Tema storico cremascoltese, ma val la pena di tornarci se ci sono nuove visioni e novità.
Premessa: l’allarme è triplice: l’aspetto salutistico, individuale e globale pandemico, e poi l’impatto sul nostro mondo per produzione carnea in palese eccesso sulla sostenibilità, per cui anche questo “picco delle produzioni e consumi” non può durare oltre, parola di esperti.
Il punto uno è già ai più noto: anche per chi ha difficoltà di assorbimento dei folati dalle verdure o sintetici, non c’è bisogno di carne oltre una volta al mese (Tim Spector, nutrizionista ex vegano, ora “si somministra” questa dose di carne come un farmaco, in alternativa alle flebo, senza il cui apporto si ammalerebbe).
Che l’alimentazione carnea rientri, per chi di più, per chi di meno, fra i rischi salutistici, è d’altra parte ineccepibilmente confermato.
Ma i problemi comuni d’attualità sono altri due: anticipando in scaletta il punto tre, data l’emergenza virale attuale, ma solo un’anteprima di quanto può accadere in futuro, l’allevamento intensivo è una sorta di “laboratorio virologico a cielo aperto”.
Inoltre, al punto due, come dalla stima di insuperabilità del limite temporale 2030, il pianeta non può sostenere oltre il dispendio di risorse e immissione di inquinanti da questi allevamenti determinato.
La novità: per fortuna i numeri hanno già portato la Commissione Ue a stimare un calo della produzione per tutto il 2020.
Al di là delle dinamiche innescate dal coronavirus e dal conseguente lockdown, con problemi nella distribuzione di beni deperibili quale la carne, sembra chiaro che gli italiani stanno cambiando le loro abitudini alimentari. Il calo infatti è un riscontro in tendenza nell’intero decennio, quindi, che sia una scelta di salute o etica, gli italiani mangiano sempre meno carne.
Secondo fonti accreditate (Il sole24ore) il consumo nel periodo è sceso in Italia quasi del 30%.
Tornando ai dati recenti annuali le macellazioni si sono ridotte del 4,5% per il settore dei bovini e del 15,8 per i suini. Perché queste differenze fra i due parametri? Ma semplicemente per la grandezza degli animali e la resa in prodotto per capo soppresso!
Da considerare tuttavia, che la riduzione nazionale potrebbe essere dovuta anche ai più alti costi produttivi rispetto ai paesi vicini, e a tal proposito meno buona la notizia di uno stanziamento governativo di 35 milioni di euro per il settore, quando sarebbe il caso di prender la palla al balzo e puntare con decisione su prodotti meno inquinanti e meno “idrovori”.
E a questo proposito cito un altro dato: 1 kg di carne italiana “costa” 11.500 litri di acqua, TUTTAVIA contro una media mondiale di 15.415. Come mai di meno? Penso allenamento alla parsimonia, anche nella selezione delle specie, delle quali alcune ancora allevate allo stato semibrado (podolica ad es.). Ricordo ancora soltanto che una mucca beve fino a 300 litri d’acqua al giorno e il 14-18% dei gas serra è prodotto dai bovini.
E siamo arrivati al nesso epidemico, perché il covid stesso è connesso alla produzione di carni.
Più volte ho sottolineato come non ci sia bisogno di dare la caccia a laboratori segreti di virologia: la fabbrica dei virus la troviamo a fiuto, seguendo l’olezzo delle porcilaie.
Nei tempi antichi invece, quando la forza lavoro era equina e in misura minore bovina, e non meccanica, le più alte concentrazioni erano di cavalli, asini e buoi, e quindi di derivazione equina, ma anche bovina, le malattie umane, e ciò con buona attendibilità, già a partire dalla pestilenza achea sotto le mura di Troia (forse un H3N8 o un H7N7, due influenzali), a finire con la tubercolosi, di origine bovina.
Se aggiungiamo poi la riduzione della deforestazione per approvvigionamento di foraggio agli animali, si potrebbero “salvare” enormi estensioni (oltre l’80% dei terreni agricoli è direttamente o indirettamente finalizzato all’allevamento).
Conseguentemente ci sarebbe più spazio di manovra per le specie selvatiche, alla larga dai domestici.
Vediamo quindi che queste notizie di “iniziale frugalità” sono boccate d’aria a pieni polmoni per il pianeta, e suoi abitatori.
Stabilito il nesso, ma avendo parlato solo di un trend nazionale, vediamo come butta intorno a noi: anche gli U.S.A. hanno avuto una caduta del dei consumi carnei, con una stima del 19% nel decennio), e il dato dovrebbe essere strutturale, visto che è contemporaneamente cresciuto il consumo di proteine vegetali.
A livello medio europeo si apprezza un trend analogo, con un -1,7% per i bovini nell’anno trascorso.
Come mai di tanto inferiore rispetto all’Italia? Lo chiamerei semplicemente effetto Mediterraneo: per un Francese, un Tedesco, un Olandese, non ci sono infatti già pronte nella tradizione tante alternative alla bistecca o consimili quante ne abbiamo noi nella varietà di risorse gastronomiche già consolidate dal costume.
L’attesa è quindi quella della riqualificazione della buona tavola, come dire la politica sanitaria passa la palla al cuoco, per il superamento – e qui entriamo in gioco anche noi – del pasto all’italiana (primo – secondo – frutta) o alla francese (entrèe – plat principal – dessert).
Certo, l’industria sta facendo balzi in avanti nella produzione di cibi vegetali simil-carnei, ma per il consumo credo che per il momento riguardi una fascia di popolazione motivata ideologicamente (me compreso, ma solo a volte) più che una scelta di gusto. E poi c’è il prezzo, ancora un po’ superiore. A questo riguardo dobbiamo ricordare, fra i fattori di scelta, la nostra responsabilità nell’educazione alimentare delle nuove generazioni.
Oltre che un effetto di indottrinamento e allenamento al gusto va ricordato che è ora dimostrato che le preferenze sono trasmesse ereditariamente per tre generazioni, e constatato anche per quanti non hanno conosciuto i genitori. Come dire dimmi che mangi e saprai tuo nipote che mangerà.
Trattandosi di un problema di tipo planetario sarà determinante il comportamento alimentare e produttivo di Cina e India, i due paesi più popolosi, e che hanno visto un incremento di consumi carnei esplosivo nell’ultimo trentennio, a seguito del nuovo benessere. Ma c’è da ben sperare, dato che la raccomandazione governativa è per la riduzione dei consumi, con un tetto giornaliero di 75 grammi a persona, e date le abitudini gastronomiche già più variegate, pronte alle alternative, e non penso solo al consumo di insetti, già tradizionale, ma alla costituzione stessa del pasto, basato su “assaggini” e non sulle due portate in piatti ricolmi.
Insomma ci fregano anche lì, e qualcosa ci toccherà imparare.
Consigli Ing. CR Torrisi, date le scelte e l’esperienza già acquisita?
Commenti
La chiamata diretta dopo un post così corposo e documentato mi crea, devo dire, qualche patema!
In famiglia, la ‘bistecca” è stata praticamente bandita dalla tavola.
Le proteine ci arrivano sotto forma vegeto ( ceci, faglioli, lenticchie, piselli, fave), magari direttanente dall’orto , ottimi formaggi di capra prodotti da amici e dal pesce ( pescato).
Qualche periodica, scansionata a giusta distanza nel tempo, trasgressione del gusto, in “templi”…..dedicati al suino di qualità, non ci fanno perdere il legame con la tradizione padana.
Un mezzo bicchiere di vino/birra bio non ci maca mai.
E comunque sempre tanta frutta e verdura distribuita sui tre pasti: colazione/pranzo/cena.
Stiamo già percorrendo la strada che delinei già main per l’immediato futuro e devo dire, grazie alla creatività della compagna della mia vita, nulla sacrificando al gusto, ma anche all’estetica della tavola!
Mezzo bicchiere di vino? Non potrei. Non è piacere bastante. Mezza bottiglia al giorno per togliere il medico di torno. Se poi è una bonarda, un lambrusco, una barbera dell’Oltrepo’, anche di più. Con il rosso corposo mezza bottiglia può bastare. Con il bianco, mezza bottiglia non è possibile, la cena viene povera.
Come diceva la Cinquetti? Non ho l’età, Marino!!!
Ostrega, senza i miei due-tre bicchieri di buon vino per cena, non è cena, per me. Il vino “tinto y proletario en garrafones de cinco litres” (El vino de la infancia) che Fernardo Arambaru, lo scrittore basco di “Patria”, trovava in tavola, e che beveva suo padre, “obrero fabril”, mi ha fatto ricordare il vino rosso, da poco prezzo, che trovavo in tavola con i miei genitori, all’ora della minestra. Ora, bevo vino buono; anche se a volte sono tentato di infiaschettarlo da cinque litri, che mi ricorderebbe le cene silenziose, mio padre che allungava, sporcava il vino con l’acqua, mia madre con una fettina di limone, la busta di frizzina in tavola, perché mi piaceva l’acqua con le bollicine.
Tutti e due molto equilibrati: di Franco e gent. Signora già sapevo della via maestra intrrapresa, dui Marinno, come ben noto, per tradizione familiare Tanghesca, e conseguente epigentica, il primo bicchiere è è l’esploratore che fa strada al secondo, e considerato che il 1ì/2 lt è lo stabdard salutistico attuale per un maschio, con grandi margini di individualità secondo genetica etnica e familiare, non mi sento mica un beone!
Se natura chiama…
Fiaschi da 5 litri, Marino? Ecchessarà mai?!?
Sulla nostra tavola, da ragazzini, ricordo i bottiglioni di vino meridionale che mia padre prendeva da Voltini e le polveri di acqua idriz (che quella delinquente di mio sorella versava addirittura doppie nella bottiglia col tappo a gabbietta, e quando si apriva ……spruzzz!!!).
Si potrebbe aprire la vertenza sul vino, dopo la carne, ma è stato già fatto. Occhio! Terreno insidioso. Tutto va fatto secondo ritulità e tradizione, strumenti della saggezza sedimentati.
Adriano, ritualità e tradizione, bicchieri da meditazione, decanter, tour eno……gastronomici e visite alle cantine delle Langhe, del Barolo, del Brunello con vista su amene colline, corsi per sommelier casalinghi. Intorno al vino indubbiamente c’è molta letteratura, romanticismo, dalla mitologia alla religione, mezzo per addomesticare o annichilire, certo, ma l’alcolismo è sempre esistito, dal vino bevuto dai nostri contadini coi bottiglioni o fiaschi gocciolanti a lasciare impronte sulla tovaglia di plastica all’assenzio dei maledetti intellettuali e artisti francesi. La piaga dell’alcolismo femminile ad esempio, rituale un tempo consumato in casa, ora non più, tabù caduto come cadono tutti. Il vino mantiene quell’aura che va ben per gente della nostra età, i giovani ormai preferiscono il Negroni con nuove “ritualità e tradizione”.
Ha ragione Ivano: parlare di vino, buono, gramo, uno, due, mezzo bicchiere, è da vecchiacci, purtroppo. A Mozzanica, paese di confine e di passaggio tra Caravaggio, il Cremonese, Crema, Milano, Treviglio, la bassa bresciana, una domenica recente arrivammo in bicicletta da Crema, via Parco del Serio. Era mezzodì e tenevamo fame. Un bar-bistrot stava portando gli spritz a un gruppo di giovani. Fate panini? Non adesso, ci rispose il cameriere, o gestore, boh, che l’unica cosa certa è che aveva ancora poco spazio, visibile, su di sé per tatuarsi. Ora facciamo gli aperitivi, ci disse perentorio. Passammo a una trattoria-bar su un ponticello similveneziano. Si può pranzare? I tavoli all’esterno erano quasi tutti occupati. Non adesso, ci disse un signore tatuato poco, solo a un braccio, con tono, però, anche lui spiccio: fino alle 13 facciamo gli aperitivi. Spritz, Crodino, Negroni, Campari, Aperol e stuzzichini. Mai più a Mozzanica, pensai: ma che razza di posto è?
Proverò quando torno nella Sirenland che succede a chiedere alle 12 pane e pomodoro
Het da hanka/ he ke ho ……(le acca, si pronunciano ….espirate!!!!) ghet la dona/he ke ga lò/ la ga i gos/ he ke la ga ià!!!!!!!