Prima è finito il lievito in dadini, poi quello sfuso, niente più.
Il fatto che dagli scaffali scompaia presto ogni mattina anche la ricotta mi fa pensare a tante pizze rustiche, o dolci della tradizione. Tuttavia questa carenza mi ricorda anche un popolo assediato che pensa di non poter più trovare prodotti già pronti, che vive di tessere annonarie per capirci.
La criticità, inutile dirlo, non è altrettanto grave, ma dello stesso genere.
Ma il lievito a Pasqua no, quello non doveva mancare, perché è il simbolo stesso della ricrescita, ciò che ora ci serve!
Purtroppo ho l’impressione che il lievito ci manchi dentro, che quello scatto di energia che
ci servirebbe non trovi un canale per esprimersi.
Siamo asciutti, disidratati.
Dopo un mese di reclusione, non potendoci muovere in superficie, avremmo dovuto iniziare a scavare in profondità, esprimere sentimenti, le discussioni avrebbero dovuto prendere un carattere intimo.
No. Manca il lievito!
Ora, come bambini su un’immensa spiaggia che si accorgono di aver lasciato a casa le formine, abbiamo tanta sabbia ma ci siamo dimenticati come ci si gioca.
Così è per la forma del nostro sentire.
Ma quando girate per strada, quando consentito e per giusti motivi, avete provato a fermare uno sconosciuto per parlarci? Non è la mascherina che rende amimici. Sono spenti anche gli occhi.
Eppure ci sarebbe tanto da fare, per stare nel giusto spirito della Pasqua, che è festa della resurrezione, anzi, senza essere blasfemo, una festa che si allinea, con un Valore aggiunto, allo spirito di tutte quelle di rinascita che l’hanno preceduta: da Iside, a Cibele, e Demetra ai Lupercali (quelli un po’ scollacciati veramente).
La nostra Pasqua è più composta, ci pone su questa terra di fronte al grande mistero, ma è comunque festa di tripudio, dovrebbe comunque infonderci energie, massimamente ora indurci a fare progetti su tutte quelle cose che ci sono negate. E invece siamo qui, spiaggiati.
Azzimi.
Ma spero che, nella festa del Redentore Risorto, uno di noi impasti un po’ di farina e la lasci lì, coperta da un telo, aspettando che il fermento si autorigeneri, per poi ripartire dalla pasta madre, da un nuovo lievito.
Buona Pasqua.
Commenti
Adriano, per noi la Pasqua è resurrezione, rinascita. Per il popolo ebraico passaggio, liberazione dalla schiavitù dall’antico Egitto. E sappiamo nei secoli com’è andata. Propendo laicamente per la prima interpretazione, di miglior auspicio. Buona Pasqua tutti, ai sopravvissuti, ahimè.
Non so, Adriano, se risorgeremo. Dal tunnel, sì, usciremo prima o poi (tra un anno?), ma sapremo trarne una lezione? Il rischio è che torni tutto come prima e saremo daccapo impreparati di fronte a un nuovo nemico invisibile.
Il nostro sport preferito è quello di additare la Germania come il nostro nemico: sarà, ma non sarà il caso di copiare il meglio di uno dei pochi Paesi che è arrivato “preparato” alla pandemia e che ha saputo gestire con più intelligenza di noi?
Magari, copiando il meglio degli altri Paesi (ma anche valorizzando le nostre eccellenze tutte italiane), sapremo battere di più le ali e volare un po’ più alto.
Un abbraccio triste ma intenso a te, Adriano, e ai tutti gli amici (blogger e lettori) di CremAscolta!
Caro fratello maggiore
non credo davvero che tutto resti uguale. Gli errori che intravedo li ho espressi, e indicati nell’acronimo DIMA. Sai, con la mia testa geometrica…
Il compito di sentinelle ci tocca! Per questo mi arrabbio a sentir rigirare in tondo pensieri mentre averemmo tato da fare per prepararci! Lievito e DIMA!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Il lievito non si compra, ma si fa. Si cura e si accudisce. Si tramanda e si diffonde.
Al bando la chimica e la grande distribuzione organizzata!
Uscire dal main stream ideologico ed economico, vivere parvo, restare nel solco della Tradizione in tutti i sensi possibili e immaginabili. Mi sembra l’unica prospettiva da seguire.
In ogni caso ci sono infiniti agenti lievitanti che si possono utilizzare ma l’appiattimento culturale in cui viviamo ci propone solo l’alternativa secca fra pane lievitato con lievito di birra o pane azzimo… usciamo dal dualismo!
Concordo, ma rispetto all’assenza di elevazione della pasta a me basta che almeno lieviti. Certo cara amica che, io vecchio, vengo dalla pasta madre, e da un mondo tutto da inventare; ora abbiamo un povero mondo tutto da salvare
https://youtu.be/Hxz6lueOxwA
Mi sfugge il nesso
La pasta è lieviatata tanto dopo questa visione da straboccare da tutte le parti. Lo diffonderò. Grazie!
Si Elena, anche a me, così d’acchitto sfugge il nesso; escluso che possa essere un richiamo a Conte, che in qualche modo siede su uno …..stellato (5 non di più) soglio, la simpatica Preghiera per Crema, proposta dal Circolo delle Muse, che propone una interpretazione locale del famoso “Dal tuo stellato soglio” dal Mosè rossiniano, messa li ex abrupto come link, non aiuta a capire.
A meno che Ivano voglia proporre il lavoro del Circolo come esempio del “restare nel solco della Tradizione in tutti i sensi possibili e immaginabili”, potrebbe essere!
Magari ci spiegherà lui.
Quanto al tuo commento che proseguendo nella metafora proposta da Adriano, sottolinea l’esigenza di una elaborazione personale , consapevole, degli accadimenti che ci piombano addosso, magari senza che avessimo fatto nulla perchè quegli accadimenti si verificassero (magari, anzi avevamo operato con finalità contrarie!) mi sentirei proprio di aderire al tuo richiamo che mi pare solleciti una maggiore valorizzazione di quanto ognuno di noi è autonomamente in grado di agire al di fuori ( e magari anche alternativamente) dei condizionamenti della “grande distribzione organzzata”!
“La nostra Pasqua è più composta, ci pone su questa terra di fronte al grande mistero, ma è comunque festa di tripudio, dovrebbe comunque infonderci energie, massimamente ora indurci a fare progetti su tutte quelle cose che ci sono negate. E invece siamo qui, spiaggiati.”
Elena, non so se si è rivolta a me, la mia mania di protagonismo spesso mi frega. Ammettiamo di sì, altrimenti faccia finta di niente. Il video si chiama Preghiera per Crema, tipica dei momenti in cui non si sa a che santo votarsi. Certamente non un manifesto programmatico, ma una speranza che anche quella manca quando ti assale il pessimismo. Niente di concreto, non una soluzione, come lo è questo video che incollo adesso: un avvertimento, ma anche un invito a “pensarsi, ritrovarsi, come farsi coraggio, come parlare di se stessa”, almeno per la durata del video, con la voce di Dalla nella sua Bologna ballata da chi ci abita o lavora, come ha fatto Giordano Formenti con la preghiera per Crema, e come stanno facendo tante altre città in queste settimane.
Un pò di lievito, preghiera, speranza e solidarietà e la voglia di ricominciare, magari migliori. In attesa che qualcuno più concreto di me faccia qual miracolo che tutti ci aspettiamo.
Che anche questi video facciano da “agenti lievitanti”, che infondano quello che ora manca.
https://video.corriere.it/cronaca/gli-infermieri-bologna-cantano-attenti-lupo-tuta-anti-contagio/74b851c4-7beb-11ea-8e38-cc2efdc210dd
In tutti i casi il pezzo è di Rossini, e lei dovrebbe saperlo, ed è il Mosè, quello che accompagnò il popolo ebraico in fuga dall’Egitto e dalla schiavitù. E poi è MUSICA. Non è anche la musica un lievito per la vita?
Spero di essere stato chiaro.
Io l’avevo sentito il colpo d’ala, e in tal senso t’ho risposto: non sei così criptico. Ha fatto un po’ di giri d’Italia, e a Roma e Napoli il video ha avuto successo… e la pasta è lievitata.
Il signor Macalli ha stabilito qui il record mondiale di arrampicata sui vetri.Complimenti!
Sono insofferente a questa retorica, che sia Dalla o Rossini. La musica è ben più che lievito della vita, ma la musica usata a scopo retorico è quanto di più becero possa esistere. Mi consenta di dire che a me, da musicista, non piace assolutamente.
Prendo atto del suo cinismo, ma non considero il suo commento conseguente alla mia spiegazione. In tutti i casi il problema non é la scelta di una musica piuttosto di un’altra e io non le ho chiesto quale musica le piace. In questo caso anch’io non capisco il nesso. Concludo: se questa.musica é stata usata in modo retorico io sono ben contento di essere retoricissimo. Lascio a Lei il suo rancore verso il mondo.
Adriano 8:35. Grazie, lo sapevo.
Immagino, caro Adriano, che il tuo “lievito” abbia valenza allegorica, se non addirittura simbolica. Sulle festività pasquali, nulla di più normale che esse vengano intese e vissute a seconda delle non poche variabili personali, familiari e sociali di ciascuno, con o senza lieviti e lievitazioni. Ciò posto, mi pare che tu ponga qui una sorta di confronto tra il significato delle numerose “rigenerazioni”, “rinascite” e “resurrezioni”, di tipo generale, che la storia delle mitologie e quella delle religioni ci offrono, da un lato, e una certa mancanza di slancio vitale e di energia rigenerativa, di tipo individuale, che sembrerebbe affliggerci in queste circostanze festive così condizionate dalle restrizioni attuali. Personalmente sto, al contrario, vivendo bene queste giornate, due o tre giorni senza computer e telefono, anche con buona corrente vitalistica, forse proprio in ragione di una accresciuta identità e volontà di vivere, in un contesto di energie familiari positive e condivise. Come tutti, anche noi abbiamo avuto lutti tra parenti e amici. Ma può darsi che proprio la consapevolezza del valore di ciò che è essenziale rispetto a ciò che è superfluo consenta maggiore sicurezza interiore e senso dell’essere, in momenti in cui la società dei consumi e le sue usuali rappresentazioni devono frenare la propria invasività. Forse un nuovo “lievito” potrebbe consistere proprio nella nuova considerazione di ciò che più vale rispetto a ciò di cui possiamo fare a meno. Primo: vivere. E diciamo poco? Poi: respirare, respirare autonomamente. Bella l’idea della prevalenza medico-filosofica dello pneuma di Anassimene sull’acqua di Talete, proprio il respiro come principio unificatore del molteplice. E ancora, vivere tra i propri veri affetti e nei luoghi aviti. Lari e Penati. Una morfogenesi che dal dolore spinge la forza e accende la miccia. Infine, poter credere di morire non soli, non lontano, non in modo indegno, con ritualità tradizionali. Quali rischi abbiamo corso e, in parte, stiamo ancora correndo, caro Adriano! Una crisi benefica, per chi saprà imparare, capire e ricordare. Temo pochi, non appena il circo e la giostra riprenderanno. Crisi, dunque, come critica, valutazione e giudizio. Quindi, discernimento, consapevolezza. Quale migliore, energetica, vitalistica festività?
Amico Pietro, e si vede che sei in piena lievitazione! ma con discernimento, altrimenti l’impasto sovralievita, cioè si rigonfia e strabocca come pasta acida, e il confine fra spinta vitale e hybris si può allora affievolire. Oppure si può fare un pane azzimo, e non è di questo che ora abbiamo bisogno.
E tutte queste cose le ho viste scorrere, fra l’altro, su queste pagine, ecco il motivo del richiamo alla lievitazione, quella spinta che ci serva, fatto un rigoroso inventario dei danno e un ragionato elenco delle cose da cambiare, per ripartire, alleggeriti di tutta quanto sia decaduto e non valga la pena di riparare.
Il tuo richiamo alla famiglia mi ha fatto capire una cosa: venendo da una progenie che contava sette zii, sei da parte materna e uno paterno, e uno stuolo di cugini, già morti tutti gli ascendenti e due terzi della mia generazione, ho sentito per la prima volta il bisogno di prendere il posto della mia unica zia, riannodando per gli auguri i legami con i miei cugini viventi, fra cui due del ramo spagnolo e uno invalido grave ma lucidissimo di cervello, già giornalista del Sole 24 ore, a Milano.
Grazie Pietro, e spero che presto ci metteremo al lavoro per immaginarla questa ricostruzione.
Perchè signor Cadè? ( h. 17:44 ) Non prenda il mio vizio: quello delle battute insulse. Non mi copi anche questa volta. Però le do un altro spunto di riflessione: “NIENTE SARA’ PIU’ COME DOPO”. E’ questo il mio pensiero di questi giorni. Non è arrampicarsi sui vetri, perchè Il mio disincanto è totale. Che poi si abbia bisogno di qualche consolazione non è forse umano? Domanda retorica naturalmente al cospetto di un uomo terribile come Lei.
Ha già stabilito il record. Si accontenti.
Ma perché signor Cade’ fa così? Lo sa quanto io tenga ai suoi giudizi sempre argomentati. 😭😂😙
Gli italiani ce l’hanno con la Germania, provassero almeno a studiarlo un pò il tedesco, lingua difficile ma meravigliosa, a studiarne a fondo la cultura, immensa, la musica, l’arte, la storia, la letteratura. Senza la letteratura tedesca, dei molti scrittori e poeti ebrei tedeschi, non ci sarebbe l’Europa, ma una provincia affetto da provincialismo cronico. E’ l’invidia acida, più che altro a muovere gli attacchi continui verso la Germania. I tradizionalisti tedeschi, i conservatori bavaresi con la loro stampa fanno la stessa cosa con continui siparietti beceri contro l’Italia; non siamo tutti mafiosi, ladri, ipocriti. La Tradizione è una cosa seria, ma dire che bisogna seguire in tutto e per tutto il solco della Tradizione che vuol dire? Facciamo attenzione a non confondere tradizione e tradizionalismo, provincia e provincialismo. Di provincialismo si può soffocare, e di tradizionalismo pure.
Ci vorrebbe qualche esempio storico di coesione cui richimare la sensibilità comune, altrimenti si finisce sempre a riannodarsi alle due guerre mondiali.
SCUSA ADRIANO, ma è colpa di Marino.
E poi che palle questa storia della tradizione. Cos’è mai? Un qualcosa dato per sempre o qualcosa in continua evoluzione? In prima lettura si direbbe “Trasmissione nel tempo, di generazione in generazione, di consuetudini, usi e costumi, modelli e norme; (Treccani), in seconda lettura una coazione a ripetere perchè incapaci di comprendere l’evoluzione del pensiero, nuovi bisogni e il suo conseguente azzeramento. Fino a farla diventare una parola vuota di significato. Quello che era tradizionale un secolo fa non lo era mille anni prima, perchè niente è irremovibile. Le generazioni nel tempo hanno fatto analisi di tutti i sentimenti e passioni che le hanno costruite per poi attendere il passaggio successivo inevitabile della loro decostruzione e appunto, ricostruzione. E anche prendessimo in considerazione la tradizione nel mondo occidentale, ma anche solo italiano, io direi che come la storia della filosofia non è filosofia anche la storia tradizione non è più la tradizione. Perchè alla fine non rimane mai la Storia, ne rimane la sua narrazione. Quindi rifugiarsi nel solco della tradizione cosa significa? Esiste una tradizione nel senso di conquista codificata dal tempo che è meglio di quella codificata e trasmessa mille anni prima? E quanto ha retto la sua trasmissione? E come si è evoluta poi questa tradizione? Si può dire che va bene quella di quel periodo storico invece che quella di un altro momento? Esiste una tradizione immodificabile che ha retto nel tempo le spinte della sua per forza rivendicata evoluzione? Esiste un qualcosa dato per sempre? E i paladini di questa decantata tradizione a cosa si riferiscono? Quali consuetudini, usi e costumi, modelli hanno come riferimento? Di quale epoca, di quale momento storico? Non so, forse i rapporti sociali, individuali, di coppia di quel dato momento storico e quali di questi modelli hanno retto nel tempo? E ovviamente vale per tutti gli aspetti della vita sociale e coinvolgono tutte le scienze o discipline possibili e immaginabili che di questi cambiamenti han fatto oggetto dei loro studi. Tradizione religiosa, filosofia, scientifica, antropologica, artistica, della Politica, del Diritto, della famiglia? E scusa tanto Adriano questo fuori tema, a meno che tu conceda che il lievito della vita sia la sua continua autogenerazione, che è sempre un divenire, mai essere. Concludo ripetendomi: che cazzo vuol dire vivere nel solco della tradizione? E ancora: è conciliabile uno stile di vita nella tradizione calato in un contesto socio culturale economico caratteristico di tutte le epoche? Sì, solo se ci si vuole ammantare di un’aura di originalità, che però a me è sempre sembrata solo estetica, mai etica purtroppo, rivelando quelle contraddizioni di chi non vuole vivere nel suo tempo, ma magari ci sta benone prendendo tutto ciò che fa comodo, in una selezione che la tradizione la manda subito a puttane. Sperando che qualche “musicista” me lo spieghi. Ma non per farne poesia, ma tempo storico in cui si vive.
Ottimo sfogo. Se ti riferisci a Marino penso che intendesse la tradizione proprio in senso negativo, quando ad esempio si riferisce ai Bavaresi. Dal suo discorso emerge anche però il concetto che nel nostro DNA c’è un tratto germanico, e con tutte le incursioni di legionari di Roma altro che tratti nel DNA tedesco! Parliamo di ascendenza, non di tradizione allora, di quel frammento di DNA che potrebbe tornarci buono riprendendo a lievitare permettendoci un adattamento nuovo. Esempio? Qul frammento di DNA danovense che pare abbia permesso alle popolazioni andine l’adattamento alle alte quote. Noi non sappiamo a cosa ci dovremo adattare, e allora tutto il patrimonio gentico ci torna utile. E te lo dice uno che come metro di paragone pone sempre l’uomo del tremila, non Socrate o Seneca.
Adriano, e se come metro di paragone prendessi l’uomo del quattromila?
Adriano, e se come metro di paragone prendessi l’uomo di quattromila anni fa?
In tutti i casi, mi riferisco alla tua risposta a Pietro di poco fa, io credo che non si debba o possa usare il proprio vissuto come temine di paragone. E’ troppo poco, essendo animali sociali fatti di individualità, ma anche appunto di socialità.
Quattromila, dietro o avanti, ci sono già delle differenze biologiche! Quello del 3000 è un giusto termine di paragone. Il mio per capirci è sempre un invito a restare con i piedi per terra su questioni su cui l’uomo del 3000 non si soffermerebbe mai, in quanto questi dilemmi li avrà già risolti. Lasciamo stare poi se ci sarà ancora o sarà scomparso, questi sono “casi particolari” del ragionamento!
Io non so se l’uomo medievale, potendo vedere il mondo del XXI secolo, farebbe cambio. Credo che una moderna metropoli gli sembrerebbe un inferno, una stregoneria. Del resto, l’uomo medievale o il greco antico non amavano la futurologia. Erano persone concrete.
“io non so se” non ha nè capo nè coda.
Adriano, da che mondo è mondo l’uomo si è sempre arrovellato intorno agli stessi temi, senza mai risolvere nessun dilemma. E non l’avrà fatto neppure l’uomo del tremila. Pensa che c’è ancora gente che non ama la futurologia, ma che si crogiola in un passato che ha solo letto sui libri identificandolo tutto con ipotetiche età dell’oro. Credi che basterebbero altri mille anni? Non credo proprio.
C’è chi si crogiola nel futuro, chi nel passato e chi nel presente. Sinceramente non vedo la differenza. Poco prima di morire Einstein disse: “Le persone come noi, che credono nella fisica, sanno che la distinzione fra passato, presente e futuro è solo un’illusione testardamente ostinata.”
In realtà “il tempo” vive dentro di noi nella sua triplice pienezza e serve all’uomo non solo per pensare ma per vivere il quotidiano. Se però ho mal di pancia adesso, in questo preciso istante, posso anche curarmelo con i rimedi ereditati dalle trascorse esperienze della mia specie ma è escluso categoricamente che mi passi con un’ipotetica medicina che ancora non è stata scoperta e probabilmente non lo sarà mai. Se il passato è concreto e il presente è un azzardo, il futuro è una semplice idea.
Signor Macalli, io sono uno scettico. Perciò dico “non so se”. Non so se il XXI secolo è meglio dell’XI. Non so se il XXXI sarà meglio dei precedenti. Se Lei lo sa, La invidio.
In realtà alla gente comune non può fregare di meno di quello che diceva Einstein. Quanto al mal di pancia sono anche certo che quando aveva mal di pancia anche lui sapeva ben distinguere quello che gli offrivano passato, presente e futuro. Anche credendo nella fisica.
Ah vabbé, se tu che sai tutto (perché leggi “Repubblica”) sai anche cosa pensava Einstein, allora non parlo più. Molto più modestamente, io mi sarei accontentata di un ragionamento finito. Ma pazienza.
Ma neanche il tuo era un ragionamento finito, anzi, apertissimo a tutte le speculazioni.
Non c’è un meglio e un peggio? Un prima o un dopo che segnino la differenza?
Andiamolo a chiedere a gente torturata con ferri ardenti, amputa e poi gettata semiviva fra le fiamme. La mia risposta solita sull’uomo del tremila assomiglia un po’ al rasoio di Occam in filosofia “vera”. Il quotidiano supererà prima o poi con un passo, neanche tanto affrettato, tante disquisizioni, e quell’uomo girandosi indietro, si chiederà: “ma cos’era che avevano nel 2000, di cosa stavano a parlare! Era un effetto non accertato del coronavirus? La prassi contro la sintassi nemmeno rende abbastanza l’incredibile stupore che può animare (mi) rispetto a tante disquisizioni. Ivano certo che il grande mistero resterà tale fino alla fine, ma le ricadute pratiche, ci sono cose su cui è ora possibile farci una risata!
Visto che fra vuoi due duellanti ho trovato un accordo nel beffeggiarmi, ho fato la buona azione quotidiana!
La tortura, Occam, il tremila, il coronavirus… Adriano, ti prego, non macalleggiare.
Adriano, non dirlo a me. Dillo al signor Cadè. Secoli fa il pensiero unico l’avrebbe condannato al rogo come eretico, l’ingrato.
Macalleggiare? Carino, meglio di petaloso, ma prima sentiamo la Crusca.
Fra poco mi trasferisco, e ci sarà da sbizzarrirsi, perché il tema non è per niente fantasioso