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LIVIO CADè

Il seme di mostarda

Confucio, parlando di un mitico imperatore, dice: “Governare l’impero per mezzo del non-fare (wu-wei), ecco ciò che fece Shun. Come fece? Si sedette con atteggiamento rispettoso rivolto verso Sud. Ecco tutto”.

In questo monarca tranquillamente seduto, che non si affanna a stabilire decreti e punizioni, si cela il simbolo di un antico equilibrio tra l’uomo e il mondo.

“Col non-fare si governa l’impero … perché più nel mondo sono i divieti più il popolo si impoverisce, più ingegnosi sono gli uomini più cose mostruose appaiono, quanto più si complicano e moltiplicano le leggi tanto più numerosi sono i ladri e i briganti … col non-fare il popolo spontaneamente prospera”.

Il cinese, più che i concetti, ama le immagini, le metafore dai molteplici sensi: il cuoco cuoce i pesciolini senza rigirarli spesso, per non disfarli; il macellaio disossa il bue “seguendo i filamenti della carne, il coltello scivola attraverso le fessure nascoste, scorre attraverso le cavità del corpo, trova la via che già c’è”, così che la sua lama non perde il filo.

Il non-fare evoca quindi un’arte del vivere in senso lato. Le sue implicazioni sono sia politiche che psicologiche. Il suo spirito si ritrova tanto nelle arti marziali quanto nelle arti figurative, nella cura dell’orto come nell’educazione dei figli. È un agire semplice e spontaneo, senza artifici. Lo si potrebbe interpretare come ‘non-interferire’, ‘laissez aller’, rispettare l’ordine naturale delle cose. Non si può obbligare con la forza un fiore a sbocciare, ma lo si può innaffiare.

“Chi fa guasta. Il saggio non fa perciò non guasta … insegna senza parole, lascia sviluppare gli esseri senza ostacolarli … non agisce, eppure non c’è cosa che non faccia”.

Sedendo quietamentesenza fare nulla, la primavera giunge, e lerba cresce da sé”.

Similmente, Gesù prende a modello gli uccelli del cielo, che non seminano, né mietono o ammassano nei granai; i gigli del campo che non lavorano e non filano; il seme che spontaneamente si sviluppa senza l’intervento dell’uomo.

Il centro dell’agire si sposta dall’autocoscienza alla Vita, perché il non-fare è indipendente dalla volontà: aprendo gli occhi si vede, senza volerlo si digerisce il cibo e il corpo guarisce da sé. In questo non v’è alcun potere personale. La vera forza è la debolezza, cioè lasciarsi guidare dalla Natura. Ma sarebbe fuorviante intendere la Natura in senso scientifico. Non è una catena di fenomeni fisici ma una provvidenza metafisica, un’evoluzione solidale, non una competizione per sopravvivere.

Simbolo perfetto del non-fare è il neonato: non pensa a sé, perciò la sua forza vitale è intatta, non inquinata dalla volontà e dall’arroganza intellettuale:

“Chi possiede la Virtù suprema è simile al lattante … chi conserva la Virtù ritorna allo stato di neonato … come un bambino che ama poppare dalla madre”.

Gesù vide alcuni neonati che poppavano. Disse ai suoi discepoli: questi neonati che poppano sono simili a coloro che entrano nel Regno”.

Non-fare è l’antidoto ai veleni dell’Occidente, ai suoi sogni titanici. Ripristina gli equilibri ambientali, riporta l’ordine naturale nelle relazioni umane. Libera il cuore dai calcoli e dai progetti ambiziosi. Rifiuta tutto ciò che, nella famiglia, nella società, corrompe il corso della Natura. Non ha bisogno di tragedie e di grandi ideali, di martiri ed eroi. Rifugge gli aneliti faustiani, i patti diabolici della scienza e di ogni tecnologia alienante. Nel governare è autenticamente liberale, nel curare asseconda la vis medicatrix naturae. È una via sobria, umile e pacifica, che si accontenta di poco. Se la guardi non ti seduce, se l’assaggi non ha sapore.

“È come un seme di mostarda, il più piccolo dei semi, ma quando cade sul terreno coltivato produce una grande pianta e diventa un riparo per gli uccelli del cielo.”

È inutile farne un’utopia politica o morale. Nessuna epoca ha mai seguito le parole di Gesù o di Lao-Tze, ed è improbabile che accada mai. Noi non sappiamo coglierne il senso. L’ossessione del fare, quindi, ci dominerà per molto tempo ancora.

“Le mie parole sono semplici da capire e facili da mettere in pratica, eppure nessuno al mondo le capisce, nessuno le mette in pratica”.

Dopo duemila e cinquecento anni, è difficile essere ottimisti. Ma forse un seme di mostarda cadrà nel nostro giardino.

 

LIVIO CADè

21 Lug 2019 in Cultura

99+ commenti

Commenti

  • Ho appena letto, Livio il tuo bel post, seduto sul davanzale di una finestra che si affaccia sui silenzi dei boschi della val d’orcia, dove ci hanno ospitato carissimi bravi amici che ci vivono e ci lavorano.
    L’unico commento che mi parrebbe ….all’altezza sarebbe un fotografia, ma purtroppo non si puo’ fare!
    Immaginatela, amici….. cosi’ come io me la portero’ dentro affrontando tra un’oretta il delirio dell’ autostrada che mi riportera’ a casa!
    Buona domenica.

  • Il pericolo è di guardare alla Natura solo come oggetto estetico, sentimentale o scientifico. Quello che spero si capisca nel mio pezzo, è che la Natura è una teofania, una manifestazione del divino, sacra. Dobbiamo liberarci di secoli di teologia e di scienza per ritrovare il senso panico della vita. Non si può capire nulla, ma proprio nulla, del non-fare, se non si capisce prima la differenza tra Naturale e innaturale.

  • Signor Cadè, non saremmo ancora sugli alberi? Il problema è conciliare la nostra visione della vita coi tempi che corrono. È la terza via a cui Lei allude spesso.

    • “non saremmo ancora sugli alberi?” è la classica obiezione di chi non ha capito.

    • Soprattutto, di chi non conosce la preistoria dell’uomo. Accompagnato da tutti i suoi marchingegni tecnologici l’uomo di oggi morirebbe di paura nel giro di pochi minuti se dovesse accadergli ciò che capitò all’antenato primordiale. Siamo inadatti a misurarci con le calamità, né abbiamo la minima idea della risonanza che produce nell’animo umano un disastro planetario. I «day after» di cui abbonda la produzione hollywoodiana, come gli alci giganti e i mastodonti carnivori, li abbiamo visti solo al cinema. Ignoriamo quanto coraggio, capacità di concentrazione, disposizione alla morte e «sapienza animale» ci voglia per fronteggiarli. Siamo dei bambini viziati e complessati che non hanno conosciuto mai neppure la «cultura» di una comunità coesa, la trasmissione dell’esperienza non ci appartiene e non sappiamo cosa significhi progettare il futuro con un occhio al passato, che disprezziamo. Bastano queste poche osservazioni per convincere i più paurosi ad abbandonare il loro mondo per entrare nella Natura? Ma non all’insegna del “plastic free” e guidati dai gretini. Sul serio, stavolta, che è l’ultima.

  • Il problema è conciliare la nostra visione della vita coi tempi che corrono. È la terza via a cui Lei allude spesso. Ribadisco. Perché Lei seleziona, fa un uso strumentale dei commenti, cercando di indirizzarli dove vuole.

    • Cerco di dire quello che trovo importante. Non è un gioco da salotto. Si tratta di buttare qualche seme per il futuro, anche se non vivremo abbastanza per vederne i risultati. Mi basta che un paio di persone capisca. E magari ne parli con altri.
      “I tempi che corrono” dovranno cambiare o saranno la fine dei tempi, questo è evidente.
      E non cambieranno finché non cambierà la nostra visione della vita.

  • Una visione astratta della vita, inattuale senza fare i conti coi tempi che corrono, è assolutamente sterile. È il Suo un gioco da salotto.

    • Va bene. Lasci perdere. Pensi ad altro.

  • Consiglio accolto.

  • Caro Ivano, questa di cui si parla non è una ‘visione della vita’…è un po’ il contrario, come se ci si lasciasse guardare dalla vita…difficile spiegare… non è un’idea ‘astratta’ ma molto molto concreta, non è ‘inattuale’ ma totalmente contemporanea, dato che si fa istante per istante! Provare a scorrere nell’esistenza che ci è data, adattandosi come l’acqua…quella che abbiamo è la migliore delle vite possibili per noi, ma tanto più quanto più riusciremo ad assecondarla…lottare è immane e inutile…wu wei penso sia un orientamento da metabolizzare nel silenzio…

    • Cara Elena, capisco sempre meno. Capisco la necessità di cambiamento di un mondo che è sotto gli occhi di tutti e così complesso che non si saprebbe da che parte cominciare. Elena, io non conosco il suo percorso di vita, e non dubito che Lei alcune cose le abbia capite con tutte le declinazioni che ne possono derivare in termini di sottrazione, scelte, rinunce, perché un trasferimento dal pensiero alle azioni va fatto. E qui che io, sospettoso, per quel poco che ho letto di Lei su questo blog, ritengo che non ci si possa sottrarre dell’attualità vischiosa in cui siamo immersi. Parliamo di etica, di costumi, di politica, magari Lei si esprime poco, ma se riassumo tutte le informazioni, magari lette tra le righe, che ho ricavato da anni di confronto su Cremascolta, mi rimangono sempre seri dubbi sulla veridicità di alcuni interventi, ed è per questo che parlo di astrazione quando io purtroppo mi confronto, come tutti, sulla concretezza che affrontiamo tutti i giorni.
      Tutto qui Elena, e mi permetta qualche diffidenza. Per questo io parlo dei tempi che corrono, a noi è stato dato questo, è a questo non ci si sottrae, e affidarsi a nostalgie culturali fuori spazio e tempo credo porti a ben poco. Ci si scanna quando si parla di politica e di tutto il resto, e questa secondo me è la prova di impossibile astrazione. Se poi Lei riesce, e mi ripeto, a vivere fuori dalle coordinate geografiche e temporali, dai condizionamenti culturali, economici, politici, allora è brava. Io credo che la realtà sia prepotentemente e violentemente incidente. Ed è così faticoso conciliare quello che vorremmo con quello che è che mi stupisco che alcuni siano così fortunati da riuscirci.

  • Si pensa che ‘gli esperti’ (politici, medici, economisti,scienziati ecc.) debbano ‘fare’ qualcosa per migliorare il mondo.
    E non si vede che più questi ‘fanno’ più il mondo va in malora.
    Non vediamo che il ‘sapere’ e il ‘fare’ che dovrebbero salvarci sono invece quelli che ci mandano in rovina.

  • Si può, concretamente, applicare il non-fare alla politica, all’economia, alla medicina (per citare gli unici aspetti che sembrano veramente importanti oggi)?
    Certo, si potrebbe. Se i politici a Bruxelles si astenessero dal fare alcunché, l’Europa respirerebbe un po’. La gente sarebbe probabilmente meno povera se gli economisti smettessero di fare lezioni sull’economia. E tanta gente starebbe meglio se ci fossero meno medici a fare esami e terapie.
    Ma questo non è possibile. Non siamo pronti al non-fare. In questo senso si può dire che non è concreto. Ma io non intendo cambiare l’Europa o le prassi ospedaliere (credo che nessuno qui abbia il potere di farlo).
    Cerco solo di non-fare nella mia vita e di condividere alcune riflessioni.

    • Ho dimenticato la tecnologia: se smettessero di fare dispositivi balordi…

    • Cadrebbe tutto lo scenario di cartapesta. Non ci contare.
      Ognuno pensi a salvare se stesso.

  • Serve che io dica che proprio non mi coinvolge? Capisco bene il senso, lo capisco fisicamente, dai miei anni di arti marziali (certo, ero in gran forma). Ero abile nel rivolgere giganteschi avversari contro se stessi. Ma risultato? Il fare di qualcun’altro da cui trarre vantaggio. Sulla scienza poi, proprio non posso tacere: senza non solo decade la mia vita, come filo conduttore, ma tutte le derivate del sapere, a nche la tua musica Livio, frutto di un fare, quello del mio cordaio!
    Non facciamo assolutismi: certe volte è meglio non fare, come sta cercando di fare Salvini in questo fine settimana.
    Fare il non fare è poi un criterio al singolare, ma io voglio la pluralità, il pan-organico pensante unico.
    Fare pensiero e non cose, allora ci siamo.
    P.S. Quante volte ho scritto “fare” per parlare del “non fare”?
    Troviamo la proporzione mettendo al numeratore questo dato e al denominatore tutti gli altri verbi che ho usato e la lingua stessa mi avrà segnato la rotta.
    Vedo comunque che tutti e due abbiamo messo l’ago ad oriente questa settimana.

  • “Ognuno pensi a salvare se stesso.” A volte lo penso. Però, Rita, usiamo ancora la metafora del seme. Tu hai nel tuo giardino una pianticella della Tradizione. Perché? Perché qualcuno ha lasciato cadere qualche seme della Tradizione nel tuo giardino. E credo che lo stesso dobbiamo fare noi, pur nei nostri limiti molto modesti. I più rideranno. Pazienza.
    “Quando gli uomini volgari sentono parlare del Tao, ridono. Se non ridessero non sarebbe il Tao”.

    • Ognuno pensi a salvare se stesso nel proprio ambito, intendevo, senza farsi prendere da idee assurde del tipo “salviamo l’umanità”, entità alquanto fumosa per la quale non c’è speranza di salvezza. Come miliardi di miliardi di altri esseri umani che sono transitati su questo pianeta anch’io nel mio piccolo lascio dei semi, ancora però non ho capito perché: a mia insaputa la Natura ha deciso per me, oppure il piacere di “piantare” supera di gran lunga quello di sapere che un giorno da quel seme nascerà una pianta? Non so, ci sto pensando.

      Alla faccia del libero arbitrio, io credo che tre quarti di ciò che facciamo sia già compreso in un disegno infinitamente più grande di noi di cui le religioni, nel tempo, hanno tentato di impossessarsi, non sapendo tuttavia cosa farne. Conosciamo tutti le loro azioni maldestre.

    • Rita, come abbiamo già ricordato, non è l’uomo che conta ma l’essere. L’essere non è ‘umanista’. Questo ovviamente farà di noi dei ‘disumani’, è logico, così come il non-fare significa ‘tornare sugli alberi’.
      Mi ricorda un antico detto: “quelli che seguono cammini diversi non hanno nulla di utile da dirsi”.
      Il libero arbitrio? Credo non esista, ma è meglio credere il contrario.

    • Si certo, io infatti lascio carta (quasi) bianca all’essere. Mi adeguo. Seguo il cammino che mi è stato assegnato e noto, purtroppo, che è sempre pieno di cose da fare. M’è toccata la casta dei lavoratori dello spirito. Acc………

    • Rita, non siamo mai ‘noi’ che facciamo, ma è sempre qualcosa che si fa attraverso di noi.
      (“Solo il Brahman agisce”)… Anche questo è il senso del non-fare. Però noi sentiamo la fatica.

    • Caro Livio, sapessi quanto ho voluto sentirmi giglio ultimamente e mi sono ritrovata a ripetere come un mantra la frase evangelica. Potere delle parole!
      Il fatto è che comprendere le cose più semplici a volte è difficilissimo; affannarsi, cercare di avere il controllo, programmare, agire sono modi di ‘fare’ che facilmente allontanano dalla comprensione. Perché ci confondono impedendoci di attingere ad altre stupende facoltà che tutti possediamo, ma che abbiamo dimenticato come abbiamo fatto con gli organi vestigiali, relitti di un’evoluzione che ci sta portando troppo lontani dal centro, dalla forza vitale di cui parli tu.
      Frequente è il riferimento delle parole di Gesù a tutto ciò che è umile, semplice, piccolo, come qualcosa di prezioso eppure alla portata (“Se aveste fede quanto un granello di senape…”): chiarissimo quindi il tuo riferimento al ‘non fare’, che non è certo la scelta dell’anacoreta ma piuttosto un’inclinazione benefica alla quale noi occidentali dovremmo convertirci per cercare di vedere ‘la via che già c’è’.
      Personalmente, quando un seme di mostarda cadrà nel mio giardino, io voglio avere l’occhio limpido per vederlo.

    • Secondo me, Silvia, quel seme è già caduto nel tuo giardino.
      Guarda bene. Quante volte non vediamo ciò che abbiamo davanti?

      Anche “il vedere”, comunque, è “un fare”. Quante persone, sonnecchiando sotto un melo, sono state svegliate dall’improvviso colpo di un frutto maturo sulla loro testa? Ma quando questo è accaduto a Newton, che sapeva “vedere”, è cambiato il mondo.

  • Adriano, io non voglio coinvolgerti e nemmeno convincerti. Le nostre prospettive sono inconciliabili. Il succo del non-fare è: seguire la Natura. Ma il nostro concetto di Natura è inconciliabile, quindi..
    Sulla corda, io dissento. La neutralità dello strumento è una pia illusione.

  • Così come il suo elogio dell’ignoranza, signor Cadè, mi era sembrato l’elogio di una diversa e migliore conoscenza, ugualmente questo suo apprezzamento del non fare mi sembra l’apprezzamento di un diverso e migliore fare o lasciar fare.

    Leggendo mi ha colpito la descrizione di un modo di essere che è sostanzialmente quello del mondo vegetale, il mondo più antico in ambito biologico, quello che probabilmente riuscirà ad avere sviluppi evolutivi più duraturi. Perché il problema è ancora quello di cui abbiamo discusso in riferimento alla terza via. C’è qualcosa in noi uomini, in noi animali, in tutto il regno animale, che tende a contrastare questo modo di essere, che sarebbe così naturale, così comune al resto del nostro mondo.

    C’è qualcosa di profondo, radicato, che genera opposizione. Non è solo il “fare”, il “combattere”, il “colpire”. Non lo so, a volte si è chiamata “violenza”, altre volte “conquista”. Insomma, c’è qualcosa che ci spinge a non seguire il flusso naturale che lei descrive. Questo rende difficile identificare un quadro di riferimento come quello da lei ipotizzato, almeno in termini generali e sociali. Certo, il livello individuale, anche il livello dei pochi, magari il livello di comunità di certe dimensioni può consentire applicazioni di questo modo di essere.

    Ma basta che qualcuno alzi la clava e il modello si spezza.

    • Certo, esiste una ‘dotta ignoranza’, ed esiste una ‘inazione operosa’.
      Lei ha ragione, c’è il problema della contrapposizione. Per esempio, una società che adotta il principio della non violenza può prosperare solo finché la società violenta lì vicino non la sottomette.
      Ma il non-fare, cioè l’adottare una condotta di vita naturale, che non alteri gli equilibri e l’armonia della Natura, è un caso diverso. Si tratta di prender coscienza di una necessità fondamentale e comune.
      Non è uno stile di vita per piccole comunità privilegiate, ma dovrà essere il perno della società futura, della sua cultura, e sostituire l’attuale plutoteologia. Per ora, è un’utopia. Dovremo affrontare periodi terribili prima di arrivarci. Le bestie si portano alla pastura a forza di botte. Ma si può cominciare a parlarne.

    • Molto chiaro, grazie.
      E sono d’accordo sulla possibile funzione del dolore.
      Ma dovrà essere, storicamente, un dolore molto forte, di una forza tremenda, per riuscire a cambiarci, soprattutto a cambiarci stabilmente e in senso generale, non lasciando in giro tentazioni di sopraffazione da una parte o dall’altra del mondo. Se no, si ricomincia a scannarsi.
      Non lo so, la vedo molto difficile. Ma vale certamente la pena di incominciare a parlarne.

  • Beh, ci sono sempre le guerre. Partiamo da lì? Ma dopo la mia morte, prego.

    • Le guerre non bastano, l’abbiamo visto.

  • Silvia, trascrivo il passo dei Vangeli che più amo:
    «Il regno di Dio è come un uomo che getta il seme nella terra; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce; come, egli stesso non lo sa. Poiché la terra produce spontaneamente, prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga».
    In poche parole tutto il non-sapere e il non-fare di cui ho cercato di parlare.

  • Forse si dovrebbe distinguere il fare per se stessi dal fare per gli altri, nel senso di educarsi al senso di responsabilità quando il nostro agire ha ricadute sul prossimo. Ma vallo a dire ai trafficoni del fare, dell’inventare e del guadagnare. Da che mondo è mondo naturalmente. Saremmo altrove altrimenti.

    • Dal mio punto di vista non c’è una sostanziale differenza. Se il ‘fare’ è sbagliato, cioè contro natura, poco cambia se sia rivolto a noi o ad altri.

  • Il fare non è sbagliato. Un neonato non cresce da solo, con le inevitabili conseguenze. Secondo me fare si deve e gli uomini, a differenza di vegetali e minerali, non si possono sottrarre. Le civiltà, le culture, non avrebbero potuto non svilupparsi. Che poi sia bene o male è altra questione. Perché proprio non riesco ad immaginare, e comunque la fantasia non servirebbe a niente, un mondo del non fare. Poi interferire sul nostro fare o il fare degli altri, in termini di giudizio porterebbe ancora da altre parti. Noi, a differenza di alberi e pietre ci muoviamo. Il fare, per gli uomini non è contro natura. È necessario. I regni sono diversi tra loro.

  • Va bene, ma questo ignora ogni distinzione tra un fare naturale, giusto, e un fare innaturale e quindi sbagliato. Si può fare questa distinzione?
    Inoltre, quella che qui ancora non è emersa ancora è l’idea più radicale del ‘fare’. Il vero ‘fare’ consiste nel costruire il nostro mondo attraverso una serie di concetti, di percezioni e di immagini che ci vengono trasmesse attraverso l’educazione e che vengono poi sostenute, alimentate e rafforzate mediante un consenso sociale. In questo senso noi’ facciamo’ la realtà istante dopo istante. Qui si pone anche il senso più radicale e profondo del ‘non-fare’, cioè la capacità di liberarsi dai nostri condizionamenti più potenti.

    • ” ancora non è emersa ancora”… pardon, la fretta…

  • D’accordo. Che siamo animali sociali, con annessi e connessi, è scontato, è che siamo figli di educazione, culture e tempi è altrettanto scontato. Come è scontato che molti nostri comportamenti sono indotti. Poi ognuno per sé sottrarsi, non in nome di un naturale che non ci basterebbe più neppure per sopravvivere, ma in nome di un culturale che ormai determina il nostri destino di animali bene o male evoluti. Per questo qualche commento fa parlavo dei tempi che corrono ai quali é impossibile sottrarsi. Non rimane altro che tentativi spesso sterili di opporvisi in una mediazione difficilissima. Il resto è utopia, o poesia, o Vangeli.

    • Io sto con il resto.

  • Impossibile. Avrà anche Lei una vita quotidiana. Mi sbaglio? Qui si tratta non di salvare il mondo, ma neppure di ergersi a nuovi Messia. Poi ci si può anche crogiolare nel “resto”, almeno finché le incombenze di tutti i giorni non ci risvegliano dai sogni. Non siamo della materia di cui sono fatti………

    • Nel mondo ma non del mondo.

  • Ma per piacere, addirittura si è messo a parlare di politica, esprimendo simpatie e tolleranze che te le raccomando col “resto”. Si chiarisca le idee signor Cadè. Lei è nel mondo come tutti. Poi ogni tanto si permette di sognare, che poi non è così grave. Se poi Lei crede di essere meglio di altri, che i suoi sogni siano più nobili di altri, questa soddisfazione se la tenga. Ma se ogni tanto mettesse i piedi per terra, secondo me, oltre a superare le contraddizioni che io spesso ravviso, l’aiuterebbe a conciliare sogni e realtà. Perché sta tutto qui.

    • Forse è meglio “del”, anche se questi giochetti linguistici lasciano il tempo che trovano.

    • Grazie dei consigli. Cercherò di chiarirmi le idee.

  • Su’ signor Cadè, non sia permaloso
    Abbiamo tutti qualcosa da imparare o correggere. Comunque se ha bisogno io ci sono. 😊😊😊

  • Quello che mi colpisce di Lei, signor Macalli, è la Sua tendenza ad assumere in queste discussioni il ruolo del maestro, cioè di quello che ‘sa’ cos’è reale, sa cos’è concreto, sa cos’è giusto e importante nella vita ecc., e vuole insegnarlo a quelli che invece non ‘sanno’.
    Lei fa sempre affermazioni perentorie senza argomentarle. La Sua visione del mondo è per Lei l’unica ammissibile e, di qualsiasi cosa si parli, Lei vuole insegnare, disilludere, riportare alla ‘realtà’, alla ‘concretezza’, ‘coi piedi per terra’ ecc., chi ha idee diverse dalle Sue.
    Naturalmente ognuno può guardare da prospettive diverse a certi fatti, valori ecc. E ognuno cercherà di difendere il proprio punto di vista. Ma se qualcuno non è un bravo scolaretto e rifiuta le Sue lezioni Lei diventa aggressivo o beffardo, a volte offensivo.
    Penso che Lei lo faccia inconsapevolmente e anzi dirà che sono io ad avere questa velleità di insegnare e di imporre le mie idee (fantasie, sogni, onanismi mentali, secondo Lei).
    Ma io non faccio il maestro di mestiere. Mi limito a parlare di argomenti che mi interessano. Se qualcuno capisce e condivide il mio interesse mi fa piacere. Se no, pazienza. Non penso certo di conoscere la verità. Anche Lei però dovrebbe avere qualche dubbio.

    • Questo è un esempio concreto di Pensiero Sinistro. Brrrrr ……. !!

  • Sono sempre suggestivi i tuoi post, Livio, e sempre provocatori nel senso migliore del termine, obbligano cioè a riflettere, a mettersi in discussione.
    Una mia considerazione?
    Ripeto lo schema della mia riposta al tuo penultimo post: come scrivevo allora che di fatto noi tutti conviviamo con varie forme di “sapere” (dai risultati della scienza e della tecnologia – usiamo tutti il pc e il cellulare – ad altre forme che ci suggeriscono i modi per dare un “senso” alla vita, un senso che la scienza non può darci), così posso dire che in realtà noi tutti, in misura maggiore o minore, conviviamo con il “non fare” e “il fare”.
    Se possiamo permetterci, anzi, di conversare sul “non fare”, sulla vi della contemplazione, è perché altri – scienziati, tecnici, contadini, operai… “fanno”, anche facendo una sorta di “violenza” alla natura.
    Se la mortalità infantile si è ridimensionata in modo miracoloso, se non si muore più di certe malattie infettive, questo è dovuto al fatto che “scienziati” hanno trovato (con la ricerca – che non è un… lasciar fare) gli antidoti.
    Se un domani (non so sarà il paradiso o no) la nostra vita sarà meno faticosa e magari sarà libera da ogni lavoro ripetitivo o addirittura dal “non lavoro” e quindi potremo darci alla contemplazione, a godere delle cose semplici della natura, ad assaporare la sua bellezza, la bellezza della vita (di ogni istante della vita), è perché scienziati e tecnici ce l’avranno consentito.

    Noi, Livio, siamo privilegiati: sono altri che vivono dovendo fare continuamente “violenza” anche a loro stessi per poter vivere (o sopravvivere).

    • Caro Piero, ho il sospetto che la tua formazione intellettuale ti impedisca di cogliere il vero senso del non-fare di cui ho parlato. Non ha niente a che vedere col non lavorare, con l’oziare, col contemplare. Un contadino può lavorare da mane a sera, e altrettanto può fare uno scienziato, e tuttavia ‘non-fare’.
      Quanto poi la scienza, col suo ‘fare’, abbia prodotti benefici per l’umanità, per la vita su questo pianeta, o quanto invece abbia fatto danni, è un altro discorso. Io, comunque, ritengo abbia fatto più danni.

    • Caro Piero, non si muore più di certe malattie perché si muore di altre.
      L’unica differenza è che cent’anni fa t’ammalavi e morivi mentre oggi vivi gli ultimi tot-anni della tua vita da ammalato. Non so fino a che punto sia una una vita.

  • Su cosa sia la realtà credo non ci siano argomenti se non desunti dalla propria esperienza o formazione o sensibilità, tradotte più o meno bene attraverso il linguaggio. Ma non è questo che ne determina la veridicità. Poi è normale che ognuno difenda le proprie posizioni. Non ricominci allora a fare la vittima e non accampi argomenti che tali non sono. Io nel suo post di argomenti non ne ho trovati, o perlomeno non di spessore superiore ai miei. Ho trovato sogni o proposte che un materialista come me considera solo irricevibili, senza giudizi insindacabili, come in tutte le discussioni o confronti, e anche da parte mia con nessuna ambizione di convincere l’interlocutore. E il tono beffardo non ha mai ucciso nessuno. Quando Lei lo usa nei miei confronti non ne faccio una tragedia. Non si ricominci con le solite menate.

  • “Un contadino può lavorare da mane a sera, e altrettanto può fare uno scienziato, e tuttavia ‘non-fare’.” Cosa significa? Senza argomenti è difficile capire. Faccia Lei il maestro adesso, visto che anche Piero non capisce.

    • Mi sembra di averlo spiegato abbondantemente. Ripeterei cose già dette. Se ancora non è chiaro mi dispiace.

    • Si, in effetti, prima di “trovare gli argomenti” bisognerebbe capirli.
      Anch’io se mi mettono davanti un’equazione complessa con più di una variabile “non trovo argomenti” e vado a farmi un giro in campagna, che è tutta salute.

  • Quante chiacchiere inutili.

    • Non sei tu quello che scrive post-lenzuola modello cine-panettone-di Natale? No, forse è un altro, ho perso il conto degli alias.

  • Per la serie “chiacchiere inutili”.
    Un altro aspetto importante del non-fare si lega al concetto paolino (poi in Agostino e in Lutero) secondo cui la salvezza non si ottiene con le opere: “È per grazia che siete stati salvati, mediante la fede; e ciò non viene da voi; è il dono di Dio. Non è in virtù di opere”.
    Questa idea contraddice ogni ‘fare’ di tipo morale o sociale che abbia la pretesa di salvare l’uomo.
    Il linguaggio teologico di Paolo è molto lontano nella lettera dallo spirito cinese, il quale ovviamente non usa le categorie della fede e della grazia in senso cristiano, ma offre dei punti di contatto. Anche questo esempio può forse aiutare a capire il non-fare.

    • Preciso: naturalmente Paolo non dice di stare in panciolle, ma di praticare ‘opere buone’. La bontà delle opere consiste nella loro aderenza alla volontà di Dio, cioè nell’ubbidire a Dio.
      Per Lao-Tze, in modo simile, il non-fare consiste nell’agire in modo semplice e naturale, cioè nell’ubbidire alla Natura invece che ai propri desideri.

  • Un esempio convincente del ‘fare-nonfare’ è il racconto autobiografico di Masanobu Fukuoka “La rivoluzione del filo di paglia”.
    Invece di usare le più svariate tecniche dell’agricoltura moderna, Fukuoka faceva il contrario: “cercavo un modo simpatico, naturale di coltivare che si risolvesse nel rendere il lavoro più facile invece che più duro”. E a furia di chiedersi “Se provo a non fare questo?” egli arrivò alla conclusione che non c’è alcun bisogno di arare, né di dare fertilizzanti, né di fare il compost, né di usare insetticidi. “A ben guardare sono poche le pratiche agricole veramente necessarie. La ragione per cui le tecniche avanzate sembrano necessarie è che l’equilibrio naturale è stato precedentemente così sconvolto a causa di quelle stesse tecniche che la terra è diventata tale da non poter fare a meno di loro”.
    Alla faccia del nostro detto secondo cui “l’orto vuole l’uomo morto”!

    • Anche Mircea Eliade nella sua celeberrima “Storia delle Religioni” dice che le prime tecniche agricole furono “celebrazione del mistero della rinascita, del mistero del seme interrato che muore e ridà nuova vita”. Poi è cominciato lo stress del vangare, arare, produrre, vendere, perché il senso del limite non appartiene al genere umano.

    • Elena, il problema è demografico: riuscire a produrre cibo per tutti.

    • Fukuoka è un ottimo esempio del fare-non fare (wei-wu-wei). Questo è il senso.

  • Signor Macalli, non è così difficile produrre cibo per tutti. Basterebbe la buona volontà. Per esempio non mangiare carne. Per esempio coltivare vaste aree a frutta e ortaggi. E imparare a rinunciare al superfluo. Noi ci ingozziamo e poi facciamo le diete. Lei non può comprarsi il filetto e poi dire che il problema è demografico. Il problema è Lei.

    • ‘Lei’ come espressione di un certo modo di pensare e di comportarsi che è comune a miliardi di persone, purtroppo.

  • Meno male, non avrei voluto sentirmi l’unico responsabile di tutti i mali del mondo. Se dati alla mano e proiezioni però è dimostrabile, pur non considerandolo l’unico problema del mondo, potrei rinunciare al filetto. Ma si dovrebbe rinunciare anche ad altri vizi contemporanei, al pc, alla macchina, al riscaldamento, a tutte quelle comodità che scienza e tecnologia mi hanno messo sul piatto. Non credo che si possa salvare il mondo procedendo a settori, ma non credo neppure che la complessità si possa affrontare nel suo insieme per come intende Lei. Anche se si dovrebbe. Il mio disincanto, per questo parlo dei tempi che corrono, mi induce a pensare che tutte le soluzioni proposte, pur con le migliori intenzioni, mai prescindano da ideali che con la concretezza nulla hanno a che fare. Che poi Lei pensi che in questo momento storico si debba cavalcare la tigre dell’utopia piuttosto che un pragmatismo all’ultimo stadio, io credo esattamente il contrario. Piuttosto del disastro annunciato io mi aggrappo al buon senso del salvare il salvabile. Magari con lo strumento della politica, ma anche qui vedo che io e Lei siamo inconcilibili. Perché anche in questo caso, ho già fatto riferimento questa mattina, ho l’impressione che nel suo ideale Lei si riferisca alla totalità, ma che alla fine nel concreto Lei intenda riferirsi al suo orticello. Non so, magari mi sbaglio, anche quando la prendo poco seriamente.

  • La medicina offre ai malati di cancro, in molti casi, di allungare la vita in discrete condizioni. Parlo anche di altre malattie. Senza generalizzare ad ognuno il diritto di accettare o meno le terapie. Perché forse l’attaccamento alla vita è più forte degli effetti collaterali che hanno. La morte di effetti collaterali non ne ha. Io credo che le proverei tutte fino allo sfinimento prima di rassegnarmi. E con me credo quasi tutti. Almeno, questa è la mia esperienza di osservatore.

    • Scusa ma il cancro da dove viene? C’era su questa Terra prima della seconda metà XVIII secolo, quando iniziò l’industrializzazione? Quindi il meccanismo quale sarebbe: prima creo la malattia e poi “studio” il modo di debellarla? A pagamento, s’intende.
      Ma allora, siamo dei perfetti idioti! Diciamocelo, almeno.

  • Visto che non rinuncio al pc, all’auto, al riscaldamento e ad altre comodità, perché dovrei rinunciare alla carne? Giusto, è logico. Lasciamo che sia la politica a salvare il mondo. Beato Lei che ci crede. E poi dice di essere ‘concreto’, ‘coi piedi per terra’. Più sognatore di così!
    E poi, mi scusi signor Macalli, Lei si vanta di esser pragmatico e si lamenta che queste discussioni sono chiacchiere inutili. Ma Lei pensa che quello che Lei o altri scrivono su questo blog – su scienza, politica, società ecc. – abbia effetti pratici, come li intende Lei?

  • In tutti i casi esiste, e non l’ho creato io. Se poi c’è qualcosa che ne allevia i sintomi ben venga.

    • Si, certo, tutto quello che c’è, esiste. Geniale intuizione. Ma chi non capisce le cause dell’insorgere di un fenomeno poi non ha gli strumenti per analizzarne lo sviluppo, né gli effetti collaterali. E, difatti, non capisce. I conti tornano.

      Gli analgesici comunque (il tkheret) c’erano anche ai tempi dei Faraoni.

  • Signor Cadè , so bene quale potrebbe essere l’incidenza di Cremascolta. Per me fa solo parte del “fare” che Lei aborre tanto. E chissà di riuscire a fa cambiare idea a qualcuno.

    • “Non capisco ma mi adeguo”.

  • Il non-fare potrebbe trovare la sua più urgente applicazione proprio in una medicina come la nostra, dominata da un ‘fare’ invasivo, innaturale, violento e distruttivo, che capisce sempre meno dell’uomo ma ‘sa’ sempre di più.

  • So che è una fantasia, che è impossibile.
    Ma in effetti noi non sappiamo che cosa succederebbe davvero se tutto il mondo, tutti gli uomini, proprio tutti, smettessero di “fare” e si fermassero. Diciamo per un periodo non lungo, anche solo per un mese. Un mese di “non fare”. So che il “non fare” è un concetto che ciascuno di noi intende come gli pare e piace. Facciamola semplice. Diciamo il “non fare” esattamente come lo intende il signor Cadè.
    Un mese. Che cosa succederebbe?
    Nessuno di noi lo sa.
    Danni? Vantaggi? Tutto come prima? E chi lo sa?
    Ovviamente è un’idea di quelle che non si realizzano mai.
    Ma fino a quando non succederà, avremo il piacere di dibattere sulla questione senza nuovi rischi.
    Però anche, forse, senza nuove opportunità.
    Le elezioni si “farebbero” ancora? Si “farebbero” i governi?
    Confesso che l’idea di mandarli tutti a girar campane tibetane e meditar sui mandala potrebbe non essere poi così male.

  • Per Rita delle 20:02 di ieri. Non conosco la cause né ho gli strumenti….Verissimo, ma non so neppure come funziona un pc e altri marchingegni che uso quotidianamente. Leggo le istruzioni e li metto non azione. Nessuna genialata, neppure il tuo commento lo è, non volevo scoprire proprio niente. Semplicemente provo ad immaginarmi in una situazione e ipotizzo quale potrebbe essere la mia reazione, come probabilmente fai tu. Certamente non capisco come funziona un farmaco, ma se chi di dovere mi dice che funziona non ho altra scelta che affidarmi. Tu cosa faresti se ti ammalarsi di cancro o altro? Ti metteresti in stand by, studiandone cause ed effetti e storia della malattia prima di affrontare le stazioni possibili? Schiatteresti prima di cominciare. Fai tu.

    • “non ho altra scelta che affidarmi”. La Sua fede è commovente. Sembra quasi che tutto in Lei sia fede. Se Lei invertisse la rotta, sarebbe un santo.

    • Vedi Ivano, la differenza tra te e me è esattamente questa: tu hai la fede (manifestandola in ogni ambito), mentre io non ce l’ho. Tu sei un uomo religioso e io sono una donna spirituale. Tu t’infiammi per i cosiddetti “diritti umani”, io per il Sacro. Viviamo in mondi paralleli le cui linee rette non s’incontreranno mai. Non mi permetto di parlare a nome di altri ma, se posso esprimermi, mi sembra di capire che anche con Livio il gap, grosso modo, sia lo stesso.

  • “Non ha niente a che vedere col non lavorare, con l’oziare, col contemplare. Un contadino può lavorare da mane a sera, e altrettanto può fare uno scienziato, e tuttavia ‘non-fare’.” In altro passaggio il signor Cadè dice anche “Preciso: naturalmente Paolo non dice di stare in panciolle, ma di praticare ‘opere buone’. La bontà delle opere consiste nella loro aderenza alla volontà di Dio, cioè nell’ubbidire a Dio.”. Quindi Pietro, anche tu non hai capito. Quanto alla tua ipotesi di non fare nulla, tutti, per un mese, gli esiti sarebbero prevedibilissimi. Tutto il mondo a catafascio. Anche in meno di un mese.

    • No, il signor Martini ha capito benissimo. Ma si diverte a giocare con le idee.

  • Per il signor Martini. Quando si vuol rendere un’idea assurda la si porta alle estreme conseguenze. Ma uno degli insegnamenti cardine del non-fare è il riconoscere e il rispettare il limite. Ed è una capacità che noi sembriamo aver perso. Quindi ogni idea deve avere un freno e questo freno glielo pone la realtà. L’idea di libertà è buona, ma può degenerare nel liberismo e divorare la società come un cancro. Occorre fermarla.
    L’idea di fermare il mondo è buona. Ma cosa significa per noi, adesso? Significa liberarsi da una struttura ideologica che, nella sua essenza profonda, danneggia la vita.
    La medicina, io credo, è il non-fare, cioè ripristinare una relazione armonica tra uomo e natura. Ma il non-fare è inestricabile da un ‘giusto mezzo’, da un senso di misura e di equilibrio.
    Quello che Lei chiede è ovviamente impossibile, perché manca di misura. Possibile sarebbe invece guarire lentamente, come si purifica l’acqua torbida mescolandola con acqua pulita.
    Occorre riconoscere ciò che nella propria vita e nella società contraddice la natura, cioè contraddice la logica stessa della vita.
    La reazione comune è pensare che sono ‘chiacchiere inutili’, perché il mondo è sempre stato così ecc.. E poi, nel relativismo delle idee, delle opzioni interpretative, tutto diventa grigio, tutto è questione di punti di vista, tutto diventa gioco intellettuale.
    Io credo invece che la realtà esista e che esistano idee che la rispecchiano più fedelmente di altre e che vi siano azioni che giovano e altre che nuocciono. Non possiamo continuamente sospendere il giudizio perché “ogni prospettiva è legittima”.
    Noi, a mio avviso, ci troviamo alla fine di un ciclo storico, che è durato circa sei secoli. La fine di un ciclo pone enormi problemi. I nostri paradigmi, sociali, economici, scientifici ecc., dovranno cambiare e non sarà facile. Ma sarà anche inevitabile. Il mondo si fermerà davvero, ma solo per poter ripartire.

  • Cadè delle 06:51. Le rivolgo la stessa domanda che ho posto a Rita: se si ammalasse cosa farebbe? Quanto alla fede, nessuna, glielo assicuro, ma pragmaticamente non avrei altra scelta.

    • Se mi ammalassi di che? Comunque, sono decenni che non prendo farmaci. Se non sto bene aspetto che passi.

    • Una cosa mi sembra di aver capito: i sostenitori più accaniti della scienza medica sono gli ipocondriaci, che probabilmente camperanno cent’anni perché lo ha deciso la Natura.

  • Rita, diciamo che io sono religioso, forse, tu no. Accontentiamoci.

    • E’ quello che ho detto. La religione, poi, implica tutta una serie di fattori estremamente riconoscibili. Riti e culti, principalmente.

    • In effetti la nostra cultura attuale si basa su forme degenerate di religiosità. Ci sono i sacerdoti, i profeti, gli idoli, i dogmi, i tabù, le liturgie, le eresie, le inquisizioni, la fede cieca ecc.. È religiosità in stato putrefattivo. Basta addirittura un quotidiano per sostituire il Vangelo.

  • Non-fare significa anche non costruirsi un mondo immaginario. Lei, signor Macalli, crede al potere della medicina. Ma è appunto una credenza, come la fede negli ‘esperti’ che dovrebbero salvarci. Lei crede nella ‘materia’ ma, se ci fa caso, non c’è niente di materiale in questo. Io credo a quello che vedo e ho poca immaginazione. Certo, non si vede solo con gli occhi.

  • ….raga, mi verrebbe da dire…… ma non avete proprio niente da fare!
    Big abrazo, a todos los amigos ….

    • Caro Franco, otium negotiosum… Ma non farti ingannare. In realtà stiamo facendo politica. Altro che le nomine UE. Stiamo preparando una rivoluzione che cambierà il mondo. Per ora siamo piccoli, invisibili, come virus. Tanto piccoli che facciamo ridere. Ma cosa non può fare un virus…

  • ….lo so, lo so bene Livio che sei un “negotionista” di sommo rispetto, ma come resistere alla tentazione indotta dal tuo “impero del non fare”, prima e dalla reazione a catena indotta nei nostri “leoni” , poi, con un “pota ghif prope gnet da fà”!!!!
    Fuor di celia, ti assicuro che non solo non opporrò alcuna resistenza al “contagio”, anzi, al contrario, frequenterò con maggior frequenza le …. “aree infette” e, che “rivoluzione” sia!!!

    • Franco, vista la tua apertura all’infezione, ti faccio una proposta. Ho creato recentemente una società segreta che non ha nessuno scopo. Si chiama ‘Accademia dei dissoluti’ (nel senso di disciolti, liberi). È una sorta di loggia mattonica, nel senso che se non sei ‘matto’ non puoi farne parte. La selezione dei soci è molto rigorosa, ed è pur vero che l’essere ingegnere è un titolo che non aiuta, ma se ti interessa posso appoggiare la tua ammissione. Naturalmente nella massima segretezza.

    • Prendete anche le donne, o è un club per soli gentiluomini?

    • Non facciamo discriminazioni, ça va sans dire. Però è tassativamente bandito il pensiero sinistro. Nel tuo caso non credo sia un problema.

    • Ah ah ah !! …. allora è fatta.
      Verrò a ritirare la tessera.

  • Parliamo di cose serie, del mio ginocchio. Referto rsm. Menisco rotto, legamenti sfilacciati, rotula fuori sede, femore, gamba e piede interessati. Già preso appuntamento con l’ortopedico, dopo 10 minuti di riflessione. O aspetto che passi da solo, che il mio menisco si ripari da sé ? Questo mi escluderebbe dalla società segreta? Penso proprio di sì. E ho in questo modo conferma del detto popolare che dice che con la pensione cominciano i guai. Accidenti, ma credo che la mia fede mi aiuterà.

    • Secondo alcuni il ginocchio funziona meglio senza menischi. Quando glielo avranno tolto potrà valutare. Ma un menisco rotto è poca roba. Ne ho visti io di menischi rotti che voi umani…
      Mi preoccuperei più del resto. Comunque gli aggiusta-ossa ogni tanto servono, se sanno il loro mestiere. Abbia fede.
      E anche un dissoluto può ricorrere al medico, in certi casi (eccezionali).
      Tuttavia, non credo proprio che Lei possa entrare nella società dei dissoluti. Ma non è per via del ginocchio.

  • Già, nelle società segreta non può esistere il dissenso. Sarebbe una contraddizione. Oltretutto il ginocchio interessato è proprio il sinistro. È già questo mi escluderebbe a priori. Fosse stato il destro…Vorrà dire che ne fondero’ una io: la Società dei malati che vanno dai medici. Almeno Adriano si iscriverà, non crede?

    • Ma Le sembra sensato che si crei una Società per litigare? Per questo c’è già il blog.
      Una Società si basa su affinità, non su contrasti. Nella Società dei dissoluti si può esprimere un dissenso ma solo su dettagli, non su aspetti fondamentali.
      Così, io non vorrei entrare nella sua Società di malati che vanno dai medici, in mezzo ai cultori del ‘fare’, dell’operare. Farei solo il bastian contrario.

  • Ho subito sospettato che nella società dei dissoluti si potesse dissentire solo in modo superficiale. Il guru fondatore non permetterebbe di andare al fondo delle questioni. Signor Cadè, credo che troverei più adepti io, pur non avendo la Sua volontà di Potenza.
    I

    • L’ho già citato ma lo ribadisco:
      “Quelli che seguono sentieri diversi non hanno nulla di utile da dirsi”.
      Il dissenso costruttivo glielo lascio tutto.

  • Vedo che anche chi ha la capacità (rara) di fare critiche intelligenti e di porre domande intelligenti, si limita a mostrare la sua vena (o arteria) sarcastica (intendo il signor Martini che insiste altrove su ‘fare, disfare, nullafacenza’ ecc. in modo allusivo e non credo affatto casuale).
    Preferirei delle critiche aperte, dirette e argomentate (e possibilmente non attacchi personali). Oppure l’indifferenza, se il tema non pare meritare attenzione, invece di questi furtivi ammiccamenti e dar di gomito tra chi se la intende.

  • Signor Cadè, immagino che lei sappia quanto sia scorretto riportare citazioni altrui in tutto o in parte inesistenti, oltretutto virgolettandole.
    È evidente come il suo commento delle 9:56 di oggi si riferisca al mio commento di ieri alle 21:55, riguardante un altro post.
    Quel mio commento, dopo aver toccato temi diversi, si concludeva ritornando all’argomento delle nomine UE, “anche per evitare censure di fuori tema, cazzeggio o nullafacenza”. Preferisco tenermi il dubbio sul fatto che la sua erronea citazione di una mia frase mai scritta, “fare, non fare, nullafacenza”, sia stata da lei svolta in buona o mala fede, propendendo quindi (in dubio pro reo) per la buona fede.
    E veniamo alla spiegazione, che ora, chiarito quanto ho scritto, ben diverso da quanto citato tra virgolette da lei, è molto semplice.
    “Fuori tema”. Ogni tanto succede di andare fuori tema. E ogni tanto qualcuno, giustamente, ce lo fa presente, con amichevole cortesia. Uno dei lati positivi di questo blog è lo stile di relazione della redazione. Ieri sera stavo andando fuori tema, rispondendo a Ivano Macalli. E mi sono corretto da solo. Mi vuol dire lei che c’entra? Nulla. E allora, perché certe querimonie?
    “Cazzeggio”. Da anni con questa locuzione parecchi di noi vengono benevolmente stigmatizzati, soprattutto quando si trattano temi non proprio riferiti alla quotidianità politica locale o nazionale. Lei e io tra questi. Magari, aggiungendo da parte di chi sovrintende al blog un simpatico e amichevole “di qualità”. Ieri sera ho citato la fortezza Bastiani e il primo governo Depretis. E ho cercato di correggermi. Mi vuol dire lei che c’entra? Nulla. E allora, perché se la prende con me?
    “Nullafacenza”. Ogni tanto questa cosa per cui ci si lancia in continui batti e ribatti polemici viene scherzosamente fatta notare, sempre con estremo garbo e in sincera amicizia, a volte in italiano, a volte in vernacolo. Ieri sera ho aggiunto “nullafacenza” riprendendo il commento di Francesco “ma non avete proprio nulla da fare” del giorno prima, che mi aveva piuttosto colpito. “Nulla da fare” e “nullafacenza”, chiaro? Infatti sono tornato al tema delle nomine UE. Mi vuol dire lei che c’entra? Nulla. E allora …… (qui la domanda cambierebbe)?
    Sul “modo allusivo”, sui “furtivi ammiccamenti” e sul “dar di gomito tra chi se la intende” ritengo tali locuzioni troppo offensive, oltre che palesemente ingiustificate, per spendere ulteriori parole e resto in attesa di un suo, spero congruo, riscontro.

    • Dimenticavo. Se io scrivo “per evitare censure” su questo blog, non posso che riferirmi alle cortesi, simpatiche, a volte affettuose cosiddette “censure” degli amici della redazione. E la voluta scherzosità della frase è evidente a chiunque.
      Come avrei potuto riferirmi, temendole, alle sue “censure”? Di solito il nostro rapporto di interlocuzione non è censorio. Per fortuna. Al massimo si hanno opinioni divergenti, nel massimo rispetto reciproco. Nessuno di noi ha mai avuto la presunzione di fare il censore del blog.
      No, proprio questa cosa qui non ci può stare. Non la capisco, non esiste.
      E quindi, la ragione deve essere diversa.
      Il che sposta il discorso verso altre possibili direzioni.

    • Caro signor Martini, quello che io ho messo tra virgolette non è una Sua frase ma alcuni dei termini da Lei usati con insistenza in un altro post: “facendo”, “farli”, “disfacendo” , “farli”, “disfatti” ,“fare gli italiani”, “farli” sul serio, nullafacenza (le virgolette sono Sue).
      Posso pensare che l’uso di questi termini, sottolineati dall’uso delle virgolette, non contenga alcun riferimento ironico al tema del fare da me trattato o, se lo contiene, sia puramente casuale e involontario.
      Se è così, ritiro quanto ho detto e Le faccio le mie scuse.
      Per quanto riguarda ‘fuori tema’, ‘cazzeggio’ o ‘censure’, può vedere da sé che io non ne ho fatto cenno (e non vi ho neanche lontanamente pensato). In questo caso, probabilmente, ha equivocato Lei.
      Su ammiccamenti e dar di gomito, non mi pare una considerazione così offensiva. È un’abitudine comune e legittima strizzarsi l’occhio tra amici. Ma è chiaro che se vale la spiegazione data sopra i miei sospetti cadono e Le rinnovo le mie scuse.

    • Ho una antipatia forse eccessiva e, lo ammetto, abbastanza di parte per Massimo d’Azeglio (mentre ho una certa stima del fratello), per ragioni specifiche. Vedrà, signor Cadè, che tutti i termini virgolettati in quel mio commento sul “fare” e “disfare” gli italiani non potevano che riferirsi alla famosa frase di d’Azeglio sul “fare” gli italiani. Era impossibile riferirli ad altro, proprio in quel contesto e con quel riferimento, e men che meno riferirli a cose scritte da lei altrove. E non ho certo usato alcuna ironia nel dire che la Destra storica stava “facendo” per davvero gli italiani mentre da parecchi decenni li si sta “disfacendo”. Per cui, questo strano equivoco per me resta abbastanza inspiegabile. Comunque, ripeto che forse ho esagerato verso quello che fu, tutto sommato, un sincero patriota. Oltretutto, l’attribuzione della frase non è così sicura come viene tramandato.
      Le sue scuse sono accettate e aumentano in me la stima nei suoi confronti. Chiedere scusa non è facile e il suo stile è stato, anche stavolta, davvero impeccabile.

      Dissento ovviamente sul fatto che il “modo allusivo”, i “furtivi ammiccamenti” e il “dar di gomito tra chi se la intende” siano comportamenti usuali tra gentiluomini. La ringrazio comunque per il suo riscontro. Conosciamo entrambi la descrizione dell’ultimo uomo quando Zarathustra parla al mercato o certe indicazioni evoliane su determinati comportamenti umani. Il che non vuol dire condividerle. Però sappiamo di che cosa stiamo parlando. Le confermo in ogni caso il mio forte apprezzamento verso i suoi scritti e non mancherò, come ho fatto sinora, di leggerla con grande interesse, condividendo o dissentendo a seconda dei casi, a viso aperto e con la massima franchezza, non essendo uomo da pseudonimi od obliquità dialettiche.

  • Signor Martini, spero di poter contare ancora sui Suoi contributi. Devo ammettere di aver la coda di paglia e la tendenza a sfoderare la spada senza motivo (spesso per usarla contro le mosche). Al contrario, apprezzo sempre le critiche che portano con sé fondate ragioni.
    Il non-fare era un argomento che ovviamente si prestava al malinteso e al dileggio. Vorrei in conclusione far notare due cose: è molto difficile, forse anche ridicolo, cercar di comprimere in una pagina argomenti vasti, cercando di rendere concetti complessi in parole povere. A volte ci provo, ma sono consapevole dei rischi.
    In questo caso, non si trattava di incitare alla pigrizia e alla passività ma di trasmettere un messaggio opposto, cioè che bisogna sforzarsi di uscire da schemi del ‘fare’ che ormai si sono dimostrati dannosi per tutti.
    Non è solo la corruzione del denaro ma l’idea più archetipica di ‘uomo in lotta per il dominio’. Questo evoca in noi ancora immagini eroiche, nobili, senza capire che è un modello ormai anacronistico. Questa volontà di potenza, in tutti i suoi aspetti, è il ‘fare’ di cui dovremo liberarci per poter vivere.

    • Sfoderata o rinfoderata, la sua mi sembra comunque un’ottima lama.

      Sul non fare ci eravamo intesi abbastanza bene, condividendo non poche considerazioni, per lo meno quelle più rilevanti, e la mia perplessità fondamentale mi era parsa da lei compresa. Che poi era la stessa da me indicata a proposito della terza via.
      Il problema della “volontà di potenza” o “forza vitale” intesa anche come violenza riguarda a mio parere l’intero regno animale. E forse sul regno vegetale ho un po’ peccato di ingenuità, da quanto vado leggendo in questi giorni.

      Probabilmente una delle differenze tra i nostri punti di vista è che io non riesco a vedere oltre questo elemento caratterizzante, lei invece mi pare ci riesca.
      Che sia una sua positiva illusione o una mia negativa limitatezza, temo non avremo la possibilità di accertarlo veramente, almeno finché saremo da questa parte del guado.

  • Signor Martini, per quanto ci costi fatica ammetterlo, noi non sappiamo nulla con certezza, se non il fatto che qualcosa esiste, e pensa. Credere in un modello di natura violento in sé stesso, auto-divorante, che non potrà mai sfuggire alle sue leggi crudeli, o in un modello originariamente armonioso che si corrompe nel tempo, resta in definitiva un’opzione metafisica. Alla stessa stregua si possono fare previsioni sul futuro. A breve termine, in entrambi i casi, non può comunque cambiare nulla. Anzi, temo ci aspettino tempi tragici. Però, sempre sulla base della propria fede in alcuni modelli interpretativi, si può credere nella possibilità dell’uomo di cambiare prima o poi il suo ‘fare’ o, detto altrimenti, di ‘non-fare’ più ciò che crea tanto vaste sofferenze. E forse, somma utopia, ripristinare su questa terra una condizione di armonia. Oppure, credere che siamo tutti immersi in un eterno conflitto, come gladiatori nel circo, omnia contra omnes.
    Non si tratta di realisti contro sognatori ma di visioni metafisiche. Ma poi le idee si trasformano in atti. Così, ci son tante cose che possiamo non-fare (oltre ai tradizionali non-fare: non rubare, non mentire, non uccidere ecc.). Se io, per esempio, non mangio carne, è perché credo che mangiar carne produca solo sofferenza, agli altri e a noi stessi. Questo vale per tante altre scelte che ognuno può fare, che possono sembrare insignificanti di fronte ai grandi problemi macroeconomici o macropolitici, ma che sono la solo cosa concreta che possiamo fare.

    • Non so se è vero ma chiacchierando con un’amica dentista, e dicendoci reciprocamente che nessuna delle due, con il passare degli anni, mangiava più carne non sentendone minimamente il bisogno, è venuta fuori la storia che “in natura” l’essere umano perde i denti anche per questo: perché il suo corpo invecchiando può fare a meno della carne.

      Di nuovo la questione tira in ballo “la scienza”, che avendo inventato le protesi di fatto induce gli umani a cibarsi di carni fino all’ultimo giorno. Stando alle regole, se così si può dire, il corpo di un anziano (so che è una brutta parola ma non me ne viene in mente un’altra), non ne avrebbe bisogno, e non è detto che “andare contro natura” non produca alterazioni fisiologiche e metaboliche di altro genere. Tutto può accadere quando si mettono le mani in una macchina perfetta, andando per di più alla cieca.

    • Non-fare vuol dire appunto ‘non andare contro natura’. Il problema è che il concetto di natura è uno dei più difficili da definire.

  • Secondo me si può fare a meno della carne sempre, fin da bambini.
    P.S.: se ‘anziano’ non piace, si può dire, attempato, vecchio, vegliardo.

  • Una richiesta al signor Macalli: se vuole continuare la polemica (spero di no) la prego di farlo qui. Non mi sembra educato disturbare la discussione sulle nomine UE con dei battibecchi che non c’entrano nulla col post.

  • Giusto, mi trasferisco, anche se fatico sempre a seguirla. Ad esempio in uno dei suoi ultimi commenti circoscrive in concetto di natura a qualcosa di non facilmente definibile, che significa che anche il concetto del non fare diventa quasi impossibile da inquadrare. In tutti i casi, se anche procedessimo da ora nel rispetto della natura come si potrebbe rimediare agli oltraggi inferti fino ad ora? E poi cosa vuole, tutto il pensiero ecologista andrebbe in quella direzione, ma chi ci crede quando da tante parti ne dileggiano i protagonisti che qualche contributo lo danno? Anche su questo blog la povera Greta é diventata una gretina. Eppure avrà pur sensibilizzato qualcuno, le pare?…Sono stato bravo?

    • Ho detto che il concetto di natura è difficile da definire, non impossibile. Su questa definizione si gioca il concetto di non-fare, cioè il vivere in modo naturale.
      La natura per come la intendo io non ha nulla a che vedere con i gretini, ma è legata al pensiero filosofico taoista o a quello di Scoto Eriugena.
      Però non voglio imbarcarmi in una lunga discussione filosofica. Non servirebbe a nulla.
      Basta cominciare ad avere dei dubbi.

    • Neppure l’ecologia profonda, che non è ecologia di superficie (da plastic free, per intenderci), ha niente da spartire con i gretini. Ma anche qui il discorso si fa lungo.

    • È inutile agire sugli effetti senza mutare le cause. E le cause sono sempre di natura etica e spirituale. Il pesce puzza dalla testa.

  • Cosa non è il non fare.

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