MALEDETTA CAMPAGNA SGHEMBA. FAUSTO COPPI E L’ITALIA BIGOTTA
‘Nacleto Codebue stava dalle parti di S.Bernardino, un pezzo d’uomo lungo, secco, magro come un chiodo, che diceva di avere le ossa di cristallo, come l’Airone, il Campionissimo. Nei pomeriggi della domenica, prima di andare al bar per una partita a briscola, una scopa d’asse, restava a casa, ciabattando nervosamente vicino alla radio accesa, per la radiocronaca del Giro d’Italia, il Tour de France, la corsa infernale che era la Parigi-Roubaix, il Giro delle Fiandre, la Milano-Sanremo.
Non solo ‘Nacleto tifava per Fausto Coppi, quando il Campionissimo, i polpacci duri come acciaio, saliva costante nelle rampe senza perder di pedalata, era come se ‘Nacleto fosse gli occhi delle persone, sul ciglio delle strade polverose, che vedevano arrampicare l’Airone, occhi e voci che lo incitavano mentre al Campionissimo capitava una crisi, un cedimento, restava indietro sullo Stelvio, o forava, mentre Gaul, lo svizzero Kubler, i francesi ne approfittavano per staccarlo. ‘Nacleto soffriva con lui, s’immedesimava, correva con Fausto Coppi, con indosso il pigiama. E quando la corsa si metteva male per il Campionissimo, ‘Nacleto, con un gesto d’irritazione cacciava lontano le pattine da salotto che la Bruna, sua moglie, voleva a tutti i costi si dovessero usare, perchè ogni mattina della domenica passava la cera.
Abitavano in un appartamento in affitto, due finestre sulla via Brescia; il gabinetto condominiale; la credenza; il materasso che dava problemi alla schiena di Bruna, ma cambiarlo costava troppo; i quadri da poco e le pentole di rame da appendere al muro che erano del padre di ‘Nacleto, unico lusso decorativo. E c’era in arrivo il primo figlio. Nessun conto in banca e tutti i mesi “la salita al Pordoi” obbligatoria, con le gambe ossa di cristallo, oppure fragili come fuscelli, per arrivare senza debiti col macellaio, il prestinaio, il lattaio.
Come al Campionissimo capitava la giornata sfortunata, alla famiglia Codebue arrivava la spesa imprevista, e bisognava comperare a credito, o chiedere ancora una volta il prestito alla sorella di Bruna, Eleonora, la sorella zitella; quattro soldi che venivano subito restituiti appena ‘Nacleto prendeva la busta, il salario del mese.
Acquistavano a credito anche i ricchi, le signore a cui Bruna faceva i tailleurs, e Gianni il formaggiaio di Via Brescia certe volte doveva, con tante precauzioni, ricordare il saldo dei mesi arretrati a quelli, ai ricchi, che se avessero voluto, potevano anche comperare il negozio di Gianni, pure lo stabile intero, tanto stavano bene di famiglia. Ma la moglie di ‘Nacleto si vergognava di ritardare un pagamento, e tormentava il marito; si acquietava quando riusciva a trovare altre clienti, altre camicie da stringere, gonne da accorciare, e restava su fino che era buio pesto, la radiolina accesa al minimo per tenerle compagnia; l’avviso ai naviganti: sul Tirreno occidentale, mare forza otto, calma piatta sul Mar Ligure; e il notturno italiano, in onde medie, per gli italiani all’estero: muratori, camerieri, operai che telefonavano dalla Svizzera, dalla “Merica”; scrivevano dal Canada, Hannover, dal Belgio.
Forse, la Bruna sperava ancora che il suo vecchio fidanzato finito in Russia, con Mussolini, per un miracolo vero comparisse alla radio, ma forse era meglio di no, oramai lei si era sposata,e stava pure in stato interessante. Già al sesto mese. La domenica, dopo la Messa, e i tortelli, a casa Codebue passava Eleonora, i capelli biondo oro acconciati a tornante sulla testa che pareva una principessa dei tempi antichi, a far quattro chiacchiere con la sorella, a raccontarle i malanni che non la abbandonavano, e Bruna abituata all’elenco delle sue malattie la stava ad ascoltare, mentre rammendava, cuciva con la Singer: il rumore del pedale della macchina da cucire che vibrava, si mescolava alle emicranie, le infiammazioni; ma c’erano pure, fra loro due, dei sorrisi di nostalgia, quando rammentavano i tempi del Carnevale, le maschere fatte in casa, le frittelle che poi Eleonora faticava a digerire.
Le voci, ricordando la giovinezza perduta si scaldavano, si facevano più squillanti e disturbavano la radiocronaca del Giro, ‘Nacleto le orecchie cucite al transistor; e allora lui si rifugiava in camera da letto, imprecando, sbattendo la porta. Fisicamente, e non solo, ‘Nacleto era copia carbone, quasi poteva sovrapporsi al Campionissimo. Entrambi figli della campagna, alti, asciutti, gli occhi malinconici, facce allungate e scavate, le origini umili, lo stesso filo di scontrosità che era soltanto timidezza, imbarazzo, le frasi corte subito spente, come mozziconi schiacciati nel posacenere, il desiderio enorme di piacere agli altri. Poca, pochissima scuola; entrambi a guadagnare soldi già da ragazzetti, Fausto Coppi, a tredici anni lavorava come garzone di un salumiere a Novi Ligure, e la domenica mattina montava in bicicletta, con in tasca le cinque lire di paga settimanale e tornava a casa: diciotto chilometri, dalla piana di Novi, ai quattrocento metri d’altitudine di Castellania, un piccolo borgo dei Colli Tortonesi. Novanta anime.
Quando Eleonora non passava a trovare Bruna, ‘Nacleto poteva godersi in pace le corse del Campionissimo accendendo la radio grossa, una Magnadyne a valvole, acquistata a rate, nel ’49. Si piazzava in poltrona, la testa sempre curva in avanti, come se volesse aiutare l’Airone nello sforzo, nella fatica; minuti che ‘Nacleto stava zitto, le braccia incrociate all’altezza dello stomaco, teso, e in quei frangenti, la moglie lo sapeva, meglio girargli al largo. Eppure su Coppi, ‘Nacleto e Bruna litigavano, anche a maleparole, il più delle volte. Il motivo d’attrito era la storia, la relazione del Campionissimo con Giulia Occhini, che il cronista de L’Equipe, Pierre Chany chiamò “la dama in bianco”, vedendola un giorno, all’arrivo di una tappa del Tour, di fianco a uno stremato Fausto Coppi; lei raggiante e sfarzosa, indossando un bianco montgomery. ‘Nacleto, le imprese del Campionissimo, le aveva viste al cinema durante i cinegiornali; solitario sulle Dolomiti; le curve in salita; gli strappi, quando ti scoppiano i polmoni e di birra in corpo non ne hai più. Bruna non si capacitava, il perchè il marito si faceva venire l’ulcera per un ciclista, quando Coppi non vinceva le corse e veniva staccato dai francesi. ‘Nacleto diceva che i francesi avevano pure intenzione di spinger giù Coppi da qualche burrone, tanto ce l’avevano con lui. Era troppo difficile, impossibile tenere il suo passo; solo Bartali, ci riusciva, ma non sempre. Però, diceva la Bruna, quando Coppi parlava in televisione, era vero, pareva uguale uguale ‘Nacleto: lo stesso sorriso, l’impaccio, le frasi interrotte a metà, la stessa diffidenza terragna, i solchi nella faccia per la campagna: sghemba per Coppi, dritta come una fucilata per ‘Nacleto.
Coppi volava sull’asfalto come un uccello staccato da terra, e in pista sfrecciava come un treno veloce. Sembrava che la fatica di crescere fra le colline tortonesi, allora terre di emigranti, ce l’avesse stampata in faccia. Fu lo zio marinaio del Campionissimo, tornato dal Golfo Persico, che gli dette i soldi, le cinquecento lire necessarie per la prima bici da corsa. Coppi aveva quell’estraneità, in mezzo ai fotografi, ai cronisti, come se sapesse che famosi o no, si è sempre soli, e per quelli come lui, o per ‘Nacleto, c’è sempre da faticare, qualcosa da dimostrare, da penare, sempre, in cima alle salite, nelle discese vertiginose, sempre. E ogni conquista è fragile, come nel ’54, tappa Palermo-Messina del Giro, Coppi arrivò al traguardo con undici minuti di ritardo, per indigestione di ostriche. L‘Italia bigotta, bacchettona gli si rovesciò addosso. Hai voluto l’amante? Quella lì, diceva la moglie di ‘Nacleto, il Coppi l’ha sfiancato, spompato. Prima il grande ciclista mangiava la pasta asciutta, i prodotti dell’orto, beveva mezzo bicchiere di Cortese o Timorasso, adesso, fa il signore, champagne e ostriche.
E in casa Codebue volavano stracci; pure nelle piazze di paese, nascevano discussioni: gli uomini sono sporcaccioni e le donne tentatrici. Bisogna pregare, dicevano certune, e certi preti durante la predica, bisogna affidarsi a Dio e tenere lontano il diavolo. Erano gli anni di Gedda, di Maria Goretti. ‘Nacleto, lasciava che la moglie lo tormentasse; che poteva dirle? Le sconfitte di Coopi, se le sentiva addosso, come se fossero sue. E’ tutta invidia, pensava, ce l’hanno con lui perchè si è innamorato di un’altra, e perchè ha dimostrato di essere forte, il più forte, nonostante le fragilità del carattere, la timidezza, le gambe come ossa di cristallo. Ce l’avevano con lui, perchè era diventato famoso, rispettato, anche se era uno di poca scuola, figlio di contadini. La dama bianca? ‘Nacleto scrollava le spalle. Contava la corsa; il resto contava niente. Poi, cosa ne sapeva la gente? Era una balla che la separazione dalla moglie di Coppi (anche lei di nome Bruna) Ciampolini, impediva al Campionissimo di vincere, e che i trofei fossero spariti dal suo palmares. Certo, l’Airone era distratto, a volte; sentiva addosso le critiche, i veleni, le pressioni.
E quella lettera. La lettera di Bartolo Paschedda, il direttore del Centro Sportivo romano, scritta su diretto volere di Pio XII, una missiva riservata, recapitata a mano al Campionissimo, l’8 luglio 1954. “Caro Fausto, ricordati che non impunemente si violano certe leggi e impegni liberamente presi…Lei (la dama bianca) se come dice, ti vuole veramente bene, deve capire che scomparire dalla tua vita pubblica è suo dovere…Il mio intervento l’ho fatto per ordine e consiglio del Santo Padre”. Il Papa aveva fatto pressione perfino su Ginettaccio Bartali, che era dell’Azione Cattolica, perchè riuscisse a far ragionare il Campionissimo , a fargli smettere di vedere quella donna tentatrice. Niente da fare, diceva la Bruna di ‘Nacleto: il diavolo gli è entrato nel sangue, nei pensieri, anche in quel coso lì, nei muscoli del figlio di contadini di Castellania. Maledetta campagna sghemba.
In quegli anni, anni cinquanta, i bigotti dettavano legge, erano una cappa soffocante sulla vita delle persone, la politica, l’arte, anche lo sport. Sui costumi, Ogni cosa. Nel ’54, dopo Pella, al governo ci andò Mario Scelba, un democristiano conservatore, ben visto dal Vaticano, e ostile al centro-sinistra. In libreria, “Il disprezzo” di Moravia, fu messo all’indice dal Santo Uffizio. Quattro anni prima, nel 1950, una giovane contadina dell’Agro Pontino, Maria Goretti, uccisa da un giovane con varie coltellate perchè si era rifiutata di “concedersi”, la Chiesa la scelse come simbolo di un’Italia casta e virtuosa, votata alla maternità e al lavoro domestico, disposta pure a morire pur di salvare la verginità. Sapeva, ‘Nacleto delle pressioni costanti che riceveva il Campionissmo perchè tornasse a casa dalla moglie? I rotocalchi che ‘Nacleto prendeva in prestito dal fratello edicolante, parlavano ogni settimana dell'”affare” di Fausto Coppi con Giulia Occhini, della dame en blanc sposata a un medico più vecchio di una decina d’anni, Enrico Locatelli, un signore del Nord, mentre lei, napoletana, per sfuggire la guerra, era finita con la famiglia in un piccolo borgo marchigiano. Nel centro Italia, il Locatelli, capitano medico e la Occhini si conobbero, e in breve tempo si sposarono. A fine guerra, si spostarono al Nord, vicino a Varese. Fausto Coppi, sentì che la sua fatica si raddoppiava, oltre la corsa doveva vincere anche le critiche, le rampogne, le stilettate dei giornali; era diventata una corsa contro di lui, lo marcavano a vista, e nelle interviste Coppi teneva un profilo basso, anche se ora sfoggiava bei vestiti, i colori giusti, il fazzoletto nel taschino. E in casa Codebue, la moglie, diceva che ‘Nacleto voleva essere elegante come il Campionissimo, e si lucidava di brillantina, si pettinava in continuazione, la cravatta bene annodata; magari avrebbe voluto anche lui trovarsi un amante, anche se una dama bianca, con il portafoglio vuoto, sarebbe stato un bel problema trovarla, diceva velenosa, la signora Codebue. Ci provò anche la mamma del Campionissimo, Angelina. Un giorno va all’albergo milanese dove era di stanza il figlio, caduto durante una corsa. Entra in camera e vede “la dama bianca” seduta sul letto, a far carezze a suo figlio. La investe di rimproveri: doveva vergognarsi, aver timor di Dio; vattene, le disse. In Francia, i giornali sportivi e quelli conservatori attaccarono il contadino di Castellania. Scrissero che Fausto Coppi non merita di gareggiare al Tour de France, che la sua vita privata non si confà a un grande sportivo, a un campione. Sui rotocalchi compaiono fotografie della figlia di Coppi, Marina, triste, la madre che piange con lei. Coppi riceve lettere piene d’ingiurie. Di minacce. Gli viene ritirato il passaporto. Sulle curve in salita, gli urlano: sei un rovinafamiglie. Giulia Occhini è Lucifero in abiti femminili, una maga, una sirena. una col profumo Chanel che ha incastrato il ciclista tortonese. E’ la signora frou frou attratta dal successo, i soldi, che ha messo nell’angolo la “dama grigia”, Bruna Ciampolini, una brava casalinga, donna semplice, senza trucco, come Bruna Codebue. Un giorno, a Villa Carla, a Novi Ligure, la casa dove vivevano i due amanti. Coppi e la Occhini, in piena notte arrivarono i carabinieri. Ordine di perquisizione. Il marito della “dama bianca” aveva denunciato la moglie per adulterio. Lei si difese, dicendo che era solo la segretaria del campione, di Coppi. Nient’altro che un umile dattilografa. Sembrava una recita di un film con Totò. Il marito benestante, su con gli anni, tradito e imbufalito che voleva buttare giù la porta d’ingresso; la moglie giovane e graziosa, forse anche un pò perfida, e costretta a mentire. Dormiamo in letti separati, dicono i due amanti. I due carabinieri si guardano in faccia, indecisi. Partirono le denuncie, anche alla cameriera, che aveva detto: la signora non è in casa. Dopo un mesetto, dalla perquisizione, Giulia Occhini viene condotta in carcere per adulterio e abbandono del tetto coniugale.
L’interrogatorio ebbe tratti drammatici e surreali. Lei che insiste: sono la sua segretaria mi occupo della corrispondenza, e a volte gli stiro le camicie. La moglie di ‘Nacleto, a cena, disse al marito che avrebbe pregato anche lei, che il Campionissimo doveva tornare sulla retta via; il marito rideva, le diceva: vai avanti a mangiare, che il brodo si raffredda, e smettila di dire baggianate. Il Campionissimo morirà, poi, nel 1960, per aver contratto la malaria, durante un safari in Africa. Durante le sue ultime ore all’Ospedale di Tortona, ci fu la processione di commenti, pure di un un gregario di Coppi, Ettore Milano; ancora la storia che la “dama bianca” gli aveva rovinato la vita, che era gelosa, che lui non era più quello di un tempo, che lei lo costringeva, scrisse un giornale “ad eccessi sessuali”. L’adulterio femminile, come reato, fu abolito solo nel 1968, mentre negli anni cinquanta, un progetto di legge democristiano a firma Solari, provò a far passare per reato anche l‘adulterio maschile.
Commenti
Bellissimo! Lo passo al nostro amico Lauro Zanchi, professore a Crema e invasto di pedale.
La ringrazio molto. Lo scritto è dedicato a Gianni Brera, Mario Fossati, grandi cronisti sportivi, e a mio padre, appassionato di Fausto Coppi.
Narrare l’Italia di quel tempo attraverso la storia di Fausto Coppi è un esercizio di fine tecnica, oltre che scritto in maniera pregevole. Coppi e Bartali, fanno parte dell’epopea del nostro Paese, una narrazione raccontata con gli occhi degli altri, dei cronisti del tempo. E anche la vicenda della Dama bianca, oggi sarebbe passata del tutto inosservata, mentre, come scrive il bravo autore, per l’epoca è stato un tema, meglio un fatto di costume, ampiamente divisivo. Da appassionato e praticante preferisco il ciclismo di oggi, con le sue mille sfaccettature, i suoi campioni che sono la sintesi di una preparazione e di una tecnica rigorosa e scientifica. Negli anni 50, e poi 60 e 70, o eri Coppi o eri Bartali, o eri Merckx o eri Gimondi, e poco altro. Adesso il livello si è alzato così tanto che ad ogni corsa ci sono almeno 10 corridori che potenzialmente la possono vincere. Personalmente non trovo nessun sport che mi emozioni più del ciclismo. Ovvio, sono di parte, ma c’è di meglio di uno scatto dirompente in salita, di una discesa percorsa pennellando i tornati e rilanciando la bici a oltre gli ottanta all’ora, di una volata che si decide per 1 cm?
La ringrazio. Se le dico che il ciclismo m’interessava poco, da ragazzo, lei sarà deluso. Ma sapevo quanto importava a mio padre, quanto per lui fosse una cosa oltre lo sport, la fatica, il riscatto, la voglia di vincere contro tutto e tutti. Ridevo della sua passione sfegatata, anche se silenziosa per il Campionissimo. Dopo Coppi, smise di seguire il ciclismo. Trovo più dignità, a volte, nella fatica, nella pratica sportiva che in tante elucubrazioni mentali, gente che se la conta e la racconta sul perchè, il per come non gli gira bene, e il mondo non fa quello che dovrebbe fare. Grazie ancora.
Una full immpersion nella storia, quella reale, vissuta, con i suoi colori, con le sue luci e le sue ombre: un vivacissimo quadro.
Complimenti, Marino!
Grazie Piero. Magari è venuto un pò pasticciato, il quadro, ma pazienza.
Io sto dalla parte di Bartali, se mai tifo o divisione abbia ancora senso. Anzi, sto dalla parte di tutti e due, del primo perchè sfidò il perbenismo ipocrita di quei tempi, aprendo la strada, in salitissima, ad una libertà di costumi che pochi chiedevano, praticando in sordina –le corna sono vecchie come il mondo- e del secondo, entrato a buon diritto nella storia politica per quanto fece per la causa ebraica. Due campioni, ancora di più per il messaggio che veicolarono, fuori strada, sfidando per passioni diverse quel mainstream, si direbbe ora, che si infilava sotto le lenzuola di chiunque e che qualche anno prima si era incistato nelle menti di italiani infantili, deboli, inetti bisognosi di farsi indicare una strada, incapaci com’erano di pensare con la loro testa. E forse è questo che distingue i campioni: liberi a tutto campo, non solo sfrecciando contro vento meteorologico, ma contro il vento della Storia. Due simboli di grande libertà. Ora, i campioni, anche del ciclismo, devono sottoporsi al controllo antidoping prima di ogni corsa. E giù da quei pedali il vuoto.
Abbiano, non abbia. Sorry.
Coppi e Bartali erano grandi entrambi. Ha ragione. Volevo raccontare più cose, con uno sfondo e il periodo in questione. Grazie. Ringrazio anche Francesco Torrisi che mi ha ricordato di rispondere qui, e non col telefonino. Ma ero un campione della dattilografia (primo alla prova in un cinemone con parecchi provanti, al Centro Addestramento Reclute di La Spezia; dieci dita, senza guardare il foglio, con consegna rapida e gli altri a picchiare sul foglio e a far notte), e ultimo degli ultimi in tecnologia, purtroppo più utile oggigiorno. E non so ancora usare il copia e incolla. Le cose cambiano, si sa. Me ne sono fattpo una ragione. Ovvio. A volte si retrocede. Buona serata.