La rassegna Nonsoloturisti a marzo doveva iniziare il suo primo incontro con Marco Aime, che scrive una lettera con questo articolo che trovo molto interessante da leggere:
In questi giorni di coronavirus, circolano sui media molti appelli (sacrosanti) al rimanere in casa e a volte, in certi dibattiti emerge anche una certa retorica del “siamo un grande Paese”, “un grande popolo”, su cui ci sarebbe qualcosa da ridire – siamo un paese medio, ci arrangiamo – ma si sente spesso dire che questa condizione di isolamento forzato e il rispetto che gli italiani stanno manifestando per le normative del governo, siano il segno che siamo una vera comunità. È singolare questo richiamo: una comunità si costruisce e vive sulle relazioni e invece viene invocata proprio quando le relazioni diventano difficilissime, se non quasi impossibili. Ciò che ci accomuna, oggi, è innanzitutto la paura del virus, che si traduce nella paura dell’altro, non il desiderio di condividere spazi e tempi con lui. La gente (poca) per strada si evita, mantiene le distanze, cerca il maggiore isolamento possibile.
Una comunità, per durare nel tempo, deve produrre dei rituali, che la colleghino alla sua storia e che mettano in scena il legame tra i suoi membri. Ci stiamo provando, è vero, ma non è sufficiente mettersi a cantare sul balcone, o a suonare, ad applaudire. Sono iniziative lodevoli, ma non sufficienti, non abbastanza sentite e partecipate. Quella che stiamo vivendo è una dimensione sconosciuta, che ci costringe a prendere le distanze dagli altri, non a rafforzarle. Leggo oggi che le donazioni di sangue stanno diminuendo e non abbiamo assistito a particolari slanci di solidarietà in questi giorni, che diano il senso della nascita di una vera comunità. Una comunità fondata sul male comune, è destinata a scomparire con le prime, auspicate, guarigioni.
Si ripete però che i bambini hanno voglia di ritornare a scuola e l’isolamento si fa pesante anche per gli adulti. Questo dovrebbe farci riflettere, non per l’ora e il qui, ma per quando tutto questo sarà finito. Sarà allora che potremmo dimostrare di avere capito quanto siamo soli e fragili. Il nostro antropocentrismo ci ha indotti sempre di più a pensare di dominare ogni cosa, fini a quando arriva un affarino invisibile, che mette in ginocchio l’intero pianeta. Solo la collaborazione può difenderci da questo e altri attacchi, se lo capiremo allora sì che potrebbe nascere qualcosa di nuovo. Quello di cui abbiamo bisogno è di una vera e propria rivoluzione culturale, che ci faccia sollevare il capo, per guardare al di là delle frontiere e dei confini che ci dividono. Il visus non ha passaporto e non conosce barriere, l’unico modo per batterlo è diventare come lui, contrabbandiamo umanità e solidarietà. Allora sì, che potremo parlare di vera comunità.
Commenti
Molto bene Andreina, e aggiungerei un particolare che già avevo messo in risalto: le popolazioni che vivono il male epidemico su un ritmo non di memoria storica, come noi, con frequenti intervalli di secoli fra due ondate, ma di memoria familiare, nel senso che al massimo si saltano un paio di generazioni, sono molto più attrezzate culturalmente a resistere al male, e questo patrimonio non va perso con la così detta modernizzazione delle popolazioni africane, che la sanno, appunto, più lunga di noi senza provette né microscopi.
Se ne resero conto i primi soccorsi umanitari portati a combattere Ebola: le tribù infette erano inaccessibili perché si erano messe in auto quarantena sbarrando gli ingressi ai villaggi, altro che noi che non vediamo l’ora di scappar per strada!
Andreina e Adriano per come la penso hanno entrambi ragione. L’Italia sventola la bandiera, e fa bene anche se il nazionalismo non è il mio forte (soprattutto non dimentico che l’Italia è disunita da secoli, non è la Francia, la Germania, l’Inghilterra anche se quest’ultima è scivolata nel caos tirando fuori la bile); ma gli italiani più che altro si arrangiano, si adeguano con malavoglia,spesso, anche se quando c’è una tragedia di mezzo in qualche modo l’Italia sisente una comunità, quasi sorprendendosi. Già Luigi Zoja segnalava in “La morte del prossimo (Einaudi), che il “prossimo”, che deriva dal greco “plesios” letteralmente: l’altro che ci sta accanto”, ovvero la persona che senti, che vedi, che puoi toccare è diventato più che il prossimo, uno straniero, un nemico. Siamo al tramonto di uno dei cardini del Cristianesimo. Non è un caso – scrive Marco Belpoliti – che “l’invidia sia divenuta uno dei motori della vita sociale”; esibita; un propellente nelle relazioni umane. Pubbliche e private. Ce lo insegna la televisione, che l’invidia è il fondamento del nostro contemporaneo, almeno fino a ieri. Domani? Vedremo. Belpoliti segnala che negli USA la maggior parte delle cause civili ha un solo destinatario: il vicino di casa. Nelle società globalizzate il vicino è un nemico potenziale, e questo atteggiamento di fondo ha seminato la politica che si vede ovunque, anche nella nostra Europa. Altro elemento interessante che Marco Aime conosce bene è lo sviluppo urbano delle megalopoli, lo sviluppo urbano che “aiuta a spiegare il fanatismo religioso, il terrorismo – lo scrive Mike Davis nel libro “Il pianeta degli slum” (Feltrinelli). Questi ammassi di persone che vivono e si pestano i piedi intorno alle grandi metropoli del sud del mondo sono una bomba ad orologeria. Non sono nè città nè campagna e sono l’elemento cospicuo del sud del mondo. In queste aree in continua dilatazione si accumulano conflitti acuti, e avanti di questo passo, gli scenari non sono consolanti.
Hai voglia di cantare e ballare sul balcone (ma nel bergamasco non credo hanno voglia di farlo di questi tempi); hai voglia di parlare di empatia e sorrisi, come ha scritto Beppe Severgnini: quando la tragedia ti arriva addosso, e perdi il lavoro, e non sai come manterrai la tua famiglia, e hai poco spazio in casa perchè non sei uno benestante che disponi di case belle ampie, con stanze pure per gli ospiti, la tragedia ce l’hai nello sguardo.
Nel mondo, purtroppo, ci pestiamo spesso i piedi, vivendo ammassati, soprattutto nel sud del mondo. A Bombay dodici dei diciannove milioni di abitanti occupano baracche o palazzi abusivi, e così tante altre megalopoli.
“il vicino è un nemico potenziale”, quindi non deve stare troppo vicino, Anche se non abbiamo paura che ci infetti cosa facciamo quando incontriamo uno di quei fastidiosi individui che ti parlano a un palmo dal naso? Ci scansiamo. Ora poi che ci infettano, o li nfettiamo, questi logoinvasori non ci sono più, potenza del virus!
Dico,ma la legislazione di tuti i paesi, che comunque trae la propria essenza da esigenze e libertà primarie, possibile che non si si ispiri mai al diritto primario allo spazio? E non è una questione di classi sociali Marino, perché in campagna ce n’era di spazio! Sarebbe bello fare uno studio sul come ci siamo reclsi gli spazi, ma la parola chiave è difesa. I Fenici costruivano già a otto piani per vivere in poco spazio e difendersi, poi noi abbiamo continuato scoprendo che oltre che più sicuri si stava anche più caldi, ma adesso che sappiamo per certo quanto è pericoloso per la salute fisica e mentale che facciamo? Bisogna essere in pochi!
Ma andreina si sentirà trascurata dalla piega della discussione: le società tribali avevano nuclei ben distanziati abitativi, capanne, tende, nuraghi, trulli… e in mezzo tanto spazio! Ma il diavolo c mise la coda, e inventò la città per i motivi su esposti, ma ora che non ci servono più mura di recinzione ed eserciti siamo in tempo per rinsavire.
Carissimi Adriano e Marino ho ascoltato le vostre riflessioni con belle parole e approfondimenti, io sarò molto più semplice. Tutto quello che sta succedendo è terribile, ci divide, ci isola, ma in questa nuova dimensione di vivere ci da anche la possibilità di essere diversi guardando bene dentro di noi, il tempo non conta più , ora si ha il tempo per fare molte cose, prima si andava di corsa, le giornate passavano senza la vera consapevolezza del qui ed ora. E’ ritornata la creatività, la voglia di fare anche cose semplici come cucinare, fare l’orto, il giardinaggio, leggere un libro, dipingere, fotografare, sistemare le foto dei viaggi e goderne come quel momento che lo hai realizzato, ti torna tutto alla memoria, hai il tempo per ripassare le lingue e ascoltare musica.
Poi c’è internet che ci da la possibilità di vedere online musei e altro da tutto il mondo, di fare yoga, meditazione, prima non c’era mai il tempo di fare tutto. Mai come in questo momento sono contenta di essere italiana, noi siamo dei creativi e sappiamo trovare il modo anche nelle difficoltà di risolvere i problemi e lo stiamo vedendo in questo momento. Scusate se ho un pò divagato, ma questo è ciò che penso e sto vivendo in questo momento.
Sono perfettamente in sintonia con te, Andreina: una stagione, questa, che potrà cambiare in meglio la nostra vita e farci riscoprire i valori veri.
Non so, se questa epidemia drammatica ci farà riscoprire i veri valori. Sarei cauto. Anche nel dopoguerra, nonostante i morti, i feriti, la povertà per molti (ma non per tutti), ci fu energia fresca, pure nuovo entusiasmo, la voglia necessaria di ricominciare, di far su le maniche, sperare, per esempio, in un Europa comunitaria fatta di solidarietà comune. Gli Stati Uniti d’Europa. Qui entra in ballo il carattere personale nei commenti che si fanno: ci sono i pessimisti, gli ottimisti, i rivoluzionari mancati, gli annoiati sul divano con bella pensione garantita, mentre ho un amico che tiene famiglia e fa l’agente di commercio, guadagna solo sulle provvigioni, e non prenderà un bel fruc, ora, eccetto circa 600 euro, o poco più, e neanche quelle subito. Per lui, la vita è dura, per altri che parlano e straparlano, molto meno. C’è dramma e dramma; non tutti vivono la stessa tragedia, se hanno la fortuna di restare vivi.
Cambiando storia, ho scritto qui, perchè il “Non solo turisti” di Andreina Castellazzi è uno dei pochi, pochissimi esempi nel cremasco, di incontri culturali di qualità, per niente affetti dal provincialismo gretto e mentale che spesso infetta la vita culturale dei piccoli centri. Complimenti a lei, e auguri perchè presto possano continuare i suoi incontri con il mondo, la voglia di viaggiare, di prendere aria. Per una “terra di quasi nessuno”, com’è il cremasco che i giornali locali e nazionali si dimenticano a volte di citare, il “Non solo turisti” è un’eccezione preziosa. Segnalo di aver protestato con un cronista di “Cremona oggi”, il quale ha scritto in un articolo apparso online di “territorio cremonese”, inserendoci pure il cremasco. Gli ho scritto, con scarsa mitezza, è vero, che è ignorante in geografia. E lui, che non conosco, ha dimostrato di essere un cronista serio: si è scusato, non si è offeso, anzi, mi ha assicurato che eviterà d’ora in poi il termine “territorio cremonese”, ma parlerà di “provincia di Cremona”. Nella fretta, nel poco spazio, mi ha detto, succede di sbagliare. Sono dettagli? Certo. La geografia non si studia più; anche se nessun cronista che si rispetti direbbe che Vigevano è nel “pavese”, ma in Lomellina, terra che ha una storia passata e presente.
Per Piero Carelli: parli di mitezza. Allora l’ho imbroccata citando per te Norberto Bobbio, autore di un libretto che si dovrebbe leggere a scuola, incluso noi e i populisti arrabbiati. “Elogio della mitezza”. Poche pagine imperdibili.
Caro Marino,
è vero c’è dramma e dramma, ma noi dobbiamo avere una visone aperta verso un mondo che migliorerà sia per l’ambiente che per l’uomo ed essere in sintonia con questa energia e visualizzarla. In questo momento l’aria è migliorata, la campagna è meravigliosa graze alla primavera arrivata, e le notti con delle stellate magnifiche.
Ma cambiando discorso ti ringrazio veramente per ciò che dici della mia rassegna, è un grande onore, l’hai inquadrata perfettamente, spesso mi sono stupita anche io di aver visto il poco spazio che alcuni giornali locali hanno dato in questi anni, per fortuna testate nazionali o riviste di settore hanno dato più spazio. Mi sono stupita spesso di aver visto pochi giornalisti locali interessati, ho pensato forse qui in zona i giornalisti non amano viaggiare! (è una battuta). Nonsoloturisti è arrivata anche nelle Scuole dal 2006, ogni anno sono state invitate diverse Associazioni, un’occasione per incontrare popoli e culture del mondo, la proposta si colloca nell’ottica di accostare i ragazzi a un diverso modo di vivere la quotidiana esperienza dell’andare a scuola, ma anche di conoscere la Geografia. E’ vero non la si studia più, l’ho appurato personalmente come insegnante, è terribile. Mi battevo per avere una carta geografica in classe e non c’erano mai per tutte le classi . Anche se la mia materia era arte ed immagine, era importante mostrare sulla carta i luoghi soprattutto anche parlando di arte extraeuropea. Avevo intitolato le mie lezione la geografia dell’arte. Tornando a quest’anno in marzo Nonsoloturisti nelle scuole aveva invitato Medici senza frontiere con il medico Giorgio Bergami, che sicuramente rimanderemo.
Complimenti ancora, cara Andreina, posso immaginare la difficoltà che hai avuto per la tua preziosa rassegna, in un piccolo centro come il cremasco. Una volta un vicesindaco mi disse: dobbiamo valorizzare la cultura locale, non spendere denari per altre faccende culturali troppo grandi per noi. E’ una mentalità molto diffusa, purtroppo; direi una malattia.
A proposito di fotografie, abbiamo la fortuna di avere la città deserta, ma non il piacere di visitarla. Immaginatevi un bel tour senza che nessuno ti rompa le balle. Peccato che siamo in pochi, altrimenti non sarebbe male che ognuno di noi scattasse una fotografia dalla propria finestra o porta o balcone per poi costruire un album cosi’ che anche il paesaggio più banale trovi quella bellezza metafisica che le persone materializzano troppo. Magari riuscire a fotografare una piazza senza auto, il silenzio, perchè dalle fotografie si sente, l’imbrunire, la notte, un’ombra non interrotta, un albero fiorito visto che questa primavera ce la sogniamo. Del resto non credo che ci sia un professionista col permesso di uscire ed “immortalare” questo momento così particolare. Almeno che rimanga qualcosa. A meno che qualcuno, magari con un drone, lo stia già facendo. Se così fosse non sarebbe male se lo inviasse al blog.
Dal mio balcone vedo gli alberelli di Giuda lentamente sbocciando, inflorando. Nel condominio davanti, sulla diagonale sinistra un tizio è seduto sul pianerottolo quasi a pari della strada fumando una sigaretta, osservando il silenzio della strada. Gli uccelli hanno cessato di canticchiare. Poco fa è uscito un’altro tizio con calzoni comodi, molto larghi, forse un pigiama, scarpe di cuoio e un borsello a tracolla; ha girato intorno alla sua auto, l’ha osservata scrupolosamente: non aveva fretta. E’ lui che ogni giorno violenta l’assoluto silenzio della via dando un’accellerata, con la marcia in folle, per tener vivo il motore, per quando l’epidemia sarà passata. Di tanto in tanto, un minimo rumore di passi disturba la lettura: c’è uno che cammina, mascherina e passo svelto. Lunghi minuti di silenzio assoluto, così’ forte, quasi un sibilo permanente nelle mie orecchie, e a cui non ero abituato. Fuori la Natura respira, la primavera avanza, e i cani sembrano stanchi di abbaiare: c’è poco che li disturba, pochi passanti, rare auto, qualche ambulanza che saetta in Via Mercato, che fa protestare il cane della villa vicina. Ha le orecchie sensibili. All’imbrunire, le campane col mono rintocco, sordo, a spezzare il sogno della primavera dolce che ci aspetta, che respira per noi, nell’attesa.
Bello Marino, come un’istantanea. Si potrebbe raccontare invece che fotografare.
Grazie Ivano, ho voluto scrivere qualcosa, per tirar sera? Forse. Senza complotti, catastrofismi, accuse al governo per le mascherine, quando non c’è un governo mondiale eccetto forse la Cina che le produce, o l’India che le trasforma, che ha avuto i dispositivi sanitari a sufficienza, in tempo utile. Ma la polemica va bene, quando non è speculazione politica di chi non ha più la rendita degli extracomunitari, al momento, per portare a casa i voti. Chi ha voluto l’aumento per le spese della Difesa, piuttosto che la Sanità, e ora tace. Leggo commenti deliranti, anche i soliti rivoluzionari da strapazzo che è da quando ero fanciullo sperano che il capitalismo, pure la democrazia vadano in malora, ma nonostante hanno sempre preso sberle in faccia da cinquant’anni, senza neanche l’umiltà di guardarsi allo specchio e chiedersi perchè hanno continuato a sbraitare e scrivere enciclopedie finite tutte al macero, a sinistra (a destra va bene tutto, basta che arrivi l’uomo forte), leggo di possibili “nuovi orizzonti”, come se gli italiani avessero cambiato pelle, fossero diventati svizzeri, finlandesi, non più disposti alla remissione, all’azzaramento dei peccati, perchè non tengono più famiglia, un amante, figli non proprio dei geni da piazzare.