“[…] Crema si sta allontanando dal centro […] le distanze non si misurano più in Km ma in ore/minuti […] per Crema sono necessari fattori di attrazione che creino una sua autonoma centralità: l’università in primis, in modo esemplare! […]”
Queste le parole del Prof. Angelo Di Gregorio che ho estratto dal Podcast di CremAscolta, Host: Mattia Bressanelli dello scorso Novembre ’19.
https://www.cremascolta.it/podcast/ercam-luniversita-a-crema/
Si, Crema si è allontanata dal “centro” (Milano) con una “paullese” che negli orari topici è un suplizio ed una ferrovia che …..non parliamone: tempi lunghi e nemmeno certezza di partenza/arrivo! E la soluzione a questa drammatica inefficienza infrastrutturale non si delinea affatto in tempi brevi, con Crema che continuerà ad ….. “allontanarsi dal centro”!
Interpreterei così il concetto al cuore del pensiero del prof. Di Gregorio: in questa situazione infrastrutturale, Crema se non vuole restare “ibernata” in una condizione di splendido (?!?) isolamento, deve darsi da sola una sua “autonoma centralità”, indiscutibile perché validata dalla credibilità, dall’appeal di quanto è in grado di offrire.
E paradossalmente, il fatto di essere stata definitivamente deprivata dei Corsi di Informatica e sicurezza delle reti, risucchiati al “centro” da Milano, può mettere Crema, grazie alle competenze maturate dal corpo docente del Prof. Righini, nella condizione unica e irripetibile di offrire l’ambizioso progetto di realizzare, nella stessa sede di Via Bramante (ex Olivetti!), un “Polo di ricerca – Corso di Laurea in Matematica applicata e Scienza delle decisioni,” strategico per il territorio ed il Paese tutto.
Quali “personaggi e interpreti” di quanto sta/non sta accadendo rispetto al futuro di questa nuova grande chance per “l’Università” a Crema?
- ACSU: l’Associazione Cremasca Studi Universitari, che si era costituita nel Marzo 1995 (praticamente 25 anni fa!) a seguito di apposita convenzione tra l’Università degli studi di Milano, il Comune di Crema e la provincia di Cremona, con finalità di ….contribuire al buon funzionamento (sic!) del Corso di Laurea in Informatica. Soci effettivi: Provincia, Comune, Camera di Commercio, Banca Popolare, Banca Cremasca, Libera Assoc.Artigiani, Assoc. Industriali CR, Assoc. Autonoma Artig. Cremaschi. Presidente il Sindaco di Crema.
- Prof. Angelo Di Gregorio: CRIET – Centro Ricerca Interuniversitario in Economia del Territorio, coinvolto da ACSU per validare il “Progetto ERCAM” European Research Center For Applied Mathematics, possibile innovativa evoluzione delle presenza Università nel Cremasco
- Prof. Giovanni Righini, Ordinario della Università Statale di Milano, Coordinatore della Ricerca operativa e la matematica applicata a Crema, estensore del Progetto da avviare in Via Bramante
- TEAM che affianca il prof. Righini nella definizione del Progetto: Ilaria Massari (Reindustria), Dino Martinazzoli (Manager consulenza aziendale), Cremasca servizi Srl, Andrea Bergami (Cons. Comun. Crema, consulente e formatore), Marco Degli Angeli (Cons. Reg Lombardia, project manager), Marco Cavalli CNA.
- CremAscolta da sempre, e segnatamente nei suoi Corsi di economia (quest’anno in atto il IV Corso) ha avuto particolarmente a cuore le sorti dell’Università a Crema, in particolare ha recentemente dedicato un Podcast mirato al tema “ERCAM intervistando il prof. Di Gregorio alla fine dello scorso 2019.
CremAscolta ha incontrato poche sere fa coloro che attivamente, con continuità stanno operando perchè si costituisca la FONDAZIONE ERCAM che operi . per coinvolgere concretamente Enti locali e Imprenditoria, da un lato e interagisca con il sistema Università e Ricerca dall’altro secondo il progetto già illustrato da Sindaco al Consiglio Comunale di Crema, che prevede il consolidamento a Crema, in Via Bramante, di un vero e proprio Polo di Ricerca Operativa e Matematica Applicata sotto forma appunto di autonoma Fondazione.
La presenza alla “tavola rotonda” da noi attivamente sollecitata, del prof. Righini (Università) dei Consiglieri Regionali Matteo Piloni e Marco Degli Angeli, di Aldo Casorati (Coordinatore Sindaci Area omogenea), di Manuel Draghetti (Cons. Comunale Crema), di Dino Martinazzoli (Manager/Consulente), di Agostina Bettinelli (Società civile) ha dimostrato a noi di CremAscolta presenti, dal Presidente Adriano Tango al fondatore Piero Carelli, a Mattia Bressanelli che tanto si è impegnato con i suoi Podcast sul tema, a me che scrivo, l’impegno attivo che si sta profondendo sul tema università a Crema.
Questo post è il primo di una serie di azioni che CremAscolta vuole innescare puntando al necessario “sostegno e ingaggio” del Territorio, della Città, fondamentali tanto quanto lo sono i rapporti avvenuti ed in atto con Regione, Ministeri ed Università.
Il “Polo di Ricerca Operativa e Matematica Applicata rappresenta” per Crema occasione unica e irripetibile di “autonoma centralità” per Crema, dalle prospettive di sviluppo e arricchimento non solo al pur fondamentale livello culturale, ma anche con ricadute di grande positività per tutta la comunità Cremasca!
Commenti
Da quanto emerso dall’incontro della scorsa settimana direi che i problemi sono due:
1) la strategia di ACSU è aspettare che le università lombarde, la Statale di Milano in primis, facciano il primo passo dando disponibilità a supportare il progetto dal punto di vista “giuridico” (nel senso che solo le università possono rilasciare lauree, dottorati ecc). Non fosse che l’idea è nell’aria dal 2006, potrebbe essere una soluzione percorribile. Dato che di tempo ce n’è poco, credo che un approccio più attivo e propositivo sarebbe auspicabile. Come?
Per esempio, dato che ERCAM dovrà avere due anime, una didattica e una imprenditoriale, facendo partire la seconda, che non richiede alcun tipo di certificazione, basta la competenza di chi ci lavora.
2) l’impressione (personale, quindi può valere poco) è di scarsa coesione nel Consiglio di ACSU, che ognuno faccia i suoi incontri e porti avanti i suoi interessi. Manca il focus. Quel focus che venerdì il prof. Canidio, parlando di altro, ricordava come punto fondamentale perché una comunità arrivi ad un obiettivo. Con quale credibilità si può proporre un progetto, quando chi lo propone già lavora a piani alternativi. Ci si chiarisca se il problema è investire nell’economia della conoscenza, in un’opportunità di sviluppo territoriale, o riempire uno stabile che rimarrà vuoto con qualunque cosa capiti a tiro.
Sia chiaro, il secondo problema va risolto, ma non è compito di ACSU, e non è alternativo al primo.
Provo a dire la mia su questi due punti.
1) In merito all’Università di Milano, il rettore ha già confermato più volte il suo interesse al progetto. Se così non fosse non ne staremmo nemmeno parlando. Ne ha già parlato col MIUR, ne ha già parlato più volte con gli altri rettori lombardi, ne ha accennato perfino nell’ultima riunione del senato accademico. L’Università è già pronta a dichiarare il suo possibile contributo ad ERCAM nei seguenti termini:
a) docenti: attualmente siamo due professori e tre ricercatori (senza contare assegnisti e dottorandi che non sono “strutturati”, cioè non hanno un rapporto di lavoro dipendente), senza contare altri che potrebbero facilmente trovare interessante la cosa e aggregarsi in un secondo tempo;
b) personale tecnico-amministrativo: attualmente sono rimasti in 4 a Crema, ma altri che si sono dovuti spostare a Lodi sarebbero pronti a tornare a Crema “anche su una gamba sola” non appena se ne presentasse la possibilità;
c) servizi di supporto alla ricerca e alla didattica (biblioteche, abbonamenti alle riviste scientifiche,…): c’è già un accordo con la biblioteca di Scienze di Milano per lasciare a Crema (o meglio, a ERCAM) tutto ciò che riguarda la ricerca operativa, sia libri che riviste, invece che traslocarla a Milano come tutto il resto;
d) compartecipazione (ad es. una borsa di dottorato per ogni ciclo) ad un possibile nuovo dottorato internazionale.
e) compartecipazione all’erogazione congiunta di corsi di studio (laurea e laurea magistrale) con proprio personale docente e con rilascio di titoli di studio.
f) reclutamento di altro personale da dedicare a Crema, se si riesce ad ottenere dal MIUR punti-organico per bandire posizioni aggiuntive.
Tutto questo UNIMI lo può già “mettere sul piatto” fin da subito.
Cosa il territorio intenda mettere sul piatto invece non è affatto chiaro.
La sede? La parte agibile viene già utilizzata per il corso di formazione professionale sulla cosmesi (chi l’avrebbe mai detto?) e inoltre si vorrebbe portare lì il corso di infermieristica, che finora si è sempre svolto vicino all’ospedale maggiore. Già si parla di attrezzare laboratori cosmetici. La parte resa inagibile da dieci anni è ancora in attesa di progetti di recupero. Quando ne sento parlare, la posizione che emerge è che la spesa per il recupero sarà condizionata alla possibilità di mettere a reddito gli spazi. Quindi bisogna prima trovare qualcuno che abbia voglia di pagare l’affitto per venire a lavorare a Crema in via Bramante, altrimenti l’edificio continuerà a marcire così. Il post del sig. Pasini mi sembra una risposta perfetta a queste velleità.
Aggiungiamo il fatto che in quell’edificio (la parte agibile, intendo) piove dal tetto dappertutto e che la bolletta della luce costa 300mila euro/anno. Non è proprio attrattivo…
La Pierina? Anche qui, quando se ne parla, la posizione che emerge è che non ha senso pensare di investire sulla Pierina per farne un campus con residenze universitarie finché non ci saranno gli studenti. Sarebbe fin troppo facile chiedere: “E allora perché non è mai stato fatto nulla quando gli studenti c’erano?”. Il fatto è che un progetto come ERCAM può catalizzare investimenti che diversamente non sarebbero pensabili. Quindi il momento giusto per “mettere sul piatto” progetti anche di larga scala per il recupero della Pierina è questo, abbinando il contentore al contenuto.
Investimenti pubblici o privati? ACSU ha sempre sostenuto la sede universitaria di Crema con 120mila euro/anno circa. Eppure nemmeno su questo è chiaro se si possa fare conto o no. Quando c’era il dipartimento di informatica i soldi venivano dati senza fare domande e senza la minima possibilità di poter controllare che fine facessero. Adesso che si propone di istituire una fondazione nella quale il territorio avrebbe pieno potere di controllo, incluso l’accesso ai bilanci, stranamente di finanziamenti di ACSU non si parla più. A meno che si tratti di cosmesi: per quella i fondi ci sono, anche se non si tratta di formazione “universitaria”, che è quella che ACSU dovrebbe sostenere per statuto.
Quindi la domanda inevasa è: il territorio di Crema cosa è disposto a mettere sul piatto?
La tua proposta, Mattia, di far partire la parte imprenditoriale prima di quella accademica è difficilmente praticabile. Le imprese che vorrebbero venire a Crema ci sono, ma solo se a Crema ci sono i ricercatori e i corsi di studio. E’ proprio la parte accademica il fondamento della parte imprenditoriale. E i ricercatori stiamo per perderli e nuovi corsi di studio di conseguenza non potranno partire.
2) Non aggiungo nulla alle tue domande. Hai colto perfettamente e sai già le risposte. Aggiungo solo che chi fa fatica a distringuere i costi dagli investimenti e non sa fare gli investimenti giusti, prima o poi si trova a poter solo sostenere costi.
Mi si dice che l’incontro con il Rettore della Statale è imminente: vedremo se darà ufficialmente la sua disponibilità a investire nel progetto del Polo di eccellenza di Crema (Centro di Matematica Applicata che, a quanto ho sentito, sarebbe un unicum di tutta l’Europa del Sud) e se, come promesso, ci dirà se ha contattato altre università.
Da profano, direi che il Politecnico di Milano non potrebbe mancare a proposito di un Polo “applicativo”.
Carto Francesco, mi fa piacere che ciò che ho scritto su questo blog, cioè che il declino di Crema e’ determinato da una ferrovia “dei puffi”, ridicola, da paesino di campagna, da infrastrutture e servizi di trasporto poco adeguati, venga segnalato da altri. Ho scritto che l’unica speranza risiede nel raddoppio della strada che collega con l’unica città che può salvarla dall’inconsistenza, la metropoli di Milano da cui dista poco più di trenta chilometri, che non sono niente. Ma c’è chi fa spallucce, e pensa che non sia il caso. Questi qui vadano pure avanti a vivacchiare nel loro brodo insipido, che troveranno saporito. Ma non parlino di “qualità culturale” a Crema, perchè ci vuole un bel coraggio a sostenerlo. Su questo blog ho letto che di cultura a Crema ce n’è tanta, che intanto i giovani non vanno più a teatro, che a Crema c’è un incremento “notevole” del turismo. Scusate, ma sono tutte stupidaggini. Sono balle. Se arrivano tre orientali in più, si alza l’asticella. Non si vuole guardare in faccia la realtà. Punto. Crema è un comune che non conta niente, dove c’è una cultura modesta, se non mediocre. In una provincia già di per sè isolata, territorialmente e sotto la capoccia di Cremona, che tiene Crema per i testicoli. L’ho scritto in tre articoli su questo blog, ricevendo da qualcuno pure “picche”, come se Crema fosse chissà-che-cosa, quando sta perdendo parte del poco che ha. Ma insisto: è inutile farsi illusioni; Crema è piccola e non può far altro che cercare di diventare area metropolitana con servizi “di aggancio” verso Milano per fame di lavoro, di tempo libero e stimoli culturali e tanto altro: quindi ferrovia, strade, e autobus anche fuori dall’orario canonico dei pendolari, come già succede ad altre cittadine nell’area milanese. Come Treviglio. Poi se arriva una scuola internazionale, come arrivano a Crema gli stranieri, i forestieri? Con il treno? Pensano di aver sbagliato posto, visto la ridicola stazione ferroviaria con un monobinario, che a Casaletto Vaprio (bisogna spiegare poi agli studenti di mezzo mondo che esistono tanti Casaletto, per evitare che si confondano) il treno si ferma in mezzo alla campagna, in attesa come in Scozia, nei luoghi sperduti che arriva, sperando, l’altro treno e lasciar libero il binario. E se è in ritardo si attende. Anche mezz’ora. E questo “straniero” dirà: cribbio ma dove sono capitato? Quando si ha l’onestà di guardare Crema per quello che è?
Scusate, voglio emulare la velocità di Renzi quando scrive alla tastiera e scrivo “carto Francesco”. Mamma mia
Si Marino,tutto quello che dici è un’analisi piuttosto lucida della situazione,ma anche spietata.
Nessuna possibilità di invertire la rotta? Ci si deve rassegnare al depauperamento?
Crema ha la fortuna di essere al centro
di un’area che va in varie direzioni nel raggio di 40/50km e dovrebbe essere un posto attrattivo,non da dove si fugge. Ci dobbiamo rassegnare? No.
Ogni persona nel suo ambito deve sentirlo come un dovere per il futuro e un rispetto per quelli che ci sono stati prima di noi. Forse i miei occhiali sono un po’ rosa,ma non lo saprò fino a quando non ci avremo provato.
Tutte le piccole località, come Crema, ma anche altre cittadine, in questi anni hanno fatto a gara per avere la loro piccola università, sempre una succursale, per sentirsi qualcosa. Va bene. Ma questa propagazione di università che tutti vorrebbero (tanto innamorati dalla campagna, ma poi non è così vero, per volere un centro studentesco internazionale, per togliersi di dosso l’inconsistenza); questo che vuol dire? Che frequentare l’università a Vercelli, a Fidenza non è come a Parma, o a Milano. Quindi, perchè uno studente finòlandese dovrebbe venire a Crema? Perchè frequentare una scuola è anche assorbire altro. Un ambiente, stimolante, ricco d’iniziative, di locali, di luoghi di ritrovo, di arte, di spettacoli. E che si fa a Vercelli? a Crema? Che ci fa un coreano a Crema? Fosse Bergamo, Brescia, ancora ancora, oppure Milano, allora cambia l’antifona. Stiamo con i piedi per terra, e preoccupiamoci delle infrastrutture, dei servizi, che sono possibili, basta incrementarli. E può succedere come a Londra, che ci sono centri studenteschi importanti anche a un’ora da Londra, ma ben serviti.
Vorrei chiarire brevemente il senso di questa riunione e il ruolo di Cremascolta. La spinta a “fare qualcosa” è venuta dalla cittadinanza, specie iscritti ai corsi UNI-Crema che ci hanno contattato. Visto che fare qualcosa non può signfiacare muoversi a caso dalla riunione ci attendevamo, oltre che una messa a punto dello stato dell’arte, una valutazione sul ruolo di Cremascolta, e in questo senso il bilancio è positivo: si è ribadito al blog un ruolo informativo, all’Associazione in senso estensivo un ruolo come centro di aggregazione della volontà dei cittadini, che si potrà eventualmnmente concretizzare in costituzione di comitato che racolga, oltre Cremascolta stessa, anche altre forze vive della città, ma il tutto sempre concertato con le Istituzioni.
Vedremo dove arriviamo, ma in questo momento… c’è altro da pensare.
Concordo con quanto dici,l’intendimento dovrebbe essere di spinta come società civile e la politica la sua espressione migliore. Dovrebbe fare da pungolo per essere proattiva,
perché sono 25 anni che ci si è adagiati su quello fatto senza seguire le evoluzioni e i cambiamenti accelerati. Le decisioni sono altrove.
Dopo il nostro incontro,che ritengo positivo, dobbiamo cercare di coordinarci,ho l’impressione che ognuno si riunisca per i cavoli suoi,magari un coordinamento sarebbe buona cosa.
Il progetto del Prof.Righini, per quanto mi sia dato capire,è all’avanguardia e aspettiamo che venga fatto da altri?
Se non ora,quando?
Concordo, Marino: le infrastrutture all’altezza sono la pre-condizione per ogni possibile rilancio.
Non escludo, tuttavia, che un progetto come quello lanciato dal prof. Giovanni Righini possa mettere in moto un circolo virtuoso e richiamare capitali (anche per le infrastrutture).
So bene che si tratta di una scalata improba, ma è da quando esisto che sento parlare del raddoppio della ferrovia.
Io – l’ho detto anche nella sede dell’incontro – sostengo che occorra coinvolgere non solo il territorio (che non ha risorse adeguate e non ha neppure voglia di investire dopo l’esperienza quasi fallimentare della università che di fatto non ha avuto ricadute sulle imprese locali), ma – considerato che si tratta di un progetto destinato ad andare ben oltre la stessa Italia – la stessa Confindustria, il Ministero della ricerca e dell’innovazione, la stessa Ue che ha già stanziato fondi per l’intelligenza artificiale e più in generale per tecnologie digitali.
Vedete cari amici
da quando esisto, come dice Piero, e anche per me sta diventando un tempo lungo, ma anche pieno di eventi, ho imparato una cosa: quando ci si trova in situazioni di eventi concatenati, in cuui cioè tutti attendono la mossa di qualcun’altro, bisogna che quelcuno dia qualcosa per già assicurato, e allora tutta la catena si muove. Un : se altro paragone lo rubo da Giovanni Righini; se per mettere le caravelle in acqua qualcuno avesse chiesto assicurazioni dell’avvistamento delle Americhe, saremmo ancora senza Stati Uniti (scusa se divulgo una nostra chicchierata fuori riunione caro giovanni), e ricordo ancora l’avvertimento ddi Mattteo Piiloni: non lasciate che si smetta di parlarne!
E allora, questo Cremascolta lo sa fare, parliamone, non ci accontentiamo di aver messo il tema fra quelli in evidenza, riempiamolo questo contenitore!
E poi, ma appena qualcuno ci dà il via, facciamolo questo comitato! Ma chi vi dice che non sia quest’innocente atto a sbloccare la situazione? E alora che questo contenitore (il nuovo metodo ha un difetto, cripta la rcchezza di contenuti) sia ricco di consensi, come si faceva un tempo, una mano forte sull’altra, ricordate? Il ci sto, anche io, anch’io, anch’io….
Crema ha avuto una succursale universitaria del Politecnico di Milano: tanta manna, mi pare, Una dependance, ma va bene così. Bisogna essere realisti. Oggi, la “capitale” lombarda dispone di nuovi spazi dove ha deciso di trasferire centri di ricerca, università, e ha meno bisogno, credo, di decentrare come ha fatto in passato. Ha soldi, finanziamenti pubblici e privati per tenersi quelle che si chiamano “le eccellenze”. Con delle infrastrutture (eccetto la superstrada verso Milano, che se sarà terminata, permetterà passi avanti a una piccola realtà come Crema) carenti, o molto carenti, non vedo chi vuole buttare soldi per un centro importante in un luogo dove poi si arriva e si parte con difficoltà, per raggiungere i centri più importanti. Andare a Pavia senza auto ci vogliono ore; Piacenza idem; Brescia e Bergamo in un ora e mezza, se non ci sono ritardi, i 40-45 tribolati chilometri si riescono a fare; rimane Cremona, per fare musicologia, e conoscere tutto delle mucche da latte; e Milano che i 35 chilometri, se tutto va bene si può arrivare a Lambrate in treno in 50 minuti solo la mattina presto; poi arrivare a Milano, in treno o in bus è un mezzo calvario, con tempi assurdi. Un luogo così vicino da cinque grandi centri come Crema, ma in realtà fuori mano, non fa venire l’appetito a nessuno che conta, purtroppo. Spero di sbagliarmi.
Tutto giusto, tutto vero, tutto condivisibile. Un ottimo esercizio di sano realismo da meditare accuratamente. Tuttavia oso proporre di non fermarsi qui. Non sono ottimista a tutti i costi, ma ho lavorato per 25 anni a Crema in una sede universitaria di cui non mi sono mai dovuto vergognare e che era l’invidia dei colleghi di Milano, di Cremona (soprattutto) e di molte altre città universitarie più blasonate. Ho avuto studenti e dottorandi fuggiti per disperazione da Milano e rinati a Crema. Ho visto salire le immatricolazioni a Crema a livelli che nessuno si sarebbe mai aspettato a Milano (e in anni in cui la Paullese era ben peggio di oggi). Ho ospitato per più di 15 anni stages per scuole superiori che venivano da Milano, da oltre Milano e perfino da fuori regione, per trascorrere una giornata di full immersion con i loro insegnanti in un laboratorio informatico (che a Milano non si trova) a sentir parlare di ricerca operativa. A Crema. Li ho visti arrivare in pullman (quelli saggi), li ho visti arrivare in treno (quelli temerari), li ho visti arrivare a piedi sotto l’acqua (quelli sfortunati ma coraggiosi) e li ho visti sempre andarsene felici e soddisfatti, ringraziando e dicendo “Torneremo sicuramente qui a Crema l’anno prossimo”. Ho visto premi di laurea e di dottorato nazionali e internazionali fioccare sui nostri neo-laureati e neo-dottori di ricerca cremaschi. Ho sentito con piacere colleghi di ogni angolo d’Italia ammettere “Certo che voi a Crema avete proprio una bella scuola di giovani ricercatori…”. Ho presentato il progetto ERCAM a diverse imprese, scegliendo quelle innovative e con competenze in matematica applicata. Le ho fatte venire a Crema, ho mostrato loro la sede, il nostro piccolo laboratorio di ricerca operativa, i laboratori informatici, le aule magnificamente attrezzate, la stupenda aula magna, la vastità di spazi disponibili,… Sì, certo, hanno visto anche i bidoni della carta usati per raccogliere l’acqua gocciolante dal soffitto, hanno visto anche l’altra metà dell’edificio chiusa e palificata, hanno visto il davanzale del mio ufficio con un buco largo una spanna mai riparato e i pannelli del controsoffitto tutti squinternati, hanno visto le ragnatele che ornano le finestre quasi dappertutto, hanno visto la selva selvaggia ed aspra e forte attorno alla Pierina, hanno visto anche quanto tempo c’è voluto per arrivare… Soppesati i pro e i contro, alcune si sono dette desiderose di aprire un laboratorio di ricerca e sviluppo a Crema per lavorare fianco a fianco con noi e con studenti e dottorandi, assumere i neo-laureati e finanziare borse di dottorato, assegni di ricerca e progetti. A Crema. Ho sulla scrivania lettere di ricercatori italiani emigrati forzatamente all’estero che mi scrivono per sapere se ERCAM si fa o no, perché loro farebbero carte false per concorrere a quei posti… a Crema.
E’ verissimo che le infrastrutture sono un gravissimo handicap per Crema e che lo stato dei collegamenti stradali e soprattutto ferroviari è semplicemente vergognoso. Ma non mi fermerei qui. Qualche mese fa ho ritrovato un mio brillante ex-tesista nell’elenco del personale di un’impresa danese (che fa ricerca operativa: ottimizzano la logistica dei porti). Gli ho scritto per salutarlo, chiedendogli come fosse la vita lassù in Danimarca. Mi ha risposto che lui lavora da casa, a Castelleone. Capite? Le nostre infrastrutture sono un ostacolo, ma saltare al di là si può. Basterebbe investire i soldi (che non mancano affatto), sia pubblici che privati, un po’ diversamente. Un ricercatore costa cinquantamila euro all’anno. Illuminare meglio le pedate notturne della Pergolettese ne costerà trecentomila. Lo studio commissionato ad Ambrosetti per farci dire chi siamo e dove vogliamo andare ne è costato duecentomila. Il progetto regionale AD-COM per cinque imprese cremasche della cosmesi ha portato a Crema circa quattro milioni e mezzo di fondi regionali. Sarebbe davvero così fuori luogo che – terminato il progetto – almeno qualche briciola fosse reinvestita dalle aziende beneficiarie sulla sede universitaria sotto forma di assegni di ricerca o altre azioni mirate? Se Crema sta progressivamente diventando un “paesotto”, la colpa non è solo delle ferrovie.
Insisto: dal podcast/intervista al prof. Angelo Di Gregorio (bravo bravo Mattia!) ho centrato il mio post “pro universitatem” sulla suggestione ” Crema se non vuole restare “ibernata” in una condizione di splendido (?!?) isolamento, deve darsi da sola una sua “autonoma centralità”!
Perchè è vero, anzi è stravero Marino che il treno da/per Crema è una ciofeca e i tempi di completamento del raddoppio della “paullese” non saranno brevi, ma è altrettanto vero, stravero che il “consolidamento a Crema, in Via Bramante, di un vero e proprio Polo di Ricerca Operativa e Matematica Applicata sotto forma appunto di autonoma Fondazione” secondo il progetto del prof. Righini, da un lato può bypassare il problema raddoppio stradale con un’ …..”autostrada informatica”, dall’altro si basa su un Know How posseduto, collaudato, e …..”più virtuoso che virtuale”: reale, che si rivolge ad un bacino di utenza Nazionale ( e magari anche più!).
Perciò, la comunità, gli amminstratori, le lodevoli forze/persone che se ne stanno già occupando anche con passione, devono crederci osando l’interlocuzione con chi sia in grado di capire ed abbia il potere decisionale per affrontare qualche cosa che assolutamente travalica la routine!
Non lasciamo cadere questa che è assai più che una potenzialità per la nostra Città!
Caro Franco, ribadisco quanto ho detto: serve qualcuno che dia qualcosa per già fatto e ottenuto. Ma serve anche passione popolare, cioè la testimonianza che, oltre a mettere on piedi una bella organizzazione, si avrà il plauso della città (l’uomo si muove per denaro e per lodi). Premesso che c’è un motivo per il quale sappiamo che l’idea del comitato la teniamo ferma (nulla di dietrologico, lo stesso per cui riteniamo di doverci muovere in sintonia con tecnici e poliitici), non la scartiasmo affatto, è Cremascolta è il luogo immateriale delle giuste convergenze, ma intanto iniziamo a far la conta dei firmatari. Io lo sto facendo. Autocritica: se non lo si apre questo box sembra inerte, rimedieremo.
E la scrittura di getto è il luogo delle mie care divagazioni ortografiche
Mi sembra che sia interessante il commento di Mattia Bressanelli sul “focus”.
Cosa che, per quest’area, non sarebbe forse una novità.
Ma non conosco il progetto esecutivo, i suoi obiettivi codificati e il suo sistema di gestione, per cui non vorrei dire cose senza cognizione di causa.
Qui ci si mette anche la logica “rispondi” / “scrivi qui il tuo commento” del blog, a complicarci la vita, scombicchierando i commenti in modo …..anacronistico!
Ci sono stati oggi 2/3 due contributi del prof. Righini (che è quello che della materia sa tutto, essendone l’autore/ispiratore) che si sono …..divaricati in ubicazioni lontane, pur essendo entrambi traboccanti di indicazioni pregnanti.
C’è stato un commento di Pietro Martini il 28/2 ( striminzito nelle…..righe, ma carico assai di significanze) che, allacciandosi al primo commento (al mio post), quello del “focus” di Mattia del 23/2., prenderei spudoratamente al volo come una velata disponibilità a provare a entrare ….in cabina,
Potrebbero essere i prodromi per costituire quel “Comitato promotore di ERCAM ” finalizzato alla costituzione del nuovo Soggetto Giuridico FONDAZIONE ERCAM, che il prof Righini in un ennesimo disperato sforzo creativo aveva lanciato (commento al PodCast 30 Nov) per provare a uscire dall’empaase?
La domanda, fuori dai denti è rivolta ai “personaggi” Righini/Martini/Bressanelli (in primis): disponibili ad entrare nella parte di “interpreti” nella ….recita a soggetto “Comitato promotore di ERCAM”?
Sono sinceramente onorato della proposta, caro Francesco, e ti ringrazio molto. Ma purtroppo sono in via di buen ritiro sociale, culturale e antropico. In più, penso che, in certi progetti così importanti, delle energie neuronali nuove, sia professionalmente che anagraficamente, sarebbero preferibili a un neo-nonno come me. Comunque, grazie. E un forte apprezzamento per l’iniziativa.
Nessun privato cittadino può sostituirsi alle istituzioni. Se non c’è supporto locale, con investimenti certi, non si parte. Oppure si parte ma non a Crema…
Nemmeno per un “Comitato promotore”, prof ?
Non vorrei congelare la buona volontà e lo spirito d’iniziativa di nessuno (soprattutto trattandosi di due qualità piuttosto rare), ma personalmente non credo che il popolo possa sostituirsi alle istituzioni. Propendo piuttosto per il rispetto dei ruoli e delle relative responsabilità decisionali.
Questa è solo la mia opinione personale. So che a volte la storia è stata scritta direttamente dal popolo. Se nel 1789 avessero seguito tutti questa mia opinione, non ci sarebbe stata la rivoluzione francese. Però nel nostro caso il contesto mi sembra diverso e il rispetto dei ruoli mi sembra la cosa più corretta ed efficace.
Tra questi ruoli comunque non è secondario quello dell’opinione pubblica. Cremascolta sta facendo molto bene la sua parte e ha la riconoscenza mia e dei miei colleghi per il costante interessamento e supporto. Ma ho come l’impressione che a Crema ci si scaldi più facilmente per la sorte degli alberi di via Bacchetta che per quella dei ricercatori di via Bramante.
E non è colpa delle ferrovie.
Lei, signor Righini, ha ragione. Lo spirito d’iniziativa scarseggia, da noi; è anche un’abitudine che si prende, purtroppo, nell’andazzo lento del vivere in provincia, nella sotto-provincia, sotto il tallone di Cremona. Non è di tutti, certo. Ma questa caratteristica s’impregna, con le sue conseguenze. Sono nato a Crema, e ritengo di conoscerla piuttosto bene; quando ero ragazzo mi stupivo, da ingenuo, che un convegno con un francesista come Giovanni Macchia, addirittura più giornate dedicate alla cultura francese, proprio a Crema, con denaro che arrivava in parte dai privati, sollevò parecchie perplessità e ostacoli, e un importante politico locale mi disse – allora scribacchiavo per un giornale cremasco – che dovevamo interessarci soprattutto della cultura del territorio,e a quella, l’amministrazione dovrebbe dar denari. La Francia sta lontana. In provincia, sta lontana pure Milano, che da casa mia, Crema Nuova, il contachilometri ne segna 35. Niente. A New York, 20 miglia sono uno sputo. Anche a Bristol. Lei vede, o vedeva prima del coronavirus – una pubblicità comunale, un manifesto, un avviso nella bacheca elettronica sotto i portici di fronte al Duomo due o quattro parole dedicate alle mille iniziative milanesi, che stanno a un tiro di schioppo, quasi? Quindi, parlare di algoritmi, di una scuola di eccellenza internazionale, dispero che si faccia, certo, non saprei dire però quanto scaldi i cremaschi, i quaranta e passa comuni del circondario che fanno la cremaschità, che nemmeno viene citata sui giornali.
La colpa, poi, non è delle ferrovie, se abbiamo una ferrovia dei puffi. Ma dei cremaschi che durante il fascismo non vollero saperne di raddoppiare la linea. Preferirono vivere tranquilli nel loro brodo insipido, piuttosto che vedersi arrivare nuova popolazione; e così, noi che eravamo già sulla Serenissima ci teniamo una ridicola stazione ferroviaria da paesino di campagna, con un piazzale enorme, che fuori orario dei pendolari è adatto anche per una partita di pallone con 24 giocatori. I cremaschi, guardi come hanno conciato negli anni le loro mura venete. Purtroppo le persone come lei, come alcuni collaboratori di Cremascolta sono una minoranza, in questo territorio.
Sì, ma spesso sono le minoranze creative che fanno le cose, soprattutto quelle costruttive, senza spargimento di sangue. Anche Colombo era in minoranza ma in America c’è arrivato lo stesso… Quando mi guardo intorno resto desolato come lei e quindi capisco bene il suo sconforto. Però il mio lavoro mi porta a contatto con i giovani (forse è l’aspetto più bello del mio lavoro) e quando parlo con certi giovani, anche cremaschi, mi dico che questo progetto lo dobbiamo realizzare per loro.
Ho bisogno, Giovanni, di capire qualcosa di più e tu sei la persona giusta – avendo lavorato ormai da anni a questo progetto -.
Prima domanda: basta una università o sarebbero necessarie più università? Ho sentito parlare di un dipartimento interuniversitario. Nell’ottica del progetto di un Polo di eccellenza di Matematica Applicata, non sarebbe più che opportuno la presenza del Politecnico? Avere più atenei non significherebbe più “committenti” e quindi una maggiore capacità di alimentare lo stesso Polo di ricerca?
Una seconda domanda: se davvero si punta a un progetto ambizioso (Un Polo di ricerca che potrebbe coprire – se ho ben capito – l’intera Europa meridionale), perché noi coinvolgere anche atenei stranieri? L’apertura di orizzonti non potrebbe significare anche un’apertura di possibili capitali?
Una terza domanda: Se si punta davvero a detto Polo di ricerca, perché non proviamo (mi ripeto) a coinvolgere non solo la Confindustria, ma la stessa Unione europea? L’Unione europea ha lanciato un grande piano sull’intelligenza artificiale, a servizio anche del Green New Deal: sempre che la Matematica Applicata abbia in qualche misura a che fare con tale piano, non si potrebbe studiare la possibilità di accedere ai fondi ad hoc?
Una quarta domanda: se per il settore della cosmesi si è riusciti ad avere alcuni milioni di fondi, il nostro progetto non meriterebbe almeno tanto?
Ho solo bisogno, Giovanni, di lumi.
Caro prof., mi scuso per aver lasciato in sospeso la risposta alle sue domande. Purtroppo il tempo è tiranno e anche quando tutto sembra fermarsi – inclusi i corsi universitari – la ricerca non si ferma. Rispondo per punti.
1) La mia proposta iniziale era di coinvolgere più università, per diversi motivi.
(a) Ripartire i costi. Mi sembra più facile convincere tante università a intraprendere un’azione che è piccola per ciascuna di esse, piuttosto che convincere una sola università ad intraprendere un’azione che è grande per lei. E’ vero che non dovrebbe essere visto come un costo, ma come un investimento, ma “conoscendo i miei polli” e sapendo come ragionano i CdA delle università, ho motivo di dubitare che sappiano distinguere un costo da un investimento e ragionando in termini di costi più si ripartiscono è meglio è.
(b) “Divide et impera” dicevano gli antichi. Ospitare una sola università significa che i processi decisionali avvengono nella sede di quell’università. L’esperienza passata ce lo insegna. Indurne tante a collaborare insieme significa far uscire i processi decisionali allo scoperto, dove anche il territorio può avere voce in capitolo e dove nessuna università da sola può dettare legge secondo i suoi interessi o capricci. Con questo non vorrei dar l’impressione di considerare le università come dei nemici. I nemici non sono le università ma i dipartimenti. Ma non voglio allargare troppo il discorso e deviarlo dal tema…
(c) Ci sono diversi colleghi professori e ricercatori in ricerca operativa e matematica applciata nelle università lombarde intorno a Crema che collaborerebbero estremamente volentieri.
(d) Sarebbe un modo di valorizzare la posizione baricentrica di Crema, posta proprio nell’ombelico del sistema universitario lombardo.
(e) Dal punto di vista di enti potenzialmente co-finanziatori del progetto (Regione, Ministeri,…) è molto più facile giustificare un investimento in un progetto collaborativo inter-universitario che non finanziare una singola università.
(f) Unire persone diverse, attualmente sparpagliate in una dozzina di dipartimenti di mezza dozzina di università (questa infatti è la situazione di chi fa ricerca operativa in Lombardia) consente anche di emttere insieme competenze diverse e complementari, il che produce un arricchimento culturale straordinario. E’ uno di quei casi in cui il risultato è ben di più della somma delle parti.
Tutti questi motivi, e forse anche altri, sono tuttora validi e da parte mia e dei miei colleghi sono già in corso contatti con tutte le sei università potenzialmente interessate. Ma i feedback che arrivano da tutte queste direzioni sono concordi: “Se chiedete risorse la risposta è no; se portate risorse la risposta è sì”. Le risorse sono due: denaro e punti-organico. I punti-organico sono risorse fittizie che equivalgono al permesso di bandire concorsi. Attualmente le università hanno più denaro di quello che possono spendere ma non lo possono usare per reclutare personale a causa della scarsità di punti-organico. Chi concede i punti-organico è solo il MIUR. Il denaro invece è una risorsa che tutti conosciamo e che si può ottenere in tanti modi. Quindi a breve termine è opportuno partire dalla ricerca del denaro e a medio termine cercare anche i punti-organico. Il MIUR ci ha già detto che è disponibile a dare entrambe le cose. E di denaro in Regione ce n’è tantissimo.
Punto 2: coinvolgere atenei stranieri è sicuramente uno degli obiettivi, ma questo si riuscirà a fare quando il centro di ricerca esisterà. Teniamo conto che gli atenei stranieri non fanno regali a quelli italiani. Sono quelli italiani che devono darsi una mossa e recuperare il terreno perduto rispetto a quelli stranieri. Aver dormito e sbaroneggiato per decenni non ci autorizza a chiedere regali a chi ha lavorato seriamente. Siamo in posizione debole. E se quando ho iniziato a parlare di queste idee nel 2006 tutto il Sud Europa era in posizione debole, adesso siamo rimasti da soli. I miei colleghi di Madrid nel frattempo hanno messo in piedi un corso di laurea magistrale e un dottorato di ricerca proprio in matematica applciata e ricerca operativa, co-gestito dalla Complutense e dal Politecnico. In Italia invece abbiamo continuato a dormire (e a boicottare progetti). I partenariati il dobbiamo costruire sudando e facendoci apprezzare. Infatti i singoli gruppi di ricerca, quelli che lavorano bene, hanno un sacco di collaborazioni internazionali. Anche noi ne abbiamo. Ma non posso presentarmi dai miei colleghi stranieri a chiedere soldi per fare quello che in Italia non sappiamo fare o su cui non vogliamo investire.
Comunque ho già trovato partners internazionali che sarebbero disposti a partecipare ad un nuovo dottorato di ricerca in ricerca operativa finanziando una borsa di dottorato per ogni ciclo. Ma prima bisogna avere a bordo le università italiane. Il blocco da vincere non è all’estero, è qui.
Punto 3. Pensare di avere fondi dall’UE è piuttosto fantascientifico. Stessimo parlando della NSF in USA non lo sarebbe, ma in UE purtroppo sì. Tuttavia la soluzione è molto più a portata di mano di quanto si pensi. I fondi europei sono già qui, sotto forma di fondi strutturali con sigle come FESR, FSE e tante altre. Regione Lombardia maneggia qualcosa come due miliardi di fondi europei ogni 6-7 anni. Quando siamo stati di recente a Palazzo Chigi in una delle nostre svariate peregrinazioni, ci siamo sentiti descrivere l’esistenza di fondi di coesione e fondi strutturali di vario genere e tipo gestiti da Invitalia e altri enti governativi. Parlano di decine di milioni come fossero noccioline, mentre noi qui non sappiamo dove trovare i soldi per tappare i buchi sul tetto. Ma quello che richiedono è progettualità. Vogliono interagire con istituzioni che presentano progetti. Quando quel giorno ci hanno chiesto a proposito della Pierina “quanto cuba questo investimento?” chi rappresentva il territorio non ha saputo rispondere “Trenta milioni: ecco qui il progetto”. E anche quando ci si presenta con progetti ben documentati, come abbiamo fatto con Regione Lombardia, ci si scontra con dinamiche poco chiare e personaggi improbabili. Quindi bisogna insistere, trovare le persone giuste, tallonarle,… Non basta mandare messaggi in bottiglia e poi adottare la strategia “Aspettiamo e vediamo”. Una funzionaria regionale con cui ho parlato anni fa, mi faceva l’esempio di Lecco, dove il Politecnico ha investito tantissimo e sui cui Regione ha contribuito pesantemente. Perché l’ha fatto? Perché a Lecco c’è l’ing. V., imprenditore, da anni presidente di Univerlecco (l’equivalente della nostra ACSU), il quale nel tempo ha costruito una rete di relazioni da una parte col Politecnico e dall’altra con la Regione, dove tutti lo conoscono e sanno che è una persona seria e affidabile con tanto spirito d’iniziativa, capace di lavorare per lo sviluppo del suo territorio. “Voi avreste bisogno di un ing. V.” ci ha detto chiaramente quella funzionaria. Anche perché i sindaci e gli assessori cambiano, queste persone restano e danno la necessaria continuità. Conosciamo imprenditori cremaschi a cui affideremmo la cura della strategia di sviluppo del nostro territorio in un’economia della conoscenza?
Punto 4. Sono cose diverse. Il progetto AD-COM è nato da un bando regionale per progetti innovativi finalizzato a facilitare le interazioni università-impresa e la ricerca con ricadute sull’efficienza produttiva (“smart manufacturing”). Sono bandi per progetti da 30 mesi. Per finanziare l’istituzione di un centro di ricerca non ci sono bandi. E’ un progetto da valutare ad hoc e da finanziare con uno specifico accordo-quadro, come ci aveva già proposto l’assessore Melazzini a suo tempo. Questo richiede un processo negoziale e la capacità di gestire situazioni non-standard. Le persone brave e competenti nell’ordinaria amministrazione non sono necessariamente le più adatte a questo scopo.
Non so come ringraziarti, Giovanni, per queste risposte così articolate.
Mi fa piacere sapere che la strada di coinvolgere più atenei è quella che potrebbe più facilitare il raggiungimento della meta e che addirittura disponibilità sono state già cercate e offerte.
Mi fa piacere sapere che avete delle collaborazioni internazionali su cui potreste contare per il progetto in questione.
Una domanda: visto che Madrid ha già avviato un progetto analogo (qualcosa, anzi, di più: anche laurea magistrale e dottorato di ricerca), sarebbe possibile dare al progetto di Crema un “taglio diverso” destinato ad utenze diverse? O, invece, potrebbero coesistere perché il mercato potenziale è molto vasto?
I fondi Ue – è vero – arrivano tramite le Regioni e sono quindi le Regioni a svolgere il ruolo-chiave. Si tratta, quindi, di creare – se ben ho compreso – le condizioni che sono state create a Lecco.
C’è bisogno di un Arvedi che investa quello che ha investito a Cremona? Se fosse così, dovrebbero essere i soggetti istituzionali a fare il primo passo. E’ stato fatto (con lui o con altri)?
E la mia idea di coinvolgere l’Assolombarda (tra l’altro, il presidente è cremasco – mi si dice) o addirittura la Confindustria o la Camera di Commercio – se c’è – lombarda?
Grazie ancora, Giovanni.
Per poter darti una mano, abbiamo bisogno di capire e tu mi hai liberato da un po’ di nebbia che avevo sugli occhi.
Il “mercato” (se vogliamo chiamarlo così) è vastissimo, c’è un sacco di spazio da riempire. Le imprese italiane non cercano laureati a Madrid, li vorrebbero qui. Anche perché le tasse le pagano al governo italiano, non a quello spagnolo, e vorrebbero avere in Italia un sistema universitario che funzioni. Da quest’estate a oggi, pur essendo quattro gatti e collocati in un posto come Crema, abbiamo fatto partire non meno di 5 o 6 progetti di ricerca applicata per un totale – volendo monetizzare – di più di duecentomila euro. Buona parte di questi denari vanno nelle casse dell’università. Se a Crema ci fosse un centro di ricerca e i contratti fossero stipulati con quello, i denari finirebbero a Crema. Il costo della scellerata politica “aspettiamo e vediamo” si misura in decine di migliaia di euro all’anno persi. Tra l’altro tutta questa domanda, alla quale – pochi e precari come siamo – facciamo una gran fatica a tener dietro, si è manifestata senza alcuna azione proattiva da parte nostra. Se ci mettessimo a cercare attivamente progetti, frequentando workshops, contattando aziende, spendendo un po’ di tempo (che non abbiamo) per fare attività di “marketing”, saremmo sommersi da una valanga di progetti (e di denaro), che attuamente non riusciremmo assolutamente a gestire. Uno dice: e perché no? Bandite cento assegni di ricerca e mettete al lavoro cento assegnisti per fare cento progetti. No, non funziona. Per il semplice motivo che per fare progetti nel campo della ricerca operativa bisogna aver studiato ricerca operativa. Non è una cosa che uno si inventa lì per lì. E in Italia non esiste nemmeno un corso di studi in ricerca operativa, a nessun livello. Quindi dove li troviamo i cento assegnisti per fare cento progetti? Bisogna prima formarli e formarli bene. Ecco perché prima della ricerca applicata ci vogliono molte altre cose, tra cui l’alta formazione.
Un Arvedi cremasco non ce l’abbiamo. Abbiamo il settore della cosmesi, che sui giornali locali suona la tromba un giorno sì e un altro pure. Mi giunge notizia che il Cremasco produce il 51% del PIL della provincia di Cremona. Quindi come mai a Cremona ci sono 4 sedi universitarie e a Crema stiamo passando da 1 a 0? Non si può sostenere che manchino i soldi. Bisogna piuttosto chiedersi come vengono usati.
Tanti enti si potrebbero certamente coinvolgere, ma io da privato cittadino non ho titolo per interagire con loro. Solo chi ha ruoli istituzionali può fare questo.
Caro Righini, lei ha detto una cosa importante, che sembra ovvia, ma non lo è: quando salgo sui treni pendolari insieme agli studenti cremaschi che frequentano le varie università tra Milano-Brescia-Bergamo-Cremona in qualche modo raggiungibili con il treno, le facce degli studenti, la curiosità, la voglia, la carica, le speranze le leggo nei loro occhi. Riuscire a creare una scuola importante a Crema vale la pena, perchè i giovani cremaschi (gli anziani meno) se lo meritano. Il provincialismo, in loro, non ha ancora attecchito. Come ho più volte detto, Crema è a una manciata di chilometri da cinque città più importanti con varie facoltà universitarie, che hanno molta più cultura, stimoli, luoghi, spettacoli, dove un giovane può spendere i suoi sogni. Ma Crema è un baricentro; è nel mezzo; l’importante è capirlo e crederci; battersi per potenziare le infrastrutture. E l’Amministrazione di Crema deve capire che tutti i suoi sforzi debbono essere concentrati verso la metropoli, perchè la strada è quella; altrimenti è il declino senza speranza. A Londra c’è una cittadina di circa 40mila abitanti, sul Tamigi, a oltre 40 chilometri dal comune di Londra, poco dentro l’area metropolitana che ha più di una facoltà di prim’ordine, e non è la sola; altre cittadine sparse non vicinissime alla City hanno scuole di prim’ordine. Nel mondo anglosassone è addirittura preferibile una certa distanza dal centro-centro, perchè permette campus universitari più grandi. A Cardiff, nel Galles, che ha tre università, e varie facoltà universitarie, il campus più frequentato è raggiungibile con l’autobus e il treno, perchè dista non poco dal centro città.
Mi fa sinceramente piacere che lei condivida non solo un giudizio critico sul provincialismo attuale ma anche la convizione che si possa e si debba fare qualcosa di diverso per uscirne e per preservare le giovani generazioni che in quel provincialismo non sono ancora cadute e non mi sembra abbiano alcuna voglia di cadere. Penso che i giovani cremaschi, con la facilità di interazione e di comunicazione che c’è oggi, abbiano capito perfettamente i pro e i contro di un posto come Crema. Non vorrei essere autoreferenziale, ma cito questa semplice esperienza domestica perché mi sembra perfettamente in tema. Quand’ero ragazzo, il mio papà mi portava a sentire i concerti della “Gioventù musicale” nella sala rossa al Folcioni. Ne ho uno stupendo ricordo e perfino qualche musicassetta sgrausa registrata un po’ di frodo. Oggi non esiste più. Il rimedio per fortuna c’è: i miei figli li ho portati più volte all’auditorium di Milano a sentire i concerti della “Verdi”, che sono molto belli e ad un tiro di schioppo. Idem per teatri, musei, mostre, notte dei ricercatori e chi più ne ha più metta. Hanno imparato in fretta la strada per Milano, un po’ con noi genitori e un po’ in gruppo con i loro amici. Dopodiché hanno cominciato a fare confronti e a lamentarsi della pochezza dell’offerta culturale di Crema. Allora ho chiesto loro se avrebbero preferito abitare a Milano. La risposta è stata un “no” deciso e assoluto, per svariati motivi a partire dall’aria irrespirabile di Milano quando vai per strada. “Milano fa letteralmente schifo” mi hanno detto: mille volte meglio Crema come ambiente di vita. Alla loro età non sono provinciali, nel senso deteriore del termine, sono abituati a viaggiare, ma sanno apprezzare anche i lati positivi del vivere in provincia. Crema dovrebbe abbinare alla sua posizione baricentrica anche un atteggiamento attrattivo. Si è davvero baricentrici quando si attraggono persone, idee, capitali, idee, imprese, da fuori. Il polo universitario di Crema ha fatto questo con la popolazione studentesca, almeno nella prima parte della sua storia, quella “in crescendo”. Venivano perfino da fuori Lombardia per studiare a Crema. Ed è la funzione che dovrebbe continuare a svolgere un polo universitario (attraendo non solo studenti, ma anche ricercatori, idee, capitali e imprese, cosa che finora il polo universitario ha fatto poco e male), senza nulla togliere all’importanza di altre attività come la formazione professionale per la cosmesi o per l’infermieristica, che però per loro natura hanno un bacino di attrazione assai più piccolo.
Anche il tema del campus, che lei cita giustamente, ci suggerisce considerazioni analoghe. A Milano non sanno più dove mettere gli studenti. La Statale ha alloggi disponibili solo per un decimo degli studenti che dovrebbe/vorrebbe ospitare (me lo diceva la pro-rettrice che si occupa dei servizi agli studenti). A Crema abbiamo un’area attorno alla Pierina che è lì a marcire dal 1993. Abbiamo avuto la fortuna di un giovane ingegnere cremasco che di sua iniziativa ha realizzato come tesi di laurea magistrale un progetto bellissimo di trasformazione di quell’area in un campus universitario. A Cardiff un progetto del genere sarebbe già finito sul tavolo del ministero o della contea, corredato da un piano di investimenti locali e da una dettagliata e circostanziata richiesta di co-finanziamento. Qui lasciamo pascolare le nutrie, perché “Quando ci saranno gli studenti, allora ci penseremo. Prima non ha senso.” Mi ricorda quando le ferrovie ci dicono “Quando ci saranno abbastanza pendolari, allora penseremo a raddoppiare la Treviglio-Cremona. Prima non ha senso”. Ci dà fastidio che ce lo dicano gli altri, ma poi ragioniamo allo stesso modo.
Le infrastrutture nel senso di facilities locali andrebbero potenziate al massimo, perché sono quelle che attirano. Le infrastrutture nel senso di collegamenti, sono a doppio taglio. Facilitano i flussi verso l’estremo più attrattivo a scapito di quello meno attrattivo. Vista la situazione, temo che un potenziamento delle infrastrutture di collegamento (peraltro auspicabilissimo) ora come ora e in assenza di altre azioni giocherebbe a sfavore di Crema invece che a favore. Sarebbe invece un’ottima mossa se corrispondesse ad azioni volte a rendere Crema attrattiva (e non solo ben collegata).
Sull’area metropolitana di Milano le cito quanto mi dice un mio collega che abita a Baggio: “Per l’amministrazione comunale, Milano coincide con l’area 1. Tutto quello che c’è fuori, è “periferia” ed è vissuta come un problema. Noi che abitiamo a Baggio facciamo veramente fatica ad interagire con Palazzo Marino.” Si immagina quanto saremmo ascoltati da Crema? A Palazzo Marino nemmeno sanno dove sia Crema sulla carta geografica. Secondo me gli sforzi delle amministrazioni locali dovrebbero essere concentrati non tanto verso Milano ma verso Crema. Non certo nel senso di finanziare solo la sagra del tortello, ma nel senso di promuovere tutto ciò che può rendere Crema attrattiva dal punto di vista di chi ne è fuori. Aggiungerei “stabilmente” attrattiva. Capisco che qualcuno possa avere perplessità sulle conferenze di un francesista, che passa da Crema e se ne va, ma diverso è lavorare per un centro di ricerca cremasco stabile, che diventi una risorsa permanente per la città. Un ciclo di conferenze attrae un manipolo di interessati per qualche sera. Un centro di ricerca e alta formazione nel giro di una generazione trasforma la città. Con questo non voglio certo sminuire l’importanza dei cicli di conferenze: sarò sempre in prima fila, soprattutto a quelli di Cremascolta!
Se ben comprendo, Giovanni, il progetto che tu avanzi non richiede, come a Madrid, un corso magistrale + dottorato di ricerca, ma solo un dottorato post lauream. E’ così?
Se è così, i costi sarebbero inferiori: no?
Ora, quale laurea dovrebbero avere i candidati al dottorato? Solo informatici o anche matematici, ingegneri…?
Se anche ingegneri e matematici, potrebbero essere interessate Facoltà di ingegneria e di matematica: no? E quindi è sul “progetto” (il suo… statuto) che dovrebbe essere realizzato il coinvolgimento di più università.
So di essere un profano, ma non mi vergogno di chiederti le cose che non so: un centro di ricerca di Matematica Applicata ha a come “prodotti” i cosiddetti “algoritmi” che oggi troviamo in tutte le tecnologie digitali o no? E ancora: ha a che fare con l’Intelligenza artificiale sula quale l’Unione europea ha lanciato nei giorni scorsi un piano straordinario con fondi ad hoc o no?
Se ho citato Arvedi è perché so che l’imprenditore cremonese sta investendo molto sulla sede (credo) del Politecnico di Cremona. Da quanto mi dici, però, il denaro non dovrebbe essere necessariamente privato perché la Regione i soldi (anche fondi europei) li ha e a Lecco (e non solo) li ha tirati fuori.
Ora, è da quasi due anni (mi pare) che le istituzioni preposte si stanno attivando. Che cos’è che non quadra? Non si stanno muovendo nel modo giusto? Non sono adeguatamente convinti del progetto? Sono restii a investire risorse su un progetto che potrebbe non generare ricadute (o ricadute troppo esigue rispetto all’investimento) sul territorio?
Per avere tutte le migliori caratteristiche, l’iniziativa dovrebbe comprendere tutti e tre i livelli della formazione universitaria: laurea, laurea magistrale e dottorato. A tutti e tre i livelli c’è urgentissimo bisogno di personale con una formazione adeguata, soprattutto al livello di laurea magistrale.
Per quanto riguarda i costi, il dottorato è quello che costa di più, perché i dottorando bisogna pagarli. Gli studenti universitari, invece, sono loro a pagare per i 3+2 anni di studio: quindi i primi due livelli sono quelli che “rendono” (dal punto di vista dei bilanci dell’università) mentre il terzo è quello che “costa”.
Tuttavia, è vero il contrario per quanto riguarda l’impegno dei docenti. Ogni corso di studio implica il “consumo” (fittizio, ma vincolato per legge) di un certo numero di professori e ricercatori: 3 per ogni anno di studi; quindi 9 persone per un corso di laurea triennale e 6 per un corso di laurea magistrale. Poiché le persone sono una risorsa scarsissima (gli organici delle università sono ormai ridotti all’osso), è assai più difficile istituire un corso di laurea o di laurea magistrale che un corso di dottorato. Anche per ogni collegio di dottorato è previsto un minimo di professori e ricercatori, ma il numero di corsi di dottorato è assai inferiore a quello dei corsi di laurea e di laurea magistrale e quindi il requisito sulla numerosità minima per i collegi di dottorato non è particolarmente vincolante.
Aggiungo che il denaro per le borse di dottorato può arrivare anche da fonti esterne, mentre i docenti universitari sono quelli che sono.
La provenienza dei dottorandi. Il background dei dottorandi può essere vario. Sia in Italia che nel mondo i gruppi di ricerca operativa stanno in almeno 4 tipi diversi di dipartimenti: matematica, informatica, ingegneria ed economia. Lo stesso vale per professori e ricercatori in ricerca operativa delle università lombarde. Naturalmente avere un corso di studi apposito a monte del dottorato consentirebbe di avere studenti di dottorato meglio preparati già in partenza e quindi di poter realizzare progetti di ricerca più ambiziosi e di maggior valore.
Gli algoritmi. La ricerca operativa è proprio la branca della matematica che più di ogni altra si occupa di algoritmi. In particolare, studia gli algoritmi necessari per risolvere automaticamente i problemi di ottimizzazione.
Intelligenza artificiale. Sotto questa etichetta sono messe cose assai diverse. La ricerca operativa potrebbe certamente essere una di queste, ma non mi presenterei mai dicendo che sono un esperto di intelligenza artificiale. Aggiungo che instintivamente mi verrebbe da dubitare di chiunque lo facesse, dato appunto che I.A. mi sembra molto più un’etichetta pubblicitaria che il nome di una disciplina scientifica ben definita. Il fatto che venga utilizzata a livello di grandi istituzioni, tipo UE o Regione Lombardia, non modifica il mio giudizio sull’I.A. e conferma purtroppo il mio giudizio sulla competenza scientifica di quelle istituzioni.
Investimenti locali. Tenere in piedi una sede universitaria solo perché un benefattore locale mette sul piatto mezzo milione di euro ogni anno non è il modo in cui immagino un’iniziativa sostenibile. Altrettanto, però, non ritengo minimamente plausibile che possa nascere un’iniziativa in un territorio in cui nessuno è disposto non dico a metterci un euro, ma nemmeno a dichiarare di volercelo mettere.
Forse non ho risposto del tutto all’ultima domanda, ma è perché la domanda non andrebbe posta a me. Non voglio giudicare nessuno, tanto meno chi porta sulle proprie spalle il peso non banale della responsabilità di amministrare la cosa pubblica.
Dico solo questo. Se uno cammina normalmente e si trova davanti un ostacolo, può fare due cose diverse per non andare a sbattere: (a) rallentare il passo e fermarsi in tempo; (b) mettersi a correre per riuscire a saltare al di là. Se il criterio-guida è “Non bisogna fare il passo più lungo della gamba”, l’esito non può essere che (a). Se il criterio-guida è “Coraggio, gettiamo il cuore (e il borsellino) oltre l’ostacolo”, allora l’esito può essere (b). Per saltare gli ostacoli è indispensabile fare qualche passo più lungo della gamba. Ed è anche indispensabile prendere la rincorsa con il dovuto anticipo, perché ad un certo punto diventa troppo tardi per saltare e non resta che fermarsi.
Lei, signor Righini, non la conosco, ma è una figura rara, direi anomala nel territorio cremasco. Non ho mai detto, e questo credo che lei lo ha capito, che i piccoli centri, le cittadine debbono per forza di cose affondare nel provincialismo. Anche se succede di frequente. L’andazzo, bisogna dirlo, tende ad essere quello dell’acqua intrappolata dalle chiuse: gira, più che altro, su se stessa; ma ci sono eccezioni, intendo di luoghi, di persone che non si fanno prendere dalla pigrizia, mentale e fisica. Non sono d’accordo su tutto ciò che lei ha scritto; ma trovo le sue opinioni lucide, fresche, di qualità.
Troppo gentile, grazie. Prima o poi avremo sicuramente occasione di vederci di persona, magari grazie a qualche iniziativa di Cremascolta.
Ho dimenticato, gentile signor Righini: lei frequenta l’Auditorium di Milano, con l’Orchestra Verdi che è una delle non poche orchestre di Milano, forse la migliore, e ci porta i suoi figli. A Milano oltre l’Orchestra Verdi, c’è quella della Scala, I Pomeriggi Musicali al Dal Verme, ci sono i concerti dell’Orchestra Milano Classica alla Palazzina Liberty, e poi c’è il Conservatorio. Senza contare i matineé ai Filodrammatici, vicino alla Scala, e altri concerti barocchi, la musica classica contemporanea eccetera, in altre sedi. Quanti cremaschi seguono tutto ciò? Non conosco nessuno. La realtà è che a Crema sono in pochi, pochissimi che alzano le chiappe dal loro divano, vincono la pigrizia, e si fanno i pochi chilometri per andare a Milano, ascoltare una orchestra di grande qualità come l’Orchestra Verdi. Sa cosa fanno, i cremaschi? cioè quasi tutti quelli che hanno un filo di passione musicale e a casa ascoltano Bach? Aspettano il Ghislandi, cioè tre giovani pianisti tre, che sono gratis, e una volta l’anno vanno a Milano o a Cremona per un concerto, Lo forzo è tale, immane che dopo questa fatica sono prostrati e attendono un’altro anno.
Lo forzo è lo sforzo, anche questo sforza troppo, forse, i cremaschi, io incluso mentre scrivo.