando le città medio-grandi hanno dato il via ai quartieri che oggi vanno sotto il nome di “case dell’Aler”. Non solo quelle case facevano schifo nella loro struttura, super-economica, ma sono servite da “confino” per quanti avevano un disagio sociale. Tutti ci chiediamo quale persona sana di mente (?) può aver pensato (?) di mettere insieme decine di problemi diversi in un piccolo spazio, eppure è successo.

      La Weil nel suo saggio si riferiva alle banlieues di Parigi, Marsiglia, Lione. Ma anche l’Italia, il mondo, sono pieni di banlieues: ricchi nei quartieri alti e poveri nelle periferie degradate. Sia nel primo caso che nel secondo, di regola, la collettività è assente. Ognuno si fa gli affari suoi. Non saprei dire se la cosa è stata voluta o se chi era (è) chiamato a decidere fosse di gran lunga più stupido di quanto si possa umanamente immaginare. Ma è così.

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