Ritenendo personalmente sbagliato conservare congelati alimenti freschi di ottima qualità anziché gustarli appena maturati in tutta la loro fragranza, mi prendo l’impegno di estrarre dal “freezer”dei “Salmoni” i “tranci” più appetitosi del “Mai Più” di Piero Carelli, perchè vengano serviti sul tavolo di CremAscolta e gustati dai bloggers come meritano!
Entrée: “ Il virus del neo-liberismo
Mi permetto di segnalare il contributo a mio avviso più mirato e nello stesso tempo più coraggioso che ho letto in questo interminabile lockdown: si tratta del saggio dell’economista francese G. Giraud apparso sulla rivista “La Civiltà cattolica”, anno 2020, 4 aprile.
È un atto di accusa senza mezzi termini, addirittura spietato, contro “l’ideologia dello smantellamento del servizio pubblico”, un’ideologia che ha fatto “pagare un prezzo pesantissimo in termini di vite umane”, che ha trasformato il virus “in una catastrofe senza precedenti nella storia dell’umanità”.
Un atto di accusa contro la deforestazione selvaggia che ci ha messo “in contatto con animali i cui virus non ci sono noti”.
Lo scenario prossimo venturo? Giraud non ha dubbi: siamo in presenza di una delle tante pandemie con cui dovremo convivere, in particolare con “pandemie tropicali” che il riscaldamento globale non farà che moltiplicare. Lo scongelamento del permafrost determinato dal riscaldamento climatico, ad esempio, non farà che diffondere “pericolose epidemie, come la ‘spagnola’ del 1918, l’antrace”.
Il messaggio di Giraud? Se i Paesi occidentali sono stati costretti a ricorrere alla strategia più antica, quella cioè del confinamento – strategia che ha messo in ginocchio l’economia con danni ingentissimi – non devono accusare nessuno, ma solo se stessi.
Già: non si tratta di accusare nessuno, ma di riflettere sul tipo di cultura che ci ha portato a questo disastro.
I problemi che pone l’economista francese toccano da vicino il nostro modello di produrre e di consumare, il nostro nostro stesso modello di abitare sul pianeta Terra.
Sono problemi da cui partire se vogliamo… ripartire col piede giusto, senza ripetere i colossali errori del passato.
Sotto accusa è un certo tipo di cultura che si è affermata negli anni ‘80, una sorta di virus che ha contagiato anche le stesse socialdemocrazie: il virus del neo-liberismo, della lettura forzata della “mano invisibile” del mercato (forzata perché secondo Smith lo Stato avrebbe dovuto svolgere comunque un ruolo rilevante).
Una cultura in omaggio al mantra “privato è bello”, privato è più efficiente”.
Una cultura che ha sacrificato gli stessi diritti fondamentali per cui lo Stato è nato: il diritto alla vita e il diritto alla salute.
Ma all’origine dello smantellamento dello Stato c’è stato pure un’altra cultura: la cultura, se ci riferiamo all’Europa, delle regole imposte da Bruxelles.”
E’ il primo dei 19 capitoli in cui si articola il contributo del Prof. Carelli, ed è, almeno a mio parere il “terreno di coltura” sul quale crescono, si alimentano i restanti 18!
Il taglio che da l’economista francese Giraud nel prendere in esame il “disastro “ economico e sociale che ha fatto seguito ai “100 giorni” nei quali Covid-19 ha imperversato in Europa (e purtroppo ancora sta imperversando nel mondo intero!), è niente affatto “tecnico – economico”, quanto culturale e socio/ambientalistico .
Si evidenzia al proposito il cedimento delle socialdemocrazie europee alle impostazioni neo-liberistiche che hanno anteposto il “mercato” ai valori propri della social-democrazia!
Le spinte ideali che avevano illuminato le azioni dei Governi europei nati a seguito della sconfitta del Nazi-Fascismo, (che per l’Italia si concretizzavano nel passaggio dalla Monarchia fascista alla Repubblica Parlamentare voluta dal popolo attraverso Referendum) si sono gradualmente affievolite in favore di nuovi mantra efficienza- privato – crescita – PIL.
Ciò, in un quadro europeo che abbandonati gli ideali comunitari si è incentrato sulla preminenza assoluta delle regole economiche da imporre ai Paesi membri.
Assai miope quindi, e di basso profilo, a mio modo di vedere, incentrare l’azione di valutazione/critica di quanto posto in essere dai Governi per affrontare “questa” pandemia da Covid-19, by-passando quello che è il vero problema degli equilibri socio-ambientali di “governo del pianeta”che, ove non affrontati in modo risolutivo, nel contesto ormai definitivamente globalizzato nel quale viviamo/vivremo, continueranno a proporci/riproporci analoghe situazioni di profondo disagio esistenziale, che non è certo con la rincorsa ai vaccini per il virus di turno che troveranno soluzione.
Personalmente quindi, piena sintonia con la conclusione che trae G. Giraud, che Piero Carelli sintetizza in : “….I problemi che pone l’economista francese toccano da vicino il nostro modello di produrre e di consumare, il nostro nostro stesso modello di abitare sul pianeta Terra.”; se è vero, come è vero, che nel nostro martoriato, depredato, deturpato “Bel Paese” qualcuno pensa e propone che si possa uscire dalla crisi economica proponendo di mettere le mani suoi soldi comunitari comunque erogati per il ritorno a progetti faraonici di deturpazione del territorio quali il “ponte sullo stretto” o la TAV, vuol dire che la lezione Covid-19 non solo non è servita a quegli incoscienti, ma è presa a pretesto per continuare nelle loro scellerate gesta che della cosa pubblica dimostrano solo distacco e disprezzo!
Commenti
Occupandomi più di letteratura che del fare politica, non ho le competenze giuste, ma dico la mia opinione, da ignorante, sugli anni della sbornia liberista che pure i partiti socialdemocratici si bevevano in tutta Europa. Che Berlusconi, la Lega Nord e i doppiopetti fintomoderati che da giovani sbandieravano gridando “duce,duce”, poi, invecchiando puntando alle seggiole nelle amministrazioni, alleandosi con il Cavaliere nazionale, dando addosso allo Stato che era Roma ladrona-sprecona-parassitaria,, le privatizzazioni erano orgoglio autonomista contro lo Stato centralista. Lo Stato era lacci e lacciuoli. Era burocrazia. Tasse e sovratasse. Meglio le cliniche private, le scuole paritarie, i clubs esclusivi sportivi privati e non comunali. Il “pubblico” era lazzarone e sprecone. Il “privato” efficiente e competente. Le eccellenze delle istituzioni pubbliche dovevano privatizzarsi almeno a metà, per snellire la burocrazia. La sanità pubblica diventò campo di conquista politica da erodere a favore del settore privato. E la sinistra riformista negli anni Ottanta cominciò a pensarla se non uguale, la pensò molto simile. Nasceva l’idea che serviva il manager. Solo alle feste dell’Unità (che da noi sono dell’umidità, e con l’unità andata a farsi benedire) resisteva il volontariato, e non arrivarono i manager-pizzaioli. Troppo semplice il lavoro del pizzaiolo per darlo in appalto a un manager. Ma oltre alla necessità del leader-manager, servivano i consulenti a pagamento, i portaborse, gli assistenti. Una task-force (altri da pagare) per dare il là anche alla pubblicità della politica. “Il Corriere della Sera” sparava tutti i giorni editoriali che accusavano le istituzioni pubbliche di inefficienza. Anche “Repubblica”, e “L’Espresso” nelle pagine economiche, come ricordava Giorgio Bocca, pareva di leggere le pagine del Sole 24 Ore. Allora tirava il vento delle privatizzazioni. Sembrò quella la strada, contro lo Stato centralista. Così avvenne in Gran Bretagna, in Spagna, in Francia. Pure in Italia. Che la destra politica italiana sia stata responsabile di questo scempio del “pubblico”, lo sanno anche i sassi; ma il contributo c’è stato anche a sinistra, da certi ex-comunisti ex-ortodossi, poi craxiani; dai socialisti autonomisti, dai radicali, libertari sui diritti civili ma ultraliberisti in economia. Del danno fatto, nessuno di questi, a destra o a sinistra ha riconosciuto di aver preso la strada sbagliata. Figurarsi. Anche l’autocritica è roba vintage.
L’effetto della doccia fredda dopo la sbornia nelle parole di Piero Carelli, che non parla tuttavia a propria voce, ma nella sua enorme modestia ci propone il pensiero di Giraud.
In questo pensiero rinascono le idee più sane di Cremascolta, quelle su cui è germogliato il corso di educazione all’economia, un successo tranciato dall’emergenza, ma pronto a ripartire.
Questo messaggio ora deve essere martellante, affrontare il contraddittorio ma senza scadere in sterili diatribe, affrontare l’incapacità di comprensione con una scrollata di spalle e un sorriso, con la forza di chi sa bene che chi vuol procedere sulla strada del profitto a ogni costo dice qualcosa di stantio, cavalca un modello che ha mostrato il fallimento e dimostrato un’insaziabile vocazione autofaga.
Abbiamo sbagliato per soggezione, per imitazione, da quando i ragazzoni biondi con insegne a stelle e strisce sono ascesi dalle loro navi panciute a bordo degli autoblindi.
La memoria ancestrale di antiche divinità classiche, bionde, si è mescolata al sollevo del cessato orrore nazista, e per incanto americano è divenuto sinonimo di bello, e masticando cicche, mentre i primi ingenui ritmi rock ci davano il tempo, ci siamo lanciati nella corsa alla produzione esasperata,distruggendo in nome del nume, prolificando in nome del nume!
Tutti liberi, sì, ma non autodeterminanti, tutti bambini capricciosi con poteri da adulti.
E il fenomeno è stato planetario. In un paese che aveva ancora tutta una terra vergine e sotto abitata da sfruttare dopo aver soppresso i competitori che l’avevano conservata intatta, ancora loro, gli eroi a stelle e strisce, hanno portato la bandiera della devastazione. La cultura cinese, ordinata e sottomessa da anni di impero, ha tentato la carta nuova del neonato (storicamente) comunismo; ma è un sistema che invece si era già visto, fin dai tempi delle colonie greche in Italia, ma era stato considerato sempre una risorsa gestionale in condizioni estreme, e mai preso in considerazione come metodo permanente di governo.
Il libertarismo distruttivo tira ancora la cordata, spargendo caramelle a volontà ai bambini inebriati di tutto il mondo, e infine anche i riflessivi Cinesini, messo ordine in casa loro, si lanciano nella sfida, direi con successo.
Ora basta fare esperimenti, siamo al tracollo, ma questi mesi di controllo imposto, e ben accetto per paura, ci hanno dimostrato che l’ammalato per eccellenza è rianimabile, che si può rimetterlo in moto senza ripercorrere gli errori del passato.
Ma per far questo serve una grande azione combinata, e fa ben sperare l’esplosione di dissenso statunitense, variamente dilagata nel resto del mondo.
E non ha una matrice antirazzistica, come tendenziosamente la si vuol far sembrare svilendola a un “già visto”, ma antisistema.
Coraggio, piccoli gesti di piccoli uomini possono fare grandi cose nel risanamento.
Grazie, Franco, di avere evidenziato con chiarezza l’incipit del mio viaggio alla ricerca di “idee” per il dopo-Covid (o, come dici tu, idee che recepiscano la “lezione” del Covid): il saggio di Giraud apparso su “La Civiltà cattolica”, una rivista dei gesuiti che noi spesso associamo a una cultura oscurantista, ma non è più così.
Hai ragione, Adriano: non sono idee nuove, ma si tratta di idee a cui la pandemia in corso conferisce una nuova forza: trasformare una disgrazia in una straordinaria opportunità. E’ un po’ un refrain che tutti ripetono, ma ciò che conta è di non vendere per nuovo ciò che invece è vecchio.
O un grande colpo d’ala (come sono solito dire io con una certa, ma voluta, enfasi), o altrimenti come Europa spariremo (non è un caso che abbia suggerito non poche idee per dare una direzione al Recovery Fund).
Concordo, Marino: nessuno avrà il coraggio di confessare il “mea culpa”. Sono tanti gli intellettuali che hanno inseguito le mode culturali (anche economiche: pensiamo alla cosiddetta terza via di Blair) del tempo.
Sottolineo che l’avvertimento coincide con l’ultima prova d’appello, un avvertimento a fare perché si può, ed è per star meglio subilto, e non vorrei aver dato l’impressione di rifarmi a schemi teorici del pasato: citandoli volevo solo dire che non ci muoviamo fra terre sconosciute, he ormai dovremmo avere un’idea chiara delle conseguenze dei nostri atti e delle nostre scelte politiche. In definitiva invito a fare.
Piero, “la Civiltà Cattolica” non è più una rivista oscurantista. La tua curiosità è attenta e aperta, per niente settaria. In passato, oltre che oscurantista “La Civiltà Cattolica” è stata anche razzista, antisemita, agli inizi del Novecento, e avanti fino a quando Mussolini governò l’Italia, quando spargeva veleno e odio contro gli ebrei. Una vergogna che andò avanti almeno fino agli anni del fascismo al potere, con il pontificato di Pio XII, che le scartoffie vaticane provano ancora a farlo santo.
Concordo, Marino. I gesuiti sono stati campioni dell’oscurantismo, ma anche, nei tempi più recenti, campioni di aperture progressiste: pensiamo alla Teologia della Liberazione in America Latina e pensiamo al ruolo svolto da “Aggiornamenti sociali”. E, pensiamo, naturalmente, alla svolta di papa Francesco: io continuo a ritenere che il suo “Laudato si'” sia “Il Manifesto” del XXI secolo, un manifesto che potrà avere lo stesso impatto che ha avuto Il Manifesto del partito comunista di Marx e di Engels.
Si Piero, concordo con la tua visione: l'”ibridazione” portata alla Chiesa di Roma dall’elezione di Papa Francesco (“papa con gli scarpon”) dopo la volontaria (?!) uscita di scena dell’emerito Benedicto (“papa cum scarpettas rubia pradae”) ha riportato prepotentemente l’azione della Chiesa dei Papi nella “Storia viva” del mondo (fatto salvo il portato di fede proprio della Religione in quanto tale) e “Laudato si” ne è il “Manifesto”!.