Io penso positivo…
Ed è arrivata la cara amica Anna Zambelli a tirarci in modo sacrosanto le orecchie perchè non dedichiamo attenzione a quanto, in questa disperata temperie, stanno facendo in positivo, assieme ai loro alunni, inventando e gestendo tramite web la loro “classe virtuale”.
Riporto quindi di seguito il testo del commento al mio post “Cose da Buffo Stivale”, di Anna di oggi, rimediando almeno in parte alla mancanza ed aprendo uno spazio dedicato a quei cittadini, Insegnanti che contribuiscono con sapiente consapevolezza a portarci fuori (speriamo presto ed… in tanti!) da questa terribile prova!
«Vorrei sentire parlare degli insegnanti in tv, sui social, alle finestre, con gli appla (così nel testo!)
Quello di cui non si parla non esiste.
Eppure sono tantissimi ragazzi che stanno sperimentando una scuola a distanza. Una didattica smart, un appuntamento con i compagni di scuola, con gli insegnanti, a distanza e insieme diretto e personalizzato.
Fare insegnamento individualizzato da casa, permette a milioni di giovani di vivere ancora con la testa e il cuore e il senso di una comunità
Non è possibile che nessuno parli degli insegnanti che devono rinnovare didattica e strumenti di lavoro.
E allora un poco di retorica mi pare utile: vorrei sentire parlare di voi insegnanti in tv, sui social, alle finestre, con gli applausi; Il mio non vuole essere un pensiero gentile ma un pensiero indignato per la sottovalutazione pubblica, politica del vostro lavoro.
L’uomo è un animale sociale e penso dovremmo ringraziare gli insegnanti che, spesso senza precedenti esperienze e competenze, ogni giorno raccolgono i loro studenti, nsegnano, costruiscono, danno un senso a clausure difficilissime per bambini e ragazzi.
Mi scrivono alcuni insegnanti
“Non riesco a pensare che a preparare lezioni, moduli di esercitazioni,rispondere alle mail; cerco di fare la mia parte sperando di essere efficace per i miei allievi”. E anche: “ La mattina videolezioni e il pomeriggio correzioni e preparazione di materiali digitali… la nostra categoria si rimbocca le maniche e gestisce continuamente l’emergenza anche in tempi non emergenziali”. Oppure: “Insegno alle elementari in un quartiere popolare e per i miei bambini devo organizzare le lezioni tenendo conto degli orari dei fratelli maggiori: dove c’è un computer solo bisogna dare la precedenza agli orari delle scuole medie o superiori, Comunque la didattica diventa davvero individualizzata. Alcune famiglie stanno scoppiando: le situazioni difficili diventano pesantissime in piccoli appartamenti quando non si può più contare su aiuti esterni e questo mi viene raccontato durante le videolezioni”».
Grazie Anna, grazie davvero!
Commenti
Complimenti a questa brava insegnante che, con tanto impegno si reinventa come la maggior parte di noi docenti in questo difficile momento! Dobbiamo per necessità rimetterci in gioco e lo facciamo in silenzio con buona volontà, per non perdere una continuità didattica ma anche affettiva con i nostri alunni.
Brava
Meritano davvero un applauso tutti quegli insegnanti che stanno tirando fuori il meglio di sè per affrontare l’emergenza, anche reinventandosi, anche imparando in fretta a usare piattaforme digitali per la didattica a distanza.
Sono ammirevoli.
Ammirevoli anche perché non si lamentano se devono stravolgere gli orari e utilizzare anche il pomeriggio per far lezione, giusto riuscire a incastrare gli orari.
Ci sono, è vero, resistenze da parte di certe organizzazioni sindacali che, in tempo di guerra, difendono i diritti sindacali, ma loro non si lasciano ammaliare dalle sirene: pensano ai ragazzi e sono consapevoli che loro non non possono essere abbandonati proprio in questo delicatissimo momento in cui hanno bisogno di essere accompagnati a comprendere la gravità dell’ora e a dare il loro contributo, magari anche a studiare un po’ di storia come il flagello che si è abbattuto sull’Europa a causa della spagnola che ha fatto milioni di vittime (è quanto prevede l’Onu oggi se non dovessimo fare nulla o poco per arrestare i contagi).
Lo so che può essere una consolazione, ma io credo che questo triste momento insegnerà a tutti molte cose e la stessa scuola, anche grazie a un potenziamento delle tecnologie digitali, potrà migliorare nella misura in cui si riuscirà a “personalizzare” il più possibile l’insegnamento. Potrà essere la fine delle lezioni cattedratiche e l’inizio di una didattica più vicina alle esigenze e ai ritmi dei ragazzi (al fine di valorizzare le potenzialità di ciascuno: dei più deboli, ma anche dei più attrezzati).
A questo punto con chi parlo, con Franco o con Anna?
Ma Anna so che mi leggerà comunque, potrà replicare.
Il suo scritto “straripante” da una sentita posizione ed esperienza professionale ha convinto tutti su due punti fondamentali: Insegnare è una professione pena di sacrifici che non hanno limiti di orari. Insegnare è una modalità di trasmissione ideativa e nozionistica variegata. A questo punto i complimenti sono pleonastici.
Apro quindi un interrogativo: una volta che abbiamo imparato che lavorare e imparare/insegnare non vuol dire necessariamente trovarsi tutti in un luogo fisico, che a un appello si può rispondere anche in altri modi che con un dito alzato, che una valutazione di risultato non vuol dire necessariamente porre un elaborato cartaceo su una cattedra, che addirittura l’emozionalità del rapporto può in una certa misura prescindere dalla presenza fisica, ce ne ricorderemo? Integreremo la “vecchia maniera” con quest’esperienza?
Certo, la presenza fisica e annesso linguaggio del corpo servono ancora per fare spirito di gruppo, e anche per lo scambio di idee e loro elaborazione e ideazione innovativa (Silicon Valley docet), e inoltre gli ostacoli ci sono, primo fra essi la presenza di una postazione unica in molte case, ma usciremo da questo fosco baratro con degli strumenti di lavoro e docenza aggiornati, che fra l’altro, riducendo permanentemente gli spostamenti serviranno anche a evitare le recidive del disastro, e bene faranno, come abbiamo constatato, al povero ambiente degradato?
Ho avuto pochi insegnanti, a scuola, di qualità. Qualcuno. La maggioranza erano modesti, anche pessimi. Mi domando cosa avrebbero potuto fare questi insegnanti pessimi, se non l’insegnante comunque – stipendio basso ma assicurato, orari non dalle cinque e mezza di mattina tornando a casa alle otto di sera, come mi capitava dal ferramenta, perchè, come a molti insegnanti succede, avevo strada da fare in macchina -; e ricordo le lunghe vacanze estive dei prof.; oggi, mi pare, per gli insegnanti le vacanze sono accorciate. Non ricordo un insegnante pessimo che ha perduto il lavoro. Un mestiere blindato. Ho lavorato in diverse aziende, e di gente cacciata perchè non andava bene, a volte bastava l’antipatica, come succede nelle piccole ditte familiari con quattro-cinque dipendenti, ne ho viste parecchie. E le aziende private capita che falliscono, che non ti arriva lo stipendio, che aspetti anni e anni per la liquidazione. E’ un bel mestiere quello dell’insegnante. Che piace tanto agli insegnanti, non sempre perchè sono portati ad essere insegnanti. Un mestiere difficile. Importantissimo. Purtroppo frequentato, per quanto ricordo, da persone che avrebbero fatto fatica, forse, a trovarne un’altro di lavoro se non fare l’insegnante. Un lavoro delicato spesso in mano a “maestri” che valgono due lire. Un peccato, perchè è uno dei mestieri decisivi èper la società, in mano, lo ripeto, a tanti mediocri.
Condivido con te Marino i limiti della scuola italiana che ha tra i suoi docenti persone splendide, competenti e motivate (ma anche tanti che tirano a campare…. e qualcuno che dopo 3 settimane di chiusura delle scuole sta ancora cercando di capire come mettersi in relazione con le proprie classi) .
Ho avuto modo anche in questi giorni di vedere esperienze splendide: corsi proposti da insegnanti di informatica su piattaforme per la didattica online (Meet, Blendspace, …), ma anche come corsi su come utilizzare questi strumenti in maniera innovativa in modo da convolgere gli studenti attivamente e stimolare la riflessività (es. il metodo della classe capovolta, educazione tra pari, problem based learning,…). Per non riproporre online le stesse modalità di didattica tradizionale e unidirezionale, con insegnanti che parlano e studenti che acoltano e ripetono.
Ho anche visto che tra gli insegnanti c’è molto interesse e sono molto seguiti.
Il punto critico che ho visto in questa occasione e anche in diversi interventi formativi e organizzativi che ho realizzato nelle scuole negli scorsi anni (sull’accoglienza, l’orientamento, la formazione dei rappresentanti di classe e di istituto, il benessere a scuola, il coinvolgimento del gruppo nella formazione, ..), è la fatica di fare sistema, di far diventare le esperienze di nuovi metodi didattici un punto di attenzione delle direzioni per sostenere i docenti più innovativi e più motivati, valorizzarli, premiarli e diffondere / promuovere nella scuola le sperimentazioni che non restino esperienza isolate.
Per un obiettivo di questo tipo non bastano dirigenti (magari che hanno fatto questa scelta stanchi di stare in classe …) che diventano esperti sui regolamenti e normative ma servono dirignti che sanno creare nelle scuole un clima simolante e coinvolgente, che non hanno paura di confrontarsi con docenti, genitori, studenti , personale di supporto e di segreteria, sindacati,… . Può fare davvero la differenza avere nella scuola bravi dirigenti, coraggiosi e che hanno davvero voglia, anche quando finirà questo periodo di ‘sospensione’ , di sperimentare innovazioni, senza lasciarle alla buona volontà di singoli docenti, tra l’indifferenza degli altri.
Dici bene, Marino: un lavoro delicatissimo e non più socialmente riconosciuto.
Gli insegnanti – non dobbiamo dimenticarlo – è da tempo che hanno accresciuto di molto il loro carico di lavoro e il loro carico di responsabilità (anche di responsabilità nei confronti dei genitori). In più devono (anche se non lo volessero) aggiornarsi in continuazione, anche nella pratica delle tecnologie digitali, pratica che è esplosa in questi giorni, ma che è una realtà ormai diffusa nella scuola italiana.
Non si tratta di erigere un monumento a una categoria (ogni professione ha un suo ruolo nella società), ma forse non è inopportuno che, quando usciremo (quando?) da questo tunnel, che la collettività si ricordi non solo dei medici e infermieri che sono in prima linea, ma anche degli insegnanti che stanno tirando fuori il loro meglio per abbandonare i ragazzi per un lungo tempo a se stessi.
Si dovrà distinguere, naturalmente, insegnante da insegnante, ma – a quanto mi risulta – ad avvertire forte la loro missione in tale frangente è la maggioranza.
Sì, hai ragione Piero, apprezzo sempre il tuo modo ponderato di dialogare, molto meno polemico del mio, quindi più utile socialmente, cosa che riconosco senza incertezze. Ho sempre detto che fare l’insegnante è un mestiere importantissimo e molto delicato, ed è vero che gli insegnanti debbono aggiornarsi continuamente, per fortuna. Siccome, però, a volte la retorica – non è il tuo caso – prende la mano, alcune cose, di un passato recente che ho vissuto a scuola, ho voluto dirle. Se si vuol parlare di una professione è meglio dirle tutte, nel bene e nel male, di sotto, non solo di sopra, credo.
Conosco dal di dentro (o meglio, ho avuto modo di conoscerla dal di dentro per 43 anni) la classe docente e capisco benissimo le tue riserve.
Caro Silvio, dici cose importanti, che non posso commentare per le mie scarse, anzi nulle competenze in materia d’insegnamento, ma su questo blog ci sono insegnanti in pensione, anche docenti universitari, e spero saranno loro a dire come la pensano. Servono idee fresche, originali, la voglia di sperimentare, penso che questa tragedia qualcosa, o forse molto può insegnare agli insegnati, come progettare il loro mestiere ora, e anche dopo. Ringrazio per il tuo intervento.
Commento io, caro Silvio (anche se credo di nn conoscerti, il “caro” dopo il tuo commento, mi è d’obbligo!) che dirigente scolastico sono stato per più di 10 anni a Crema, al “Marazzi” (dove prima avevo insegnato per un’altra decina abbondante come prof di ruolo Disegno e Tecologia Mecc). e per 10 anni a Cremona alla Scuola Internazionale di Liuteria (stupenda ….”gloriosa” esperienza!).
Hai detto bene nel tuo commento: i Dirigenti scolastici possono davvero fare la differenza, operando direttamente “sul campo”!
Li ho conosciuti, al tempo, i miei “colleghi” e (partecipando con ruolo di rilievo a “Progetto 92”, importantissima ipotesi di “rivoluzione” nella Istruzione Professionale di Stato lanciata dal Direttore Martinez) anche in tutt’Italia; si di bravi ce n’erano, ma non erano certo …..la maggioranza!
Qualche cosa a livello Ministeriale è stato fatto, in concreto con il passaggio dalla “Presidenza” alla “Dirigenza”, ma le persone “promosse sul campo” sono sostanzialmente restate le stesse!
Di altra acqua ne è passata …. (io sono uscito dalla Scuola nel 2004, osce sa so ec!!!!) è rispetto ai “nuovi” non ….ho il polso!
Magari adesso con l’innesto di forze nuove, il rapporto “bravi/mia tant ” si è invertito!
Sperem, perchè il ruolo che i Dirigenti possono/devono giocare per l’efficacia dell’azione educativo/formativa è davvero decisivo!
Cmq un bel benvenuto sul blog!
Concordo con te, Silvio, su tutto.
Nella scuola è in corso una vera e propria rivoluzione, oggi stimolata anche dalla pausa forzata.
E non ho dubbi che la stagione del coronavirus lascerà un seno positivo, se non altro, si utilizzeranno di più strumenti tecnologici (che in questi giorni si stanno sperimentando) per un insegnamento più “personalizzato”, per stare al passo con la strumentazione che hanno a disposizione tutto il giorno i ragazzi.
Non si riesce a fare delle sperimentazioni innovative… sistema?
E’ vero.
Molto dipenderà dai dirigenti.
Io ho fiducia: conosco personalmente non pochi dirigenti che credono davvero nella scuola, nel suo ruolo unico, tanto in più in questa stagione di grandi trasformazioni (trasformazioni che saranno ancora più profonde grazie al virus).