VIOLENZA SULLE DONNE: PARLIAMO DI QUELLA “IN ROSA”
Partiamo dal presupposto che le donne spesso (non voglio generalizzare) non sono solidali tra loro. Non ne sono proprio capaci, non sono in grado di stabilire rapporti di complicità con le loro simili, o se succede, capita di rado. Per essere accettata socialmente dal mondo femminile quindi, una donna deve stare in bilico, per tutta la vita, in una sorta di “terra di mezzo”. Passare in sordina con sobrietà e un filino di anonimato per non sembrare nè troppo sfigata né troppo … ehm, donna di facili costumi. Chiamiamola così, vah. Facilissimo inciampare e cadere da una parte o dall’altra. Basta un abbigliamento sbagliato, un successo o una cantonata professionale, dei modi di fare troppo o troppo poco amichevoli verso l’altro sesso, ecc.
La questione è che all’altro sesso, appunto, di tutte queste cose non frega granchè. Gli uomini funzionano in modo molto semplice, spesso neanche si ricordano cosa avevi addosso a un appuntamento. Sono le donne a giudicare le altre donne, fin dall’adolescenza. In modo implacabile, spietato, truce. Le donne sono in grado di distruggere l’immagine e la reputazione di un’altra in cinque minuti, aggiungendo o togliendo a piacimento pettegolezzi atti a raggiungere lo scopo demolitorio.
Se madre natura, ad esempio, ti ha fatto un po’ carina è del tutto probabile che tu sia un’oca. (e una donna di facili costumi, perché no? Già che ci siamo …) Se nasci bruttina sei una sfigata. Se indossi abiti e accessori di tendenza “guarda come si mette in mostra quella”, se non ti interessa la moda sei una sfigata. Se sei una persona riservata, te la tiri. Se sei socievole … Te la tiri. Se dimostri di avere una cultura “ma chi si crede di essere”, se non ce l’hai sei un’oca. (vedi sopra). Non parliamo delle scelte di vita! Se hai più di due figli ti criticano, se non ne hai ti criticano, se lavori troppo ti criticano, se non lavori ti criticano. Se stai attenta al peso ti criticano, se ti sfondi di carboidrati ti criticano.
Il meglio del meglio ha origine dai luoghi di aggregazione e relazione al femminile: palestre, posti di lavoro, gruppi di amiche, ma soprattutto legami di parentela ovvero suocere contro nuore, cognate contro cognate, ex mogli contro attuali compagne, sorelle contro sorelle, madri e figlie, nonne e madri, ecc. La violenza al femminile è all’ordine del giorno: maldicenze, dispetti, denigrazioni e calunnie.
Nei posto di lavoro sono all’ordine del giorno sgambetti e malelingue fino ad arrivare al mobbing. Se una donna ha successo non è perché è stata brava, eh no. Probabilmente è una leccapiedi, la data al capo, o ha avuto solo una gran botta di fortuna.
Donne che analizzano i particolari di discorsi o atteggiamenti con precisione letale. Magari, come tutti gli esseri umani, un’altra ha semplicemente avuto una giornata no, è stanca, pensa alle sue preoccupazioni, non sta bene. Invece siamo pronte a un giudicarla sulla base di poche sciocchezze.
E su chi riversiamo queste maldicenze? Ma sugli uomini, è naturale! Quanti mariti, fidanzati e compagni si sono dovuti sorbire, nella loro vita, filippiche interminabili su “chi ha fatto o detto cosa”.
Cosa devono pensare di noi? Un uomo normale ci compatisce forse. Mentre gli scioriniamo i dettagli di conversazioni, telefonate o giornate di lavoro egli cerca disperatamente di mantenere il contatto visivo, di annuire e, di tanto in tanto, far uso delle paroline magiche “ti capisco” e “hai ragione”.Ma il suo cervello è collegato all’ultimo goal della domenica, alla macchina da portare dal meccanico, alle lasagne e alla forma del suo sedere sul divano.
Invece maschilisti, misogini, narcisisti, e disturbati di ogni genere, questi si, sulla nostre rivalità ci vanno a nozze e le utilizzano per sguazzarci e aumentare il loro potere. Usare le donne a piacimento, sfruttare le situazioni favorevoli a loro vantaggio e operare violenza su tutti i fronti: fisica, psicologica, passivo aggressiva e chi più ne ha più ne metta. Perché non siamo capaci di prendere le difese di un’altra donna, di costruire ponti e reti di supporto affinché una nostra pari non si possa mai trovare in episodi di violenza. Siamo noi, per prime, che con pettegolezzi e commenti acidi, escludiamo socialmente le altre. Dovremmo invece imparare a farci valere senza colpi bassi o giochini manipolatori. Senza vendette, senza competizione e senza invidia. Ma imparare a comprendere l’immenso potenziale che si racchiude nelle alleanze al femminile: quelle relazioni di amicizia, stima e affetto sinceri, dove regna il rispetto, dove la saggezza delle più anziane è un tesoro per le più giovani, dove la parola “dignità” non è solo qualcosa che pretendiamo, ma un abito che indossiamo nei comportamenti di ogni giorno.
Commenti
Ma brava Anna, che analisi!
“E su chi riversiamo queste maldicenze? Ma sugli uomini, è naturale!” ci informi. Non credevo che un’autoaccusa di genere si potesse verificare!
Tranquilli, l’etologia non fallisce, mai! Ieri all’UNI-Crema il relatore di turno esponeva, con splendidi filmati, anche notturni a infrarossi, sugli ungulati dell’Appennino piacentino e reggiano. Orbene, i maschi di cervo al di fuori degli amori si riuniscono in branchi mono genere, a scopo di tutela reciproca, branchi pacifici, di bestioni da oltre duecento chili, pronti a ingaggiare feroci lotte, ma solo al tempo, breve, degli amori. Le fanciulle fanno altrettanto, ma sono branchi turbolenti, percorsi da continue lotte di supremazia, salvo… miracolo! Durante gli amori! E allora tutta colpa di noi maschietti! Ma diamo più amore a questa povere ragazze, che così non litigano! Scusate lo scherzo, fanciulle più o meno cresciute, biologicamente non potrebbe essere diversamente. Forse tutto quest’allenamento alle schermaglie è la chiave nel vostro nuovo successo in gestione economica e politica. Speriamo di non dovervi plaudire anche in tempo di guerra!
Caro Adriano, scrivo talmente “di getto” che il computer non mi sta dietro e mi “mangia” le h. Mi sono accorta ora! Un abbraccio!
Una sincera auto-ironia (auto in senso collettivo), ma anche un bel messaggio finale.
Le donne – lo stiamo toccando con mano anche in questi giorni col Festival sulll’occupazione femminile (domani, presso la Sala Alessandrini, ci sarà il secondo step proprio sulla violenza) – hanno molte carte da giocare (tu parli di immenso potenziale) che spesso non riescono a giocare perché la società, con i suoi stereotipi, non consente loro di farlo.
Sul tema degli sterotipi ha tenuto una brillante lezione domenica mattina la prof. Luisa Rosti, docente di Economia di genere presso l’università di Pavia: stereotipi che sono per lo più inconsci (perfino nelle donne che sono state educate giusto sulla abse di steretipi “sociali”).
In effetti quante amicizie fraterne fra uomini si perdono dopo che i due si son scelti una compagna a vita! Penso proprio che sia più saggio metter le cose a posto e ritornare al matriarcato minoico, tanto di fatto è così! Quanti direttori genrali, capofila di partito, uomini “tutto d’un pezzo” sono prostrati al bordo della gonnella della loro lei! E allora, o troviamo una giusta alchimia prendendone atto o per viver meglio ci inventiamo qualcosa di diverso, ora che non bisogna più prolificare come dictat!
“Cosa vuol dire sono una donna ormai”…(Battisti)
Purtroppo è un aspetto della violenza sulle donne di cui si parla troppo poco. La violenza tra donne è sotterranea, subdola, mascherata dietro falsi sorrisi e frasi di circostanza, per questo poco “attaccabile” ma non meno pericolosa. Agisce a livello psicologico ed è paralizzante per chi la subisce. Oggi il bullismo al femminile è un tema che sta emergendo, per fortuna, anche nelle scuole. Sentirsi esclusa, derisa ed emarginata, puó portare una ragazzina a un crollo dell’autostima, a disturbi alimentari e a una distorsione paurosa dell’immagine di sè, con conseguenze molto gravi. Mi auguro quindi che se ne parli ancora e che si mettano in atto strategie di prevenzione, soprattutto nella fascia critica e fragile dell’adolescenza!
Le donne, dagli uomini, furono considerate per secoli incapaci di ragionare all’altezza dei maschi. Ancora nel 1914 uno degli editor della rivista “The Economist”, Francis Hirst denunciava “l’urlante lotta di donne combattive, bisbetiche e violente” (the shrieking, struggling, fighting viragoes). VIRAGO, il dizionario indica una donna dai tratti, atteggiamenti, idee mascoline. Il termine deriva dal latino “vir” (uomo) e contava assai nella mitologia e i suoi racconti, dove si legge di “donne virago”, cioè eroiche. Nel tempo, il termine ha assunto connotazioni più negative che positive: donna androgina, non si sa se maschio o femmina, rumorosa, chiassosa, rompiballe, da sopportare ma meglio evitare, che non sa stare al suo posto, sgradevole e assolutamente da non frequentare. Queste “viragoes”, nel 1914 domandavano semplicemente il diritto di voto, ma per Francis Hirst e quasi tutti i liberali del suo tempo, per il più importante giornale della classe dirigente inglese, e del capitalismo mondiale (l’Economist), sostenevano che la battaglia delle “donne urlanti” era assurda perchè le donne non hanno sufficiente cervello per poter votare, partecipare a una consultazione elettorale. Hirst scrisse che le “suffragette” devastavano (piliaging) tutto ciò che legava il rapporto armonioso uomo-donna fatto di “love, affection, honor, romance”.
Pankaj Mishra, The Influencer (dedicato ai 170 anni dell’Economist), New Yorker, 8.11.19
Alexander Zevin, Liberalism at Large (storia dell’Economist), Verso, 2019
Ernst Breisach, Caterina Sforza, A Renaissance virago, University Press 1967 (citato da Wikipedia)
Lei ha ragione, signora Anna Zanibelli, agli uomini, in genere, importa non granchè la violenza che i maschi rivolgono quotidianamente alle donne. E’ una vergogna, ma i maschi fanno spallucce, o tuttalpiù dicono che la faccenda non riguarda tutti, ed è vero, ma è una tara maschile, che andrebbe combattuta seriamente, con leggi adeguate; purtroppo le leggi faticano ad essere introdotte, ci sono scappatoie legali, come di recente è accaduto in Spagna. Un dettaglio, che voglio segnalare (perchè la violenza parte da lontano, parte dalla mancanza di rispetto anche mentale che da sempre gli uomini hanno verso le donne) è stato citato ieri, a Milano, in un incontro del Milano Book City, alla Casa della Memoria, quartiere Isola: la violenza è già nel linguaggio, ancora fortemente discriminatorio nel Novecento. “Maestro” è l’uomo, cioè colui che indica la strada culturale da percorrere; “maestra”, indica la donna che pulisce il moccolo al bambino delle elementari. “Signorina”, “zitella” è la donna che non ha saputo trovare marito, perchè la donna che non sa trovare marito, scala di considerazione, mentre l’uomo non è “zitello”. Le donne hanno potuto ottenere il diritto di votare molto tardi; le donne che escono da sole la sera, se incontrano un gruppo di maschi, abbassano lo sguardo, perchè ancora oggi hanno paura, non sono tranquille. E’ una bella vita, così, è la stessa libertà che hanno gli uomini? Non proprio, anche se molte cose sono migliorate, per fortuna. La donna nella chiesa cattolica è ancora discriminata e pesantemente, non ha voce in capitolo, e le decisioni sono tutte al maschile. Un’altra vergogna.
Premessa per sgombrare il campo da possibili equivoci/malevole interpretazioni: no alla violenza sulle donne (ma anche sui minori ed altre categorie di viventi, animali compresi) da parte di uomni, altre donne, istituzioni e chicchessia!
Ciò premesso: diretto e chiarissimo, nel suo realismo il tuo post, Anna (e, conoscendoti, nn poteva essere altrimenti); questo il contesto (nella piccola città, poi!) nel quale si è consolidata l’esistenza della nostra generazione (quella di chi si è ritrovato a vivere in una democrazia post “fascismo/guerra mondiale/costituzione/voto alle donne/boom economico/consumismo/plastica…..” !).
Un periodo storico diciamo …..”creativo” assai.
Appena prima c’era stata la “rivoluzione” che aveva coinvolto il mondo del lavoro, la produzione industriale e, il mondo femminile, ci era stato trascinato (“suffragette”, che è poi un pessimo termine squalificante un movimento che, al contrario, voleva riqualificare!) “scassandone” un ruolo che si era consolidato nei secoli ( e, al mondo maschile, diciamolo, faceva anche comodo assai!).
Se questo è il contesto consolidatosi ( mi si perdoni l’analisi di ….”grana grossa”) è mia convinzione che oggidì ogni conisderazione di “genere” vada rivista secondo un “filtro” diverso: quello che considera ogni individuo come portatore di un “maschile/mentale” ed un “femminile/intuitivo” sui quali, per fare le cose per bene, si deve “lavorare” per portarli/mantenerli in equilibrio.
Quindi cara Anna se, da un lato, condivido la tua centrata fotografia delllo “status al femminile” in atto, dall’altro, credo che se ne possa uscire solo ….cambiando l’approccio così come ho delineato pocanzi.
E, senza delegare al “politico”, al “sociale” (come spesso si fa, in buona sostanza sfuggendo ad una responsabilità!) è un “lavoro” che possiamo/dobbiamo fare solo noi stessi, su noi stessi.
Buon lavoro!
E visto che sono giorni che si ricorda la viiolenza continua, quotidiana degli uomini contro le donne, dedico questa vecchia canzone spagnola, molto ballabile, che fu un gran successo (e che nasconde sottintesi erotici) nella Spagna degli anni ’30, a tutte le donne, gli uomini, insomma a chiunque.
Por la calle de Alcala’ / con la gonna rigida / i fianchi appoggiati alle anche / la fiorista viene e va / e sorride sfacciata / por la calle de Alcala’ rimessa a nuovo. / E al quel tizio da galera che la guarda (Y el gomoso que la ve) / le dice / venga a tirarmi su il bavero (forse, pure qualcos’altro) / e con invidia la guardano tutti / por la calle de Alcalà. / I fiori non costano soldi / e sono i primi a far breccia / vediamo se si decide / non mi sposto da qui / Portali tu i fiori caballero / se li vuole una donna / i fiori non costano soldi / e sono i fiori i primi a far breccia / in una donna / por la calle de Alcalà.
Ho fatto una sintesi (tradotto, in qualche modo e con errori certi), di una canzone che si può ascoltare su internet, molto bella, molto vecchia e assai gioiosa, por la calle de Alcalà. Che poi si mangia sardine a volontà.