….nessuna mancanza di rispetto a quello che è un consolidato “presidio” della cultura cremasca: INSULA FULCHERIA, eccimancherebbe!
Anzi, una felice , grata presa d’atto della coraggiosa scelta consolidatasi con la presentazione del numero di Dicembre 2017 (il 47°) del “Periodico a carattere scientifico” diretto da Marco Lunghi.
Il Direttore nel suo bell’Editoriale, che introduce alla lettura dei sei “capitoli” in cui si articola la prima parte di questo prezioso numero di Insula, scrive: “….Insula Fulcheria si è proposta di offrire ai suoi lettori l’occasione di riflettere su un tema monografico riguardante i problemi ambientali di Crema per essere pronti ad aggiornare la concezione strutturale della città che abitiamo da sempre…..”.
Questa la ragione che mi ha portato ad aggiungere quel “PEN” al titolo del periodico: la scelta, ripeto e sottolineo, coraggiosa di gettare un ponte tra l’ “INSULA” della cultura ed il luogo abitato dai cittadini, la città, che vive la vita di ogni giorno, dentro e fuori dalle case, per la strada, in centro ed in periferia, a piedi o in macchina, ne lavoro e nello svago, che ….”assaggia” la “qualità di vita”, il livello di servizi, il “viver civile” che Crema è in grado di offrire.
Il primo “Capitolo” di Pen/ Insula (peraltro assai corposo, articolato in 7 schede, a firma di altrettanti professionisti giovani e …meno giovani, ma accomunati dal rigore scientifico col quale affrontano i temi da loro trattati) titola: <Crema, prospettive urbane> e si articola in:
- Crema dal dopoguerra a oggi – EDOARDO EDALLO
- Pianificazione comunale delle aree dismesse dal 1981 ad oggi- PAOLO VAILATI
- Aree dismesse: il caso il caso dell’area nord-est a Crema – LIVIA SEVERGNINI
- Paesaggio: spunti e riflessioni per il futuro – ALESSANDRO CARELLI
- Crema: la città storica tra passato presente e futuro – CHRISTIAN CAMPANELLA
- Costruire sul costruito, per una città futura a basso consumo di suolo – FILIPPO CARLO PAVESI
- Il rammendo delle periferie, un nuovo inizio – MARCO ERMENTINI
Capite bene, anche solo dalla lettura dei “titoli” che si entra nel ….corpo vivo della città, del territorio cremasco e l’analisi dello “stato di fatto”, oltre a “fotografare” le criticità di uno sviluppo ( sviluppo?!?) troppo spesso “non governato” è preludio a ipotesi, soluzioni, progetti che offrono prospettive di tutto rispetto.
Se la lettura attente delle 7 schede 7 non può che suscitare l’attenzione del lettore. Anche se non “addetto ai lavori” (quale io, ad esempio sono) , credo sia altamente auspicabile coinvolga coloro che …”addetti ai lavori” lo sono, magari “istituzionalmente”, a livello politico, amministrativo, professionale!
Un bel “sasso” è stato lanciato proprio nel centro del …lago stagnante, o, se preferite, del …porto delle nebbie!
I “cerchi” si allargano? Qualcuno se ne accorge?
….sperem da sé …..
Commenti
Pur da cittadino poco addentro alle tematiche “architettoniche”, anch’io sono rimasto colpito da alcuni di questi articoli. Il Novecento ci ha portato una devastazione urbana evidente, ma ogni secolo esprime ciò che è, anche nelle strutture urbane. Paradossalmente, oggi alcune realizzazioni novecentesche potrebbero diventare segni visibili di una realtà architettonica divenuta storia e persino oggetto di studio, magari di valorizzazione. Crema è un palinsesto di segni tracciati uno sull’altro nel corso dei secoli, in modo piuttosto diffuso sul suo territorio. Certo, di schifezze senza perdono ce ne sono, con buona pace di qualche autore. Ma a volte occorre guardare più a fondo per apprezzare il salvabile. Alcuni di questi saggi aiutano a capire meglio il nostro passato recente, anche in termini di archeologia industriale. Senza una riflessione sull’accaduto, si rischia in futuro di navigare a vista, sull’onda della moda o dell’archistar del momento. Prima di consumare altro suolo, abbiamo parecchio suolo da restituirci.
Si, infatti. A proposito di “navigazioni a vista”, non posso fare a meno di osservare, giorno dopo giorno e con una certa apprensione, il mostro attualmente imballato che sta sorgendo all’incrocio di via Cadorna con via Cremona.
Cosa verrà fuori là dove fino a qualche mese fa c’era un (fatiscente, eppure con una sua personalità) edificio tondeggiante con la facciata in mattoni rossi e l’interno “a ringhiera”? Non si poteva restaurare la struttura mantenendone l’estetica? Evidentemente no, secondo il costruttore che avrà voluto spendere il meno possibile. Ma perché chi rilascia permessi sta sempre dalla parte sbagliata? Hai voglia a rilegare buoni propositi in strenne natalizie che gli amministratori non leggono. Come diceva mia nonna: predica Berto, che predichi al deserto.
Mi viene in mente la Berlino attuale, riunificata e disomogenea pertanto dopo la riunificazione. Un campione di architettura bolscevica è stato appositamente conservato come “memoria di sciatta povertà”. Memoria, appunto, nient’altro. Ora si parte anche a Crema con gli abbattimenti e ricostruzioni e quindi, a parte la necessità di inclusione di tutti gli accorgimenti di risparmio di risorse nel nuovo progetto, e relative concessioni edilizie, ricordiamo che “quelle dei tempi recenti” erano vere schifezze. E basta con questa moda di “ogni epoca architettonica ha la sua dignità”! E penso di avere altrettanto diritto di parola di qualsiasi architetto o urbanista. È come per la moda delle donne: c’è quella bella e quella brutta. Osservate la cura nel progettare le divise delle assistenti di volo, e capirete che c’è un obiettivamente più bello, unito alla praticità, e un ovviamente brutto. Non le fanno ovviamente circolare guarnite in un peplo, sarebbero bellissime, ma nemmeno con anfibi ai piedi o che so io . Se parliamo di città con una storia, come Crema, questa ha certo vari punti di fulgore: non dico scopiazziamoli, tipo Cinecittà con finti scenari, ma non li offendiamo stridentemente! E mi vengono in mente esempi austriaci in cui questa armonizzazione si è ricercata, per conservare il genius loci, che poi vuol dire amore per il proprio “nido” e attrazione turistica.
Ottimo l’esempio di Berlino. E ci sta pure il paragone con la bellezza femminile. Sono con te, Adriano. Magari qualcuno ci accuserà di maschilismo. Il fatto è che sulla bellezza non è facile mettersi d’accordo. Ma, si sa, sulla bruttezza si fa molto prima. Sviluppiamo il tuo paragone.
Forse chi tenta di parlar bene della nostra architettura cremasca novecentesca ha il fair play del gentleman quando parla di una donna, ahimè, davvero bruttina. Ovviamente, non può esagerare più di tanto in questa premurosa attenzione: infatti, così come non si può passare proprio per ciechi affermando che “tutte le donne sono belle”, allo stesso modo non si può passare proprio per orbi sostenendo che “sono belli” certi tetti e abbaini a spigolo, certe case tipo hangar DDR, certe villette con fronte a sbieco, certi condomìni in stile Scampìa, certe chiese esteticamente a metà tra il garage e il mattatoio.
Ecco allora il ricorso a determinate locuzioni. Così come di una befana il gentiluomo prova a dire che “però è un tipo”, di certe realizzazioni edilizie cremasche del secondo dopoguerra si tenta di dire, con lo stesso savoir faire, che “presentano ingegnose soluzioni tecniche”. Così come di una cozza il vero signore prova a dire che “però ha un qualche non so che”, di certe architetture urbane cremasche del secondo Novecento si tenta di dire, con lo stesso bon ton, che sono un “segno” che “interpreta la loro epoca”, eccetera eccetera. Noi cremaschi, e con noi i nostri architetti, siamo sì gente di terraferma, però di terraferma veneta e non offenderemmo mai una donna bruttarella o una boiata architettonica. Non è nel nostro stile di relazione: siamo storicamente faziosi e rissosi ma anche cortesi e garbati.
(Inter nos, Adriano, mentre nessuno ci sente: dopo aver subito nel Novecento tanta urbanistica scorfana, Crema si meriterebbe in questo secolo un’architettura un po’ meno racchia).
Ritengo utile evidenziare alcuni suggerimenti preziosi dell’arch. Christian Campanella, nonché docente universitario, in uno dei suoi saggi apparsi su Insula Fulcheria.
Dopo l’articolata diagnosi sulle decisioni in ambito urbanistico prese dalla varie Amministrazioni di Crema negli ultimi decenni, auspica “disegni di lungo respiro, costruzione di progetti non votati alla promozione della singola stagione di gestione politico amministrativa, ma legati a una visione complessiva da programmare in continuità, a medio e lungo termine”, a partire magari “dalle due porte di accesso, Ombriano e Serio, che ancora confinano aree di parcheggio e non piazze vive, pedonalizzate votate alla socialità e al commercio. Due formidabili ‘radure urbane, che preparano da nord a sud, con le due porte ottocentesche, l’innesto al nucleo storico, già votate, per loro natura e conformazione, a diventare poli attrattori dei “‘fuori città’ dove poter stare, dove poter programmare eventi ed iniziative, anche a cascata e di rimando, con le altre piazze cittadine”.
Mi fermo qui, per, ora: mi pare ci sia già molto materiale di “riflessione” e forse anche di “esame di coscienza” per l’Amministrazione comunale.
Che cosa ne dicono, a proposito, gli assessori Matteo Piloni e Fabio Bergamaschi?
In attesa che i due assessori e, magari il sindaco, intervengano, vorrei sottolineare altre osservazioni di Christian Campanella. L’autore del saggio parla di spazi chiusi e aperti del museo non utilizzati e valorizzati compiutamente, della biblioteca bisognosa “di idee di lanci e rilanci culturali”, del sottoutilizzo degli Stalloni e dell’iperattività del mercato coperto (Campanella indica la testa dell’area del mercato verso piazza Marconi come area da riprogettare “trovando soluzioni a carattere squisitamente urbano”.
Sulla biblioteca e sul museo, anch’io, anche se non dal punto di vista urbanistico, ho avuto modo di suggerire delle idee innovative.
Tocca certo alla Giunta decidere quali strade scegliere ma è che la stessa Giunta che dovrebbe farci conoscere in che direzione si sta muovendo.