Festival del Cinema di Venezia, 9 settembre ore 16 presso l’ Hotel Excelsior nella Sala Italian Pavilion viene presentato il cortometraggio IL VESPISTA ispirato alla figura di GIORGIO BETTINELLI, il nostro concittadino, artista a tutto tondo . Attore, musicista, cantante, giornalista, ma soprattutto viaggiatore, scrittore di narrativa di viaggio, “Giorgino” così era conosciuto qui a Crema.
Vado a Venezia?…… Si vado! Francesco Crivaro, il regista, mi manda un invito. Quest’anno le misure di sicurezza per il Covid danno accesso a poche persone per assistere ai film, a parte i giornalisti e gli addetti al settore. Diventa anche difficile vedere sfilare gli attori sulla passerella, solo appostandosi si possono intravedere e su un grande schermo vederli da lontano. E’ tutto molto riduttivo, c ‘è poco pubblico, ma essere qui, per chi ama il cinema come me, vale comunque la pena.
Francesco Crivaro, giovane regista Torinese pure lui viaggiatore e vespista che ha conosciuto Giorgio attraverso i suoi libri e le sue avventure, si è innamorato del personaggio e tre anni fa ha iniziato a progettare il film che vorrebbe realizzare. Le tante difficoltà, cercando collaboratori, finanziatori, amici di Giorgio e la sua famiglia. Ci siamo conosciuti attraverso facebook nella pagina dedicata a Giorgio Bettinelli; ero entusiasta della sua idea e abbiamo iniziato a confrontarci. Ho fatto venire a Crema Francesco, che già aveva una bozza di sceneggiatura e l’ho messo in contatto con più persone possibili che sono state vicino a Giorgio. Si è concretizzato sempre più il progetto: facendo conoscere l’idea ai cittadini Cremaschi , lo abbiamo presentato in pubblico durante la rassegna Nonsoloturisti racconti e immagini di scrittori viaggiatori e da allora, con tanta energia e costanza da parte di Francesco, nonostante le mille difficoltà incontrate, ecco realizzata questa prima parte in un cortometraggio che ci auguriamo possa diventare un film. Il Festival è stato un bel palcoscenico, per far conoscere ed apprezzare la professionalità e l’originalità di questo progetto.
Mi ha fatto piacere vedere il mio nome citato tra i vari collaboratori in coda al tabellone .
Questo corto di mezz’ora rende bene l’idea del personaggio di Giorgio, anche la scelta dell’attore. Giovanni Anzaldo, molto bravo e tra gli attori emergenti italiani è azzecata. Durante l’intervista, Francesco ha detto:” non poteva essere che lui ad interpretare Giorgio di cui ha lo stesso spirito ed energia” . Giovanni risponde: “mi avvicina a Giorgio la sua irrequietezza , questa fame di vita, di avventura e mi sento di averla anch’io” : secondo me non poteva essere fatta scelta migliore.
Le difficoltà primarie sono state cercare aiuti per il badget iniziale e poter girare le scene in Indonesia a Bali, da dove partono le avventure di Giorgio con la Vespa. Tutti bravi gli attori anche internazionali, e le scene che ripercorrono le storie dei libri di Giorgio. Vederlo rivivere sul grande schermo mi ha emozionata, mi ha colpita la fotografia e le immagini di questo mondo esotico e mistico che aveva affascinato anche Giorgio.
In questo film non potranno mancare scene che coinvolgeranno anche la nostra città di Crema che è già stata protagonista di altri film, speriamo in una proficua collaborazione anche perché questa volta sarà un cremasco il personaggio da far rivivere, Giorgio Bettinelli, conosciuto per aver per primo percorso 127.000 km intorno al mondo in sella alla sua mitica Vespa con la chitarra sul portapacchi.
Andreina Castellazzi
Commenti
Due frammenti del tuo post mi colpiscono: “la sua irrequietezza, questa fame di vita”. Il tratto dominante di una generazione che è stata sommariamente etichettata come di contestatori. Penso che il senso di vigorosa attesa di vita sia stato comune a tutti i giovani, in tutte le epoche, ma ai nati del lasso generazionale, diciamo degli anni 60-90 si apriva di fatto la possibilità di scelta fra varie vite possibili, mentre prima ci si approciava solo una scalata alla vita “a gradoni”, secondo l’unico percorso possiile, o al massimo un paio, compreso il sacerdozio, o il celibato colto, suo equivalente laico.
E andando sul pratico la seconda: “che ci auguriamo possa diventare un film”. Io Giorgino non l’ho conosciuto, o forse si,professionalmente, ma ho un figlio col suo nome, viaggiatore in ogni occasione possibile, anche se meno eroicamente, un bicugino cittadino del mondo, quello sì viaggiatore con ogni mezzo possibile, con le sue sei lingue e i mille mestieri. Mi sembrerebbe di vederli rappresentati, e se ci aggiungiamo la mia passione pre la mia patria adottiva, Crema…
E da ultimo, brava!
Ero fanciullo delle Medie Vailati, e una mattina, in classe ci fu presentato il vincitore di un premio Poesia di qualche associazione cremasca, un giovane mingherlino, tutto occhi e nervi, arruffato, baffi da flaneur e il vestiario come tirava la moda in quegli anni dei fiori nei cannoni da sparo, le pezze sui jeans, che mettevamo a bell’apposta, a fiori anche quelle. Si chiamava Giorgio Bettinelli, (Giorgino) che l’unica cosa che aveva di cremasco, e dell’andazzo lento che ben conosciamo, a consumar le scarpe nello struscio fino a tirar le cuoia era il cognome, proprio cremasco, sputato nostro, come Fusar Bassini, Lupo Pasini, Guerini Rocco, Mussi, Groppelli, Bianchessi.
Giorgino Bettinelli quella mattina, poeta vincitore del concorso deliziò la nostra classe. Una classe di qualche ricco, e figlie di sciurette, un paio di ragazze con genitori insegnanti, un pò di piccola borghesia, e chi scrive, con Gianni S., tenero ragazzo buono come il pane, a far da poveracci in canna, ultimi del gruppo e destinati male. Così fu per Gianni, di San Bernardino che si perse e affondò nella schiavitù dell’eroina. La classe applaudì quel giovane bizzarro e dotato; Giorgino che si era portato appresso una chitarra, non ricordo se ci cantò una canzone oppure era proprio la sua poesia vincitrice che aveva strimpellato. Seppi, poi, che se n’era andato dalla cittadina, in giro per il mondo, ma non a Katmandu a scambiare le nevi delle alte montagne per eroina pura, o a vendere gingilli nei baracchini dei mercati, in India. Giorgino era uno curioso, impaziente di viaggiare, anche lontano, molto lontano. Voleva vedere il mondo, sul serio, non in poltrona, o con l’aiuto di qualche agenzia.
Nel 1977, la sua vita, se non ricordo male, aveva come base Roma, da dove partiva e tornava dai viaggi in Vespa sponsorizzata Piaggio, e i Piaggio da genovesi d’eccezione non mostrarono, una volta tanto, il braccino corto nel cacciare i denari. La RCA che era la Juventus dei 33 e 45 giri, scritturò Giorgino lanciandolo con una canzone, “Barista”, un pezzo orecchiabile, bizzarro, con Giorgino che compariva sul disco con i suoi baffi, la bombetta, la faccia tutta ossa e poca carne addosso, un Charlie Chaplin venuto dalle nebbie e dall’umidità del granoturco a tentar la fortuna nel carosello della canzone. La canzone era bruttina. Un flop. Niente Castrocaro Terme o una puntatina all’Ariston a Sanremo, con un tormentone estivo. Il rischio era fare il barista o il cameriere per anni a venire, per Giorgino, per sbarcare il lunario, ma non era uno a perdersi d’animo, o a tornar nella cittadina a passeggiare in Via Mazzini crogiolandosi nelle illusioni perdute. Era dotato e fantasioso. Saltò in groppa a una Vespa e andò ancora lontano, molto lontano, in paesi che hanno nomi e sapori speziati: Indocina…
Un giorno, al bar Ponte della Crema zona Borgo S.Pietro, vidi Giorgino seduto da solo con un bicchiere di vino bianco che guardava la strada, l’incrocio sbilenco; ci salutammo con un sorriso, ma lo conoscevo poco e mancò il coraggio di rompergli le scatole, chiedergli come buttava la giornata. Ricordo la sua magrezza, la pelle scura, caffèlatte, gli occhi tanto intensi e insonni come le stelle. Chissà se il Padreterno gira in Vespa fra le nuvole del Paradiso, con te, Giorgino, magari in groppa a lui……..
Caro Marino, peccato tu non gli abbia parlato, credimi ai viaggiatori solitari come lui avrebbe fatto molto piacere scambiare parole con te o altri, lo vedo con quello sguardo che ho ritrovato quando ci siamo incontrati anche noi al bar Duomo, era in compagnia di Yapei, il suo angelo custode come la chiamava. Abbiamo passato giorni piacevoli a Crema parlando di viaggi, di avventure, di progetti di nuovi viaggi. Non aveva ancora visitato le isole del Pacifico, quelle più sperdude dove io ero stata, e mi aveva fatto piacere dargli un pò di informazioni se fosse ancora qui, sarebbe sperduto nelle isole Vanutau o Samoa o Marchesi, era un suo sogno e chissà se se nell’altra vita le ha raggiunte.
Conosco la storia delle sue poesie, io ho il suo libretto “Nella nebbia” che ha scritto nel 1968, era un ragazzino ed aveva vinto quel concorso. Era un bravo scrittore e artista, io l’ho conosciuto meglio come viaggiatore.
Avendo otto mesi di differenza e avendo fatto le stesse scuole, ci siamo conosciuti piuttosto bene, anche se dal ’71 ci siamo trovati su due lati diversi della barricata, sempre però con interessi comuni e buoni rapporti personali, fino a quando lui ha lasciato Crema.
“Alluci come allucinogeni” me l’ha letta in notturna durante una gita scolastica e, non solo per quel che ci eravamo scolati, l’ho ritenuta una delle cose più simpatiche della poesia cremasca di quei lontani decenni.
Il Novecento è stato avaro di personaggi importanti, con noi cremaschi, e lui mi sembra uno dei pochi che sia riuscito in un’impresa di cui allora si era parlato diverse volte, in cui ci volevamo cimentare e che a lui è riuscita molto bene: vivere diverse vite in una sola, attraverso la poesia, la musica, certe avventure che conoscono in pochi, la politica (lì ci si accapigliava, ma allora di capelli c’era abbondanza), infine il viaggio, i grandi viaggi, i suoi grandissimi viaggi.
La Vespa l’avevamo in molti, si andava da Benzi per farla “potenziare” e “tirare” di nascosto dai genitori, ma lui in Vespa ha dimostrato che le vere forze e le vere “tirate” sono quelle di chi ci viaggia sopra.
Ho letto molte sue autocritiche e quella di tipo politico mi ha colpito. Ha avuto coraggio a mettere in ridicolo quei pugni alzati e quegli slogan, pochi anni prima di andarsene.
Ma lui era così, sincero.
Che bella testimonianza, non conosco la poesia alluci come allucinogeni, mi piacerebbe leggerla, se ognuno di quelli che l’hanno conosciuto mentre era a Crema scrivessero qualcosa, quanti altri racconti emergerebbero su Giorgino.
Grazie, signora Castellazzi. Lei ha perfettamente ragione, sono in tanti qui in città quelli che potrebbero raccontare “un pezzo”, anche importante, di Giorgio. Tra il 1969 e il 1973, ai tempi del liceo, moltissimi cremaschi l’hanno conosciuto, frequentato, apprezzato per il suo spirito imprevedibile e per la sua capacità di relazionarsi con gli interlocutori, sintonizzandosi sulla loro lunghezza d’onda. Era un mago del rapporto personale. E spesso, confrontandoci senza di lui, ci sembrava di aver frequentato una persona diversa. So che anche dopo, preso il diploma, con le sue iniziative musicali e nel mondo dello spettacolo, era stato capace di catalizzare alcune attenzioni e condivisioni. Ma divenuto maggiorenne era come se capisse che la realtà gli andasse stretta. Ci siamo presi un ultimo aperitivo prima che partisse per Roma, facendo anche “la pace” politica (prima lui si era intruppato nel Collettivo, dove però era insofferente di certe boiate maoiste e marxiste-leniniste, soprattutto dopo che nel 1972 il Movimento Studentesco di Milano ci aveva tirato dentro la sua zampata e dopo la chiusura finale della baracca del 1974, io invece dal ’71 avevo militato per un anno circa nel Fronte della Gioventù), salvando vecchie intese, avventure e intemperanze. Da Roma in poi, da lontano, mi è sempre sembrato un adolescente che si rifiutasse di crescere, integrarsi, accettare le regole costituite della società. Scrisse poi anche un libro noiosissimo, Hamaregun, e penso che la sua “crisi dei quarant’anni” sia stata molto dura. Trovando però, successivamente, con un colpo di reni vitale e salvifico, nell’epopea del viaggio (e che viaggi!) un esito accettabile e positivo per continuare la sua vicenda personale ed esistenziale. Veniva malvolentieri a Crema, dove si sentiva ormai un outsider. Ha voluto restare libero sino alla fine, pagando uno scotto notevole, in termini sociali ed economici. Ricordo quando a Crema i salotti buoni e le buone sacrestie lo consideravano un matto stravagante. Ma tra i tanti finiti in ufficio, negli studi, in azienda, negli apparati di partito, nelle partecipate o negli enti culturali per spinta politica (ne girano ancora oggi, ultimi raccomandati superstiti), lui solo è riuscito a rimanere veramente libero. Libero e solo, però. Non ha mai tradito niente e nessuno. Forse, invece, qualche volta è stato lui a essere tradito. Non saprei immaginarlo, oggi, a 65 anni. Impossibile. Correggo una carenza, per cancellazione, nel mio commento precedente: avevamo un anno e otto mesi di differenza (lui era più giovane, da tutti i punti di vista).
Segnalo il festival del cinema polacco, da oggi, in diretta sul sito della Cineteca di Milano
interessante, guarderò grazie