Da un terrore all’altro, ormai funziona così. Il terrorismo dei millenaristi del clima (entro il 2023 il pianeta collasserà) è stato spazzato via dal Covid-19, e adesso il globalismo traballante trema davanti a un possibile ritorno all’“autarchia”. Nei giorni scorsi si è fatto portatore delle istanze degli investitori più abbienti Gideon Rachman, editorialista del Financial Times, il quale ha previso (sono diventati tutti Nostradamus) un futuro a tinte fosche legato al ritorno in auge dello Stato-nazione, cioè a un rinvigorimento delle tendenze al protezionismo, alla localizzazione delle produzioni e alla chiusura delle frontiere (“Nationalism is a side effect of coronavirus”).
Affamati dalla crisi economica i popoli si adegueranno alla nuova tendenza con lo stesso spirito di adattamento con cui hanno accettato le limitazioni delle libertà costituzionali e personali imposte dall’emergenza sanitaria, presagisce Rachman. Nel primo caso c’era di mezzo l’incolumità fisica mentre nel secondo è in ballo il portafoglio, questioni di vitale importanza. Ma attenzione, ammonisce il giornalista-cassandra, l’economia globale sarà più difficile se i singoli paesi si muoveranno secondo un’ottica autarchica e si potrebbe andare incontro a un potenziale conflitto tra le nazioni. Torna il ritornello che ha accompagnato l’ascesa del globalismo, con la differenza che oggi nessuno ha più voglia di cantarlo.
Il tema dell’autosufficienza economica non è certo nuovo, avendo impegnato nel tempo la riflessione di illustri pensatori, a cominciare da Platone nel dialogo di Repubblica volto a tracciare i contorni della “città ideale”. In linea generale l’ateniese non aveva nulla in contrario al commercio con l’estero, insisteva tuttavia sulla necessità di soddisfare in prima istanza la domanda interna (tramite un’oculata divisione del lavoro tra agricoltori, artigiani e mercanti), e solo in seconda battuta ravvisava il bisogno di utilizzare il surplus come merce di scambio per l’import di quei prodotti che non si potevano ottenere in loco.
Il tema autarchico ritornò in auge, a cavallo tra il Settecento e l’Ottocento, negli scritti politico-economici di Johann Gottlieb Fichte, che vide nello Stato il fattore propulsivo di un ordinamento corporativo articolato in ceti professionali e impegnato nel perseguimento dell’autosufficienza economica. Ma sarà Keynes a colorare il “nazionalismo economico” di istanze etiche e politiche ispirate agli obiettivi della giustizia sociale e della pace. Secondo l’economista britannico, alla causa della distensione tra le nazioni erano più utili un elevato livello di autosufficienza e di isolamento economico di quanto potessero esserlo “una grande concentrazione degli sforzi nazionali per conquistare i mercati esteri, [la] penetrazione, da parte delle risorse e dell’influenza di capitali stranieri, nella struttura economica di un paese e [la] stretta dipendenza della nostra vita economica dalle fluttuazioni delle politiche economiche di paesi stranieri.”
Nel Novecento s’inserì nel solco di provvedimenti già attuati nel ‘29 in America l’autarchia dell’Italia fascista, che ebbe sin da subito un occhio di riguardo per l’agricoltura. Sono note le bonifiche a tappeto, la riorganizzazione agraria nel Tavoliere delle Puglie e la dissoluzione del latifondo siciliano, mentre a livello industriale l’obiettivo dell’autosufficienza, anche grazie al “modello dell’IRI”, fu perseguito ad ampio raggio e con esiti alterni. In un saggio comparativo sulle politiche di Mussolini, Hitler e Roosevelt negli Anni Trenta, lo storico tedesco Wolfgang Schivelbusch ha definito la “politica di colonizzazione interna” (di sviluppo infrastrutturale delle aree più arretrate) la risposta necessaria ai disastri della depressione.
Oggi il tema torna in auge con la crisi post-Covid, che ha spinto alcuni analisti a ri-parlare di «autosufficienza economica nazionale», cioè di quell’autarchia tanto deprecata dal (fallito) pensiero globalista che ha provocato il disfacimento degli Stati e l’impoverimento dei popoli. Mai come ora si è sentito il bisogno di un progetto politico serio (che non c’è) dotato di uno scopo principale, di uno scopo di medio periodo, di uno scopo di fondo di lungo periodo:
• lo scopo principale potrebbe essere il passaggio dalla società liquida consumistica, cioè di continua crescita e sviluppo materiale, a una società solida basata sull’economia reale;
• lo scopo di breve/medio periodo potrebbe essere la ricostruzione del mondo agricolo italiano sulla base delle biodiversità, con la graduale scomparsa dell’agricoltura inquinante e delle monoculture;
• lo scopo medio/lungo periodo dovrebbe perseguire la graduale riduzione del lavoro salariato (il demotivante posto fisso) a vantaggio dell’allargamento del lavoro autonomo, la riqualificazione urbanistica delle città, la rinascita dei centri minori.
Inutile dire che l’attuale esecutivo non sarà in grado di portare a termine alcunché. Si limerà a vivacchiare ancora un po’ insistendo, nonostante tutte le prove del contrario, che siamo “sotto attacco” da parte di un “virus killer” che potrebbe “colpire di nuovo in qualsiasi momento”, e quindi dobbiamo mantenere almeno un certo livello di totalitarismo e paranoia, altrimenti… beh, non si sa cosa potrebbe succedere. Al netto delle tattiche persuasive elementari, oggi tocca alle persone reagire e farsi protagoniste del proprio futuro perché starsene al calduccio davanti al proprio caminetto non è più sufficiente.
Tutti durante i tre mesi di quarantena abbiamo avuto modo di riflettere, ci siamo rifugiati dentro i nostri confini di sicurezza e abbiamo constatato nei fatti che i messaggi della globalizzazione e della retorica di abbattere i muri per costruire ponti erano scemenze immani. L’infinito globale non esiste, né il futuro ci riserva velleitari piani Marshall (chi dovrebbe garantirli se tutti i paesi sono annichiliti dalla crisi?). Va impostata una “nuova normalità” capace di resistere ai dogmi dell’egemonia del capitalismo globale e alla sua ideologia post-ideologica.
Se ancora per qualcuno non è chiaro che un virus con una letalità oscillante tra lo 0,2-0,6% non giustificava in alcun modo le misure di emergenza totalitarie che sono state imposte alla maggior parte dell’umanità, lo sarà nei mesi a venire. Spingiamo la nostra navicella oltre gli scogli delle sirene mass-mediatiche e andiamo oltre. Seguiamo il buon senso, riscopriamo la bella Lombardia e la bella Italia, mangiamo banane siciliane e pomodori cremonesi, compriamo e vestiamo italiano ma, soprattutto, parliamo con gli altri.
Ribelliamoci alla disciplina del distanziamento sociale e parliamo, parliamo, parliamo … tornare al linguaggio reale sarà l’inizio di una ritrovata normalità. Contro i rapporti virtuali, contro la didattica a distanza, contro lo smart working generalizzato, contro il cibo a domicilio, contro la televisione on demand, contro lo shopping on line e contro tutte le diavolerie messe in atto per far dimenticare all’uomo di essere ciò che è: un animale sociale. Ora che ci siamo passati sappiamo quanto sono brutte le relazioni umane che si svolgono “da remoto”, gli sguardi distanziati e spesso diffidenti, le voci innaturali filtrate dalle mascherine. Deludente anche la “dea scienza” che non riesce a pronunciare un oracolo degno di questo nome, ma tornare alla normalità si può, se si vuole.
Commenti
Rita, in un Paese dove un ventenne che bacia la fidanzata si becca 400 euro di multa, dove le persone per bene sono trattate come criminali e viceversa, dove il governo favorisce solo gli interessi di qualche privato, dove con dei dpcm demenziali si massacra la società e dove, mentre la gente è ridotta sul lastrico, il governo dice che “sta riempiendo di soldi i cittadini”, in un Paese così tu speri ancora in “un progetto politico serio”?
Per quanto riguarda questo governo non spero proprio niente, aspetto solo che passi, come il virus. Proprio stamattina leggevo della fine ingloriosa della terapia del plasma iperimmune, una “scoperta” tutta italiana. Dopo aver dato un calcio nel sedere a Mantova e Pavia, dove le sperimentazioni erano avvenute con successo, l’intero pacchetto è stato spostato a Pisa, feudo della famiglia pidina dei Marcucci.
Paolo è il presidente della Kedrion Biopharma a cui casualmente è stata affidata la supervisione del progetto, la sorella Marialina è stata vicepresidente della Regione Toscana per diversi anni e il fratello Andrea è nel consiglio di amministrazione dell’azienda e capogruppo del PD al Senato. Finché ci sarà in giro certa gente sarà molto difficile pianificare un futuro per l’Italia. Ma non saranno mica eterni …
Ottimo post, il tuo, Rita, di ampio respiro, che inquadra assai bene questa pesante fase storica che il pianeta sta attraversando.
Mi sento di concordare anche sulle conclusioni e le prospettive, magari sostituendo la ….raffica di “contro”, impostazione che non mi appartiene, con una parallela raffica di “per”!
Pensare “in grande” per una possibile, realistica prospettiva per il “buffo stivale” tenendo come riferimento l’assetto politico attuale, così come uscito da una improvvida crisi estiva dettata dai sondaggi e dalla stolta ambizione di un preteso “uomo solo” che dal “papete” si proponeva addiruttura come “leader maximo”salvatore dei destini nazionali, è certamente improponibile.
Ancora di più lo è ricordando che quello stesso Governo naufragato sugli scogli (ops! sulla sabbia riportata) del “papete” era un “ossimoro” politico frutto di un’unione inventata “a tavolino”, tra forza politiche accomunate da quasi nulla (se non la possibilità numerica di creare, sommandosi, una “maggioranza” parlamentare!) dopo i risultati usciti dalle urne, conseguenti ad una pessima legge elettorale.
Solo la capacità mediatoria di un Premier scopertosi davvero abile (per quello che Ivano definirebbe un bel colpo di culo!) ha consentito che ci ritrovassimo con un Governo cmq in carica, ad affrontare il drammatico evento di un contagio dilagante nel Paese, sguarniti come eravamo causa il combinato disposto “comunità scientifica con poche idee ma ben confuse”/”sanità pubblica regionale fiaccata da decenni di sgoverno dedicato”!
Ammesso (e non concesso, ci faccio le corna!) che ne usciamo davvero vivi, quello che ci troviamo davanti è un panorama politico uniformatosi nei dcenni a “volare terribilmente basso”, anzi, a non volare più proprio per nulla, e lo sbandierare con pretesa taumaturgica la parola “ELEZIONI” non può che far tremare le vene ai polsi per l’assoluta carenza di prospettive politiche!
Un conto è prendere provvedimenti emergenziali causa epi/pandemia (e, ripeto tutta la mia solidarietà ad un Premier che questa responsabilità se l’è caricata sulle spalle molto egregiamente, addirittura indicando prospettive degne nella fase di uscita!) un conto, assai diverso e complesso, riprendere in mano le redini di Governo di un Paese democratico, avendo il coraggio , da un lato, ed il sostegno politico, dall’altro, per scelte fortemente innovative quali quelle che anche tu, Rita, nel tuo potente post hai delineato!
Personalmente, ribadisco, la mia scelta d’azione non è quella del “contro” ma quella del “per” (dove quando è il caso, diventi anche “per combattere”…..!)
Franco, tu c’hai ‘sto tarlo del Papete che ti obnubila la mente, impedendoti di guardare senza pregiudizi il regime che si è instaurato in Italia. A nostra insaputa. Tra uno che balla sulla spiaggia con la pelle di leopardo sui fianchi e l’altro incravattato che ti frega ogni giorno con una norma diversa, personalmente trovo il primo di gran lunga meno offensivo del secondo. Non sarà chic, ma neppure i Gay Pride sono chic, tanto per fare un esempio. Epperò hanno un loro messaggio, più o meno condivisibile, da veicolare.
Per il resto condivido, ma l’ho già detto, l’opinione di Adriano che ha scritto qualche giorno che per formare l’attuale esecutivo hanno recuperato gli scarti. Sarà un’operazione che rientra nel Green New Deal, non ho idea, ma certamente io mi aspetto un nuovo governo (qualsiasi esso sia) democraticamente uscito da una consultazione elettorale, per cominciare a parlare seriamente di “nuova normalità”.
Credo che questo sarà uno degli aspetti della nuova normalità (stralcio):
Il 12 settembre 2019, al Vertice globale sulla vaccinazione tra UE e OMS, furono annunciate le «10 azioni verso la vaccinazione per tutti».
Un mese dopo, nell’ottobre 2019, si è tenuto l’Evento 201, una esercitazione simulata di pandemia incentrato su un nuovo coronavirus zoonotico che ha origine nei pipistrelli. Fu sponsorizzato dal Johns Hopkins Center for Health Security, dal World Economic Forum e dalla Bill & Melinda Gates Foundation.
Il risultato di questa simulazione pandemica fu la stesura di sette suggerimenti chiave. Nel novembre del 2019, questi suggerimenti sono stati pubblicati come una «call to action», un «invito all’azione». Un mese dopo, la Cina ha riportato i primi casi di COVID-19.
In pratica, le contromisure COVID proposte, che sono state presentate al pubblico come misure di emergenza pensate al volo nel panico pandemico, in realtà esistevano da prima dell’emergenza della malattia.
«Volevano già monitorare le vaccinazioni e legarle al passaporto, introdurre vaccinazioni obbligatorie e repressione della “disinformazione”. Non avevano ancora un motivo. Questa era una situazione che richiedeva una crisi e, per caso, ne hanno avuto una» scrive Off-Guardian.
Mammamia Rita, che narrazione!
Io la vedrei così: “uno che balla sulla spiaggia con la pelle di leopardo sui fianchi”, all’epoca , Agosto 2019 ,(quella per la quale secondo te c’avrei “sto tarlo del Papete che mi obnubila la mente “) era Matteo Salvini, il Ministro dell’Interno del Governo legittimo della Repubblica Italiana, leader del partito, la Lega, nei sondaggi dato al quasi 40% ! Che decide di togliere la spina al Governo in carica, si propone come uomo solo al comando e, subito dopo, registrato lo ….. scarso gradimento, propone al suo (quasi) ex alleato Luigi Di Maio la carica di Premier in un nuovo Governo!
“L’altro incravattato che ti frega ogni giorno con una norma diversa” è il Presidente del Consiglio del Governo in carica (giusto dopo la crisi del ” Papete”) che gestisce alla meglio, con l’aiuto della comunità scientifica, dei Ministri e dei “Governatori” (perchè poi chiamarli così?) delle Regioni (alle quali per legge spetta la delega alla Sanità) l’emergenza nazionale (prima) diventata mondiale (poi) del contagio!
Ritieni davvero confrontabile, in qualche maniera il “messaggio veicolato” dai due?
Altro che “tarlo”!!!!
Non sarò certo io, Franco, a deludere il tuo amore per lo statista Giuseppe Conte, l’autorevole “comunità scientifica” che negli ultimi tre mesi si è fatta portavoce di un pressapochismo a dir poco sconcertante, l’alter ego del premier che dà lezioni pratiche di depilazione integrale sulle riviste femminili e gli “scarti” (ho adottato il termine di Adriano) impoltronati per non fare nulla.
Nonostante la tua commovente dedizione, tuttavia, non saranno questi soggetti (oggetti) ad innescare il motore di una nuova normalità. Non hanno la forza, né le capacità. Chiusa questa parentesi raccoglieremo le macerie di un Paese soffocato dalla burocrazia della burocrazia che già c’era, massacrato dalla crisi economica e dalle incertezze quotidiane di un governo pasticcione costantemente costretto a fare i conti con un relativismo etico che rende lampanti tutte le sue contraddizioni.
Questo è un po’ lungo, ma credo sia utile leggerlo per capire la natura di una prossima, possibile, ‘normalità’, di fronte alla quale i nostri discorsi sanno di vecchia soffitta dei nonni, di vecchie cartoline ingiallite:
http://www.renovatio21.com/il-brave-new-world-di-bill-gates-e-big-telecom/
E’ sempre bene tenere gli occhi aperti, e noi li teniamo. Ma prima di opporsi ai Padroni Globali bisogna opporsi ai padroncini locali, altrimenti la guerra è persa in partenza. Non si possono attaccare con le cerbottane quelli che hanno in mano il mitragliatore.
Cominciamo a fare la conta dei “traditori” di casa nostra. L’Italia istituzionale di tradimenti ha una tradizione consolidata, siamo d’accordo, ma limitiamoci agli ultimi anni. La ex-sinistra, diventata il massimo sostegno politico delle oligarchie transnazionali, ha tradito da un pezzo i lavoratori, i poveri e i diseredati. Mentre continua a versare lacrime pubbliche per gli “ultimi” che non sono affatto tali ma fanno notizia sui giornali e nei talk show. “Lacreme ‘e infamità”, lacrime di infamità, cantava l’immortale Totò in “Malafemmena”. Non va meglio nel recinto della ex-destra, che ha tradito la piccola e media impresa e la stessa proprietà privata dei cittadini. Marco Rizzo è senza dubbio un esempio di onestà e correttezza politica, ma purtroppo i suoi numeri sono insufficienti perché gran parte dei cittadini si disinteressa di politica.
Ci vuole un soggetto nuovo che faccia piazza pulita degli scarti, delle cosche famigliari, degli acchiappa-poltrona, dei finti consulenti e dei sedicenti esperti. Sinceramente sono fiduciosa, vedo che il popolo si sta agitando, qualcosa succederà.
Rita, prendo atto che hai preferito parlare d’altro, peraltro dicendo cose che io stesso avevo abbondantemente confermato nel mio presedente commento.
Rita, Rizzo mi sta simpatico, ma credo sia fuori dai giochi. Parlando di traditori, invece, mi pare doverosa una menzione speciale per il M5 stelle, i veri professionisti del tradimento.
“Un soggetto nuovo” non lo vedo.
Franco, pare che nel prossimo dpcm sarà prevista una multa di 533 euro per eccesso di parentesi, ti avviso.
Si, Rizzo purtroppo è fuori dai giochi. Quanto a “tradimenti”, dire chi è più bravo tra M5s e Pd è impresa ardua, per non dire disperata. Il tradimento del Pensiero Sinistro è stato a suo tempo ben spiegato, e denunciato, da Costanzo Preve, per cui non mi sembra il caso di tornarci sopra. Purtroppo l’inganno semantico è costato caro a tutti coloro che hanno creduto negli ideali che i suoi rappresentanti hanno finto, per anni, di difendere e che, “mutatis mutandis” ha condotto a un ibrido come il PD e alle sue catastrofiche riforme. Ultimamente, appunto, condivise da un’associazione chiamata “Cinque Stelle” in cui si fa gara tra chi brilla di meno.
Più che vedere un “soggetto nuovo” io vedo … un teriantropo che uscirà fuori dopo la prossima tornata elettorale. Testa di uno, braccia dell’altro, gambe di un terzo, e così via. Credo che anche l’opposizione, stando all’opposizione, abbia ormai capito che la formula “partito” non convince più nessuno. E del resto ci sono “creature strane” in tutte le ex-democrazie occidentali, perciò ne inventeremo una anche noi. L’importante, per ora, è superare questa fase di pericolosissimo stallo.
Grazie della dritta, Livio, ne terrò conto! Sui ….puntini niente?
Ma, mi chiedo: come fai ad avere in anteprima queste soffiate sui contenuti dei dpcm prossimi venturi? Big data di Renovatio21?!?
Franco, io mi arrabatto, ma tu, vista la tua intimità col premier, potresti ottenere che le parentesi siano rese obbligatorie. In fondo, sono più utili delle mascherine.
Franco, non so cosa intendi per “parlare d’altro”. Se intendevi convincermi della “magnifica prova” di impegno e dedizione che sta dando al Paese l’attuale esecutivo, sai benissimo che io non l’ho mai vista, non la vedo né mai la vedrò. Sullo “strappo” dell’anno scorso che ha portato al passaggio Conte1-2 avevo detto a suo tempo che a mio modesto parere non c’era scelta perché con i grillini non si governa ma si fa casino e basta (e mi sembra che i fatti lo confermino), non so dunque cos’altro avrei potuto aggiungere che già non sia stato detto.
Evoluzioni parallele: Atene, con la sua mentalità e politica aperta agli scambi, ha ora oltre tre milioni di abitanti (cito a spanne). Sparta, che si è chiusa, ha ora la stessa popolazione di Crema, che sta bene così, per carità, ma il motivo è lo stesso, e quindi, basta non lamentarsi! D’0altra parte se si privilegia il successo evidente cosa ripaga..a proposito di Paesi un mio amico economista cita sempe il Venezuela, e io gli rispondo Sparta!
Mi è molto piaciuto l’accenno alla ricostruzione del mondo agricolo italiano sulla base della biodiversità, con la graduale scomparsa dell’agricoltura inquinante e delle monocolture o per lo meno con la ripresa, insieme ad aree mantenute a monocoltura, di colture già sperimentate in passato e in grado di tornare a risultati interessanti anche in termini di redditività.
Con la speranza che non si arrivi mai alla monocultura totalizzante, di cui oggi abbiamo le prime avvisaglie.
Aggiungo che la soluzione del problema degli allevamenti intensivi potrebbe essere ancora più difficile di quella della monocoltura. Un’intera economia territoriale si basa oggi su questa forma di allevamento, soprattutto per le forniture all’industria lattiero-casearia, e trovare correttivi potrebbe essere tanto arduo quanto impopolare. Ma senza includere questo comparto nel discorso più generale sulla ricostruzione del mondo agricolo italiano, temo che non si cambierebbero molto le cose. Una bella sfida.
La pandemia ha indubbiamente cambiato il nostro rapporto con la produzione, distribuzione e consumo di cibo. Abbiamo osservato con sgomento le code interminabili di fronte ai supermercati, preludio a scaffali spesso semivuoti, e ci siamo resi conto che quella che credevamo essere la “normalità” in realtà era il “problema”.
Il decantato shopping on line, ce ne siamo accorti, include tempi di attesa lunghissimi e non è una via praticabile nella quotidianità. La domanda di prodotti biologici e anche di sistemi di distribuzione locale come quelli dei Gruppi d’acquisto solidali (Gas) sta crescendo, come i mercati che essendo all’aperto sono più sicuri. Le aziende agricole medio-piccole negli ultimi mesi si sono esercitate nel fare consegne a domicilio, e mi sembra che sia andata abbastanza bene.
Davanti a noi ci sono almeno tre possibilità: o si cerca di tornare al prima, agli asfittici pomodori olandesi e ai peperoni spagnoli; o si lascia campo libero alle filiere lunghe dell’agroindustria, nonostante siano concausa dei cambiamenti climatici e in maniera indiretta anche della diffusione delle pandemie; o si coglie l’occasione del virus per dare maggiore peso alle pratiche dell’economia sociale e solidale, dell’agricoltura contadina e dei sistemi di economia locale.
Evidentemente ci vuole un progetto, una pianificazione, dei finanziamenti (che negli ultimi anni per i “piccoli” si sono fatti sempre più risicati e inarrivabili). In assenza di uno Stato che se ne occupi, ci vogliono dei “patti” (privati) tra consumatori consapevoli e produttori responsabili. In alcune città si sono già formati i “condomini solidali” in cui si raccolgono gli ordini per più famiglie, nella mia via durante l’emergenza abbiamo fatto qualcosa del genere in tre … è anche un modo per rafforzare le relazioni di vicinato. Se si vuole, si può, e ne sento tanti che vogliono cambiare verso.
E’ vero quello che dici sugli allevamenti intensivi, Pietro. Ma il cremasco non è l’America (per fortuna) e le nostre cascine con mucche da latte sono di dimensioni più che accettabili. Mentre la carne in Italia si compra e si mangia sempre di meno e l’insaccato sta attraversando, sempre per motivi salutistici, un brutto periodo. Diciamo che in Italia i presupposti del cambiamento ci sarebbero tutti … poi, sta a noi.
Mi rendo conto che, nell’ambito del tuo discorso più generale, che questa volta, come anche Francesco ha detto, ho davvero apprezzato, si tratta solo di un particolare. Per cui, è inutile soffermarcisi troppo. Però guarda che nel cremasco gli allevamenti bovini e suini non sono poi così limitati quanto a numero di capi. Ma il cremasco è poca cosa, in numero di animali allevati, rispetto ad esempio al cremonese, per non parlare dell’intera area allungata tra il lodigiano a ponente e il veronese a levante, stando sempre sotto la fascia dei fontanili. Se già soltanto vai verso il soresinese e poi ti addentri tra la bassa bresciana e il casalasco, i numeri sono impressionanti, anche per singola azienda agricola. Ho il piacere di essere amico di alcune famiglie di allevatori di frisone da latte, ad esempio tra San Bassano e Pizzighettone, di una in particolare da molto tempo, e ti assicuro che quando vado da loro resto stupefatto dall’estensione incredibile di queste strutture e dalla marea di animali che vi vengono allevati. L’intera economia di questi territori è basata in gran parte su tali risorse. Che tra l’altro, in questo momento di crisi, rappresentano un settore importantissimo in termini di ripresa economica, di export e soprattutto di filiera collegata. Però, ripeto, è solo un aspetto particolare. Il tuo post ha un respiro più complessivo.
Non insisto sulla consistenza degli allevamenti intensivi del Lombardo-veneto, sono sicura che ne sai più di me. Certo l’incremento delle produzioni di eccellenza, o di nicchia, dovrebbero essere favorite e sostenute, in primo luogo perché sono un’eccellenza italiana e secondariamente perché la qualità della vita se ne avvantaggerebbe.
Ed ecco lo “scopo di breve/medio periodo”, cioè la ri-costruzione del mondo agricolo italiano. Ogni giorno passeggio in campagna lungo un percorso dal quale è possibile vedere crescere a vista d’occhio, letteralmente, le piante di mais. Nella mia ignoranza agricola pensavo servissero per fare mangimi, finché non mi hanno spiegato che servono per “alimentare” gli impianti di biogas. E’ esattamente questa l’agricoltura che mi fa paura, il decantato “green new deal” tanto caro ai grandi investitori, in fondo basta seguire la scia dei soldi per trovare chi detta la cosiddetta “agenda verde”. Già rimarcare queste cose e portarle a conoscenza del maggior numero possibile di persone può essere utile, io credo. Sarò noiosa, ma per me sono le piccole cose che fanno una cosa importante. Ci vuole pazienza, costanza, dedizione e … muso duro.
non credo che il globalismo si sconfitto, purtroppo! ne sta cercando di nascere uno immateriale, psichico, più raffinato e centrico… è già sotto gli occhi di tutti… quello delle merci è roba vecchia. Licenziata greta, che ormai non serve più, si vuol licenziare anche la moneta fisica, la libera iniziativa ecc ps avete visto che ieri ansa è stata capace di dire rddoppio dei contagi in lombardia senza dire che avevano fatto il doppio dei tamponi, come si vede in lombardianotizie, che mostra la percentuale identica a martedi 1,7… pensate che livello, milioni soffrono e qualcuno si diverte a dare le notizie così
Probabilmente ci saranno in Italia 20 milioni di contagiati, e stanno benissimo. Ormai il virus fa paura solo ai cretini. I problemi veri sono le collusioni tra affari, politica e informazione. Anzi, è forse quest’ultimo il più fondamentale problema dei nostri tempi. Perché un fenomeno di psicosi panica collettiva come il ‘coronavirus’ non sarebbe stato possibile senza una ignobile manipolazione mediatica. La notizia ANSA che riporti è un caso tra migliaia. Però, Pietro, un consiglio: non disturbare il sonno degli Addormentati.
Il globalismo ha avuto bisogno di quasi mezzo secolo per formarsi, caro Pietro, non è che svanisce dopo tre mesi di Covid-19. Non so se ne crescerà uno “psichico”, dettato da paura e sottomissione, ma non ne sarei così sicura. Nonostante la scarsa copertura mediatica l’Italia è attraversata ogni settimana da decine di mobilitazioni. I media di regime sono capaci solo di diffondere i loro sondaggi taroccati, salvo piagnucolare (Mentana) quando li prendono in castagna. Ma molti, anche grazie alla pantomima-Covid, stanno aprendo gli occhi. Dopotutto, giornali e telegiornali non sono luoghi così frequentati …. qualche nostalgico, niente di più.
La gente è tangibilmente imbufalita. E se qualcuno pensava che solo in America l’ultraottantenne Jane Fonda andasse in piazza a manifestare, ebbene si sbagliava. Sandra Milo (87 anni) si è incatenata davanti Palazzo Chigi per porre la questione del sostegno agli artisti e agli operatori del mondo dello spettacolo, che dopo tre mesi di inoperatività sono alla canna del gas.
Giuseppi l’ha ricevuta immediatamente, le promesse sono il suo forte e il mondo dei media (la Milo fa ancora notizia) è il suo mondo. “Un Paese di musichette mentre fuori c’è la morte“. E qui, vorrei spezzare una lancia a favore delle donne. Generalizzare espone sempre a critiche, quindi sono pronta, ma mentre noto che l’uomo con i capelli grigi è più propenso a sedersi in poltrona, la donna non si fa frenare dagli anni che passano. Se dunque dovessi dire chi un domani instaurerà la nuova normalità, non avrei dubbi: le donne. Ci pensino su, gli uomini, e facciano qualcosa anziché subire.
Semplicemete per dichiarare la mia solidarietà ai molti “cretini” (con la “c” è, così come sono stati definiti dal “magnifico” Livio Cadè, dispensatore generoso di benemerenze!) che ancora temono il Corona Virus!
E per “buon peso”, chissà cosa mi prenderò su per le “virgolette”!!!
Io invece esprimo solidarietà a quelli che devono subire le conseguenze della paura di tanti cretini.
Stralcio da Money.it: “Si stima che 1 milione e 700mila piccole e medie imprese rischiano di fallire entro fine anno. Il PIL poi precipiterà a -14,7%, rispetto al più ottimistico -9% del Fondo Monetario Internazionale, e il tasso di povertà tra gli italiani raggiungerà il 22,7%. Senza dimenticare che in tutta la penisola potrebbero andare in fumo circa 6 milioni e mezzo di posti di lavoro.”
Questo dovrebbe far paura.
Tra i tanti “cretini” (così come li ha definiti il “magnifico” Livio) credo si debba annoverare anche MARIA RITA GISMONDO, direttore microbiologia clinica e virologia del “Sacco” di Milano che scrive: “PROLIFERANO i titoli giornalistici con la frase “post Covid”. Temo che si possa scivolare verso la convinzione che la pandemia
sia finita, con conseguenti pericolosi comportamenti. Non è così, né a livello nazionale, né internazionale.
Non siamo ancora riemersi alla luce del giorno: la intravvediamo intensa alla fine di un tunnel, forse, più
breve di prima. Se ci sfuggisse questo concetto, faremmo un gran favore al “nostro” virus.”
Credo che ormai si possa credere ai virologi come si crede ai cartomanti o a chi legge i fondi del caffè. Ricordo la Gismondo quando minimizzava, contro l’opinione ufficiale. Ricordo Burioni quando parlava di un rischio zero. Ricordo Bassetti quando parlava di un’influenza non peggiore di altre. Ricordo la Capua quando diceva che era “un virus mite…un raffreddore…che non può uccidere nessuno”. Poi, a 2.000 euro ogni dieci minuti, forse le hanno fatto cambiare idea. Com’è volubile la ‘scienza’! Da tempo sento molti medici autorevoli, in Italia e altrove (così a memoria mi vengono in mente i nostri Zangrillo o Remuzzi), affermare che il virus ha perso la sua aggressività, che i contagi non producono più sintomi, che gli ospedali si sono svuotati, che le misure di contenimento potrebbero essere allentate. Il fatto concreto è da valutare nelle terapie intensive e nel numero dei decessi. Anche con tutto il dovuto sospetto (perché non ho dubbi che l’informazione sia stata manipolata) vi sono numeri, dati, fatti. E poi ci sono le paure di tanti “magnifici cretini” e quelli che hanno interesse ad alimentarle.
Mi sembra di non essere d’accordo con quanto hai scritto Rita, ma prima di entrare nel merito vorrei un chiarimento su alcuni punti:
Cosa intendi quando scrivi che il globalismo ha impoverito i popoli?
Riguardo i tre scopi che proponi, come definisci la società solida e quella liquida? In che senso l’agricoltura sarebbe un settore rilevante nello sviluppo futuro? Per qual motivo un’ulteriore frammentazione del lavoro tra soggetti singoli, invece che l’aggregazione in imprese di medie/grandi dimensioni sarebbe auspicabile?
Per rispondere a queste tre domande dovrei scrivere come minimo un altro post. Provo tuttavia a sintetizzare, mi dirai poi se ci sono riuscita.
Domanda n°1 – il globalismo ha impoverito i popoli
Il globalismo che, almeno in teoria, avrebbe dovuto “spalmare” la ricchezza anche sui Paesi sottosviluppati (che continuano ad essere poveri ma lavorano 20 h al giorno, mentre prima prendevano il fresco sotto la pianta) è servito, di fatto, ad allargare la forbice tra povertà e ricchezza, lasciando nel mezzo (dove c’era la middle class) un grande vuoto.
Il globalismo ha letteralmente fatto fuori il sistema produttivo nazionale (basti vedere i milioni di metri cubi di aree dismesse in Occidente). Oggi il capitalismo finanziario guadagna molto di più dalla speculazione che dall’industria. La “grande fabbrica” ormai è il web, la più grande società di massa individualizzata della storia, dove ognuno è diventato un apparente capitalista di se stesso nella nuova divisione internazionalizzata del lavoro. Un’illusione in grande stile.
Il processo di deindustrializzazione ha favorito l’affermazione dell’ordoliberismo. Dominante anche in UE, un organismo sovranazionale, unione monetaria e non politica, ampiamente antidemocratico, dove esiste un Parlamento che non legifera (caso unico al mondo), una moneta che gli stati non possono stampare (caso unico al mondo), un regime di austerity, in cui governa una banca privata, Bce, che somministra finanza alle banche ad libitum, presso le quali gli Stati dovranno rifornirsi, vendendo i propri titoli di Stato, su cui naturalmente graveranno grossi interessi per il sistema bancario (da qui il debito pubblico, che non potrà mai essere ripagato).
L’obiettivo vero dell’ordoliberismo non è quello di distribuire ricchezza ma di socializzare il mercato, di farlo penetrare appunto negli altri ordini dello Stato e di subordinare ad esso l’intera società, così che debba conformarsi completamente alle sue regole. Non si tratta dunque di una “metamorfosi del capitalismo novecentesco”, ma di un vero e proprio progetto di antropologia sociale. Lo Stato deve restare sotto la sorveglianza del mercato (ce l’abbiamo ogni giorno sotto gli occhi) e non viceversa.
Domanda n°2 – la società solida e quella liquida.
La società solida (finita con il Novecento) è stata l’epoca del progresso e delle nuove scoperte. Ma con il Terzo Millennio è arrivata una società liquida, magmatica, in cui tutto DEVE divorare ogni persistenza, ogni permanenza, ogni rigidità. Nella società liquida (lo abbiamo visto in occasione della pandemia da Covid) non vi è più nulla di accertato e acclarato, men che meno delineato da regole precise. Tutto è all’incirca, su per giù: la famiglia, le istituzioni, le norme del vivere civile, lo scientismo, l’economia. Una sorta di onda anomala libertaria (ma in realtà liberticida) sommerge, soffoca, appiattisce e livella ogni cosa, lasciandosi dietro non un limo fertile bensì la totale devastazione.
Società liquida è sinonimo di caos. Nel senso che l’unica logica ammessa è quella del capitale, che per mantenere il suo status ha bisogno di un individuo “sciolto” dai legami comunitari, ridotto a puro consumatore, senza vincoli morali, senza radici territoriali. Faccia quello che vuole e dica quello che gli pare, chi se ne frega, purché consumi delle merci.
Domanda n°3 – perché il lavoro autonomo anziché l’aggregazione di imprese di medie/grandi.
Questa è facile. Racconta una storiella zen di come trovandosi nella stessa casa, due uomini finiscono immancabilmente per dividersi i compiti: uno comanda, l’altro obbedisce. E’ la regola del branco, l’abbiamo impressa nel nostro Dna, non ci si scappa.
Ugualmente l’aggregazione di imprese di medie/grandi può funzionare per un primo periodo “di prova”, ma poi è gioco forza che un gruppo avanzi e l’altro retroceda, e questo per una caterva enorme di motivi. Visioni e idee differenti, budget diseguali, sbocchi commerciali sempre in evoluzione e trasformazione.
Mentre chi lavora “sul suo” non solo non corre simili rischi ma è personalmente motivato a progredire, reinventarsi, rimettersi in gioco dopo una caduta. Una media impresa se le cose vanno male, chiude. Un laboratorio artigianale, o comunque una qualsiasi attività in proprio, ci riprova.
Chi sa fare un mestiere, un lavoro lo trova sempre, non muore di fame.
Chi lavorava in una fabbrica fallita, chiede il reddito di cittadinanza.
Il discorso sulla globalizzazione che impoverisce i popoli avrebbe senso in un mondo privo di progresso tecnologico. Ovvero, se vivi in un mondo dove le attività umane sono fisse, e non disponibili per tutti, lo spostamento di queste attività in paesi meno sviluppati, lascerebbe i più sviluppati senza lavoro, ma con redditi nelle tasche dei pochi che controllano le imprese delocalizzate.
Per fortuna il progresso c’è eccome, proprio per questo attività manifatturiere e agricole perdono capacità di produrre valore aggiunto a sufficienza da soddisfare i redditi dei paesi sviluppati, quindi si spostano dove c’è chi è disposto ad essere pagato meno.
La soluzione non è combattere la globalizzazione, ma essere in grado di adattarsi alle condizioni in continuo mutamento, perché seguono un veloce progresso tecnologico. Nel caso dell’Italia questo ha significato dover passare all’economia dei servizi, che non ci è riuscito bene come per il passaggio dall’agricoltura alla manifattura. E’ bene tenere a mente che rifiutare questo meccanismo significa accettare che i salari scendano, a causa del calo del valore aggiunto nelle attività non più moderne.
Questo ci riporta alla dimensione delle imprese. Infatti sono le imprese che mettono a frutto la collaborazione tra i soggetti ad essere in grado di produrre tecnologie all’avanguardia. Il fenomeno che descrivi per cui il migliore avanza, l’altro retrocede è il cuore del progresso. E’ il sistema che le nostre economie hanno per ottimizzare l’allocazione delle risorse scarse, ed è estremamente positivo.
Purtroppo in Italia questo non è accettato, quindi siamo pieni di autonomi inefficienti, le cosiddette PMI a conduzione familiare, che sussidiamo consentendogli di evadere, e di medie/grandi imprese decotte che sosteniamo con cassa integrazione per anni, e poi finiamo per nazionalizzare mettendo qualche amico dell’amico che si sente imprenditore, tipo l’Arcuri di turno, a guidarle.
L’effetto è che impediamo che il mercato si liberi dei processi non efficienti, lasciando spazio a quelli che lo sarebbero, e non cresciamo.
Caro Mattia, il progresso che “c’è eccome” lo vedi solo tu che non hai conosciuto altra società che questa. Le “attività manifatturiere e agricole” sono in grande affanno e non ci vuole un occhio di falco per vederlo. Non è l’uomo a doversi adattare alla globalizzazione (perché?) ma la globalizzazione che deve scomparire dalla vita dell’uomo, avendo fallito il suo progetto.
Sai quante teorie economiche sono andate in fumo negli ultimi secoli, un mucchio, e tutte a fine corsa hanno dovuto ritirarsi dalla scena in quanto superate e/o fallite. Ora tocca alla globalizzazione. Sappi inoltre che gli autonomi sono rarissimamente inefficienti, per il semplice motivo che per loro “inefficienza” è sinonimo di “chiudere bottega”. Non hanno ammortizzatori sociali, cassa integrazione, ferie e malattia pagata, assegni familiari e chi più ne ha più ne metta. Al contrario degli stipendiati, o di quanti vivono di sussidi statali, i quali se ne fregano allegramente di come vanno le cose perché per loro un paracadute ci sarà sempre.
E’ questo il futuro che vogliamo? Una massa inerte tenuta in vita dal reddito universale? Provò a fare una cosa del genere l’Urss post-bellica, e fu un disastro sociale senza precedenti perché l’uomo de-motivato tende automaticamente all’autodistruzione. Si possono statalizzare solo gli asset strategici, ma il resto dell’economia reale di un Paese deve essere lasciato alla libera iniziativa. E’ proprio questo che non entra nella testolina dei grillini disgraziatamente oggi al governo, ma di economia loro non ne sanno niente.
In nessun punto io ho suggerito un sistema socialista in mano allo Stato, ho anzi criticato questa pessima pratica Italiana di infilare la politica nei consigli d’amministrazione di imprese spesso in perdita. Pienamente condivisibile quindi la tua critica su questo punto al Governo.
Ti faccio notare che gli autonomi sono sussidiati eccome, facendo regimi fiscali ad hoc con aliquote molto basse rispetto alle società di persone, e lasciando che evadano liberamente. Se fosse vero che l’ambiente è così ostile ai piccoli imprenditori di se stessi, ci sarebbe un incentivo ad aggregarsi in società, cosa che non c’è. Quindi in base a quello che scrivevi, dovresti essere contenta della struttura frammentata dell’economia Italiana. A me sembra invece un problema, perché non ci rende competitivi sul mercato internazionale (mi riferisco al dato di produttività per dimensione d’impresa, comparando aziende di pari dimensioni nei vari paesi europei).
Molti luoghi comuni sulle ragioni della debole competitività dell’economia italiana, attribuita rozzamente alla prevalente presenza di piccole e medie imprese ritenute poco produttive nel nostro sistema manifatturiero, andrebbero rivisti. Non è l’industria che frena la nostra produttività bensì le diffuse inefficienze del settore pubblico e della burocrazia, il basso valore aggiunto delle reti e di molti servizi locali.
Se vai a vedere i dati Eurostat ti accorgerai che la produttività del lavoro italiana nell’industria manifatturiera (data dal rapporto tra il valore aggiunto lordo a valori concatenati 2010 e gli occupati) nel quadriennio 2015-18 è cresciuta di più di quella degli altri tre maggiori Paesi della moneta unica (Germania, Francia, Spagna). Il traino è costituito dai settori di specializzazione (le famose eccellenze italiane), mentre la Germania senza “automotive” è fottuta. Se noi “rinunciassimo” ad avere le microimprese con meno di 10 occupati, probabilmente la nostra produttività media statisticamente migliorerebbe, ma un bel momento chi se frega della statistica. Chi zavorra il nostro Pil sono politica e burocrazia, questo è il dramma.
Altro luogo comune è quello dell’evasione fiscale degli autonomi, che in una certa misura ci sarà, inutile negarlo, ma probabilmente non è stratosferica come vorrebbero farci credere. Personalmente ne sento parlare da quando sono nata, pensa un po’, e mi chiedo come mai l’Agenzia delle Entrate (che sa tutto di noi, anche quanti rotoli di carta igienica consumiamo) non intervenga come dovrebbe. Forse, per non sfatare un mito? Dopo, a chi darebbero la colpa? La politica non può allungare le mani sul 40% dei profitti delle grandi multinazionali che ogni anno prende il volo per i paradisi fiscali (a cominciare dalla “frugale” Olanda), così scarica la sua incapacità di azione sui peones che lavorano quindici ore al giorno per tirar sera. Il mantra “pagare tutti per pagare meno” dovrebbe riguardare gli Amazon e i Google, non l’idraulico e il falegname.
Senza entrar nel merito di dinamiche economiche di cui non so, vorrei far notare alcune difficoltà di metodo negli argomenti del signor Bressanelli .
La prima è che si parla di “progresso” senza determinarne il contenuto. Il “progresso” è qualcosa che “per fortuna c’è, eccome”, è quindi una forma posta a priori e la cui sostanza è buona di per sé. È quindi un’auto-evidenza come per alcuni l’esistenza di Dio e la tendenza della storia verso un Regno messianico.
La seconda è che si allude alla necessità di “adattarsi alle condizioni in continuo mutamento” facendo intendere che tali mutazioni siano quasi un fenomeno naturale, come la glaciazione, cui bisogna adeguarsi per sopravvivere e non scelte umane.
La terza, che è simile alla prima, è che questo mutamento viene assimilato al “veloce progresso tecnologico”. L’adattamento naturale consiste nel “produrre tecnologie all’avanguardia” perché il mutamento, cioè il progresso, coincide per necessità con lo sviluppo tecnologico. Questo è tautologico.
La quarta difficoltà è la teoria secondo cui “il fenomeno per cui il migliore avanza, l’altro retrocede è il cuore del progresso”. Anche questo è un ragionamento auto-reggente. Stabilito che il progresso è “avanzare tecnologicamente” è ovvio che chi avanza sia il migliore perché soddisfa le necessità di quel progresso. È cioè un altro ragionamento circolare, che in realtà non si pone il problema di cosa sia meglio o peggio e perché, ma suppone che questo ‘progresso’ sia il Bene o una Necessità indipendentemente dalle condizioni che pone.
La quinta, è una difficoltà di fondo che include le altre: si pone questo Progresso (cioè il Bene, ossia l’avanzamento tecnologico) come un fine cui tendere, cioè come un Valore in sé. Ma anche questo è un argomento dogmatico. I mezzi, cioè le tecniche, diventano il fine. Non si pone il problema di cosa sia realmente desiderabile per l’uomo, cioè il problema del Valore reale. Prevale la necessità di servire un certo scopo che è il progresso tecnologico (e immagino economico), ossia la ‘crescita’. Ma anche un tumore può crescere, senza che questo rappresenti un vantaggio.
Queste considerazioni non riguardano le conclusioni che vengono proposte, che possono essere corrette o sbagliate solo in relazione a premesse intellettuali che non vengono chiarite. Personalmente, invecchiando, ho sempre più preso in sospetto questa idea di ‘progresso’ e oggi mi sembra solo una gabbia, anche psicologica, dalla quale non riusciamo più a liberarci. Di fatto, il progresso tecnologico (o la ‘crescita economica’) mi appaiono sempre più come contro-valori, qualcosa che ostacola invece di favorire la realizzazione degli autentici bisogni umani. E di questi bisogni bisognerebbe parlare.
Se sono stato noioso mi scuso.
Il progresso, con cui intendo il miglioramento tecnologico, non c’è a priori, sono d’accordo. C’è se le persone lavorano per inventare nuovi strumenti, processi, prodotti ecc. migliori dei precedenti. Il punto non è che l’unico valore esistente è quello in denaro, ma che quella è una misura di quanto un bene ha valore reale (utilità) per le persone, valore reale che diversamente non sarebbe misurabile. Di conseguenza anche la crescita economica non è affatto scontata, anzi, è successo una specie di miracolo dell’ultimo secolo, non si era mai visto un così grande miglioramento delle condizioni di vita così rapidamente. Però rimane un buon indicatore del valore aggiunto creato dalla società.
Non vedo però come da questo si possa concludere che sia un contro-valore che ostacola la realizzazione degli autentici bisogni umani, queste sì mi sembrano parole astratte ed indefinibili, un puro esercizio retorico parlarne.
Sono un contro-valore quando non soddisfano reali bisogni (fisici o psichici) ma inducono comportamenti dannosi alla salute dell’uomo e del suo ambiente. In questo senso, il progresso tecnologico e la crescita economica sono per me una concreta minaccia per il benessere sia della società che del suo habitat naturale. Non mi sembra retorico. Ma vedo che Lei resta legato a un’idea del “progresso” legata all’invenzione di prodotti “migliori”. Ma ‘migliore’ rimanda a un ‘bene’, a un valore, e per Lei è il denaro misura del valore reale (definito come ‘utilità’) e la crescita economica è quindi indicatore di valore e di ‘miglioramento’. Non si esce dalla difficoltà. Il progresso tecnologico e la crescita economica restano per Lei i criteri aprioristici con i quali valutare il ‘bene reale’. Non dico che sia sbagliato. È un postulato che, se non capisco male, non richiede di esser dimostrato. Oppure è una forma di retorica, di apologetica inconsapevole.
Per riassumere, il punto è questo: l’economia (ma lo stesso vale per la scienza o per la tecnologia), come disciplina teorica, non può prescindere da un fondamento etico, cioè da un substrato di valori umani che la precedono e che dovrebbero guidarla. Che poi questo non succeda, che sia utopistico sperarlo e stupido opporsi a processi di ‘crescita’ amorali ormai cristallizzati, è un altro discorso. Richiamo solo alla consapevolezza di un problema per me fondamentale.
Perfetto, sono contento che siamo arrivati al punto. Quello di cui si vuole parlare non sono le osservazioni sui dati, ma l’aspetto etico, morale, filosofico se volgiamo. Se è così pero ci si limiti all’astratto, all’ideale, senza introdurre numeri o soluzioni economiche (mi riferisco più al post che ai commenti del signor Cadè).
A me a questo lato del discorso poco interessa partecipare, ma mi lieterò di leggere quanto scriveranno altri.
Mattia non c’è nulla di più astratto dei “dati” e della statistica, semplici paradigmi frutto di pre-concetti. Ricordati del pollo di Trilussa. Visto comunque che ti piacciono i dati, conoscerai sicuramente quelli periodici riferiti all’andamento del QI nella popolazione mondiale, i quali rilevano un enorme calo nelle ultime generazioni nella capacità di elaborare modelli, pensare in astratto, capire gli altri, avere nuove idee. E ho riassunto solo le principali abilità mentali e psichiche che costituiscono l’intelligenza, ce ne sono altre.
Huston abbiamo un problema: il quoziente intellettivo si abbassa.
Ne consegue che l’attuale “civiltà” non rappresenta un progresso.
Nel mio piccolo (non sono un’economista, com’è noto) nel post uno spunto di riflessione l’ho dato (progetto politico dotato di uno scopo principale, di uno scopo di medio periodo, di uno scopo di fondo di lungo periodo), mentre non ho capito qual’è il tuo. Hai posto una serie di domande, e va bene, i quesiti sono sempre un ottimo stimolo di riflessione. Ma poi … dove sono le controproposte? Quali sono, secondo te, le prime tre cose urgenti da fare? Se l’hai detto, scusa, non ho capito.
Ma l’uomo è sempre stato tecnologico. Dall’homo habilis, alla ruota, alla stampa è stato tutto un costruire. Ogni epoca ha la sua tecnologia. Che poi dal secolo scorso in poi ci pare che si sia assistito ad un’accelerazione incontrollata, ma non credo che l’uomo superi in velocità se stesso, è invece altra questione, mi pare. Che poi non ci sia nessun fondamento etico, quindi nessun valore, nelle armi capaci di mietere vittime in gran numero, bomba atomica, armi batteriologiche, i forni crematori erano tecnica, e qui c’entra l’andamento demografico,
-non si può più andare alla guerra con la spada-, è altra questione dal demonizzarla tutta. Allo stesso tempo esistono strumenti tecnologici che hanno reso più facile la vita dell’uomo. O altrimenti si dovrebbero distinguere tecnologia e tecnica, e qui forse c’è una disattenzione totale ai volori di cui Lei, signor Cadè, parla. Se si intende la tecnica” come la forma più alta di razionalità mai raggiunta nella Storia, che consiste nell’ottenere il massimo degli scopi con l’impiego minimo dei mezzi” allora senza dubbio l’uomo che è anche irrazionale (“dolore, amore, immaginazione, passione, fantasia….) viene estromesso da quel tipo di razionalità che Heidegger chiama “pensiero calcolante”. A quel punto è ovvio che se la tecnica diventa “forma del nostro modo di pensare, all’uomo non resta che adeguarsi, tacitando tutte quelle espressioni umane che non corrispondono alla razionalità tecnica.” E naturalmente qui di valori neppure l’ombra. Perchè se fine della tecnica è trasformare i nostri modi di agire soggettivi e personali, perchè l’obiettivo è l’efficienza, allora la sostituibilità delle persone, annullando tutte le individualità, in nome della velocità della produzione perchè si deve produrre di più per guadagnare sempre di più, è ovvio che si “tacitano quei valori che potevano essere la gratuità, la dedizione, l’altruismo perchè semplici espressioni di irrazionalità, assolutamente contraria alla tecnica”. Ma, ripeto tecnologia e “pensare tecnico” sono due opposti. Queste semplici riflessioni dopo aver letto e copiato Umberto Galimberti sul mio giornale di stamattina. Buona giornata.
Naturalmente un musicista non può ignorare il valore della ‘tecnica’, che è inseparabile dall’arte stessa.
C’è infatti un abisso tra tecnica e tecnologia.
Ancora prima di essere qualcos’altro, l’homo sapiens è homo faber, lo sappiamo benissimo, ma se la sua capacità di «fare» non fosse spirituale, non sarebbe neppure umana. Diciamo che per svariati millenni lo è stata, permettendo all’individuo di proiettare nella materia la sua personalità e i suoi ideali. Finché non è arrivato il mercantilismo globalista, poi rafforzato dalla tecnologia, che ha fatto in modo che la tecnica (l’arte del «saper fare») si perdesse per strada.
Di questi tempi è sempre più raro incontrare un contadino che conosca i ritmi della terra, un artigiano consapevole del valore delle materie prime, un navigatore che sia anche astronomo e filosofo, un medico-mago (nel senso classico del termine), un architetto esoterico e metafisico, un artista eclettico e colto. Dunque questa roba qui che ci passa quotidianamente sotto gli occhi, non è «progresso». Se nessuno è più capace di fare niente, come facciamo a essere una civiltà progredita? Una risposta l’abbiamo avuta in occasione della pandemia: si procede a tentoni con il metodo spannometrico, e si salvi chi può.
Devo tornare indietro nel tempo, quando ancora ogni tanto accendevo la TV. Ricordo una vecchia intervista di Fazio a Bill Gates. Ricordo che Gates disse con disprezzo di considerare ormai inutili le discipline umanistiche. Disse che all’umanità futura non servivano filosofi ma solo medici, ingegneri, tecnici, scienziati. Era la visione di un’umanità svuotata dell’estetica, dell’etica, della metafisica, dell’arte, o in cui queste dimensioni diventano voluttuarie. Una civiltà ridotta a un corpo senz’anima. Ma una società come quella immaginata da Gates sarebbe in realtà completamente sconnessa dalla natura umana, quindi senza reale concretezza e, paradossalmente, astratta. Costruire macchine, fare soldi … e perché? Qui si dovrebbe porre la domanda di ‘senso’. Ma di fatto, stiamo andando verso questa nuova antropologia disumanizzata, ormai incapace di porsi domande di ‘senso’.
Rita, bellissimo: il contadino che conosce i ritmi della terra, l’artigiano consapevole del valore delle materie prime, il navigatore che è anche astronomo (meglio del’astronomo che fa il navigatore, questa passamela), il medico che agisce anche come taumaturgo, l’architetto esoterico che erige templi al sacro. Ci aggiungerei lo scienziato che è anche alchimista, mentre l’artista eclettico mi sa tanto di certi trabasconi che sappiamo, definiamolo magari artista veggente e profeta, fa più mistico e meno catalogo.
Non è che abbiamo sbagliato secolo?
Mi viene anche un dubbio: se il tuo post si intitola “una nuova normalità” tutti questi come li consideriamo?
Comunque, con loro, invece che con i professionisti di oggi, avremmo una vita di sicuro molto più breve ma di gran lunga più avventurosa.
Grazie della botta di gioventù.
Pietro, tutti questi sono “la” normalità. Siamo noi … fuori bolla. E poi, se devo dirla tutta, non so neanche se la “vita normale” era più breve. Le mie nonne ottocentesche sono morte entrambe ultranovantenni, ad esempio, non hanno mai fatto un vaccino e non avevano in casa l’armadietto delle medicine.
La tecnologia è un mezzo utile ma sappiamo benissimo che la cosiddetta «rivoluzione digitale» non riuscirà a risolvere i principali problemi dell’uomo. Siamo animali complicatissimi. Allo stesso tempo la scienza va salvata al più presto dal delirio di onnipotenza dello scientismo (sponsorizzato dalla stampa generalista) che ha preso il sopravvento su una popolazione priva di mezzi spirituali e culturali, su una politica senza risposte e una religione completamente ripiegata sul potere temporale. Credo che mai come adesso sia stato necessario sfoderare un po’ di coraggio … non so fino a che punto è giusto fregarsene. Nei confronti di noi stessi, voglio dire.
Non tutto quel che sembra è come è, forse le anormalità allora esistevano con diverse sembianze, forse oggi le normalità esistono con sembianze diverse.
Come donna, hai forse ragione sulle nonne. Come uomo, non vale o stesso sui nonni. Ma s’è detto: la life expectancy non è la life quality.
Fregarsene è quasi peggio che fingere di interessarsene.
Concordo, Livio: l’etica non può che avere il primato sull’economia. Si tratta di una sorta di… imperativo categorico (devi…), ma i politici ragionano per “interessi”, per “convenienze”, per ciò che può andare bene al proprio elettorato.
“Un corretto rapporto con le cose, senza che la tecnica ci cancelli, lo si può ottenere con il radicamento del pensiero alle proprie origini. Come il poeta Hölderlin, dove cresce il pericolo, là cresce anche ciò che salva. Altrimenti saremo sempre stranieri su questa terra e saremo costretti, come scrive Rilke, a dir sempre addio”
Pensiero calcolante che non può fare a meno di quello meditante, ma soprattutto di quello rammemorante.
La tecnica per essere etica deve contemplare questi tre modi per pensare.A questo punto l’aspetto calcolante va collocato dopo. Imparare a fare delle cose domandandosi prima a cosa servono.
Come direbbe Piero, “volare alto”.
“Origini” è la parola chiave.
Le famose facoltà onanistiche di Feltri Crozza.
Non so se esistono statistiche sulle morti dei nonni, non dei vecchi. Da parte di padre il suo é morto che aveva nove anni, la madre quando io ne avevo sette. Da parte di madre morti vicine. Io avevo circa 10 anni. Nel mio caso non so se potrei dire che si stava meglio quando si stava peggio. Altra banalità: relativamente giovani, quelli che ho conosciuto, a me sembravano già decrepiti. Non è anche anche allora era questione di culo?
Figurati che mio nonno è morto nel 1923 a 56 anni, 30 anni prima che io nascessi (noi ci si pensa su bene, prima di sposarci).
Anche sulle cause, di quale “questione” si tratti, caro Ivano, si discute sin da quando si stava sull’Omo (non sul fustino di detersivo e neppure in certe attività).
E poi, già è difficile capire come si possa stare oggi, figurati ricostruire come si stava allora. Anche perché oggi la distanza sociale tra i top gun e i top sfiga è cento, allora era mille. Per cui, dipende, è un incrocio di diversi “dipende” tra di loro.
Però che nel complesso si tirasse prima il gambetto e che la vita in Italia riservasse emozioni più forti, mi sembra probabile, con tutte quelle guerre, carestie, pandemie, stragi, rivolte, scomuniche. Altro che mascherine. Mica ti puntavano in fronte il termometro.
Questione di genetica. Non è un mistero che solo pochi decenni fa i bambini giocavano all’aperto estate e inverno avendo al massimo la candela al naso, o un po’ di tosse che veniva curata col Vicks Vaporub, mentre oggi ogni due per tre sono in terapia antibiotica. Può darsi che statisticamente (la statistica, del resto, è quella roba lì) risulti che la longevità in Italia tocchi mediamente gli 80-82 anni, non si dice però in quali condizioni si arriva a quel traguardo, perché è meglio non saperlo. Per il resto mi sembra che guerre, fame, pandemie, schiavismo, torture e ingiuste detenzioni, stragi e rivolte ci siano anche adesso. Non crediamoci super, non lo siamo affatto, da bravi camerieri del sistema abbiamo solo imparato a nascondere la polvere sotto il tappeto.
Questione di culo, come sempre. Ma se, i soliti discorsi sulla cronicità, grazie alla pillolina, o due, contro l’ipertensione, io non sono ancora rimbambito per ictus o sottoterra per infarto, ne sono ben contento. E senza antibiotici si moriva di più. Che magari adesso si esageri fino a diventare resistenti è altra questione. E molto complessa. Non banalizziamo e non generalizziamo. E non ideologizziamo.
Stai esprimendo la tipica visione dei cosiddetti “progressisti”: ma come si sta bene oggi, ma come si stava male ieri. Ad ogni modo anche molti grandi anziani che ho conosciuto nella mia vita erano ipertesi o avevano altre magagne senza prendere pilloline, e chissà quanti altri miliardi di persone sono state nelle stesse consizioni prima di loro. Con la differenza che difficilmente la mia generazione supererà la soglia dei 90anni, e comunque non in piedi sulle proprie gambe. Con tutto quello che ci siamo mangiati, bevuti, respirati, assorbiti e immagazzinati in decenni di stress fisico ed emotivo …. e non entro qui nel merito dei grandi esperimenti atomici a cielo aperto che si sono susseguiti negli Anni Sessanta, roba da fare impallidire Chernobyl. Come si fa, poi, a non ammalarsi? Se questo è “progresso”, io sono la regina Elisabetta.
Se camperemo meno, l’età media si sta già abbassando, è perchè tra un po’ non avremo più i soldi per curarci, come tanti stanno già facendo ora. Naturalmente parlo di quelli a basso reddito che già comprano negli hard discount senza sapere cosa portano a casa in termini di sicurezza alimentare ed igiene. Medicina, buona alimentazione, ambiente sano sono elementi indispensabili, lo sappiamo, ma tutto questo fa parte di una visione olistica che manca. Se ridiamo della povera Greta e ci lamentiamo solo di Big Pharma non andiamo da nessuna parte.
Vai pure tu da quella parte, a me viene da ridere.
Buon viaggio.