La storia è da sempre maestra di vita ma, se gli eclatanti eventi del passato che annoverano come protagonisti grandi personaggi non cessano di stupirci, nelle piccole vicende accorse ai più semplici possiamo veramente trovare insegnamenti significativi. A volte frugando tra le carte dei polverosi archivi si possono raccogliere, come gemme preziose, immagini lontane, indicazioni valide per qualsiasi epoca.
Questa piacevole novella scritta da Silvia Merico e Serena Marangon descrive un fatto realmente accaduto a Crema. La sua narrazione può giovare non solo ai giovani, ma anche a chi ha ormai raggiunto la soglia della maturità. Lo scenario ambientale si apre nei chiostri del convento carmelitano di Santa Maria della Croce. Siamo nei primi anni dell’Ottocento. Il protagonista è un orfanello che divide il tempo tra la chiesa, la scuola e gli orti della comunità religiosa. La famiglia dei frati ha preso il posto di quella naturale; le giornate trascorrono nelle occupazioni dedicate allo studio, alla cura dell’orto ma soprattutto sono rivolte all’ esperienza contemplativa. Oggi questa consuetudine può considerarsi persa o apparire bizzarra. In passato la dimestichezza alla preghiera ininterrotta traeva spunto dal monito dell’Apostolo: “non cessate mai d’orare, in ogni cosa rendete grazie, perché tale è la volontà di Dio” ( S. Paolo, Prima lettera ai Tessalonicesi 5,17-18). Da tale pratica l’uomo traeva una insolita capacità di sopportazione, intesa non come supina remissione, ma volontà dell’animo nel saper disciplinare ogni desiderio impulsivo al fine di poter seguire liberamente il percorso di una volontà ritenuta superiore. Il giovane novizio, proprio grazie alla curiosa e tenace determinazione scopre una dimestichezza che non è servile remissione ma scelta generosa. Da essa nasce la forza che lo porta a superare le ancestrali paure e acquisire coscienza al fine di affrancarsi dai timori adolescenziali.
Dietro ciò che riteniamo spaventoso e raccapricciante spesso si celano le vittime dell’ingiustizia, i martiri prodotti dall’ invidia, dal conformismo e dal tornaconto. Giochi di potere e ambizioni personali, ieri come oggi, portano la maschera, si nascondono dietro l’inconsistente ed elaborata debolezza della dialettica moderna. Così finiscono spesso per favorire vittimismo, ipocrisia e individualismo.
Ĕ ben difficile superare questi ostacoli, occorre avvertirli in tempo, necessitano degli exempla per riflettere. Al riguardo un valido aiuto può esser fornito anche dalla lettura di un testo edificante, come quello trattato nell’Oscuro caso di frate Gerardo.
Commenti
Una doppietta che mi apre all’ottimismo: i post contemporanei tuo e di Ivano. Il nesso? L’uomo ritrova forse la capacità di discernimento, assumendo come punti di forza, riferimenti certi, la meditazione, nel caso che esponi religiosa, e ben lungi da me dissacrarne la validità, o la reiterata esposizione del memento, dell’evidenza dei fatti. Tutto pane per i denti per i cervelli Cremascolta, evidentemente anche con rinvii dall’uno all’altro argomento. E spero che le due autrici non se ne risentano, non mi rimproverino di non aver prima letto per affermare cosa ne ho capito!
Una preziosa lezione, Walter.
Con tutti i suoi limiti, il ruolo della Chiesa è stato importante per la formazione di una “coscienza interiore”: pensiamo non solo alla preghiera, ma anche all’esame di coscienza (che è strettamente legata alla preghiera).
E’ lì che maturava il senso del peccato e quindi anche la molla per riscattarsi.
Oggi, tutti attaccati ai social, beviamo tutto e il contrario di tutto o, più spesso, diventiamo tutti “omologati”. La coscienza? Il senso del peccato? Semplici ferri vecchi. E così ci inginocchiamo a nuovi dèi.
Letto stamattina d’un fiato il …. “pulcinoelefante” (l’amico Alberto Casiraghy mi perdonerà per aver preso a prestito la ….ragione sociale della sua affatto particolare casa editrice!) di Silvia, dopo aver partecipato iersera alla piacevolissima affollata presentazione del suo delizioso lavoro, in libreria Mondadori in via Mazzini a Crema.
Ho preso a prestito la casa editrice che si identifica con il grandissimo personaggio Casiraghy (che pubblica le sue opere usando la stampa a mano con caratteri mobili utilizzando la pregiata carta hahnemuhle prodotta in Germania) perchè il ….libricino firmato da Silvia è davvero un “pulcino/elefante” che contiene molto ma molto di più delle 43 pagine (ed ho voluto acquistare la 43esima copia delle 250 dell’edizione a tiratura limitata, ovviamente con firma e dedica dell’autrice) che mi sono bevuto d’un fiato stamattina!
Silvia sa coniugare con gran classe i risultati di un rigoroso lavoro di ricerca storica e d’archivio con la proposta sferzante e bruciante di riflessioni socio culturali, filtrate con sapiente saggezza femminile dalla fresca, spiazzante ingenuità di un bambino di nove anni, Savino, che perde entrambi i genitori a inizio 800 ( per quei morbi polmonari allora assolutamente letali), e si trova proiettato a vivere nel grande Monastero Carmelitano di Santa Maria della Croce, ivi condotto per mano dallo zio Padre Casto.
Il “librino”, complice la presentazione iconografica dell’illustratrice Serena Marangon, si presenta ingenuamente inoffensivo, quasi a riproporre il precedente dell'”accoppiata”, a fiaba natalizia dedicata ai bambini, mentre al contrario è una vera e propria “bomba innescata” a far esplodere i …. “residuati bellici” tra “Stato e Chiesa”, restati latenti dall’epoca della REPUBBLICA CISALPINA!
Su tutto, “nataliziamente”, la serena luminosa fede del vessato Padre Gerardo Pergami che, quando le sue ignobili, immotivate persecuzioni infertegli dalla “persecuzione fratesca” si erano finalmente, definitivamente concluse (si noti, grazie al prevalere dello “Stato di diritto” sull”Autorità Conventuale !!!) scrive al giovane amico Savino “…..nella vita ciò che si tinge di sofferenza è destinato a lasciare un segno più incisivo sulla nostra coscienza …. per aspera ad astra….”.
Grazie Franco per essere entrato così bene in quell’alveo di storia immaginata che ho voluto restituire in questo piccolo libro. Quando ho incontrato Gerardo nell’archivio storico cremasco mi sono subito appassionata alla sua vicenda, tanto più assurda in quanto vissuta in presenza di spettatori indifferenti, omertosi, in qualche modo complici. Ma mi ha colpito soprattutto la tempra di quest’uomo, che è sopravvissuto a una situazione agghiacciante uscendone lucido e sano. Più cercavo di intuirne i pensieri, le sensazioni, più lui mi sembrava inavvicinabile nella sua grandezza spirituale. Insomma, gli ho voluto bene e la storia l’ha scritta da sè. Sono davvero contenta che qualcuno legga di lui.