Difficile argomento, il Natale. Anche perché esistono tanti tipi di Natale. Nelle famiglie tradizionali il Natale è un’opportunità per ritrovarsi insieme, rinsaldare i legami, rafforzare gli affetti, onorare gli anziani, festeggiare i nuovi nati, indispensabili alla continuità della famiglia. Il Natale non è soltanto una ricorrenza religiosa, sociale e culturale della nostra civiltà occidentale con radici greco-romane, dal sole invitto e dai riti mitraici alla natività cristiana, ma è diventato anche un’occasione di incontro, conferma e valorizzazione di ciò che accomuna una stessa discendenza, basata su elementi fondanti come le memorie, le tradizioni, le consuetudini e, cosa fondamentale, il radicamento in un territorio, in una città, in un luogo di sicuro ancoraggio, verso cui convergere e ritornare proprio durante le solennità natalizie.
È difficile parlare del Natale perché occorre stare attenti a non infastidire le altre confessioni religiose, in particolare quella più intollerante, evitando di mostrare nei luoghi pubblici i riferimenti e gli emblemi della nostra storia religiosa e favorendo invece, sull’onda della bontà natalizia, le dinamiche dell’accoglienza generalizzata (e incondizionata), della tolleranza (anche verso gli intolleranti), della solidarietà verso gli ultimi (soprattutto gli ultimi arrivati), insomma dell’inclusione (nel senso che saremo presto noialtri a finire inclusi).
È difficile parlare del Natale perché questo scatena le geremiadi e le querimonie dei soliti savonarola contro il consumismo, il mercato, la globalizzazione. Acquistare panettoni e spumanti per Natale ignorando l’accattonaggio molesto suscita infatti gli anatemi dei profeti della solidarietà e dell’egualitarismo. Questi apostoli della mendicità sono i puntuali fustigatori dello shopping natalizio sobillato dalle multinazionali, cioè dagli ebrei del capitale e della finanza (soprattutto Soros), dai giudei satanicamente ghiotti di san simonini.
È difficile parlare del Natale in Italia, dove la parola del Papa vige come unica interpretazione autentica della fattispecie natalizia, come è avvenuto quest’anno alla benedizione dei Bambinelli. Di conseguenza, aggiungere altre parole a quelle del Pontefice diventerebbe solo un’irriguardosa stonatura rispetto all’infallibilità, anche natalizia, del Santo Padre. Chi siamo, noialtri peccatori, per aggiungere ulteriori parole sul Natale e sul Presepe?
È difficile parlare del Natale perché si finisce spesso con l’amarcord di quando avevi le braghe corte e si sa che certi ricordi familiari infantili rischiano idillismi e zuccherosità sul tempo che fu. Meglio non esporsi troppo con reminiscenze delle proprie giocondità e stupefazioni infantili natalizie.
È difficile parlare del Natale perché di questa festività si è appropriata la psico-socio-antropologia novecentesca, propinando a tutti dei pipponi interpretativi intellettuali tali da mettere in fuga chiunque non sia legato ai pipponatori da rapporti di parentela, amicizia o clientela.
È difficile parlare del Natale anche su CremAscolta, dopo i testi esaustivi dedicati al Natale nel 2017 (“Luci e ombre di Natale”), nel 2018 (“Futur-Natale”) e anche quest’anno (“2020: l’anno del presepe laico?”), scritti dal nostro caro Presidente, dopo i quali, come cantava il Califfo, “tutto il resto è noia”.
Insomma, parlare del Natale, dicendo cose troppo serie, è diventato imprudente e sconsigliabile, soprattutto in pubblico. Sarebbe come parlare di politica, sesso o religione a tavola, a una cena elegante: c’est très mauvais. Per cui, sarebbe meglio restare zitti. Oppure, se invitati esplicitamente a parlare, toccare argomenti meno impegnativi, magari d’ambientazione natalizia, però più leggeri. Usando una parola molto glamour, che oggigiorno lascia tutti flatté, resterebbero da trattare, per bon ton e savoir faire, soltanto argomenti “smart”. Tra questi, un argomento “smart” anche nel nome è proprio lo “smartphone”. Ecco, si potrebbe parlare del “Natale-con-lo-smartphone”. Anzi, dello “Smartphone Christmas”, visto che, esprimendoci in inglese, noi italiani ci sentiamo molto più trendy, più “smart”, appunto.
Diciamocelo subito, chiaro e tondo: da quando si è diffuso lo smartphone, il pranzo natalizio è diventato una disgrazia. Da evento positivo, si è trasformato in un tormento per tutti gli uomini normali, cioè per quelli non digital-addicted e senza la passione delle ricette, degli oroscopi e dello zumba. Però ci tocca. Un bel respiro, un segno di croce e via, suoni il campanello, imposti l’opzione MisterSmile, entri, baci anziane e infanti e ti rintani tra i pochi maschi adulti trincerati dietro i liquori. Infatti, da quando nei ritrovi familiari natalizi impera lo smartphone, si rischia un’orchite ancora più acuta di quella che colpisce assistendo ai film di Sorrentino, Muccino o Guadagnino. Che cosa succede? Semplice: tra canzoncine natalizie e apprezzamenti di rito alla cuoca, tutti ormai fanno solo tre cose, senza sosta e senza requie. La prima: solfeggiano continuamente sul loro maledetto smartphone, chiamando o ricevendo telefonate a voce altissima e con odioso cantilenante birignao (“ciaaao belliiissima”). La seconda: ti fotografano, col loro stramaledetto smartphone, in ogni momento e dovunque tu cerchi di sfuggire, saltando fuori da ogni angolo e spigolo, anche mentre mastichi, sbevazzi, starnutisci, sbadigli o mingi. La terza: ti spingono la cervicale sul loro stramaledettissimo smartphone, per farti vedere tutti i dettagli della loro esistenza: amici, conoscenti, vacanze, piatti mangiati in trattoria, il pupo che gioca o frigna o canappia, gattacci viziati, cagnetti infiocchettati, il primo dente del nipotino, l’ultima dentiera della nonna, e poi le foto artistiche, fiori, tramonti e altri sdilinquimenti, insomma un inferno. Il “mistero del Natale” e la “magia del Natale” consistono ormai nel fatto che gli istinti digitali più selvaggi si sfogano misteriosamente e magicamente in misura massima ed efferata proprio nei pranzi di Natale, quando il parentado viene preso da un sortilegio, un incantesimo, un maleficio: quello dell’irrefrenabile libidine dello smartphone.
Esiste una difesa contro lo Smartphone Christmas? No. È come subire una brutta malattia, per cui manca ancora un vaccino, una cura. Ci sono solo placebo per limitare la sofferenza, cure palliative, scongiuri scaramantici (non elegantissimi). Il morbo dello smartphone, la peste digitale, il delirio connettivo non lasciano scampo e consentono alle vittime soltanto piccole consolazioni al supplizio, alla tortura, al sacrificio dello Smartphone Christmas. Ad esempio, quando qualcuno ti ammannisce le proprie boiate, costringendoti a rimirarle sul suo smartphone, si può reagire con due rapide mosse sulla tastiera (erase + conferma), cancellandogli le immagini e facendo poi la faccia sconsolata (“scusa, non sono pratico”). Un’altra possibile reazione è accampare strane sindromi oculari che ti rendono allergico agli schermi digitali, causandoti congiuntivite, cefalea e (assumere un’aria contrita) subitaneo meteorismo. Un’ulteriore possibilità è guardare quanto proposto a video e mostrare l’espressione tipica di chi legge gli esami delle urine altrui.
Ovviamente, i bimbi di casa hanno trovato sotto l’albero, in dono, uno smartphone.
Commenti
Che maestro di colore! Che pennellate nette e incisive! E non finisci di stupirmi ripescando miei scritti che mi sembrano ora saltar fuori da un’altra vita! Ma forse, arditi cavalieri impavidi nella difesta dallo smartphone crudele delle nostre comunità familiari, ci stiamo riuscendo. A far cosa? Dai nostri scritti esce un’immagine del Natale che oserei definire una rivitalizzazione. Può la Nascita per eccellenza essere oggetto di cure rianimatorie? Blasfemo! Infatti, siamo noi, poveri omuncoli, non con l’orecchio allo smartphone, ma appesi allo strumento malefico per l’orecchio, ad averne bisogno. Che questo bisogno di rivitalizzazzioni di tramiti che ci riaprano la mente verso un vissuto più pieno possa diventare un tema favorito Cremascolta, questo il mio persnale augurio Natalizio. E tu hai dato un bel contributo. Grazie Pietro.
Troppo buono, Presidente.
Grazie per l’ospitalità su questo blog.
Ricambio gli auguri.
E allora perchè rinnovare continuamente questo irreversibile Natale? Cosa crediamo, che come per Scrooge si rinnovi il miracolo? C’è “forse gente festosa e gioiosa in giro?”. C’è un prete di Genova, don Paolo Farinella, che per la festa chiude la sua chiesa tra il 24 dicembre e il 5 gennaio augurando a tutti un non Natale “per rispetto del mistero della fede, travolto dall’orgia del consumismo e dalla scenografia pagana, di cui la maggior parte dei cristiani è complice” e perchè “un giorno sarà norma obbligatoria per i cattolici non celebrarlo: quello è una data convenzionale e nulla più. A noi, apripista, spetta l’onere di portare il peso iniziale” e perchè “l’Istituzione ufficiale, d’altra parte, arriva sempre in ritardo, adeguandosi tranquillamente a tutto ciò che fino al giorno prima proibiva e minacciava”. Pietro, lo so che sono un menone, ma cosa vuoi farci. Quanto alla modernità, lasciata fuori dalla porta, perchè lamentarsi? Non sono ormai mediati dalla tecnologia i rapporti umani? E anche tornare per mezz’ora alla vecchia tombola a cosa serve? Far finta di divertirsi non è una noia mortale? Essere cordiale con chi ti sta sui coglioni è digestivo? Non sarebbe il caso di inventare nuove feste se a quelle della tradizione non crede più nessuno, se non con adesione inconsapevole?
Comunque che stile Pietro, complimenti anche da parte mia.
Innanzitutto, ti ringrazio per l’apprezzamento, Ivano.
Sono d’accordo sul fatto che la tecnologia non possa aver colpa di certe situazioni. Sappiamo quanto, dal fuoco e dalla ruota fino allo smartphone, la questione sia tutt’altra.
Del resto, ricordo che già mezzo secolo fa la sindrome dell’invadenza tecnologica natalizia si manifestava chiaramente, sia pure con gli strumenti dell’epoca. Da sempre sono esistite zie con la mania delle fotografie ai pranzi di Natale, che costringevano a pose di gruppo tra chiacchiere & chicchere (“stringetevi!”). Oppure cugini con inquietanti attrezzature per filmare, marchingegni leonardeschi e ronzanti, cavi serpenteschi e laocooontici, fari accecanti e ustionanti (“su, dai, muovetevi in modo naturale!”).
No, il problema non è la tecnologia, analogica o digitale che sia.
Forse la specifica festività natalizia facilita, più di altre, la tracimazione espressiva e l’invadenza relazionale. Il Natale è, per definizione, una “festa buona”, è la “festa dei buoni”, che fa “diventare buoni” anche i “cattivi”. Riflettiamo un momento. Chi è cattivo è cauto e vigile. Se no, sarebbe un cattivo subito sgamato. Invece, chi è buono è espansivo e disponibile. Tende alla relazione, al contatto umano, insomma, diciamolo pure, a farsi i fatti degli altri. Sempre a fin di bene, ovviamente. E forse questa propensione al prossimo, tra tanta bontà e gusto della bontà, qualcosa a che vedere con certi comportamenti eccitati potrebbe avercelo.
Un’ironia sferzante, anche se garbata, come sempre, la tua, Pietro.
Io, che tale ironia non ho, mi limito a dire, molto semplicemente, che il Natale, una festa dal carattere fortemente simbolica, non c’è più e quello che celebriamo è un Natale “tutto pagano” o, magari, una strumentalizzazione “politica” del Natale religioso.
Sia chiaro: ritrovarci insieme intorno a una tavola è una bella tradizione che può stimolarci ad apprezzare lo “stare insieme”, il “cooperare insieme”, “l’ascoltarci reciprocamente”, il fare festa insieme, tutte qualità di sicuro salutari in una stagione, come la nostra, segnata dai manicheismi, dal rifiuto di ascoltare le ragioni degli altri, dalla litania del rancore contro tutti e contro tutto…
Una tradizione è anche il presepe, una tradizione che sempre più sta morendo a favore del pagano “albero di Natale”.
Ma perché il presepe non sia un semplice rito (tanto peggio una strumentalizzazione politica) occorre farlo parlare, come ho visto nella Chiesa di S. Bernardino dove ho trovato un presepe (il primo a destra) in cui il bambino Gesù è stato lasciato del tutto solo: un modo intelligente di rileggere con gli occhi di oggi una tradizione, come pure un tentativo di ricordarci il senso “religioso” del presepe.
Già, il senso religioso del Natale: qual è?
Hai ragione, Piero. Il Natale è ormai cosa ben diversa da quella vissuta nella nostra infanzia, almeno a Crema. Basta mettere il naso fuori di casa in questi giorni. D’altra parte, anche senza voler sempre storicizzare e relativizzare, e soprattutto senza voler intellettualizzare e problematizzare troppo, va anche ammesso che ogni epoca si specchia nel suo Natale (e viceversa), per cui i fatti sono questi, così siam fatti e così vanno le cose, anche a Natale. Un Natale che offre enorme soddisfazione ed eccitazione a una moltitudine sterminata, a una folla impressionante. Ieri in Crema, per ore, non si poteva letteralmente fare un passo e non ci si riusciva materialmente a muovere nella calca collettiva, nello stipato flusso umano in costante e travolgente nomadismo cittadino, spinto da una pulsione irrefrenabile per ogni via, ogni vetrina, ogni parcheggio, ogni richiamo natalizio. A Natale tentiamo mostre su quando c’era Venezia e intanto veniamo invasi da masse umane come a Shanghai. È giusto? È sbagliato? Non lo so. So soltanto che questa oggi è la nostra realtà. Poi, ciascuno si regola come crede.
La nascita come fatto….
La forza della radice…
In questo richiamo giocano anche le luminarie che gli intellettuali possono guardare con una certa supponenza, ma se sono in qualche misura un volano per il nostro commercio cittadino, ben vengano!
Non esiste più il Natale, come sono cambiate altre cose. L’immobilismo da molti auspicato e che tenacemente perseguono gli epigoni della tradizione cozza con le avanguardie, che tali sono per breve tempo diventando nuove realtà. Così che politica, magistratura, istituzioni in genere si trovano ad agire in contesti sociali e culturali cambiati senza tanti manifesti. Cappato che oggi è stato assolto definitivamente dall’accusa di aver favorito il suicidio di Dj. Fabo in altri momenti non sarebbe stato scagionato. Si è assistito in questi decenni a cambiamenti sociali di tale impatto da far concorrenza anche al digitale, che sembra la massima rivoluzione in grado di cambiare il mondo. E senza dubbio è così. Perchè l’ordine delle cose agli osservatori disincantati cambia in continuazione, così da sembrare un naturale processo, contro chi invece crede nell’immutabilità del tempo. E senza dare giudizi di valore, perchè non è lavoro mio, ma anche di nessun altro, io fatico a credere al rifiuto di questa evidente constatazione. Cambia tutto con una corsa che lascia spiazzati alcuni e piacevolmente consapevoli altri. E’ cambiata la famiglia, la società tutta, così che la nostalgia per molti trova il sopravvento tra rimpianti di un mondo che non c’è più. E’ cambiato il modo di fare politica, e quello sarebbe senza dubbio peggiorato se anch’io non venissi tacciato di quella nostalgia di cui non capivo il senso poc’anzi. E’ cambiata la Chiesa, i seminari sono vuoti da decenni e negli oratori spuntano i direttori laici. Dei preti della tradizione infatti non se parla, ma dei cambiamenti in atto sì. I preti controcorrente sono difatti i più seguiti, e fortunatamente da un numero superiore ai seguaci lefreviani che celebrano ancora in latino e con le spalle ai fedeli. Ora si parla di preti rivoluzionari e di un Papa controcorrente che le gerarchie curiali vorrebbero morto. Si sa, la società civile è sempre più avanti della politica e delle istituzioni e poteri in genere. Ho visto l’ultimo film di Ozpetek, e anche considerato che ognuno racconta la realtà secondo propri filtri, quindi forse un film un po’ troppo didattico o di parte, anche quello racconta una realtà che esiste, in parte legiferata e in parte no. Il tema è la stepchild adoption che nel film sarebbe la soluzione mentalmente più sana dovendo decidere tra la possibilità dell’affido di due bambini alla nonna pazza, certamente non tutte le nonne sono disequilibrate, e naturalmente i due minori sceglierebbero la coppia omosessuale. Difatti il film legittima il furto dei due bambini da parte della coppia che dimostra una consapevolezza e un amore che la vecchia neppure sa dove stiano di casa. Naturalmente qualcuno potrebbe obiettare che ognuno porta acqua al suo mulino. Nella realtà il regista non vorrebbe mai avere figli adottati o surrogati da madri altre, queste le sue dichiarazioni, però civilmente lascia spazio a valutare quale delle due scelte andrebbe fatta. E’ anche vero che un film è finzione costruita ad arte per dimostrare una certa tesi, ma è anche vero che la finzione è capace di andare oltre la realtà.
Basta così, ho già scritto troppo per dire una cosa semplicissima. Come dice Piero, e ormai tutti, il Natale non esiste più. Come non esistono più altre cose. Chiamiamolo la Festa dei regali e dei cenoni e dei soldi spesi, non della Natività e della messa di mezzanotte. Chissà poi perchè a quell’ora lì.
A proposito di preti scomodi, Ivano, mi ripescare due battute feroci che traggo dagli “auguri scomodi” di Tonino Bello:
“Gesù che nasce per amore vi dia la nausea di una vita egoista, assurda, senza spinte verticali e vi conceda di inventarvi una vita carica di donazione, di preghiera, di silenzio, di coraggio. Il Bambino che dorme sulla paglia vi tolga il sonno e faccia sentire il guanciale del vostro letto duro come un macigno, finché non avrete dato ospitalità a uno sfrattato, a un marocchino, a un povero di passaggio.
Dio che diventa uomo vi faccia sentire dei vermi ogni volta che la vostra carriera diventa idolo della vostra vita, il sorpasso, il progetto dei vostri giorni, la schiena del prossimo, strumento delle vostre scalate”.
Questo è un messaggio “religioso”. Un messaggio scomodo quando l’ha scritto l’autore (morto qualche anno fa), ma oggi ancora più scomodo in un tempo di… politicamente corretto: sento giù gli… insulti… dei cattolici praticanti che votano Lega (e sono tantissimi: la Lega è il partito con la maggiore presenza in percentuale di cattolici praticanti).
Mai fidarsi dei sedicenti cattolici. L’ho sempre detto e scritto. Impossibile non ricordare Levi:
“Voi che vivete sicuri
nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
il cibo caldo e i visi amici:…
Sto rileggendo “In quelle tenebre” di Gitta Sereny nel capitolo riguardante i rapporti ambigui tra Chiesa di Roma e il nazifascismo. La dice lunga su chi adesso vota Lega.
Piero, del resto l’abbiamo visto anche su questo blog, magari in sporadiche apparizioni, ma anche presso firme illustri e assidue, magari a momenti alterni. Abbiamo letto cattolici dichiarati, anche con annuali messinscena, di chiaro orientamento e ammirazione verso una destra non troppo moderata, e propagatori di pietas anche verso cigni di passo, scoiattoli e animalità varie, esotiche o ammassi intensivi per carne da macello, e loro deriva populista senza che minimamente si sentissero in contraddizione. E’ questo che io non capisco. Insomma, un po’ di coerenza per favore, almeno nelle parole. Poi i conflitti interni sono comprensibili in un mondo in continua trasformazione, ma almeno un po’ di mediazione espressiva e linguistica ci vorrebbe, mi pare.
Proprio alla prima riga del testo qui pubblicato ho scritto che “esistono tanti tipi di Natale”.
Non so se sia un bene o un male, categorie non sempre applicabili alle umane vicende.
So che è sempre stato così, da duemila anni per la “natalità” cristiana e da molti più millenni per altre antecedenti “natalità”, sulle quali tra l’altro quella neotestamentaria si è in parte modellata.
Religioni, miti, tradizioni, riti e consuetudini si sviluppano storicamente in un plesso di elementi in divenire che vengono vissuti, fruiti e celebrati in modo diverso da paese a paese, da città a città, da famiglia a famiglia. E ciò nonostante i continui richiami di chi vorrebbe porsi come depositario della via, della verità e della vita, anche a Natale.
Sono sempre esistiti tanti tipi di Natale.
La differenza è che oggi ne esistono non tanti ma tantissimi, davvero moltissimi anche rispetto alla già presente varietà dei secoli scorsi. Questi primi anni del nuovo secolo ne sono prova evidente. E sappiamo tutti perché.
Per cui, chi vuole ritirarsi in un eremo e condurre vita cenobitica in questo periodo, lo faccia e buon per lui. Ho un caro amico e un buon conoscente che lo fanno. E chi vuole stordirsi di beni materiali, di acquisti, di luminarie e festosità, di Krug e Beluga, insomma di “roba”, di “sempre più roba”, lo faccia e buon per lui. Anche di questi ne conosco abbastanza. E che problema c’è?
Se il Natale è una festa religiosa, beh, allora si tratta di religione applicata all’umanità festante e, si sa, la religione è come il coraggio o come altre virtù, non sempre compatibili con la festosità, se non quando serve e funge. E così come “il coraggio, uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare”, lo stesso vale per la religione e per il Natale, il quale non per tutti è necessariamente ascetico e orante davanti al Bambinello.
Agli uni e agli altri, a tutti, indistintamente, tanti auguri.
Tutti, credo, ne abbiamo bisogno.
Dopo che oggi, intenerito dall’atmosfera, due ragazzine acqua e sapone mi hanno impietosito con la loro raccolta fondi tramite confezione di oggetti di artigianato natalizio, e mi sono dopo reso conto che avevo sovvenzionato la loro raccolta cannabis per la Santa Serata, io, vecchietto raggirabile, mi rendo conto che sì, esistono tanti tipi di Natale! E tanti tipi di coniglioni!
Uno dei più bei commenti su questo Natale. Adriano, sei un grande! Il miglior contraltare al mio precedente invito alla tolleranza natalizia.
Tanto per rompere il ghiaccio dopo giorni di silenzio e in attesa di San Silvestro. In genere, un tempo, i bambini durante il pranzo di Natale recitavano stucchevoli poesiole di pertinenza. Oggi finalmente, non più in piedi sulla sedia a ridosso dell’albero, intrattengono gli ospiti con gli indovinelli di Geronimo Stilton.
Un gran bel business. Non so se hai visto, Ivano, il successo editoriale e il merchandising.
Lei, l’autrice, è da anni una delle donne più odiate oppure più amate in Italia, e non solo in Italia.
Una specie di wonder woman, oltre che scrittrice di successo per l’infanzia.
Personalmente la ammiro, a prescindere da certe scelte di campo (altre le condivido in pieno).
Elisabetta Dami ha comunque ancora una notevole forma fisica, intendo in senso atletico (anche se ormai ha superato i sessanta). Ha fatto cose che noi umani ……
Ho letto l’anno scorso su un quotidiano che qualcuno a sinistra trova in Salvini alcuni tratti di Gattardone III de Gattardis. E che Geronimo Stilton ha qualcosa di Bertinotti. La superwoman ha smentito del tutto.
Tornando al Natale e alle sue derive, cani, gatti, bambini & C. non hanno mai colpa. Le colpe sono sempre dei genitori (o dei proprietari, per i quadrupedi), anche quando i marmocchi fanno gli spocchiosetti e gli impertinentelli, per di più nelle riunioni familiari natalizie. Soprattutto, colpa dei padri.
D’altra parte, siamo un paese in cui i figli so’ pezzi ‘e core e dove gli uomini passano in gestione, nella maggior parte dei casi, dalla mamma alla moglie. E Natale è una delle occasioni in cui, soprattutto in certe famiglie, lo si nota di più.
Certamente Pietro. I bambini, proiezione dei genitori, senza troppa speculazione sul concetto di educazione, sono i burattini vittime delle convinzioni di ognuno, spesso incapaci di spezzare le catene. Perchè è scontato, quasi tutti rimaniamo manovrati anche da grandi, con un bel da fare in termini di identità, e con buon placet di padri e madri orgogliosi di dire: “è uguale a me”, transfert e psicoanalisi involontariamente complici, come se i bambini fossero prolungamento inevitabile, necessario. Uccidere il proprio padre si dice. Ma anche qui il discorso si allargherebbe troppo. Quanto all’autrice confesso di non saperne niente. Mi informerò per capire quali modelli possano averla ispirata, perchè sarà anche business, ma è impossibile che non abbia riferimenti culturali.
In effetti, quella dell’uccisione del padre è una delle indovinate trouvaille dello psicologismo novecentesco, ancor oggi utilizzata dagli epigoni della mitologia freudiana, antecedente alle neuroscienze e alla biogenetica di questo secolo.
Comunque, anche per chi ancora crede a supposti inconsci & preconsci, a presunti totem & tabù, ad asserite fasi orali & anali, insomma a tutte le suppellettili sistematiche di quella fortunata e lucrosa narrazione, questa vicenda dell’uccisione del padre ormai non si pone più, soprattutto di questi tempi.
I padri, infatti, non si possono più uccidere.
Si sono già suicidati da soli.
Un felice suggerimento di papa Francesco: spegnere i cellulari durante i pasti per dare spazio al dialogo (non a tanti monologhi).
E’ un suggerimento che già qualcuno di noi ha fatto sul nostro blog.
Ma… è faticoso ormai, tanto più per i ragazzi (ma anche per non pochi adulti), liberarsi dalla schiavitù del cellulare. Le “prediche” dei grandi sono poco credibili perché sono proprio i grandi che dovrebbero dare l’esempio.
Non hanno torto, forse, gli allarmisti che sostengono che è in atto una vera e propria trasformazione “antropologica”.
Caro Piero, farne una questione “antropologica” non è forse dare uno spazio eccessivo all’antropologia? Non sarebbe meglio farne, più semplicemente e concretamente, una questione di “educazione”?
Lo smartphone è un apparato con istruzioni per la trasmissione sia di fonia che di altri dati. Il precedente telefono cellulare trasmetteva solo fonia. Lo stesso faceva il telefono fisso, posto su un tavolino, e prima ancora quello attaccato al muro.
Ebbene, che cosa si insegna nelle famiglie perbene e di buoni costumi sin dai tempi di Bell e Meucci?
Si insegna che, da quando ci si siede a tavola fino a quando ci si alza, le telefonate sono bandite. Come altre attività proibite a tavola. Telefonare o chattare a tavola è come ruttare o mettersi le dita nel naso. Uno scapaccione risolve il problema. E basta là.
Che squillasse l’antico telefono nero di bachelite fissato al muro dell’ingresso, che suonasse il vecchio telefono con scritto Stipel appoggiato in tinello, che oggi trilli il cellulare lasciato sulla cassapanca nell’altra stanza o che l’attuale smartphone vibri ben lontano dal desco familiare, la soluzione è sempre la stessa, laddove la famiglia abbia ruoli, regole e, appunto, buna educazione: telefoni, televisioni e computer vanno tenuti lontani da tavola.
Del resto, chi scoccia in determinati orari ben definiti e ben noti, tra i quali proprio quelli del pranzo, fatte salve rarissime situazioni di emergenza, è un cafone che non merita risposta.
Ringraziamo comunque il Papa per il suo suggerimento.
Famiglie, padri, madri, lette le statistiche Istat si conferma che ormai le famiglie mononucleari vanno per la maggiore. Se non esistono più le famiglie, denatalità compresa, non esistono più neppure le tradizioni legate a quelle. Quindi addio Natale in famiglia e feste comandate con quegli inutili rituali, se non per garantire a chi lavora un minimo di riposo. Quindi festa feriale 1. 2, 3. Un tempo si dicevano feste laiche, ma ora che anche la spartizione tra questo o quello è venuta meno, sono tutte laiche, chiamiamole pure feria di questo o quell’altro, se vogliamo per forza conservare un po’ di memoria dei nomi. I padri che si sono suicidati da soli? Era ora, soprattutto per quelli che imparano a fare i padri solo una volta diventati nonni. Ne è pieno il mondo.
Comunque, buon anno a tutti, anche se avevo inviato in redazione un apposito post che non è stato pubblicato.