di Lorenzo Merlo
Ho sentito le alterazioni di Mughini alla tv, erano d’isteria orripilata. Erano dedicate alle scelte violente della compagnia degli Angeli, ovvero di quei bifolchi e incivili che, a Washington, capitale federale degli Stati Uniti, hanno preso d’assalto il Campidoglio, la sede del Congresso americano. Sbraitava come chi ammonisce affermando il giusto. Muovendosi a destra e a sinistra, col mento insù, gli occhi sbarrati e le mani roteanti, che si vedevano bene. Avevano dita sottili, conoidi, arcuate al rovescio. Dita di mani che non hanno mai impugnato altro che Bic, né martellato altro che tastiere, annerite dall’officina, incallite dalla sopravvivenza.
Prima per anni, ho sentito chiamare “fascisti” tutti quelli che in qualunque modo possibile fossero o avessero preso le distanze dalla politica dei progressisti. In alternativa – quando anche loro avevano capito che non si poteva dare del fascista a un’intera, crescente moltitudine, optarono per chiamare populista quel popolo impoverito e alienato, che nel frattempo si era radunato, in un modo o nell’altro, a contestare le politiche che lo avevano dimenticato.
Dimenticato. La parola non è scelta a caso, è quella giusta. Come è stato possibile dimenticarsi di chi ci si doveva prendere cura? In questo caso, assai datato, di distrazione non si può parlare. Dove cercare per trovare una ragione di come si sia potuto perdere di vista il proprio popolo, motivo dell’esistenza stessa della sinistra? Non si era mica nascosto. E con quale intelligenza avrebbe potuto farlo, lui, così ignorante? Doveva necessariamente esserci un’altra ragione per dimenticare ciò che più gli stava a cuore. Doveva essere qualcosa di pari valore.
Eh sì, erano riusciti nell’intento della radicale dimenticanza, anzi radical-chic. Ma l’impresa non era dovuta a qualche colpo di genio interno alla congrega. Tra loro stessi, se lo saranno detto e ridetto, non c’erano grandi cime sulle quali contare per un colpo di mano che passasse inosservato, che li lasciasse senza macchia, o che, con una piroetta, riuscisse a dare la responsabilità politica del loro ammutinamento alla causa filo-socialista. Che riuscisse a spacciare lo straccio dell’articolo 18 come un raggio di radioso futuro, nuce di una nuova futura, flessibile Internazionale.
No, c’hanno renzianamente provato ma non ci sono riusciti. Non è stata opera loro, la farina era del sacco di altri, di una politica alla quale avevano deciso di aderire, anche se alcuni preferiscono dire, di genuflettersi. Sì, perché la scelta implicava la famosa dimenticanza. E il raggio di futuro che paventavano ne era il giusto contrappeso, l’opportunità per lavarsene le mani.
Tuffarono così le loro misere acque torbide di vergogna nel grande fiume placido e terroso della globalizzazione liberista. Dispersero la vergogna e con essa anche l’identità, sempre che qualcuno di loro fosse consapevole di ciò che stavano compiendo. Ovvero, dell’assassinio strutturale di quella base che per decenni avevano vantato come un valore supremo e coccolato come un genitore con il figlio.
Ormai presi dalla corrente superiore alla loro determinazione d’autonomia, indipendenza e sovranità, sostenevano di non aver avuto alternative. O meglio, che ogni alternativa era azzardata, economicamente suicida, perfino utopica. Solo abbracciare, anzi essere, la globalizzazione, avrebbe salvato il salvabile. Avrebbe ridato valore a quell’Italia che nel frattempo era stata svenduta e tralasciata, a quell’identità che – lo può dire chiunque – il mondo ci ha invidiato e c’invidierebbe, se ancora rappresentasse un popolo, una terra, una nazione: ma che ora rappresenta un mercato, e l’invidia, limitata al suo prezzo, si è tramutata in investimento. L’arte, i paesaggi, la varietà, la bellezza che credevamo inalienabili sono sui banchi del mercato mondiale. Gli offerenti ci sono già e non fanno fatica a comprare ciò che vogliono e ne faranno sempre meno. Nessuna contropiroetta potrà restituirceli.
Ecco, tutto è chiaro. Si sono dimenticati del loro popolo perché nella globalizzazione-salvamondo, nel globo robotizzato, nella smart-civiltà, nella precario-flessibilità, nell’implicita identità uniformata, nella fede nella tecnologia, i consensi di quattro neri, bifolchi e poveracci non servono più. E non è il caso di puntualizzare che non serviranno più neppure quelli di coloro che un tempo facevano il terziario, avevano due auto, due case, entrambe piene di oggetti, metà dei quali superflui e dimenticati. Non è il caso perché la direzione del mondo non è in mano di chi lo abita, ma solo di una parte di questi, ormai con portafogli, tecnologia e intelligence più spessi di quelli degli stati. Nel grande fiume limaccioso che tutto trascina e macina, la democrazia non è risparmiata. Arriverà al gelido mare della Tranquillità con un altro spirito rispetto a quello di nascita, e neppure la solita manciata di bombaroli anarchici, neri e poveracci potrà disturbarne l’arido equilibrio.
E se poi anche il voto puzzolente dei miserabili dovesse tornare utile – la facciata è importante – la potenza di fuoco della comunicazione non dovrà fare altro che attenersi alle nuove veline. Non dovrà che edulcorare le promesse, quelle che ormai – è ufficiale – “una cosa è quanto si dice in campagna elettorale, un’altra è la politica vera”. Non dovrà che colpevolizzare il nemico, sia esso la parte avversa, sia l’incerto votante; non dovrà che dare del populista apolitico a chi non ne può più di farse istituzionalizzate. La democrazia liberistica non ha mutuato il suo valore da quella umanistica, la sua vittima. Un matricidio d’interesse le cui conseguenze sociali e antropologiche non interessano alla politica, oggi detta liberismo. Immorale mostro divoratore di qualunque cosa gli si opponga. La lacerazione tra popolo e suoi rappresentati è una cancrena infetta. Ci si chiede se e con quali risorse il moribondo possa riprendersi. Interrogativo doveroso, legittimo, ma inficiato all’origine. Le risorse umaniste non hanno esistenza in una concezione del mondo materialista, positivista, fondata sull’avere. È un annuncio di disastro catastrofico, la cui sola gestione possibile è la repressione a suon di false soddisfazioni.
Il terreno sul quale siamo cresciuti è franato e scambiato per un benefit. Anche il Parlamento, le Istituzioni e il Governo hanno fatto la stessa tritata fine: anche se all’occorrenza servono eccome e vengono tenuti in vita nonostante la morte cerebrale. La storia è un canestro pieno di palline che, invece di Anquetil, Bitossi e Gimondi, ha maschere e fantocci. Come Ashraf Ghani e Hamid Karzay, ultimo e penultimo presidente dell’Afghanistan. Agli ordini sì di un popolo ma non di quello che il ruolo direbbe presiedano.
Che c’entra l’Afghanistan? La domanda è legittima. La risposta è: indichi la Luna e raccogli commenti sul Dito. Franando, per galleggiare, abbiamo scelto di fare da maschera e comparsa nel grande spettacolo in scena. Quello in cui – Pasolini, Debord e tanti altri ci avevano avvisato – solo ciò che vi accade, solo quanto previsto dalla sceneggiatura e pilotato da una regia, è reale. Ma il raggiro sfugge sempre a meno persone, per queste la narrazione è un’altra. Ci vorrebbe il denaro per fare anche il loro film. Per raccontare che tutti i neri e i poveracci messi insieme non spacciano, non evadono, non frodano, non detengono che le briciole di quanto cade dal tavolo di chi non si ricorda più di loro.
Così quella moltitudine dimenticata si è trovata in compagnia di Angeli e soci, neri e poveracci. Il mondo è spaccato in un modo che la democrazia non poteva farci immaginare. Il coro di lunghe dita sottili che, alla notizia dell’assalto al Campidoglio, si è levato a celebrare il sopruso agli Stati Uniti, “faro di democrazia” sul mondo, ne marca e ne misura l’abisso. Giù in fondo, nel buio profondo insondabile da chiunque sia distratto dai mille diversivi strumentalmente messi in campo dai fuochisti del momento, si trovano le leve del “faro”. Con’esse abbagliano di luce democratica i nativi digitali, carne da mercato per eccellenza. Insieme ad esse giacciono le tastiere originarie dei Social e della Comunicazione. I pochi addetti a maneggiarle sono privati che sanno di governare un timone più grande di quello delle silenti, sottomesse, istituzioni. Abili montagisti, tagliano le scene del film affinché la realtà che hanno in mente, tra applausi, tette e gossip, gradualmente si trasferisca nelle persone, tramutandole dall’infinito che hanno in sé a domati criceti sulla ruota che chiameranno vita. Così, bifolchi con forconi improvvisati, li autorizzano all’invettiva inquisitoria e santa condanna. Così, per esempio, il “faro” e la sua Cia rimangono indisturbati al lavoro. Non sono improvvisati e dispongono di centinaia di milioni di dollari per organizzare il loro democratico lavoro. La “più grande democrazia del mondo”, così la chiamano i giornalisti professionisti passacarte, quella di Hiroshima, del Golpe militare di Pinochet, di quello Noriega, delle torture di Guantanamo, dell’invasione dell’Afghanistan, delle Primavere arabe – allungare l’elenco è inutile e noioso – non ha nulla da temere. “È nel giusto”, così dicono dalla ruota i criceti in forma umana che li replicano, certi che la realtà sia proprio quella del film passato dai tg.
E dagli al fascio, una volta di più e ancora con più diritto di verità, a quelli che per protestare non hanno la dialettica. E che, a differenza di quelli che ce l’hanno, non hanno il lavoro, la casa, un futuro. Non hanno un’idea che li conduca se non quella di adeguarsi per limitare i danni o di trascinare giù gli smemorati per sentire come urlano perdono, per vedere come si prostrano sinceri dopo aver visto come era arredata la trincea della vita dei neri e dei poveracci. Proprio quelli che, con un beffardo e rivelatore proverbio, avevano creduto di poter buttare a mare come zavorra inutile e fare di tutta l’erba un fascio.
Era un epilogo d’origine ideologica. Cioè di quel genere di chiusura mentale ad essa ontologica, inetta all’ascolto dell’altro, dell’altra concezione del mondo. Diversamente, avrebbero potuto raccogliere, anche dai neri e dai poveracci, qualche momento utile ad una coesistenza meno slabbrata, ad una socialità meno paurosa. Invece, in sostituzione dell’ascolto, a mezzo del quale avrebbero anche trovato come evolvere, come scoprire la sede di un mea culpa, come riconoscere e imparare dai propri errori, hanno preferito colpevolizzare e squalificare neri, poveracci e chi con essi.
Commenti
La compagnia degli angeli era composta da un bel gruppo di benestanti, poliziotti, e squilibrati, che non c’entrano um fico secco con la povertà, signor Merlo. Lei sa cos’è la povertà? Ha mai dovuto andare in gita due giorni con una colletta, segreta, di compagni di classe? Mia madre, che era semianalfabeta, odiava i bifolchi, gli zoticoni della sua classe, la mia, che alzavano il gomito, picchiavano le donne. Perché anche questo è povertà, mai lei non sa nulla di questo. Recita il solito mantra dell’élite liberal. Come se Trump fosse figlio di un venditore di automobili come è Biden, e non un tipo con le mani bucate, che spendeva soldi non suoi, ma di suo padre.
Provare a distinguere la lana dalla seta in un paese nato senza storia né cultura come gli Stati Uniti, e cresciuto ancor peggio nell’ottica dell’arraffa tutto quello che puoi, è una delle imprese più ardue esistenti: il mondo del relativismo per eccellenza. Perché vede Merlo, la dialettica lì non ce l’ha proprio nessuno! Ma che facciamo, lo riformiamo noi quel mondo? G. Washington aveva professato l’isolazionismo, il bottegaio biondo-ciuffato l’ha riscoperto, meglio sarebbe lasciarli nel loro brodo quindi, e per far etica politica passare a campioni sociali più civili, altre pietre di paragone, ma… già, non si può! Quei ragazzoni buoni ci hanno donato la libertà dal nazismo! Ed è vero, erano biondi, o neri, ma buoni, ma penso sia il caso di lasciarli a una loro crescita autonoma, dargli una mano se la chiedono, ed evitare di fare paragoni, perché di strada da fare ne hanno tanta ancora! Un’ottica snob?
Mbe’ un pochetto sì! So’ romano!
Ed ecco che my brother Adriano ha ….acceso la luce!
Ero li che sbattacchiavo come un moscone inciuchito attorno ai vetri che racchiudevano il post della new entry Merlo Lorenzo, per me così difficile da penetrare (problemi di forma, di linguaggio, di approccio cultural/esistenziale) e lui con 8 righe emmezza, alla Einstein, mi ha fatto dire come Jake Blues: “ho visto la luce”!
Si perchè loro gli yankes si sono conquistati la democrazia con una guerra di seccessione tra le più sanguinose mai combattute, con al centro “il cotone”, mica “la lana e la seta”!
Epperò come dice sacrosantamente my brother, “Quei ragazzoni buoni ci hanno donato la libertà dal nazismo”, e senza di loro l’Europa non ci sarebbe, con annessi e connessi!
I paragoni, con loro, proprio non si possono/devone fare. Ce ne abbiamo abbastanza (ma anche troppo) dei “come eravamo e perchè”, quando ci beavamo del “sole che sorgeva libero e giocondo sui nostri colli”! Con quello facciamo paragoni, ma seriamente, per davvero, cercando di imparare dalla nostra, di storia!
Ma dopo due giorni e tre commenti non dovrebbe arrivare una risposta? Da Valentina da Merlo, da chiunque, ma Cremascolta è un luogo di discussione, non un sito da attacchinaggio!
L’artico vuole solo fare presente che giudicare impedisce di comprendere
Se si deve spiegare quello che non si capisce significa che valutare ha raggiunto il suo obiettivo. Se però si insiste nel non voler far capire c’è poco da comprendere. Non mi sono mai piaciute le persone che parlano per enigmi, mi piacciono la schiettezza e la chiarezza di esposizione, in qualsiasi modo la si pensi. A meno che uno non si compiaccia di scrivere complicato. Io del suo post non ho capito assolutamente niente, nè mi sono stati di aiuto i commenti di Marino e Adriano. Forse il commento di Francesco quando sottolinea, citando Adriano, che ci hanno ridato la libertà. Ma purtroppo di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia e il giudizio verso gli americani, fatti di cronaca, politica estera, guerre più o meno chirurgiche, razzismo, suprematismo bianco, Ku Klux Klan, poveracci che malati non sanno come curarsi, addirittura la pena di morte ancora praticata, mi fanno dire che orami da quelli non abbiamo più niente da imparare, che la più grande democrazia del mondo è morta e sepolta da un pezzo. E le vicende di Washington lo dimostrano. E’ come quando in Italia si votava per Berlusconi perchè il pensiero comune era che bravissimo con le sue aziende, tramacci politici a parte, avrebbe risollevato l’Italia. Ecco, loro quattro anni fa hanno eletto Trump, un outsider rispetto all’uomo comune, dimenticando che il termine democrazia senza valenza di bene comune per tutti non ha nessun senso. E poi cosa vuol dire che non si può e non si deve giudicare? Quando mai?
Ivano ha ragione. Lo scritto del signor Merlo è chiaro come certi nebbioni di quando ero bambino.
Il signor Merlo mescola Bitossi, Anquetil, Gimondi, Giampiero Mughini, gli afroamericani, i deplorevoli, l’America…
Tra l’altro, Anquetil era ciclista ai tempi di Fausto Coppi; Bitossi, Gimondi, anche Adorni vengono molto dopo.
Forse c’è un abisso di consapevolezze. La comunicazione non è un fatto razionale. Scrivere che il giudizio impedisce la comprensione e leggere “cosa vuol dire che non si può e non si deve giudicare? Quando mai?” ne è una piccola dimostrazione. Non ho le doti per erigere i ponti utili a superare il vuoto che separa chiunque quando all’ascolto si antepone l’affermazione di sé.
Allora indichi Lei la strada da percorrere, ma che sia praticabile però. Per essere più precisi io sono per il rispetto di tutte le individualità, senza giudizio, ma le scelte politiche, ad esempio, esulano dal privato perché coinvolgono tutti. Di conseguenza comprensione e giudizio, in questo ordine, devono coincidere.
Mi scusi, ma visto che tra il buio del suo scrivere vorrebbe dare conto dei poveri, se ho ben capito, bene. Dare dignità ai poveri, bella storia, sempre che è un ambiente che lei conosce, quello dei “deplorevoli”. Se mi permette, si segni il consiglio di Enzo Biagi, che diceva: se non la capisce la lavandaia, quando scrive, ha sbagliato mestiere: è meglio occuparsi del punto svizzero: fare a maglia. E’ di maggior utilità. Non ci sono più le lavandaie, ma di gente semplice, povera di cultura ce n’è e va rispettata, scrivendo.
È la prima cosa, la chiarezza.
La confusione nella scrittura finisce per guastare anche un buon ragionamento.
Anche se dice di non avere doti per erigere ponti io credo che l’affermazione di sé riguardi più Lei che non i commentatori che una forma di comunicazione l’hanno comunque cercata.
Non ho capito tutto, vero, ci sono passaggi criptici, ma il sapore, o il sentore, si intuisce, e io ho risposto anche questa volta solo per quel che so. Tuttavia… quando l’amico Ivano mi ha fatto notare anni addietro (ci davamo ancora del lei) “quando parla il dott. Tango non si capisce un ca..” (fosse per me lo scriverei per esteso), ho cercato di essere più chiaro, quando mi avete fatto le pulci per gli errori di battitura, ho cercato di scriver meglio.
“Non ho le doti per erigere i ponti” Dice il Signor (evito titoli) Merlo. Visto il suo variegato curriculum dovrebbe conoscere una semplce ricetta: iniziare contemporanamente dalle due sponde, impegnarsi senza badare a chi sta dando il maggior contributo. Io qualche palo di sostegno l’ho piantato.
Se poi con “il giudizio impedisce la comprensione” intende il pregiudizio, l’Associazione, nella sua componente di blog, è sempre stata apertissima, salvo manifestazioni di aggressività, che sono state fustigate. Da tale pecca il Signor Merlo appare scevro, quindi non vedo pregiudiziali al dialogo, magari inventandoci una lingua comune.
Adriano, nessun pregiudizio. Che il signor Merlo dimostri una personalità complessa è innegabile, ma è innegabile che anche il pensiero più complesso possa essere ridotto ai minimi termini, non nel modo più semplice che sembrerebbe riduttivo, ma in forza appunto della comunicazione. Altrimenti che ognuno cuocia nel suo brodo, e a questo punto l’incomprensibile potrebbe astenersi dal bloggare. Compiacersi della propria vanità sarebbe sterile. Credo che questo approdo voglia dire il contrario.
Poi chiudo: ne facciamo una questione di metodo, ma il problema rimane quello di estrapolare dei contenuti reali che possano giovare al confronto.
E io che ho detto? Che, sono ermetco anche io? Certo, ho parlato di ponti tesi e lingua comune, di presupposto di non aggressività, ma è questo. quel che dici tu, che anche io dicevo. Aiah, mi sa che son tornato ai tempi in cui di quel che dicevo “non si capiva un cazzo”, e di quanto scrivevo tanto meno per la polpastrellite…
Partiamo da qui. “Erano dedicate alle scelte violente della compagnia degli Angeli, ovvero di quei bifolchi e incivili che, a Washington, capitale federale degli Stati Uniti, hanno preso d’assalto il Campidoglio, la sede del Congresso americano.” Va bene che Lei, non giudica, ma questa sua affermazione è già un giudizio. Signor Merlo, non ci sarebbe neanche bisogno di chiederLe come li definirebbe. E comunque siamo al gatto che si morde la coda. Tradotto: io non giudico, giudico chi giudica con un giudizio che non condivido affatto.
In merito alla questione del giudizio, più precisamente si dovrebbe dire che, identificarsi in esso o meno genera mondi differenti. Siamo universi diversi, solo la disponibilità all’ascolto e all’empatia alza il rischio di edificare ponti utili alla comunicazione. In altre parole, la questione si potrebbe rappresentare con: la questione non è se è vero o no, piuttosto in che termini lo è. In questo modo apriamo alla nostra creatività l’infinito che è in noi e realmente possiamo entrare in contatto con ciò in cui non ci identifichiamo.Altrimenti detto, possiamo evolvere.
Ivano, non ho “strade praticabili”, quantomeno lineari o univoche. Credo che identificarsi con il proprio io, con un ruolo, tenda a compromettere lo scambio profondo, così come tenda a consolidare gli elementi di fazioni di appartenenza. Ma già avere consapevolezza di essere identificati in qualcosa può essere cosa occulta a se stessi.
10:01: Lorenzo, Lei vorrebbe passare per un relativo, ma a questo punto della conoscenza non mi pare credibile. Per ora emergono inequivocabilmente solo le Sue spiccate simpatie. Dopo le speculazioni filosofiche esistono momenti, obbligati o meno, dove queste devono trovare applicazione nel reale. E lì casca l’asino.
Lorenzo, diceva tal Spinoza, non mi frega niente se il cane mi ha morso per colpa della volpe che lo ha infettato di rabbia: incolpevole va soppresso. Ed era uomo buono, oltre che studioso talmudico e poi grande filosofo logico.
I morti di Washington restano morti. Certo, si può morire per una giusta causa, ma allora definiamola questa causa! Darci degli insensibili a verità, che magari esplicitate e non sottintese, chi ha detto che ci vedano affatto ostili?, non serve a un dialogo messo in superficie piana. Vero, la superficie piana è lei stessa un’astrazione, misera rappresentazione dei processi mentali e della fenomenologia umana, cosmica… ma almeno ci capiamo! Io ho l’impressine che lei, o tu, ti aspetti una critica implacabile a ogni passo, e non è così, questo è un luogo di educata verifica. No, perché l’alternativa sarebbe non essere considerati all’altezza di quelle perle che date in pasto…
Qui si contrappongono due scuole di pensiero dove l’umana empatia non aiuta a stabilire cosa è vero e cosa no. Stando sul pezzo, dopo millenni di costruzione di civiltà, avendo stabilito regole costruite a fatica, io credo che evadere da quelle significhi sovvertire una convivenza che, senza che queste regole democraticamente cambino, magari col risultato di illiberalità solo perchè a maggioranza convenute, comporti sempre dei rischi. E la Storia, con i suoi corsi e ricorsi, l’ha sempre dimostrato. Se poi Lei prova empatia per lo sciamano, con corna e finta pelliccia di bisonte, e qui siamo solo al folklore, ma gli intenti erano ben più bellicosi, e per tutti gli altri gruppetti rivoltosi non so proprio cosa dirLe. Difficilmente in questo periodo storico del blog, altri tempi e firme Le sarebbero state più congeniali, troverebbe terreno fertile. Empatia sprecata.
Quanto non è incarnato appare come speculazione filosica. È un’altra proiezione dell’identificazione con l’io. Non sono in grado di aggiungere altro. Come detto non ho le doti per colmare legittimi abissi di distanza. Essere universi diversi è proprio questo. Non averne consapevolezza comporta ritenere di poter esaurire la questione in termini lineari e razionali.
Premesso che io, redattore, in quanto tale leggo tutti i post prima di dare loro il via, premesso anche che nel mio unico commento al post in parola ho esordito con “….Ero li che sbattacchiavo come un moscone inciuchito attorno ai vetri che racchiudevano il post della new entry Merlo Lorenzo, per me così difficile da penetrare (problemi di forma, di linguaggio, di approccio cultural/esistenziale) ….”, alla luce del suo “….Non ho le doti per erigere i ponti utili a superare il vuoto che separa chiunque quando all’ascolto si antepone l’affermazione di sé….” mi viene di porle una domanda sig. Merlo Lorenzo: quando lei, per interposta “persona” ( VALENTINAVICTORYPROJECT alias Valentina Modolo?) mi ha proposto di pubblicare il suo corposo testo, “…Nella speranza di poter iniziare un rapporto di collaborazione con voi…) , aveva dato una guardatina al clima, all’assetto, al linguaggio, al modo di proporsi di CremAscolta e ne aveva dedotto che, dato che (uso ancora parole sue) “…solo la disponibilità all’ascolto e all’empatia alza il rischio di edificare ponti utili alla comunicazione…..” fosse cosa buona e giusta elaborare una “prima proposta” (per “….iniziare un rapporto di collaborazione…”) di tal fatta?
So che la domanda è di tipo “personale” e per lei sarebbe più che lecito rispondermi “se permette sono affari miei / di VALENTINAVICTORYPROJECT”, oppure, non rispondermi affatto, però la domanda gliela pongo uguale, anche per ….vedere l’effetto che fa!
Cordialmente Francesco ( spesso mi chiamano Franco!) Torrisi redattore.
Non si riesce a copiare il link, ma segnalo un’analisi interessante sul vittimismo bianco americano a firma di Chiara Migliori. Il titolo: Vittimismo bianco e “maggioranza minacciata”: così funziona la retorica di Trump. Lo trovate su upday.
“Non averne consapevolezza comporta ritenere di poter esaurire la questione in termini lineari e razionali.” In termini emozionali o istintuali allora?
A parte che la comunicazione passa proprio su ponti emozionali. È un commento che mi mostra l’abisso della distanza che sarebbe da colmare per muoversi sul medesimo campo. Non sono all’altezza.
“Quanto non è incarnato appare come speculazione filosica.” C’è un errore di battitura, ma non importa. Lorenzo, prendiamo un semplice concetto filosofico, o magari un proverbio, per vedere se un aforisma o breve estrapolazione potrebbe trovare consolazione nel reale, nell’incarnato. Siediti sulla riva del fiume e aspetta che passi il tuo nemico, oppure, tutto scorre, oppure carpe diem. Quante volte questi appigli sono stati consolatori per tanti di noi. Poi sa che anche la psicoanalisi ormai sta cedendo il posto alla filosofia. Conosci te stesso ha inevitabilmente risvolti pratici, altrimenti è strada inutile se non tradotto in termini concreti. Si augura.
Se ben capisco, condivido. Tuttavia i miei risvolti pratici non necessariamente sono compresi, legittimati o condivisi da terzi.
Anche la nostra religione, non la mia, ha fatto incarnare Cristo per rendere credibile la storiella dell’esistenza di Dio.
Tutto ciò che non è condiviso è passibile di suggestione. Non è difficile con questa premessa riconoscere che non possiamo esimercene.
Qui siamo di fronte a un dialogo in veste Zen contro uno in ottica aristotelica. Il divario, qualsiasi sia il ruolo della politica e dell’arrogante economia distruttiva che sta annientando l’oriente, è aperto.
Ma io parlando di ponti, e vedo che l’immagine è stata ripresa (già è qualcosa), mi riferisco alla mia idea, maturata dopo gli entusiasmi orientalisti giovanile, che è meglio un frammento di conoscenza condivisibile e tramandabile che una grande illuminazione individuale. E allora “Essere universi diversi è proprio questo” non ci è utile.
Tuttavia… se uno parla vuol essere capito, quindi confido che il nostro nuovo amico Lorenzo scenda su un terreno di persone, direi tutt’altro che incolte, e prive di preconcetti.
Non posso perché non mi ritengo in altro luogo che in me stesso. Esprimo il mio pensiero. Dove questo – e me con esso – venga collocato non è una mia scelta e volontà.
Francesco non guardo di cosa parla e come ne parla un blog, una testata, un sito, prima di inviare un articolo. Quanto ha scritto Valentina – che è la persona che mi aiuta in studio – è solo la formalità con la quale ci rivolgiamo a potenziali interlocutori per i pezzi che scrivo.
Gliene avevo fatto avere un altro precedente a questo che, se ben ricordo avrebbe dovuto essere pubblicato. Se così fosse andata, non ha fatto niente di diverso da quanto fanno altri siti davanti a pezzi loro trasmessi.
In altre occasioni i miei pezzi pubblicati non sono stati graditi dai commentatori e la direzione ha preferito cessare di pubblicarli.
Se gli interventi dell’autore del pezzo sono da voi “richiesti”, non è opportuno farlo presente prima? Possono esserci ragioni per le quali non farlo o non poterlo fare.
Da diversi siti che pubblicano i miei pezzi non sono mai stato sollecitato a intervenire in merito ai commenti dei lettori.
Il pezzo “Sistema d’identità” inviatomi direttamente via mail personale è stato pubblicato tra i “Saggi”, a firma lorenzo merlo ekarrrt – 201220, il 27 Dicembre 2020, corredato da un’immagine da me scelta perchè non era allegata al testo inviatomi.
Il pezzo “la scintilla” è arrivato tra Natale e Capodanno indirizzato sempre direttamente a me, e questa è la ragione per la quale è restato in stand by.
Le chiedo quindi, sempre che sia interessato alla sua pubblicazione, di postarlo secondo la procedura che ho dettagliato in precedenza alla sua collaboratrice, e di farlo direttamente registrandosi lei stesso, così il pezzo apparirà correttamente, come dovuto a firma dell’autore.
Quanto al fatto che i commenti dell’autore siano “da noi richiesti”, il punto è che questa “piazza” è aperta proprio per favorire lo scambio e confronto costruttivo di idee, pareri, approfondimenti, con arricchimento reciproco dei partecipanti..
Questa la nostra “ragione sociale”!
Ovvio che affinchè ciò avvenga, condizione necessaria è che il linguaggio, la forma con la quale si vuole comunicare sia il più possibile teso a questo scopo: “comunicare”, appunto, e mi pare intendere, dai commenti che si sono succeduti, che nella fattispecie ciò non sia accduto.
Ma non vorrei diventare stucchevole, cordialità.
“non guardo di cosa parla e come ne parla un blog, una testata, un sito, prima di inviare un articolo”. Nessun criterio di scelta? Chi c’è c’è? “Valentina è solo la formalità con la quale ci rivolgiamo a potenziali interlocutori per i pezzi che scrivo”. Interloquire significa botta e risposta, confronto…quindi? Qui non facciamo come su Ereticamente dove Lei pubblica, che magari, molto letto, pochissimi commentano. Questo blog a me piace, a differenza di quell’altro, perchè non è di sola lettura.
Mbe, se non altro Il nostro interlocutore non si è sottratto al dialogo, salvo però trincerarsi dietro risposte iniziatiche, il cui senso sarebbe stato fruibile partendo da diverse premesse comuni. Pare che per l’amico Merlo il divario sia incolmabile, quindi inutile parlarne, e questo è un atteggiamento propro dell’esperienza non trasmissibile, il contrario del dibattito. Circa l’affermazione su contrbuti non pubblicati non mi risulta: ho sentito solo un titolo di qualcosa concernente scintille (?) ma non mi risulta che sia poi giunto in redazione.
Nessun criterio. Tranne il fortuito incontro con qualche articolo che mi ha fatto sospettare, che il sito che l’ha pubblicato, potesse essere interessato ai miei pezzi. Scrivo pensieri accettabili o contestabili. Lascio la scelta alla direzione del sito. Detto altrimenti, non impiego lenti ideologiche.
L’interlocuzione si esaurisce con “mandi pure”.
“La scintilla”, sì, è il titolo di un pezzo mio. Verificherò. Tuttavia è mia abitudine allegare un pezzo alla mail che mando anche al primo contatto. Comunque a breve gliela ritrasmetto.
L’esperienza non è che non è trasmissibile in funzione del dibattito accettato o meno. Lo accetto il dibattito. Ed è proprio in esso che faccio presente che l’esperienza non è trasmissibile.
Vedo ora commenti già presenti da ieri. Guardavo in fondo, non sono avvezzo. Incluse le istruzioni/Sistema d’identità. Pardon.
Non ci piove, anzi, se piove è per chiunque la stessa annaffiata, ma a parità di vestiti c’è chi si sente bagnato e chi no. Semplicemente perché non è un fatto, ma un rapporto fra un entità esperiente e un fatto. Ma a me che vado sotto la pioggia abitualmente a capo scoperto, perché non la sento, servono dati: cos’è la pioggia, che il mio comportamento cretino fa ammalare una buona media di miei simili… e così magari nella pratica sarò più accorto, e della cosa esperita, sapendo che si chiama pioggia, potrò dare un diverso significato parlando con altri, magari raccontando a uno psicologo di un sogno piovoso, e sarò cresciuto. Tempo tutt’altro che sprecato!
E visto che non ci sono cose ma rapporti, non atomi ma legami, magari tanto stretti da ritrovarsi a impacchettare punti distanti dell’universo, queste parole consideriamole forze interatomiche, necessarie a far molecole, e di noi una società.
Sento apertura, sento l’infinito che siamo, sento il meglio che l’uomo possa dare a se stesso e quindi al prossimo.
Di conseguenza vedo l’ombra degli inquisitori, degli esperti – che non sono quelli che sanno più di altri, bensi quelli che consapevoli di sapere più di altri, dividono il mondo in se stessi e ciarlatani – quelli che con positivistica magia riducono dell’infinito che siamo in poche nozioni superficiali e anche superflue, lo spessore di un domopack rispetto appunto al volume infinto che siamo. Vedo le ideologie che con orgoglio sventolate, sono inconsapevolmente la mortificazione dello spirito creativo. Vedo realtà considerate oggettive in possesso di chi ha il potere. Vedo la perdizione materialista. L’arroganza dell’identificazione di sè con il proprio io, la propria bandiera, la storia. L’inettidudine a riconoscere e legittimare la prospettiva che non ci appartiene, nonostante la pretesa che l’alltro dimostri piena dignità nei confronti della nostra. Vedo la storia perpetuarsi alla faccia delle lotte per identificare al averità che finalmente la trasformerebbe così come noi la vorremmo. Vedo un abisso umanistico inghiottire gli uomini dentro i bicchieri dei loro piccoli saperi.
Dopo lungo divagare ho trovato l’equilibrio nell’estrapolare arditamente, trovar paralleli, ma sempre per far ponti percorribili anche da altri, da bravo animaletto sociale. La profondità in me, sì, come metodo percorribile, sempre da discutere, verso sentieri condivisi. Il dato, la nosìzione, è un nodo di relazioni: serve! E mica solo a salvare una vita o fare un ponte, ma come strumento.
Oltre che redattore sono anche una persona ….umana, e, signor Lorenzo, come Roger Rabbit (cfr. “Chi ha incastrato Roger Rabbit ” https://www.youtube.com/watch?v=c1N3EpjHOGg ) non riesco a frenare una battuta che sta prorompendo da mio io profondo: “….e provare a cambiare pusher?!?”.
Con tutto il rispetto è, Merlo Lorenzo!
Non ho capito.
Non so se utile. Ma il mio commento precedente generava da quello a firma di Adriano.
Merlo Lorenzo caro, in effetti non c’era molto da capire.
La mia, con tutto il rispetto, era solo una battutaccia che derivava dai tuoi “sento” e (reiterati) “vedo” (diconsi 6 – sei!).
Cmq, no matter, ripeto, solo una battutaccia.
Cordialmente neh
Salvo non saprei cosa non sono offendibile
Lorenzo, scusi, ma che italiano è?
Salvo, non saprei cosa, non sono “offendibile”.
Cechov diceva che si deve cercare la vita nella punteggiatura. Nell’Ulisse di James Joyce invece “molte parti del racconto sono sviluppate secondo quella particolare tecnica di scrittura, chiamata “monologo interiore”, che descrive il flusso di coscienza, in cui i pensieri del protagonista scorrono senza punteggiatura, per definire la contemporaneità e l’intricato procedimento cognitivo che sottostà ai processi mentali dell’io narrante.” Potrebbe essere giusto anche così. E’ come appunto il fluire del nostro pensiero che se fosse possibile materializzarlo in parole forse si potrebbe anche punteggiare, ma sappiamo che non è possibile. A maggior ragione punteggiare il pensiero degli altri. Cercare di mettere ordine è prima problema nostro che degli altri. Sarà che il mio pensiero è pieno di punti interrogativi forse non avrei dovuto chiedere a Lorenzo di punteggiare il suo.
Avrei potuto anche arrivarci da solo. Grazie
Boni ragazzi! Fate i bravi!
Comunque Lorenzo, pur ammesso, e lo è, che la semplice pioggia, da cui son partito, ha altre dimensioni, dal vissuto, all’evocativo, al simbolico… io, quando inizio una collaborazione nuova, faccio in modo di poter essere “profilato”, con tracce del mio vissuto, la mia formazione, cose che permettano di ipotizzare come vedere le cose dal mio punto di vista: se sono meccanicista sarà perché h fatto l’ortopedico, se sono estetico perché ho dipinto, se sono introspetttivo perché ho scritto. So bene che lei/tu sei rintracciabile in rete, ma se io dico “il mondo è tutto rosso”, aggiungo per quelli come me che… o manco questo è trasmissibile’ Tantopiù che siamo fra amici, non c’è da attendersi critiche, tutte personcine istruite che non fanno manco pipì per terra!
Da ragazzino frequentavo un fosso dalle parti dei Mosi; in due, andavamo lì, a passare certi pomeriggi d’estate, lunghi come la fame. L’amico mi faceva discorsi strampalati, senza un nesso, una logica, mescolando di tutto. Filosofia da due soldi; mistica orientale; un’idea del mondo come un frullato da sorseggiare, e poi schiacciava un pisolino. E al risveglio cominciava da capo. Non si arrabbiava mai. Aveva così tanta confusione in testa, che ‘sto pensieri irrazionali lo calmavano, lo facevano, credo, star bene. Però, era svelto di mano. Quando c’era una ragazzina nuova nel nostro gruppo, la incantava con la sua calma olimpica; e prima che lei si accorgesse dei suoi discorsi strampalati, la mano partiva, a stringerle un ginocchio, il braccio. Le sorrideva, mentre le stava addosso. Le ronzava attorno come un moscerino intorno a un lampione. La chiamavo, la mistica della mano morta.
Che bel quadretto d’ambiente e bozzetto di personaggio! Ma il nostro amico Lorenzo le mani non ce le ha fatte vedere né vive né morte, anzi, di sé tiene tutto pudicamente dentro, con la storia dell’incomunicabilità dell’esperienza.
Dei poveracci si occupa Letizia Moratti, scelta dalla destra politica lombarda per sostituire Gallera. Prima le regioni ricche hanno diritto di vaccinarsi, poi gli altri, pare che abbia detto. Ma i ricchi sapranno essere generosi, con i poveracci, dopo esserci vaccinati prima loro. Nel mondo, circa sessanta nazioni povere hanno ricevuto pochissimi vaccini contro il Covid. Ci penserà la Moratti, e i suoi alleati della Lega, Fratelli d’Italia a preoccuparsene. C’è da giurarci.