La scuola delle Segreterie era all’avanguardia, quando la frequentai. Anticipò Twitter. Italiano, Storia, Geografia stavano in un unica materia: Cultura Generale. Un pizzico di tutta la cultura, breve, veloce, telegrafica. E si poteva sintetizzare, anche svolazzare. stenografando, i discorsi sul Bingo-Bongo di Calderoli, con il Galsberberger Noe, un sistema di scrittura, che tornava alla tradizione, oggi che le tradizioni sono di moda: pennino, inchiostro e calamaio. Quando Bossi calcò sul complotto giudaico-massonico, come fece in un famoso comizio a Crema, gli svolazzi stenografici dei cronisti presenti avrebbero potuto calcare il pennino. Per sottolineare l’importanza del discorso. E racchiudere tutte le colpe ebraiche in poco spazio. Poi, c’era dattilografia, con i tasti ciechi, altro che il Latino. L’insegnante che alzava la bacchetta e dettava la partitura. Bisognava imparare a scrivere a dieci dita e sentire la musica, le vocali, le consonanti. Non proprio Mahler, ma c’era del sentimento, mentre il professore di Dattilo si sgarruggiava l’orecchio con la bacchetta, mentre noi andavamo avanti proprio come un’ orchestra, una vera squadra.
1972. L’assemblea. Sciopero studentesco e riunione col passaparola alla palestra S.Agostino, ex-cinema di western, ex-chiesa, poi sconsacrata. Studenti, e operai (che quel giorno non c’erano, erano al lavoro) uniti nella lotta, diceva un grande striscione. Distribuiti i volantini, debitamente ciclostilati da un manovale del socialismo. Ero l’autore dello scritto, anzi, non proprio, ero l’autore del dattiloscritto del testo di un Capo del movimento, del Comitato. Ero veloce a battere a macchina, dieci dita che svolazzavano come quelle di un pianista, e avrei potuto scrivere guardando te che mi detti, quel che ti pare, e ammirarne la bocca, i denti guasti. Poco prima del Dibattito, ogni rappresentante di una scuola doveva prendere il megafono e dire qualcosa. Rappresentavo le Segretarie, che stavano in fondo ai valori scolastici (nonostante fosse una scuola d’avanguardia, ma allora non si era capito), molto dopo il Classico, che stava in testa. Un leader ( ce n’erano più d’uno, tutti maschi, tutti ricchi di famiglia) disse: si alza ora a parlare il rappresentante delle Segretarie. Partì una risata collettiva che fu più grassa in un gruppetto dove riconobbi alcuni dello Scientifico: seconde case, settimane bianche, villette col giardino, danarosi pure i nonni. Si aspettavano una femmina, invece c’ero io, un maschio. Avevano torto? No; erano bravi ragazzi. Avrei fatto lo stesso, al loro posto, ma qualcosa s’incrinò, nella mia fede dell’avvenire, nel socialismo. Un istante, in un certo senso, decisivo. Il Sessantotto italiano, che a Crema fu il 1972 ( in provincia i tempi, si sa, rallentano, certe tempistiche tardano), lo esaurii in una risata grassa, giusta, liberatoria, compartecipe. Quella notte faticai ad addormentarmi. Dopo una settimana, circa, abbandonai la causa, il mio efficiente volontariato da dattilografo per costruire il socialismo.
Commenti
….e io ero ( meglio, avrei dovuto esserlo!), almeno anagraficamente, già “grande”!
La risata collettiva del gruppo dello scientifico: che erano poi quelli dei “picchetti agli schilift” (big abrazo al caro, carissimo Mario R !).
Ho quasi nostalgia dell’Umberto Bossi e del suo “….complotto giudaico-massonico”.
Che poi, destino cinico e baro, per l’Umberto, fini ingloriosamente così : https://www.youtube.com/watch?v=EAoWyHMAFXg
La lega, la lega, e pensare che Massimo Fini, Marco Travaglio, Giorgio Bocca il Bossi lo votarono, ai tempi quando dava del “mafioso” al signore di Arcore, in diretta video. Poi, l’Umberto nazionale cambiò idea e col Cavaliere andava d’amore d’accordo. Bocca si prese un bella cantonata quando in un’intervista al “Corriere” disse che i leghisti amministratori comunali, gli ricordavano i suoi amici azionisti. Di questa intervista, Bocca se ne pentì amaramente. Forse perchè con i leghisti ci ho vissuto in mezzo, al lavoro, quando c’era solo Leoni a rappresentarli in Parlamento e la sinistra, saccente, diceva che di lì a poco si sarebbero sgonfiati, credo di conoscere piuttosto bene i loro istinti, il loro retropensiero. Sono peggio di quello che mostrano, e se andranno avanti, se avranno sempre più potere, non ci salveranno neanche le vecchie zie, come diceva Leo Longanesi.
Nel ’72, Marino, io ero un giovanissimo prof al Liceo scientifico e avevo proprio, tra i miei allievi, gli studenti più “rivoluzionari”.
Figli di papà? In gran parte sì, ma non tutti. I veri e propri figli di papà erano al Classico, mentre allo Scientifico c’era per lo più ragazzi provenienti dal ceto medio (piccola e media borghesia).
Una considerazione per chi non avesse alcuna conoscenza di quegli anni (non proprio “formidabili”): a Crema – includo anche il territorio – la contestazione non è nata “marxista”, ma “cattolica”. Lo stesso “simbolo” e miccia della contestazione, la prof. Marmiroli, apparteneva al “dissenso cattolico”.
Un piccolo aneddoto, Marino, considerati i tuoi interessi letterari.
Essendo stato insegnante alle Medie di Bagnole dove c’era come preside Giovanna Rebucci, sorella della Marmiroli e frequentando casa Rebucci, conoscevo bene la Marmiroli. Ora, un giorno mi ha chiesto di accompagnarla a Torino perché doveva incontrare un critico letterario, Renato Solmi, che poi nel suo libro “Chi insegna a chi?” inserirà anche il “caso Marmiroli”. Confesso che durante il viaggio sulla sua scassata Cinquecento e con la sua guida da vera e proprio “anarchica” (lo era nello spirito, ma anche nel comportamento) ho temuto il peggio. Il viaggio, per fortuna si è concluso bene: dopo l’incubo, la gioia di essere tornati… sani e salvi.
Sì, Piero, il caso Marmimoli fu la miccia, questo lo ricordo, ma il perchè l’ho dimenticato. Magari aiuterai tu a ricordarlo. Allora frequentavo “Il Collettivo”, dietro l’edicola di Piazza Duomo, anche se ero sempre un pò in disparte, mezzo piede fuori. Ricordo Carlo Deblaw, Massimo Teoldi (che poi andò a Cagliari), Renato Strada, e Fausto Sorini, credo della dinastia dolciaria, che finì a Bologna, se non sbaglio, dirigente di Rifondazione, e che allora mi dava del materiale da dattiloscrivere, che finiva immancabilmente con “per il Socialismo”. Non tutti erano benestanti, certo, ma quelli che stavano bene di famiglia erano la maggioranza, quelli del Movimento Studentesco cremasco (altra cosa fu “Lotta Continua”, più popolana, più sbragata, anche). E siccome sulle origini insisto, perchè contano, anche parecchio, credo che con il senno di poi, per questi giovani signori e signore borghesi, che disprezzavano la borghesia, il ’68 sia stato soprattutto un bel passatempo. Citi Renato Solmi, germanista, figlio di Sergio Solmi, poeta, azionista, e appassionato di scienza. Di Sergio Solmi, l’Adelphi mi regalò “La letteratura italiana contemporanea” in più tomi”. Allora, potevo avere gratis o con uno sconto molto alto tutta la produzione Adelphi, nel negozio di Via San Giovanni al Muro, vicino Corso Magenta. poco dietro la sede dell’Adelphi. E Sergio Solmi è stato uno dei miei maestri che ho studiato la sera, con disciplina, avendo molto da recuperare. Il figlio Renato è stato causa di una grossa lite in casa Einaudi, fra lui e Goffredo Fofi, allora molto legato all’estrema sinistra (oggi pacifico critico, anche ottimo, che scrive anche sul Sole 24Ore. Ci mancò poco che la casa editrice si spaccò, tra chi era legato soprattutto alla qualità letteraria e chi spingeva, come Fofi, per un ruolo militante dell’ideologia.
Da …”esterno”, ricordo lo “scazzo” prof. Marmiroli, insegnante/ Mons. Bonomi Preside (che la definiva anche “simpaticamente” ….”la mia pasionaria”!).
Ma Padron Piero da ottimo storico Cremasco, conosce la vicenda in tutti i suoi …..risvolti!
Il Sessantotto cremasco, caro Pasini, è uno dei rarissimi casi nella Storia della nostra specie in cui la ricostruzione storiografica dei fatti, dei personaggi e degli avvenimenti è stata operata non dai vincitori ma dagli sconfitti.
Ah, dimenticavo. Non so se posso, caro Pasini, ma sarebbe possibile, come lei ha già cortesemente fatto in un caso precedente, dirci qualcosa sull’immagine del post, sui soggetti raffigurati e sulle circostanze in cui è stata realizzata? La ringrazio molto.
E’ Torrisi, spesso, che oltre a metterci una pezza alle svirgole grammaticali, fa clic, intendo ci piazza la foto. Questa del ’68 e dintorni, mi pare ritrae Pasolini, Moravia, e credo Montale; sullo sfondo, di schiena potrebbe essere la Loren o una che le assomiglia. Un Premio Strega, una trattoria a Trastevere, non so.
Raccontare “l’epopea” della contestazione studentesca fine ’60 e poi ancora dopo per qualche anno, in ventisei righe è una bella pretesa. Ho raccontato il mio ’68, con un dettaglio, quello della scuola delle segretarie; perchè? Le faccende, pure grosse, che hanno avute infinite discussioni, si riesce meglio a parlarne affrontandole di lato, di sbieco, sfiorandole a volte. L’essenza la si può catturare così, sempre che lo scritto funzioni. La contestazione studentesca fu un passatempo romantico per ragazzi e ragazze di buona famiglia, fu soprattutto questo. Poi, è stato qualcos’altro, di ben poco romantico. Mentre le battaglie operaie di quegli anni furono serie e importanti: tante conquiste contrattuali furono ottenute in quegli anni. Ci furono eccessi, certo; ricordo mio padre che faceva l’operaio a Melzo e a volte doveva staccare per due ore a metà pomeriggio di sciopero “obbligato”, per solidarietà con “i compagni” dell’Eta spagnola finiti in carcere. E quei soldi ci servivano, lo stipendio era magro, due figli da crescere, l’affitto da pagare. E’ facile fare il rivoluzionario con le spalle coperte, ma questo l’ho capito in fretta, per forza di cose. Per questo quando uno parla di politica (chiunque) annuso da dove viene, gli giro intorno come fanno i cani, e quasi sempre ne scopro l’odore. C’è sempre un motivo personale che influenza le opinioni nobili e meno nobili. Ho imparato, in questo, da mio padre che quando vedeva i cortei studenteschi alla tv, alzava la testa dal piatto, la scrollava con un sorriso amaro e la ricacciava giù. “Hanno tempo da perdere”, diceva. E’ vero: avevano tanto tempo da perdere, loro.
Rispondo io, Pietro: si tratta di foto “di repertorio” tratta dalla rete, da un sito dell'”ESPRESSO”,
http://temi.repubblica.it/espresso-il68/2008/01/29/cultura-e-controcultura/
“Il Viareggio
Da sinistra, Eugenio Montale, Alberto Moravia e Pier Paolo Pasolini durante il premio nella città della Versilia (Foto di Antonio Sansone)”
Quanto alla Loren, dubito assai, mentre mi sbilancerei, laggiù in fondo, per Ungaretti!
Vi ringrazio per l’informazione.
La contestazione studentesca (la contestazione era già in atto negli anni precendenti in ambito cattolico), Marino, ha avuto come miccia due presidi preti: don Fasoli preside delle Magistrali e don Bonomi preside dello Scientifico.
Io sono stato “osservatore attento” dell’uno (egemonizzato da cattolici) e dell’altro egemonizzato dalla sinistra gramsciana).
Il caso Marmiroli è scoppiato quando don Bonomi, che aveva dato molto credito alla professoressa tant’è che l’aveva delegta a rappresentare il preside alle assemblee che originariamente coinvolgevano studenti sia dello Scientifico che del Classico, si è attivato a contestare alla Marmiroli una serie di indempienze formali (compilazione del registro…) e una… bestemmia (anche allora) uscita dalla bocca della stessa prof. nell’aula insegnanti, una bestemmia molto attuale di questi tempi dopo il caso Carola Rakete: “se mi troverò di fronte a una norma che contrasta con la mia “coscienza”, io seguirò la mia coscienza e disubbidirò alla norma” (sto, naturalmente, ricordando il senso). Il tutto poi è sfociato nell’allontanamento della Marmiroli da Crema.
La miccia è stata questa.
Personalmente ho setacciato l’archivio del Liceo scientifico e ho pubblicato tutta la “documentazione” dell’una e dell’altra parte in “Soffiava il vento a Crema” oltre che sul settimanale cattolico Il nuovo Torrazzo.
Un materiale utile per capire un fenomeno.
Vorrei ricordare, inoltre, che è stata la “Meg” (Margherita Marmiroli) che, assieme all’avv. Deda Mansueto, a fare da consulente della nascente compagnia teatrale (nata allo Scientifico) che sarà denominata “Teatro Zero”.
Ti ringrazio, Piero, per aver ricordato fatti che hanno qualcosa a che fare anche con l’oggi. Il tuo commento è il vero ’68 studentesco cominciato dalle noste parti. Il mio solo una faccenda personale. Per cambiar discorso, ma fino a un certo punto (c’è sempre un filo che collega e tu lo hai sottolineato) per la prima volta ho ascoltato, approvando, le parole in Parlamento di Nicola Fratoianni, uno che non frequento, non voto, mentre Salvini sorrideva e poi ha mandato bacini, bacioni come è suo solito fare. Vedere un parlamentare che manda baci a chi in verità disprezza, o perlomeno detesta, lo trovo insopportabile.
Posso dire semplicemente che non mi pento di essere stato un sessantottino? Che tutto ciò che mi attendevo dal movimento si è verificato? Certo, ora mi ritrovo con una cultura stile groviera, anzi, con cuspidi e voragini, e con una grammatica zoppicante, ma anche con un passato scientifico appagante e senza compromessi e tutele e con una famiglia realizzata nonostante la muffosa società antecedente provasse a fuorviarmi. Se dubitiamo ora è perché dimentichiamo il prima. Di cosa mi pento? Di aver indossato cravatta e pantofole dopo. Intendiamoci, mica del tutto!
Adriano, classe 50.
E fa bene a non pentirsi. Perchè dovrebbe? Quando ero bambino, i primi ’60, la società, la scuola, la Chiesa cattolica (gli editoriali del “Nuovo Torrazzo” locale), i costumi avevano bisogno di una scossa. Anch’io ero partecipe, finchè, come ho scritto, la rivoluzione romantica la trovai più divertente se si aveva tanto tempo da perdere. E siccome tutto è una faccenda personale, prima che collettiva: l’ho scritto nel “Naso di Fenoglio” (un omaggio al meraviglioso romanzo “Una questione privata”); l’ho riscritto con “La ragazza ebrea”, ognuno ha avuto e ha un ricordo diverso per molte faccende, anche collettive. Purtroppo, per quanto mi riguarda di sputare addosso ai borghesi (e avrei avuto molte ragioni per farlo, essendo un proletario, rispetto ai figli di borghesi, che invece lo facevano), non mi andava, perchè invidiavo i loro soldi, le loro vacanze, le belle case che guardavo ammirato. Così da socialista fuori dalla truppa, l’entusiasmo sessantottino (dei primi settanta) mi si squagliò in fretta. Non avevo ancora diciassette anni e già lavoravo come impiegato (portacaffè al capo, battifatture a macchina, scrittore di indirizzi per potenziali clienti) tutti quei lavori importanti che fanno gli impiegati ultimi arrivati. E mentre alcuni miei amici ancora urlavano: studenti e operai uniti nella lotta (ma col cavolo che loro avrebbero scelto poi di lavorare in fabbrica, indossar la tuta blu), incensando il movimento operaio, andavo avanti e indietro con le commesse scritte a penna dai capi impiegati, da portare agli operai di una fonderia di Sergnano (che c’è ancora). Era estate; si può immaginare che temperatura c’era nella zona della fusione (producevano allora materiale in acciaio inox, oggi non so. Per quegli operai, più che “La Cina è vicina”, era vicino il deserto africano nell’ora più calda del sole.
L’hai scritto, dici, Marino: si tratta di articoli o di saggi?
Mi stai sempre più sorprendendo: ne hai fatto di strada pur avendo frequentato una scuol… minore e pur avendo fatto già giovanissimo il lavoro di un impiegato in una fonderia!
E’ la dimostrazione che, qualche volta, a premiare non sono i… natali, ma il talento e la determinazione.
A proposito di Margherita Marmiroli.
Posso dire che non era una prof comune: aveva collaborato con Natalino Sapegno, otto anni in Vaticano dove matura il suo dissenso leggendo “Esperienze pastorali” e “Letetra a una professoressa” di don Milani, , una lunga amicizia con Liliana Cavani, una cultura vasta e profonda…
Esercitava poi un fascino paricolare quando parlava: senza mai cliché prefabbricati, dalla voce… profetica. Per certi aspetti, poi, aveva qualosa in comune con Socrate, una sorta di… torpedine marina.
Così, almeno, la ricordo.
Inquietava (in senso positivo), ma era anche inquieta, tormentata, forse per problemi non risolti col padre con cui era in conflitto.
Piero, snocciola, snocciola quei fatti. E’ un piccolo tuffo nel passato che aiuta a capire, a ricordare. Ti ringrazio per i tasselli che hai ricomposto dedicati alla prof. Marmiroli.
Marino, non era tutto oro quel che luccicava. E difatti si é visto. Molti protagonisti di allora hanno poi fatto una brutta fine. Non sono bastati i natali e la spregiudicatezza, le raccomandazioni politiche, molti erano anche belli, cuccavano un casino, momenti di gloria rivelatesi poi tutto fumo, la droga, quel Teatro zero che le più belle ragazze c’erano, un’avanguardia culturale di facciata durata lo spazio di una stagione. Senza considerare che quell’estetica politica venne poi smentita dalle crescite individuali che portarono molto di loro a cambiare completamente strada. Un movimento snob, elitario, ma solo di facciata. Ciò non toglie che quegli anni abbiano significato un cambiamento metabolizzato dai più nel tempo, e meno male. Ma forse, leggendoti, è stato più produttivo il tuo disincanto.
Con il tuo commento, Ivano, sono d’accordo su tutto, eccetto un dettaglio, che ha già segnalato Piero Carelli, che conosce meglio di me, gli inizi del ’68 nei licei cittadini di Crema. Non fu snob, elitario, quando esordì, la contestazione studentesca. C’era il dissenso cattolico, l’eco delle manifestazioni dei “figli dei fiori” negli Stati Uniti, la guerra in Vietnam. Alle riunioni del Movimento Studentesco, all’inizio, c’erano tanti giovani (anche chi non aveva mai fatto politica, per curiosità, perchè era quello il vento che spirava), e nelle scuole medie superiori, nelle università, il Movimento Studentesco aveva numeri maggioritari, o comunque ragguardevoli. Questo, all’inizio, poi si aggiunsero mille faccende, più o meno nobili. Ho provato a raccontare quel periodo da un fatto personale. L’idea mi è venuta da Luigi Meneghello, uno scrittore che stimo, vicentino, che fu partigiano azionista, che per raccontare gli ideali, le speranze, le illusioni del Partito d’Azione che franarono rovinosamente alle prime elezioni politiche del dopoguerra, senza voler mettere in dubbio la validità di studi, libroni dedicati all’esperienza azionista, citò un fatto dov’era stato protagonista sulle montagne vicentine con un gruppo di contadini, partigiani come lui. Meneghello era il loro capo squadra politico. Arrivati in un boschetto, una radura, si sedettero in circolo e Meneghello spiegò ai contadini, gli artigiani, gli operai del gruppo che non era il loro capo, che tutti si era responsabili di tutto, che non c’erano ordini da impartire, ma ognuno avrebbe dato il suo contributo. Tutti capi e nessun capo. Disse altre cose, e notò che “la truppa” lo ascoltava in silenzio. Quando Meneghello terminò il suo discorso, chiese a tutti cosa pensavano della sua idea di autogestione del gruppo. Ci fu dell’imbarazzo. Nessuno voleva intervenire; c’era chi si voltava verso il vicino, per dire: parla tu, io mi defilo, non me la sento. Finalmente uno di questi prese coraggio e si alzò in piedi. Signor capitano (o tenente: non ricordo bene), facciamo come dice lei.
Ecco: penso che questo miniracconto dice molto di più della frana dell’azionismo con la gente semplice, con le moltitudini che abbisognano di una guida, di un leader carismatico, che ci pensi lui, nel bene o nel male, piuttosto che lunghi studi sull’argomento.
Visto, Marino, che mi solleciti, mi pare opportuno ricordare “Il Cristo del Torrazzo” scritto (in maniera anonima) da Margherita Marmiroli su “Scuola perchè”.
Basta uno stralcio per dare l’idea della temperie culturale che animava il simbolo della contestazione studentesca a Crema:
Dichiaro una volta per sempre che siamo due: io e quel mio omonimo che s’è fatto fregare, da quel pazzoide che era, duemila anni fa. Era, come ripeto, un poco di buono. Stava con le puttane, e in genere con i rifuti della società. era ribelle coontro l’ordine costituito, contro i preti, contro la morale. Alla fine, al processo, ha anche bestemmiato. Mi dispiace per lui, ma quella fine se la meritava.
Non vi pare di… caldssima attualità?
Sono anni che, vox clamantis in deserto, pongo l’esigenza di creare una compagnia teatrale che abbia come programma “l’impegno”, in primis la denuncia delle tante e diffuse contraddizioni del nostro tempo.
L’idea, naturalmente, scaturisce dall’esperienza, nata giusto negli anni della contestazione studentesca, con il supporto della prof. Marmiroli, che poi si chiamerà Teatro Zero”.
Non si tratta, naturalmente, di ripercorrere tout court quella esperienza (per fortuna oggi siamo più liberi dalle ideologie e quindi più mentalmente liberi.
Se quegli anni erano anni contrassegnati da profonde contraddizioni, il nostro è un tempo che lo è ancora di più.
Ora, quest’anno, ho assistito a un miracolo: ancora una volta al Liceo scientifico e ancora una volta su suggerimento di una professoressa (la… nostra Maria Teresa Mascheroni) è nato un gruppo teatrale che, pur scegliendo un testo platonico, l’ha letto in chiave attuale.
Ne è uscito uno spettacolo (col supporto di una regista teatrale professionista e del bravissimo mastro Gini) , presentato nella Sala Pietro da Cemmo, di chiaro “impegno” (sociale).
Un… teatro engagé.
Auguro al gruppo di continuare, anche dopo il percorso liceale.
Non sarà facile (anche perché dopo il Liceo ogni studente seguirà la sua strada), ma le premesse pare ci siano: tanta motivazione e grande spirito di squadra.
Nella fase di paralisi marittima pomeridiana mi capita sul lettoreun articolo di Carlo Rovelli: Il 77 mio e dei miei amici – “Corriere della sera” 15.2.2017. Lui, più giovane di me, ha vissuto le pulsioni al cambiamento in modo molto più avanzato di me, e sel resto il fenomenop era già “oltre”, mentre io ero già a Crema col mio primo incarico ospedaliero. La cravatta l’abbiamo messa in due, atto seguito per tutti e due da un contributo tecnico alla società, ma con sentito identico. Non nostalgia, riconoscimento del significato. I suoi parallelismi che si spingono fino alla Grecia classica, alla somma dei fatti, sono esatti, ma sarebbero stati azzardati se esposti da me.
Lo ritrovate sulla sua raccolta “Ci sono luoghi del mondo dove più che le regole è importante la gentilezza”
ciao Marino, il mio commento è un po’ fuori tema, non riguarda il ’72.
C’ero anche io, in quella scuola per “segretarie”, mi ricordo il primo giorno, quando, spaesato, entrai in quella grande aula; mi sedetti in un banco, mi pare in prima fila, e girandomi per osservare il compagno vidi una enorme testa piena di riccioli da dove spuntava un naso alla Dante. negli anni trascorsi in quella scuola per “segretarie” ho conosciuto e apprezzato quel compagno, un compagno che aveva una cultura sopra la media, molto sopra la media del tempo di noi ragazzini usciti dalle medie, una cultura letteraria e musicale in cui io ho attinto. Senza ironie, mica era male quella scuola, ultima tra le ultime, il professore di cultura generale, anche se non mi ricordo il nome era veramente capace, il professore di dattilo lo ricordo bene, ma io non ho mai imparato a scrivere con 10 dita; come non ho imparato a scrivere velocemente stenografia.
per il ’72, tu eri di Crema, una città, qui nei paesini, dove vivevo e vivo, il ’68 o il ’72 lo stiamo ancora aspettando, forse è arrivato prima Salvini
ciao Mairino a presto per un caffè
Il mio naso dantesco andò anche a sbattere contro una bianca colonna di un traghetto per la Grecia, una quarantina di anni fa, intensificando la sua curvatura, e impedendomi definitivamente di frequentare ragazze con le stesse caratteristiche, perchè il bacio, poi, fra nasuti diventa un problema. Il professore di Cultura Generale si chiamava Bordo; se ben ricordo camminava caracollando, i pantaloni troppo corti e una borsa di pelle marrone lucido, i capelli bianchi (era già vecchio, allora) cortissimi, a spazzola e una grande passione per Pirandello, che gli serviva poco con noi “delle segretarie”. S’intestardì a farci imparare un pò di grammatica, dettandoci testi dello scrittore siciliano senza punteggiatura, che poi, noi dovevamo immettere nello scritto. Allora non sapevo a che serviva il punto e virgola (anche oggi, nonostante ho passato sere a leggere “La Lingua italiana” di Dardano e Trifone, edizione Zanichelli) i dubbi mi corrodono più della pelle smangiucchiata delle unghie. Caro Maurizio, tu eri il più sveglio della combriccola maschia della scuola. E sapevi superare con buoni voti le interrogazioni studiando un’ora prima, semplicemente sfogliando l’obbligato libro di testo. Ho letto, di recente, che Arrigo Levi (un giornalista che ho sempre stimato) per necessità imparò il Gabelsberger-Noe, a stenografare, quella materia che fu una vera tortura, peggio che ascolate le convention dei giovani di Forza Italia.
Tre curiose coincidenze, caro Pasini.
Strano che non ci siamo mai incontrati al Capolinea o al Blue Note, quando ero milanese. Ma forse è successo e non lo sappiamo.
C’ero anch’io a quell’assemblea del 1972. Quando il Collettivo raggranellò solo poche adesioni al Classico (fu una battaglia cruenta), subendo una battuta d’arresto tanto fondamentale quanto sottaciuta. Né, poi, andò meglio ai compagni con le tessere di Nuova resistenza: altra magra. Mai buttare i propri archivi. Metà storia (l’altra) resta da scrivere.
Qualora il Professor Bordo che lei cita fosse il Professor Giovanni Bordo (1922-2017), ho avuto l’onore di conoscerlo e frequentarlo. Se lei oggi è sulla sessantina, lui allora era parecchio meno anziano di lei adesso. Non so come camminasse, mi pare normalmente. Di sicuro era un uomo tanto colto quanto poco dandy nel vestire. Ebbe numerosi incarichi di rilievo nella cultura cremasca tra gli anni Cinquanta e Settanta, tra cui quello di Presidente della Biblioteca. Anche se oggi si citano i soliti due o tre, fu tra la decina di persone che lavorarono sodo, senza autocelebrazioni successive, per la costituzione del nostro Museo. Insegnò in diverse scuole. La sua bella casa ospitava una eccellente biblioteca, numerosi figli e spesso, generosamente, i loro amici e compagni di scuola (io e mia moglie tra questi).
Cose cremasche, caro Pasini. Molto cordialmente.
Il professor Bordo era un ottimo professore, una insegnante appassionato e non era affatto dandy (non l’ho scritto); camminava avendo l’abitudine di pendere da sinistra a destra con lievi saltelli, questo era il mio ricordo, che riconfermo. Non era caracollante? Certo non volteggiava, ma camminava alla “Bordo”. Non ho detto che camminava strano, ma aveva un passo leggero che mi piaceva guardare. Comunque la memoria può falsare, e posso confondermi . Ricordo un uomo serio, talmente serio che una mattina non ce la fece più a sopportare la nostra classe che non recepiva, non ascoltava, con in in fondo aula ragazze che si rifacevano il trucco (non succedeva sempre: dipendeva se arrivano i loro morosi a prenderle in auto, oppure leggevano i fotoromanzi “Lancio”durante le lezioni di verismo e dei “Promessi Sposi”. Andò dalla preside dicendo: getto la spugna, quella classe lì non la sopporto più: e aveva ragione. Eravamo insopportabili. Per punizione, quasi tutta la classe si beccò un aggiunta di esami di riparazione. Questo, del trucco e dei fotoromanzi “Lancio”, èuna faccenda, credo, che le interessi poco, non deve essere stato un problema del liceo che lei ha frequentato.
Non conoscevo l’episodio dell’andata in presidenza. Da noi erano gli studenti ad andarci, spesso con conseguenze pesanti.
Grazie per il suo riscontro. Leggerla è sempre un piacere. Salta fuori un mondo vero di persone, fatti, luoghi, situazioni.
Eravamo tutti insopportabili.
I problemi sono cominciati quando siamo dovuti diventare tutti sopportabili.
Siamo rimasti insopportabili, almeno io, certamente; ma lei ha ragione; viviamo tempi dove a furia di mandar giù, di far finta di niente, si lasciano passare cose miserebili. Ci sopportiamo a denti stretti.
Più che miserebili, miserabili. Mi scuso.
Nel lontano anno scolastico 1956-57 frequentando la classe IV ginnasiale del liceo classico “Pietro Giannone” di Benevento, ebbi la fortuna di avere come insegnate di lettere la professoressa Margherita Marmiroli. Conservo un ricordo bellissimo di un’insegnante colta, sensibile e moderna, impegnata culturalmente anche in orario extra scolastico con i giovani dell’azione cattolica della città. L’anno successivo si trasferì a Roma ed io ebbi con lei contatti epistolari per un po’ di tempo. Negli anni settanta lessi della sua vicenda nel liceo di Crema. Sarei molto contento di conoscere il prosieguo della sua attività di insegnante e della sua vita. Ringrazio e saluto molto cordialmente la persona che avrà voglia di darmi notizie della straordinaria e indimenticabile insegnante di sessantatré anni fa.
Ho scritto il “pezzo”, ma chi potrà darle informazioni utili su Margherita Marmiroli è il prof. Piero Carelli che sarà bene contento di risponderle. La ringrazio molto.