Da Via del Ginnasio, i fanciulli delle medie Vailati arrivavano sballottando le cartelle di scuola a mò di zaino, frotte di energia viva che saliva le scale del palazzo signorile, sperdendosi nelle aule; fanciulle ricche, le benestanti, i figli dei piccolo-borghesi, i poveri con dignità, e di famiglie scapestrate che la dignità l’avevan persa; ma la classe dirigente del futuro cittadino passava dalle Vailati, dicevano le sciùre, allora. I paesani, quelli da fuori, s’iscrivevano alle Agello, Ombriano. Le sento ancora le voci, le spinte, gli acchiappi ai testicoli e poi il colpevole scappava giù a rotta di collo dalle scale, le vedo ancora le ombre sui muri della scuola bighellonando senza costrutto per Via del Ginnasio, in piazza Roma, le voci sguaiate, le corse per non arrivare in ritardo. Quando il portone della scuola è aperto, butto un’occhio: rivedo istantanee; le facce; gesti. Rimurgino su quelle ore infinite di scuola, i giorni lenti e tirati come le cicche dalla bocca che poi si spiaccicava in faccia, e gli anni che invece scappavano, volavano via, senza che ce ne accorgessimo, veloci come un Frecciarossa.
Il latino del professor Croci che per digerirlo non bastava, schiappa com’ero, l’Alka-seltzer; non bastavano a digerire il latino neanche le Roter che papà mandava giù per l’ulcera, che gli veniva per i colleghi della fabbrica, le incazzature al reparto saldatura. La voce stizzosa della bidella. La gamba poliomelitica con la scarpa nera dalla suola alta, che appariva sollevata in classe, prima di ogni altra cosa del professor Bettinelli, un’ingresso come quello degli attori da una tenda del sipario, nei varietà. La gamba sollevata sbucava in classe dal corridoio, e il corpo del professor Bettinelli dondolava in avanti, lentamente, come una gondola, due passi avanti e mezzo indietro, e puntava la cattedra che stava su un piano alto, quindi per lui, un’ulteriore fatica. Scappavano dei sorrisi crudeli. Non c’era comprensione per le difficoltà, nemmeno ci sarebbe stata pietà, per nessuno, figurarsi per un professore. Chi restava indietro, il troppo grasso, la racchia, il debole, la sfortunata, diventavano il divertimento stracco di scuola e doposcuola, anche d’istinto: come il passatempo di un gatto con la lucertola, il topo catturato, che ci gioca un pò, prima del colpo di grazia. Così eravamo noi. Così noi, senza vergogna. La professoressa di matematica, alle prime prove d’insegnamento, andò dal preside in lacrime. Mario e Luca, i due scapestrati della classe l’avevano in pugno, e si tiravano dietro noialtri. Lei aveva capelli lunghi, su cui stazionava in permanenza come un getto d’olio, da quanto i suoi capelli erano unti; piatta di petto, un volto allungato, scavato, pallido, il golfino sulle spalle anche con i caldi di maggio che annunciavano l’estate. Si portava appresso una magrezza spenta, uno sguardo timido, gentile, ma impaurito. Era l’antisesso, diceva Mario, che le cose le sapeva, le sentiva. Meglio abbracciare una pianta, piuttosto che lei, ribadiva Mario, l’esperto, che era scapestrato forte, quindi mio amico, e la osservava scuotendo la testa mentre la professoressa di matematica spariva dall’aula a piccoli passetti, la gonna scozzese, sempre quella. Ma le scuole Vailati, più che altro, erano una cosa sola. Le Vailati erano Samantha, solo e soltanto Samantha. Suo padre, primario all’Ospedale di Crema, di quale reparto non ricordo, era un nome conosciuto in città. Lei era una ragazzina sfacciata, ma borghese fino alle unghie dei piedi. Faceva la finta stracciona, ma era bella da morire, qualunque finto straccio portasse. Succhiava il fondo delle Bic, le preferiva blu, e mi eccitava quando teneva in bocca le penne, tormentandole con i denti bianco latte, la bocca piccola che pareva una fessura. Forse succhiava pure l’inchiostro, ma era tosta di carattere, immune da certe infezioni, e come si direbbe oggi, aveva certo gli anticorpi, bella com’era. Mario avrebbe detto questo. Margherita, la sua compagna di banco doveva prestar attenzione, perchè Samantha durante le lezioni, concentrata e attenta, d’abitudine arrotolava l’angolo destro di tutti i libri di scuola, non solo i suoi, fino a strapparli, sfrigolandoli poi fra l’indice e il pollice. Ricordo le sue lunghe dita sporche d’inchiostro, ghi occhi verdi che cambiavano colore a seconda delle luce, mentre lei, quasi in trance strappava gli angoli del libro di Margherita. Samantha era sul palmo delle mani dai professori, e gareggiava con Fusar Imperatore, l’occhialuto, il papà direttore di banca, per i voti più alti. Margherita imparò a tenere il suo libro distante dai lunghi tentacoli di Samantha, dalle sue dita nervose, inquiete, che vedevo pizzicare il mio sesso, mentre stavo al gabinetto col rotocalco femminile che non dovevo sporcare perchè bisognava restituirlo poi all’edicola dello zio. Cercavo fotografie di donne, che potevano essere Samantha da adulta. Sognavo di farla conoscere a mia madre, poi capivo che era un’idea balzana, assurda; mia madre, generosa com’era l’avrebbe soffocata di attenzioni, rimpinzata di dolci, tirato fuori le ciliege sotto spirito dalla credenza, l’Amaretto di Saronno…Un disastro, assicurato. Nel sogno ad occhi aperti, pensai di raccontarle che i miei genitori erano morti, e vivevo a giorni alterni da due zii. Samantha avrei voluto tenerla in catene, solo per me, raccontandole tutto dei Tre moschettieri. Ma non è una buona idea, mi diceva Mario, che dava i consigli giusti. Niente letteratura che alle ragazze dà noia; piuttosto baciala subito, non darle il tempo di respirare. Facile dirlo. Mario aveva il pelo sullo stomaco, era svelto, furbo, sveglio, e non leggeva niente. Così, per un pò non andai in biblioteca, per disintossicarmi, e presi a fumare le Muratti, a fare qualche tiro, con l’amico Mario. Dovevo farmi una tecnica d’approccio, con Samantha, e studiai più quello, che le cose di scuola. L’amavo. Un pomeriggio che insieme a Mario andammo al Marzale, conobbi il preludio alla felicità. Mario, Mario, le ho chiesto di uscire. Chiesto a chi? A Samantha, scemo. Bravo. Ce l’hai fatta. E dove la porterai? Dove stiamo andando ora, in bici al Marzale. Le coppie si baciano qui, di fianco al Santuario, o giù dalle scale, che è bello vicino al fiume. Limonano qui, in faccia agli antichi monaci. Gli adulti vanno in camporella, al Marzale, e lasciano mucchi di fazzoletti sullo spiazzo. Quando l’ho chiesto a Samantha, lei mi ha guardato negli occhi, senza rispondere subito, ha aspettato un paio di secondi, forse sorpresa, o indecisa, e ha risposto: ok, facciamo per le tre, in piazza Garibaldi, verrò in bici. E tu? E tu cosa? Cosa hai detto? Cosa dovevo dire? Potevo decollare da quanto ero felice. Quando è l’incontro fatale? Domani pomeriggio. Cosa ti metti? Una maglietta, scarpe da tennis, i Levi’s che ne ho un paio solo e non li ho messi oggi per non sporcarli. Sono preoccupato, Mario. E di che? E se piove? Non posso andare con lei in bici al Marzale se piove. Dio fai che non piova. Stanotte ascolterò la radio. Dopo l’Avviso ai naviganti, e prima degli Italiani all’estero, del Notturno Italiano c’è l’intermezzo meteo. Non vorrei neanche bucare la bici. Dirò a mio padre che è bravo a pompare le bici, di farlo lui; non guida l’auto, ma ha sette bici in cantina, ne sa: due le ha trovate abbandonate in giro, gli ha fatto la posta per qualche giorno, poi le ha portate a casa. Meglio che pompi lui la mia bici, che se mi scoppia una ruota mentre sono con Samantha è un guaio. Cosa le racconterai? prova con una barzelletta, per cominciare. Non so raccontare barzellette, gli scherzi, dire cose brillanti. Niente D’Artagnan o il conte di Montecristo, prometti, giura. Lo giuro. Ma lei gioca benissimo a basket, a tennis, suona il violino. Certe volte la sera la immagino nuda mentre suona il violino, la mia testa fra le sue gambe e intanto le parlo. Devi farti curare, mi dice Mario, sghignazzando. Il preludio alla felicità arrivava con la primavera, il fiore dei pioppi che faceva starnutire, i gruppi di ragazze che vascheggiavano su e giù da Via Mazzini. Sapeva di gelsomino, gelato al cioccolato, e vibrava di paura dannata di far cilecca, baciare male. La felicità era nella saliva di Samantha, che doveva sapere di fragola, o lampone; non di merluzzo avariato, come assicurava Mario, come la saliva di Agnese Malinverni, l’insegnante triste di matematica.
Due ore prima dell’appuntamento, Samantha telefonò. Le era venuto il raffreddore, forse qualche linea di febbre. Ci vediamo, comunque lunedì, in classe, mi disse. Non seppi mai se la sua saliva sapeva di lampone, fragola, o d’inchiostro Bic. Altri lo sanno. Il padre di lei fu accusato d’omicidio colposo, per tre decessi nel suo reparto. La notizia arrivò ai giornali. La famiglia di Samantha decise di cambiare aria, e si trasferì a Varese. Il padre fu poi assolto. Di Samantha non seppi più nulla. Quell’anno rischiai la bocciatura, e rimediai l’esame di Inglese e Matematica.
Commenti
Accidenti che palpito!
E ti hanno appioppato l’esame a ottobre, Marino, proprio quell’incredibile prof., che “…. La gamba poliomelitica con la scarpa nera dalla suola alta, che appariva sollevata in classe ….”, sbattuta fragorosamente, esibita sulla cattedra a inizio lezione, a dire: guardate bene con chi avete a che fare, e quella con i “…… capelli unti; piatta di petto, un volto allungato, scavato, pallido, il golfino sulle spalle anche con i caldi di maggio che annunciavano l’estate!”, il ….” prototipo” dell’insegnate di Matematica!
Non ci credrai, Marino, ma qualche anno prima (compreso il prof. di Italiano e Latino, entusiaticamente coinvolto con l’epica di Iliade e Odissea), quegli stessi tre insegnanti li avevo avuti anch’io e leggendoti mi sono ritrovato ….”in classe con te”!
Ma tu fortunatamente negli occhi, nel cuore, nella testa avevi Samantha (che non era una “Luigina” .qualsiasi) , che ti faceva “volare alto”! Io, più prosaicamente avevo ….. un compagno di classe che con uno sgambetto mi fece sbattere contro uno di quei catafalchi che erano i vecchi banchi di legno con la ribalta e …. nella mia di testa, cinque punti di sutura sul cuoio capelluto ed un bel “turbante”, per un paio di settimane!
Questa Domenica mattina, sto dentro i tuoi ricordi che mi/ci (si, quelli che sanno/possono/vogliono entrarci, ovviamente!) hai regalato con maestria, Marino, sono la mia ….. “Domenica del CremAscolta”!
Il “CremAscolta quotidiano” lo riprendo in mano domani, Lunedì !!!
Tu, Marino, sei un narratore puro: ci fai… gustare quanto ci racconti.
Fai sempre in tempo ad affermarti a livello nazionale. Del resto, non ti mancano i canali.
Caro Piero, non so scrivere bene, mancano gli attributi. Manca la scuola. E il più delle volte non so cosa scrivere. Ivano Maccali, qualche giorno fa ha centrato uno dei motivi per cui scrivo queste storielle, brevi narrazioni cremasche.
Mio padre ha scritto a mano molte lettere “alle direttrici” delle riviste femminili di quegli anni: Anna, Alba, Amica, Gioia, Confidenze, Intimità. Erano cariche di superlativi, complimenti a badilate, per la rivista sempre bellissima, interessantissima. A casa arrivava il postino con pacchetti per la famiglia Pasini; doni di quelle riviste: borsellini da donna, collane di perle finte, profumi da due soldi, anche da uomo, che papà usava ben volentieri la domenica, mischiando il profumo con l’odore di brillantina che gli serviva per tener giù i capelli ricci, che puntualmente gli si drizzavano in piedi, pure con la brillantina, al minimo alito di vento. Papà mi raccontava di quei regali con orgoglio, ma il figlio saccente piegava la bocca con sarcasmo, e scappava instrada a prendere aria. La sua faccia malinconica aspettava un complimento da suo figlio, che mai arrivò. Pure mia madre sorrideva vedendolo curvo al tavolo da cucina, a scrivere quelle lettere; e lo prendeva in giro: ho un marito scrittore, diceva, e scrollava la testa: entrambi, di scuola, ne avevano fatta poca.
Una volta, ero piccolo piccolo, papà, che partecipava a tutti i concorsi delle riviste che prendeva in prestito, vinse un viaggio aereo per due persone in Africa, una settimana in Kenia, incluso il safari. Entrambi non avevano mai calpestato altri luoghi che non fosse la nostra pianura, nemmeno per una gita fuori porta (eccetto il militare a Roma per papà, e un unica vacanza insieme, imposta dal medico per dare aria ai polmoni malandati, in Val Camonica), figurarsi l’Africa! L’aereoplano! Fu un dramma. Liti furibonde. Mamma, donna cocciuta, si chiuse in un mutismo straziante. Le venne la febbre, forse falsa, e si mise a letto, ma non volle saperne di chiamare il medico. Forse lei, in anticipo sui tempi, sulle opinioni dello stimato parlamentare Calderoli, quello che si sposò col rito celtico, dei bongo-bongo, dei neonazionalisti un pò razzisti, ci teneva a non mischiarsi con i forestieri anche un pò cannibali. Era una donna bassotta, con un corpo a botte, bello in carne, quindi un boccone ghiotto per gli africani. Se il viaggio gratis fosse stato sul lago di Garda, magari sì, che mamma non doveva fare i mestieri in camera, e ci sarebbe stato tutto pronto per la cena. E poteva, finalmente indossare il vestitino leggero, fatto da lei, tutto fiori, per la passeggiata tranquilla a bordo lago. In Africa? Proprio no. Aveva una fifa bestiale. Non ci fu modo di rassicurarla, di convincerla. Così papà dovette scrivere altre lettere per trovare qualcuno che comprasse, anche a poco, quei due biglietti per il Kenia. Quando arrivò la risposta che una coppia sostituiva i miei genitori, che papà aveva venduto il viaggio in Kenia, mia madre si ristabilì in fretta.
Ivano, scusami. Ho storpiato il tuo cognome. Macalli, non Maccali.
Ma in casa di questa ammaliatrice girava un cocker spaniel nero cocco di papà che se lo portava in ospedale e fra un intervento e l’altro andava a giocarci nel prato retrostante? Data la nostra differenza di età i tempi coincidono fra i tuoi studi e il mio inizio di servizio a Crema. E anche altri indizi. Perché se è così, mamma mia cosa hai rischiato!
Scherzo, di fronte a un pezzo letterario così poco conta se anche venissero dalla luna, ma visto che qualche ricordo ce l’ho anche io…
Pensa Marino se Samantha, con l’acca, ti rispondesse, e se tutti potessimo tirare le fila dei nostri sogni giovanili. Ma tu sei un disincantato e certamente non te lo aspetti. E giuro che io avrei avuto la tentazione di risponderti, fingendomi Lei, il gioco che mi piace, ma non ti sarebbe stato di nessuna consolazione, salvo finire a Non ho l’età sui Rai tre, che non é esperienza da intellettuali, ma forse vita vera. Ma non é argomento da intellettuali segaioli. La vita vera non é titolo da Cremascolta.
Non sarebbe una cattiva idea farcela tornare.
Ringrazio tutti. Un breve racconto, che è anche una questione privata, gramo o no, pensavo passasse come un treno in corsa, e via subito i motorini, le utilitarie, i Suv, su le stanghe,e faccende più corpose, di cui finalmente si può bisticciare. Gli argomenti certo più seri, che tanto piacciono a sinceri intellettuali e a quelli da strapazzo.
Caro Adriano, per proteggere le persone che potrebbero, non si sa mai, riconoscersi, sono costretto ad apportare alcune modifiche, quando scrivo storielle di cose che ho abitato. Parlo di quelle persone che non sono familiari stretti.
E degli intellettuali “segaioli”, come li chiama Ivano, che dire? Che è difficile sapersi guardare allo specchio con sincerità. La mediocrità è molto frequentata, ma quasi mai si ha l’umiltà di riconoscerla per se stessi, è sempre altrui; il contrario dell’onestà: ci si giudica onesti, mentre disonesti sono sempre altri. Il proprio malaffare ha sempre una scusante valida.
Non ho niente contro i bei discorsi sul buddismo, l’Eurasia, la fine del mondo imminente. Ognuno si diverte come può. La realtà, comunque, la memoria, anche aggiustata può aiutare a capire, se si ricerca l’onestà. Poi ci sono persone come Giorgia Meloni, che ha una sua idea della memoria, lei che viene da una storia di destra politica autoritaria non poi così lontana nel tempo, e frequenta amici americani di estrema destra che disprezzano la democrazia. La signora Meloni, proprio oggi ha accusato una decisione del governo italiano, giusta o sbagliata che sia, sui “volontari civici”, una scelta che porterebbe “a una deriva autoritaria”. Questa è bella. Autoritari sono gli altri, quando la Meloni rappresenta un partito portatore fedele, nella memoira, di una fiamma (il “patriota Almirante”) che fu quella del Movimento Sociale Italiano, e prima ancora della Repubblica Sociale Italiana. Anche per questo scrivo della realtà. Per tenere botta a questa gente.
Marino un farmacista filosofo consiglia in questo periodo due letture al giorno, prima o dopo i pasti, del re travicello. Quanto vorrei poter fare qualcosa, ma sarebbe come sottrarre i topi al pifferaio magico. E’ tardi.