Lina è una ragazza coraggiosa. Ha saputo, al Comando Raggruppamento Brigate Ghinaglia, che gli Alleati hanno rimandato alla primavera successiva lo sfondamento delle linee tedesche e che l’inverno sarà lungo e pericoloso per le giovani partigiane come lei, come per gli altri compagni combattenti delle quattro Brigate Garibaldi provinciali. Tenere i contatti col Comando vuol dire spostarsi di frequente e di nascosto, tra il territorio della sua Prima Brigata, che comprende il cremasco, il castelleonese, il soresinese e tutto il cremonese fino a Casalbuttano, ad Azzanello e alla fascia dell’Oglio, e la sede del Comando Raggruppamento, dove le azioni sono coordinate su tutto il territorio provinciale e anche oltre. Lei non è solo una “staffetta” di 14 o 15 anni, come altre. Nell’autunno del 1944 ha già 19 anni, compiuti il 17 ottobre. Ha fatto le commerciali ed è una brava stenodattilografa, per cui a volte scrive lei i messaggi, alcuni in codice, da recapitare. Conosce i capi del Raggruppamento e i loro nomi di battaglia: “Luciano”, “Novi”, “Sergio”, “Torchio”, “Topolino”, “Silvio”, “Luigi”. E conosce bene i capi della sua Brigata, coi loro nomi di battaglia: dal novembre, al posto di “Dario”, “Alfredo”, “Franco” e gli altri, ci sono “Sandro”, “Marco”, “Elio” e i vari capi di battaglione, distaccamento, plotone e squadra. Sono pochi i cremaschi in ruoli di comando, anche in questa Brigata “cremasca”, che sarà poi chiamata Brigata Follo e arriverà a circa duecento componenti, forse più nominali che effettivi: il vice comandante di Brigata, uno dei capi battaglione, uno dei commissari di battaglione, uno dei vice capi di battaglione, due dei capi distaccamento e uno dei capi plotone, oltre a qualche capo squadra. Lina svolge un ruolo informativo di collegamento importante. Non è mai stata coinvolta in scontri a fuoco ma ci è andata vicino. Se intercettata e fermata, non rischia solo di essere torturata e violentata dalle forze di occupazione tedesche e dai repubblichini. Rischia la fucilazione, subito e sul campo. Pensa spesso a suo fratello Pietro, che ha un anno più di lei e sta combattendo con la Brigata Balladore, nell’Oltrepò Pavese, lontano da casa, sfidando in combattimento gli invasori e sfuggendo poi ai rastrellamenti. Durante le missioni al Comando pensa anche ai suoi fratelli minori: Luigi, di 16 anni, un ragazzo piuttosto irrequieto, e Caterina, di soli 14 anni. Pensa a suo padre Francesco, a sua madre Concetta, che sanno a quali rischi lei vada incontro. Pensa alla sua casa, in via Ponte Furio, dove la famiglia, originaria di Castelleone, abita ora. Ma questi pensieri non la distolgono, ogni volta, dall’accettare il rischio, non la fanno desistere dal suo impegno partigiano, da quello che ritiene un compito fondamentale della sua generazione: combattere per la liberazione dell’Italia dallo straniero e creare una nuova società democratica, più giusta e più libera per tutti.
Sono molte le storie delle ragazze coraggiose come Lina, in quel periodo così drammatico della nostra storia nazionale. Non tutte riusciranno, come Lina, a sopravvivere. Quando Giuseppe Azzoni ha esposto la sua relazione sulle donne partigiane della nostra provincia al Circolo Signorini di Cremona, il 5 aprile 2013, ha fatto anche il nome delle ragazze del territorio cremasco. Come Lina, anche Artemisia Lanzi e alcune altre (Francesca Marazzi, sedicenne, era una “staffetta”) eviteranno per poco di essere sorprese e fucilate. Ma Cleonice Boschiroli, Luigina Ribolzi e Prassede Cantaluppi cadranno sotto il fuoco nemico. Quella delle ragazze partigiane del nostro territorio è una storia a volte poco nota. Forse anche perché, nella corsa avvenuta nel dopoguerra per accaparrarsi i vari titoli di merito basati sul D. Lgt. 21 agosto 1945, n. 518, in particolare sull’art. 7, consistenti nel riconoscimento delle varie qualifiche di “partigiano combattente”, “patriota”, “benemerito”, “staffetta” e così via, le donne furono molto meno affaccendate degli uomini e molto più discrete, ritirandosi tra le mura familiari, tra padri, fratelli e mariti, paghe di ciò che avevano fatto e restie a esibire vanti e pretese. Anche per questo, gli Elenchi Regionali del Ministero dell’Assistenza Post Bellica, redatti sulle risultanze delle Commissioni per il Riconoscimento Qualifiche, abbondano di soggetti maschili, forse talvolta alquanto millantatori, e vedono derubricate a “patriote” diverse ragazze, forse propense a ignorare le sistematiche definitorie che, tra il 1945 e il 1950, alimentarono numerose documentazioni più o meno “probatorie”, corrispondenze, deliberazioni, ricorsi, appelli e contenziosi. Anche Lina, più “partigiana” di tanti altri maschi saltati sul carro dei vincitori all’ultimo momento col fazzoletto rosso (o azzurro o verde o d’altro colore) al collo, viene allora definita, d’ufficio, senza che lei muova un dito in tal senso, come “patriota”. Le basta e va bene così.
Dopo la Liberazione, quattro ragazze in gamba costituiscono a Crema, il 25 luglio 1945, una sezione dell’Unione Donne Italiane, una realtà allora molto importante, con scopi di assistenza, promozione sociale e raccolta fondi per attività di sostegno pubblico. Il Consiglio Direttivo dell’UDI a Crema comprende queste fondatrici, che sono Felicita Seregni (PCI), Olga Freri (PSIUP, il PSI di allora), Caterina Casiraghi (Pd’A) e anche lei, Lina, definita come “Indipendente” o “Apolitica”. Non è l’unica iniziativa di rilievo sociale e politico in cui Lina si impegna nel dopoguerra, come in una prosecuzione ideale del suo impegno partigiano, ora espresso a favore della società civile della sua città e del suo territorio. Lo sapevano bene le persone che collaboravano spesso con lei per alleviare le sofferenze della cittadinanza cremasca stremata dalla guerra, come Olga Freri, che diventa direttrice della “Colonia Elioterapica”, organizzata proprio dall’UDI, e Francesco Inzoli, presidente del’ECA e figura emblematica della solidarietà sociale in quegli anni così difficili per la nostra città. Anche il fratello maggiore di Lina, Pietro, uno dei pochi autentici partigiani cremaschi, tornato in città, assume incarichi politici di rilievo, come ad esempio quello nel direttivo ANPI di Crema per il Partito Repubblicano, insieme a Lodovico Benvenuti (DC), Nemo Freri (PSIUP), Alfredo Galmozzi (PCI), Franco Donati (Pd’A), Carlo Rossignoli (“Apolitico”, poi PSIUP), Luigi Donn (PLI). Oggi è del tutto dimenticato. Il 6 giugno 1949, Lina sposa Luigi Zaniboni, che ha un anno più di lei. Avranno figli e nipoti e vivranno insieme una lunga esistenza, ricca di soddisfazioni affettive e familiari, fino alla scomparsa di Luigi, novantenne, il 3 novembre 2014.
Lina Brignoli (che in realtà, all’anagrafe, si chiamava Giacomina) ci ha lasciato pochi giorni fa, il 22 settembre. Aveva quasi 95 anni. La nostra ultima partigiana se n’è andata in punta di piedi, senza alcun rumore. Abitava in via Samarani ed era sempre stata tra di noi. Però Crema si era dimenticata di lei. In altre città, ci avrebbero fatto un libro o un film. Ma si sa, noi cremaschi siamo fatti così.
Riferimenti: Fondo ANPI, Archivio di Stato di Cremona; Presentazione “Donne Partigiane”, Cremona, 2013; “Le bombe della Repubblica”, Insula Fulcheria, 2017; Presentazione “Gli anni della Speranza”, Uni-Crema, 2018.
Commenti
Ma che bel pezzo Pietro, per di più totalmente inaspettato da te (almeno da parte mia).
Dichiaro la mia crassa e colpevole ignoranza in tema caduta del fascismo e guerra partigiana, soprattutto per quanto attiene Crema e il cremasco. Probably, era il primissimo dopoguerra, ho …respirato aria che preferiva non ricordare avvenimenti che avevano fatto soffrire i molti che nel fascismo, specie in quello dei primi anni, avevano creduto, si erano entusiasmati autenticamente “ …..l’Italia avrà il suo grande posto nel modo ……è l’aratro che scava il solco…..libro e moschetto …. sole che sorgi … la perfida albionne.
E invece Pietro, specie in momenti come questi di urlato, becero populismo, riandare a quanto realmente accaduto in quegli anni, magari facendo anche nomi e cognomi di quanti ci avevano “messo la faccia” (quand’anche non la ghirba) e valutarlo con intelligente attenzione, sta diventando fondamentale per le scelte che ci attendono.
Grazie quindi Pietro, per questo recall che personalmente mi ha molto coinvolto.
A me, ed è la conferma di quanto ci racconta Pietro, non stupisce affatto, e credo non nelle sue intenzioni, il ruolo coraggioso di tante donne che sfidando arresti, botte e torture, affrontano il potere come sta succedendo in questi mesi in Bielorussia e come è successo in tante parti del mondo e nel tempo, da Hong Kong a Plaza de Mayo, a dimostrazione che mediamente le donne non sono attratte dal potere, a differenza degli uomini che se lo tengono ben stretto, ma se necessario bravissime nel contrastarlo. Il post di Pietro è stata anche per me una piacevole sorpresa. Lo sarebbe stato anche se avesse parlato di uomini e non escludo che possa farlo perché quanto scritto in questi mesi rivela una mente dai saldi valori democratici. Si può essere di destra senza essere fascisti anche se la mia impressione, populismi in declino a parte, dopo le elezioni regionali che hanno visto il successo di uomini che potremmo definire forti, da Zaia a Toti, da Emiliano a De Luca, è che ancora siamo distanti da una democrazia matura dove il libero cittadino si esprime consapevole che non si ha bisogno di protezione genitoriale quando tutti insieme si è partecipi delle scelte politiche. Sette milioni di italiani hanno detto No al referendum, mediamente di cultura alta e magari contro le direttive dei partiti, vedi Pd, e quindi con una vittoria dei SI’ non plebiscitaria. Non ci voleva purtroppo il maledetto virus a far ripiombare tutti nel bisogno infantile o adolescenziale di sentirci garantiti da qualcuno che si pensa salvifico. Ma almeno si è rivista la rimonta di tanti Governi, contro i populismi e le piattaforme come in Italia, con quel Movimento in sfacelo che adesso si guarderà bene dal mandare tutto a pallino.
Sai Pietro, di fronte a racconti di questo tipo mi verrebbe voglia di scavare indietro nelle me radici, trovare fatti concreti di questo tipo, e mi accorgo del vuoto che lascia una serie di svolte quali quelle fatte prima dai miei genitori e poi da me. Queste tracce, di enorme valore, non le potrò mai ricostruire, soprattutto dopo la morte di ogni possibile testimone in famiglia, e le mille domande del mio cugino milanese, giornalista professionista, per ricostruire fatti e personaggi. E fra guerre e paci, ce ne sarebbero di romanzi da scrivere, ma sprattutto di valori su cui riflettere! Che fortuna poter ricostruire la vita di persone fisiche, note dall’inizio alla fine, come testimoni diretti. Senso di appartenenza.
Grazie, Francesco, Ivano, Adriano, per i vostri commenti positivi, che apprezzo molto.
Mi scuso per la “licenza narrativa” sui pensieri che Lina Brignoli poteva avere durante le sue missioni, riguardo ai propri familiari. È in effetti qualcosa che non risponde all’ascrizione del post alla categoria “Storia” ma è una mia aggiunta intesa a dare un minimo di “racconto” alla prima parte del testo. Tutto il resto è rilevabile dai fondi archivistici che compongono il “Fondo ANPI” presso l’Archivio di Stato di Cremona, che custodisce una mole eccezionale di informazioni preziose e ordinate anni fa in modo esemplare da Giuseppe Azzoni, che ritengo l’ultimo studioso e ricercatore vivente davvero valido e competente in materia. Anche gli Archivi di Stato di Piacenza e Pavia contengono fondi archivistici fondamentali per lo studio della Resistenza, con informazioni riferite pure a diversi cremaschi, che combatterono nei territori appenninici di quelle province.
Mi scuso anche con la famiglia di Lina Brignoli. Forse può non essere gradito ricordo di un congiunto da parte di un estraneo. C’è anche un detto per cui “c’è più invadenza nella lode che nel biasimo”. Mi scuso quindi per l’eventuale invadenza.
I due fratelli di Lina, Pietro e Luigi, sono stati coinvolti, dopo la loro scomparsa, in due strani “misteri cremaschi” (che oltre a essere dei “mister cremasch” sono anche, a mio parere, dei “mester cremasch”), un piccolissimo e forse banalissimo mistero per Pietro e un notevole e tutt’altro che banale mistero per Luigi. Ma queste sono altre storie, che non c’entrano con la sorella Lina.
La Resistenza fa ormai parte della Storia. Anche per questo, pur considerandomi un uomo di destra, sono ammirato da molte figure di ragazzi partigiani, così come da altre figure di ragazzi che combatterono dalla parte opposta. Una cosa è il giudizio storico complessivo, un’altra la ricerca e lo studio dei fatti e delle vicende riguardanti quei coraggiosi ragazzi di allora. Allo stesso modo in cui si è patrioti italiani ma non si può non ammirare il coraggio di certi ufficiali austriaci durante le guerre d’indipendenza. La Storia, soprattutto quando tutti sono morti e in due metri di terreno, ha un fascino superiore a divise e divisioni.
“Pezzo” di storia cremasca importante.
Complimenti!
“Pezzo” di storia importante, complimenti.
Ti ringrazio molto, Marino, per il tuo commento così positivo.
Se pensiamo alla forza che quei ragazzi, così giovani, hanno dovuto avere in quei momenti drammatici, verrebbe anche da pensare a quanto potremmo fare oggi, per il nostro Paese, in condizioni senz’altro molto meno difficili, solo se avessimo più coraggio, più impulso, più passione.
Una precisazione: quando dico “in materia” riguardo ad Azzoni, mi riferisco ovviamente alla Resistenza nel nostro ambito provinciale, visto che in Lombardia e in altre Regioni italiane, su questa “materia”, esistono anche altri validissimi ricercatori, studiosi e storici.
Apprezzo (e ammiro), Pietro, la tua onestà intellettuale.
E’ un periodo storico, Pietro, che tu hai già iniziato a scavare, soprattutto l’immediato dopoguerra. Magari, considerata la tua (te lo dico sempre) forma mentis da storico, potrai continuare a scavare, cercando altre fonti (anche private).
Grazie, Piero, per i tuoi commenti e per i tuoi apprezzati consigli.
Tu conosci bene quel periodo e quelle vicende e il tuo incoraggiamento mi è molto gradito.
“sono ammirato da molte figure di ragazzi partigiani, così come da altre figure di ragazzi che combatterono dalla parte opposta. Una cosa è il giudizio storico complessivo, un’altra la ricerca e lo studio dei fatti e delle vicende riguardanti quei coraggiosi ragazzi di allora.” Pietro, io credo, senza fare il manicheo, che il senso della ricostruzione della Storia debba avere anche finalità etiche, che per forza di cose fanno a pugni col valore individuale dei singoli protagonisti che possono essersi distinti e giudicati per le cause giuste o sbagliate che li hanno portati a gesti che potremmo definire pure eroici. Non so se sia bene o male introdurre quelle categorie del pensiero che per alcune possono apparire retoriche o buoniste, ma per me necessario, pur apprezzando anch’io come Piero, la tua onestà intellettuale. Senza quella, prendendo solo i titoli di questo post o il precedente “Elogio del Pd” qualcuno correrebbe il rischio di scambiarti per un uomo di sinistra. Con simpatia.
“Alcuni”, non alcune.
Caro Ivano, tocchi un elemento cruciale, che da sempre anima posizioni e dinamiche storiografiche a livelli ben più elevati di quello del mio piccolo post dell’altro ieri. E ti risparmio, e volentieri mi risparmio, anche un solo, minimo, fugace cenno alle tematiche di filosofia della storia, su cui personaggi di ben altro lignaggio culturale, rispetto al mio, hanno prodotto intere coltissime (e a volte noiosissime) biblioteche.
Lo so. C’è un problema grosso, in proposito. E tu hai centrato molto bene, col tuo commento, questo problema.
Io cerco di “cavarmela” (anche qui, l’avrai notato) distinguendo il “giudizio” dalla “ricerca e dallo studio”. Ma è chiaro che poi il “fascino” delle storie in cui talvolta ci si imbatte (o in cui, addirittura, casualmente si “inciampa”) rischiano di allentare la presa del “giudizio” rispetto al racconto delle cose, dei fatti e delle persone.
Per cui, subentra a volte il problema di fare parecchia fatica a tenere duro su quelle che tu chiami “finalità etiche” (considerando pure che non sempre tutti noi ne abbiamo di identiche e pienamente condivise). Almeno, ne sono consapevole e so di questa “debolezza”. Certo, non è una gran consolazione. Forse è qualcosa che ha a che fare non con la storia ma con la letteratura, coi personaggi raccontati. O con questo fatto personale del dubbio, il dubbio che ogni tanto mina anche certe “finalità etiche”. Scusa il discorso un po’ scombiccherato ma forse è proprio questo essere spesso in dubbio davanti ad alcune vicende umane “soggettive” che rischia di disancorare il racconto storico dalle certezze e dalle sicurezze morali “oggettive”. In pratica, troppa poca certezza e troppo dubbio.
L’essere scambiato per una persona di sinistra, in quanto tale, non è per me affatto negativo o problematico. Ci sono brave persone e grame persone dappertutto. Ecco, ho di nuovo, relativisticamente, derogato a una “finalità etica”, in questo caso pure politica, di fede “destra”.
Ricambio la simpatia.
…… “rischia” di allentare, singolare.
Prassede Cantaluppi era un uomo, non una donna, precisamente uno dei caduti dell’eccidio del 27 aprile 1945 a Spino d’Adda da parte dei nazisti in ritirata.
Grazie della precisazione, Nino, che, conoscendo la tua competenza in materia, come redattore, accolgo di buon grado (a dispetto della quindi fuorviante evidenza del nome) ai fini della migliore citazione dei fatti storici di casa nostra.