AUTOBIOGRAFIE
Per sé ogni vita, la propria, è unica, irripetibile e siamo d’accordo tutti. Un po’ meno quando ci viene raccontata in un libro che comunque possiamo anche non leggere. Non diventeranno mai testi scolastici alcune autobiografie, e meno male. Se non quelle che naturalmente lo esigono. Sto magari parlando di testimonianze della Storia o di vite tragiche che quelle dovrebbero servire da monito affinché quelle unicità rimanessero tali. Ma purtroppo sappiamo che non è così nonostante rientrino in quelle letture magari scolastiche o da palcoscenico anche Anna Frank, Alda Merini o Primo Levi. Poi arrivano le vite inconsistenti che mai e fortunatamente rappresenteranno un interesse o un tedio per gli studenti. Allo stesso tempo viviamo di simpatie e curiosità verso quelle ospitate televisive che tra una lacrimuccia e un sorriso ci raccontano in viva voce gioie e dolori di chi, consacrato al successo, non solo aspira all’empireo della letteratura, o all’immortalità, o semplicemente a far qualche soldino in più, ma ci vuol soprattutto rendere partecipi del primo pannolino cambiato al proprio bambino, ma anche di quella volta che ha creduto di annegare. E i toni spaziano naturalmente dal comico al melodrammatico con editor che neppure loro riescono a rendere avvincente un’autobiografia spesso comune, se non inconsistente. Così sappiamo che la erre moscia di Marisa Laurito meno male che non è stata corretta dal logopedista, così da caratterizzarla insieme al suo bel faccione e alla pinguedine, che già fa simpatia, paludata in camicioni sgargianti, di buon gusto piuttosto di fascianti fouseaux, insieme a quella carica vitalistica e chiassosa partenopea che non manca mai e buca sempre. Venendo a conoscenza di aneddoti simpatici, stralci di vita vissuta, anche dolorosa, che altrimenti non conosceremmo mai, in una carrellata di nomi e volti meritevoli di passare alla storia dello spettacolo o almeno del gossip. Come sappiamo pure della tremenda malattia della mamma di Mara Venier e dell’infanzia difficile di Giorgia Meloni che titola il suo libro “Io sono Giorgia” e che ricorda quella vecchia pubblicità con quella bellissima ragazza parigina testimonial di un profumo che con “modestia” da grandeur ci concede un democratico e candido: “Lou Lou? Oui, c’est moi”. Naturalmente col titolo preso furbamente a prestito da quel video rap che imperversava l’estate scorsa dove la politica ripeteva quel tormentone in loop, appunto “Io sono Giorgia, sono una donna, sono una madre, sono cristiana (?)”. Pubblicizzata in prima pagina addirittura da Repubblica, perché si sa, erano gli altri che infrangevano cristalli e bruciavano libri. Lasciando però spazio democraticamente a lettere alla redazione, a voci critiche con recensioni ironiche o amare tipo questa:”…apprendiamo, tra le altre cose, come la sua più grande fobia adolescenziale fosse quella di morire affogata. Non si tratta di un capolavoro da premio letterario. La trama è avvincente come la vita di un ragioniere dell’Inps, con un approfondimento psicologico da far invidia alla Settimana enigmistica. Ma la fobia dell’annegamento ci induce a empatia e umana comprensione, soprattutto da parte di chi, quasi tutti i santi giorni, si appresta ad attraversare il Mediterraneo su barche fatiscenti, con la speranza di una vita migliore. Chi più di loro può capire le paure infantili di Giorgia Meloni?”.
Avrà sbagliato editor? Ma qui si scade come al solito nella politica e nei pregiudizi. Magari è un bellissimo libro.
Per onestà intellettuale riconosco di non averne letta neppure una. Ma come resistere all’autobiografia di Sharon Stone?
In attesa di quella di Jerri Calà che poverino, dice il figlio, nessuno lo fa più lavorare per le sue idee di destra.
Commenti
Scusate la leggerezza del tema, ma credo che il narcisismo contemporaneo, coccolato e alimentato dai social, meriti qualche riflessione.
Si, certo Ivano, anche se tutto sommato quello che tu chiami “narcisismo” sono abche disposto ad accettarlo, se non è accompagnato da insulsa supponenza, prevaricazione, volgarità o peggio ancora , violenza!
E per fortuna ci sono i ghost writer con le balle! Se fai partire la narrazione di una vita insulsa da un fatto notevole, poi carrelli in avanti e indietro, diventa una degna vita.
Dicevo dei social, e forse ne ho già parlato perché anch’io su Instagram ho pubblicato la mia autobiografia pittorica, non dico artistica perché il termine comporta un sussiego, una supponenza che non ho, almeno credo. Non che me ne faccia un vanto naturalmente, anche perché si parla di un percorso non ancora concluso. Difatti, dopo aver esposto i miei ultimi lavori nell’85 mi sono deciso di nuovo a scendere in campo cadendo in quell’autocompiacimento, meritato o no non importa, che i tempi richiedono. Richiedono, pare, anche perchè una regia dall’alto concede spazio a tutti in una masturbazione di cui non sono fiero, ripeto, ma debole di fronte anche ad una sola lusinga. Perché non approfittarne quindi? In queste poche righe ricorre cinque volte l’interrogativo perché, e ora sei, come la stessa parola ricorre scritta su alcuni miei lavori. E la congiunzione dovrebbe appunto mitigare o giustificare tanta esposizione. Fino al momento probabile che il perché, sette, e qui è nome, preluda una sola domanda: perché, otto, adesso avverbio interrogativo, hai rimosso tutto?
Perché, nove, finalmente una risposta, non sono un narciso. E perchè, dieci, queste righe? Altra probabile risposta: perchè, undici, lo sono.
Adriano, una vita insulsa, toccata da un fatto rilevante, insulsa non lo è più, se non come in una bulimia alimentare. Dostoevskij nelle Notti bianche si chiedeva: mio Dio, un attimo di vera beatitudine, è forse poco per riempire la vita di un uomo?
L’Archivio di Pieve Santo Stefano, in Toscana raccoglie diari, storie, autobiografie, di tantissime persone. Gente comune, emigranti, casalinghe, meccanici, un ragazzo sardo che per un brutto voto fuggì nella Legione Straniera. Le vite eccezionali di tutti. Un archivio che volle Saverio Tutino, che fu cronista de L’Unità, donnaiolo e appassionato castrista. Chiunque pensa che la sua storia valga qualcosa, anche se non è scritta con la brillantezza, la grammatica giusta; oppure non è da palcoscenico, può spedirla lì. Tutte vengono lette, da qualcuno, e possono partecipare al premio annuale, che prevede la pubblicazione, di solito dall’editore Giunti.
Marino, sono d’accordo.
Lo stesso pensiero si trova si trova in libro dello scrittore serbo Danilo Kiš. Per il piacere della divulgazione copio e incollo da Wikipedia, che poi è il riassunto del risvolto di copertina del libro.
” L’ Enciclopedia dei morti (in serbo: Enciklopedija mrtvih) è una raccolta di nove racconti . Pubblicata per la prima volta nel 1983 (Zagreb: Globus; Beograd: Prosveta), è stata tradotta in italiano da Lionello Costantini per la casa editrice Adelphi nel 1988.
L’Enciclopedia di cui si parla nel racconto che dà il titolo alla raccolta è un’opera immaginaria in migliaia di volumi, custodita nella Biblioteca Centrale di Stoccolma, che raccoglie le biografie di tutte quelle persone dal 1789 in poi che non compaiono in nessun’altra enciclopedia: una massa sterminata dei comuni ignoti che qui si ritrovano raccontati in un “amalgama di concisione enciclopedica e di eloquenza biblica”. Ciascuna voce dell’Enciclopedia conterrebbe tutto ciò di cui nella vita di un uomo non resta traccia se non nella memoria, e i maestri compilatori avrebbero insistito sui particolari perché per loro “ogni cosa umana è sacra”. “Gli stati d’animo dell’uomo, la sua concezione del mondo, di Dio, i suoi dubbi circa l’esistenza dell’aldilà, le sue norme morali” (p. 62).
Secondo le parole dell’autore, “tutti i racconti di questo libro nascono, in misura maggiore o minore, sotto il segno di un tema che chiamerei metafisico; a partire dall’epoca di Gilgamesh, la questione della morte è uno dei temi ossessivi della letteratura. Se la parola divano non richiedesse colori più luminosi e toni più sereni, questa raccolta potrebbe avere il sottotitolo di Divano occidentale-orientale, con un chiaro riferimento ironico e parodistico”.
Lasciare traccia di sè sarebbe desiderio di chiunque, appunto di fronte alla paura della morte. Si conservano vecchie fotografie, lettere e quando si trova qualcosa di manoscritto, magari un diario, si grida al miracolo. Molti anni fa una mia ex alunna, Valentina, che è anche intervenuta su Cremascolta con un paio di commenti non ricordo su quale argomento, mi portò come una reliquia un diario che suo nonno tenne durante l’ultima guerra. Ne leggemmo insieme alcune commoventi pagine. Se non si scrivono autobiografie si fanno figli e si lasciano eredità, quando possibile. Ora col digitale almeno nella forma cambierà tutto, purtroppo. Una mail non eguaglierà mai vecchia lettera autografa.
Oltre ai ricordi naturalmente, tutto l’immateriale o il metafisico di cui rimane traccia finchè rimangono testimoni e custodi di tale memoria. Altrettanto importanti e più di quattro soldi.
Danilo Kis è autore raffinato e poco frequentato, in Italia, nonostante l’Adelphi, casa editrice che elegge lo stile come unica cifra letteraria, ha tradotto e pubblicato regolarmente la sua opera, con poche ristampe.
L’autobiografismo è un rischio, quando si scrive. Difficile l’onesta quando si parla di sé; e l’Io è sempre un tantino troppo sviluppato, come mi disse Corrado Stajano, sgranocchiando patatine al bar del Piccolo di Via Rovello a Milano.
Thomas Hardy, scrittore e poeta tra i miei preferiti, uomo misterioso, come recita il titolo della biografia che le ha dedicato Claire Tomalin “The Time-Torn Man”, l’uomo dal tempi tormentati dal peccato (la società puritana inglese di fine Ottocento); anche uomo dal tempo tormentato, rimane un autore, una personalità enigmatica. Anche per le donne che gli furono vicine? Probabilmente, paventa la Tomalin.
Nel suo ultimo romanzo, un capolavoro, che gli costò guai, e l’odio dei grattasottane, “Jude, l’oscuro”, Hardy racconta una storia che è in parte storia di sé, dei suoi pensieri profondi; come un’ultimo tentativo di spiegare e spiegarsi e attaccare una società che lui amava e detestava. L’autobiografia era disseminata nei suoi personaggi. Forse lì, nelle storie d’altri raccontate, svela tratti marcati di se’. Lo faceva anche un non scrittore di prosa, come Stajano, che scrisse una biografia di Franco Antonicelli, editore e letterato colto, e nel ritrarlo, sembra di cogliere Stajano stesso, in un certo qual modo. Raccontare altri, anche per spiegarsi.
L’esempio migliore, per me, di autobiografismo letterario, negli ultimi anni è Annie Ernaux. Ha scritto, quasi sempre, storie corte, magistrali, delle sue umili origini, e momenti della sua vita, che sono registro storico della vita di tante. Un aborto, “L’evenement”, libro bellissimo. “La place”, il rifiuto di dimenticarsi da dove proviene. “La femme gelee”, la donna gelata, che uscì in Francia nel 1981, tradotto, e pubblicato pochi mesi fa da L’Orma editore.
L’essere donna in un mondo di uomini che hanno vantaggi e privilegi. Una disparità anche all’interno della coppia; rinunce; il carico delle responsabilità; i figli da allevare, con lo scarso contributo del compagno con cui si vive. Le aspettative deluse. Infrante. Una donna che si fa gelata. Un diario di grande bellezza di una scrittrice che raccontando di sé, racconta una società, un modo di vivere, elevando l’autobiografismo a spessore temporale e culturale. Sociologia applicata all’individuo. Attraverso Annie Ernaux l’autobiografismo è letteratura e scontro con la realta’ quotidiana.
Visto che dall’auto si è passati alla bio come non citare Philip Roth e la sua biografia scritta da Baley che in America è andata al macero. Il libro di Blake Bailey sulla vita dello scrittore di «Pastorale americana» è stato ritirato dalla casa editrice Norton dopo le segnalazioni di alcune donne che accusano l’autore di molestie e in un caso di violenza sessuale”. In Italia, sbaglio o è stato pubblicato da Einaudi? Sorte simile non è toccata anche a Woody Allen?
Conosco la qualità di Blake Bailey come biografo perché sono un lettore dei romanzi e racconti di Richard Yates, scrittore che amo, a cui Richard Ford e Sandro Veronesi hanno dedicato toccanti prefazioni per due edizioni differenti di “Revolutionary Road”, in Italia curate da minimum fax. “Revolutionary road”, bellissimo romanzo è stato anche film di successo diretto da Sam Mendes, con Leonardo di Caprio. Yates, finito poi nell’oblio, è stato ripubblicato di recente. In inglese, si trovano suoi tascabili in edizione Vintage, con copertine sciatte; i miei complimenti a minimum fax per aver riproposto quasi tutta la sua produzione letteraria, che cominciò sulle riviste come “Esquire”, “The New Yorker”. Yates è una scoperta recente, per me. Non lo conoscevo, fino a due anni fa. Sto leggendo tutto su di lui. Ed è importante leggere la bella e documentata biografia che Blake Bailey gli ha dedicato. “A tragic honesty”. La vita di Richard Yates.
Ho letto che vogliono impedire la pubblicazione della recente biografia di Bailey dedicata a Philip Roth, che ho visto disponibile, pochi giorni fa, in edizione originale, alla libreria Hoepli di Milano. Quindi, c’è nelle librerie.
Censurare o impedire la pubblicazione, o non leggere un libro di Bailey, poiché è accusato di molestie sessuali, è sbagliato.
E senza volerlo sono incappato in una lettura che dice alcuni dettagli del “Paracelso”. Si trovano a pagina 91 del bel romanzo “Il mago” (Adelphi) di un grande e raffinato scrittore inglese William Somerset Maugham (che si pronuncia Mom, mi corresse una madrelingua inglese). Coincidenze misteriose? Da riderci su.
Marino, le coincidenze, proprio perché sono co/incidenze, ln quanto tali non esistono! Sono frutto di percorsi che si incrociano, si può esserne consapevoli o no, certo, ma sono “incontri” , a noi saperli mettere a frutto!
Sarà come dici tu, caro Francesco, e William Somerset Maugham, che racconta, romanzando la storia di un mago vissuto ai primi del Novecento. Un romanzo di qualità garantita, e documentazione di matti, bizzarri, studiosi di alchimie, e ben tre pagine dedicate a quel buontempone di Paracelso. Uno che non restava a guardare passare i treni, ma aveva il fuoco sotto il sedere, che lo faceva andare in mille peripezie.