Il relatore è professore ordinario di Relazioni Internazionali nella facoltà di Scienze Politiche e Sociali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.
Dal 2002 è professore a contratto nella Facoltà di Economia dell’Università della Svizzera Italiana di Lugano (USI).
E’ direttore di ASERI (l’Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali) e program director del Master in Economia e Politiche Internazionali (MEPIN), una joint venture tra l’ASERI e l’USI.
I suoi campi di ricerca sono: le relazioni transatlantiche, la sicurezza in Medio Oriente, i cambiamenti strutturali del sistema politico internazionale, il rapporto tra democrazia e mercato.
Ha insegnato e tenuto conferenze, seminari e lezioni in numerose università in Italia e all’estero, tra cui: Princeton University, Cornell University (Ithaca, N.Y.), Catholic University of America (Washington, D.C.), St. Anthony College (University of Oxford), Université de Saint Joseph (Beirut, Libano) Royal University of Phnom-Penh (Cambodia), Novosibirsk State University (Russia), Kazakh Law Academy (Kazakhstan). Fa parte del Gruppo di Riflessione Strategica del Ministero degli Affari Esteri. Collabora con Médicins Sans Frontières (Italia). E’ membro dell’Advisory Board di LSE IDEAS (Center for Diplomacy and Strategy at the London School of Economics). E’ socio fondatore delle Società per lo Studio della Diffusione della Democrazia (SSDD) http://www.cires.eu E’ membro del Comitato di Garanzia de “Il Giardino dei Giusti”. Intensa la sua attività di pubblicista e collaboratore di riviste scientifiche: è direttore della rivista Idem, membro del comitato scientifico di “Paradoxa” e di “Vita e Pensiero”, editorialista de “Il Sole 24 ore” e “Avvenire”, scrive per “Panorama”. Collabora inoltre con “Italiani Europei”, “Diritto e Libertà”, “Formiche”, “Limes”, “Filosofia Politica”, “Affari Internazionali”, “La Comunità Internazionale”, “Atlantide”, “Aspenia”, “Il Mulino”, “Biblioteca della Libertà.
Ricordo che l’editoriale dell’Avvenire di oggi è suo.
Tra i suoi ultimi libri:
– La fine dell’uguaglianza, Mondadori, Milano 2012
– Titanic. Il naufragio dell’ordine liberale, il Mulino, Bologna 2018
In “La fine dell’uguaglianza” (il libro che ci ha spinto a invitarlo al nostro corso), tra l’altro, scrive:
– fino alla metà degli anni ’70 (Novecento) il differenziale tra il reddito dell’amministratore delegato e l’ultimo fattorino di una medesima compagnia non superava il rapporto di 40 a 1. Oggi il rapporto è di quasi 400 a 1.
– Roosevelt operò una redistribuzione dei redditi estremamente radicale: l’aliquota massima, che era del 24% negli anni Trenta, salì al 63% durante la prima Amministrazione Roosevelt e aveva raggiunto il 91% alla metà degli anni Cinquanta. Attualmente [2012] è al 35%
– la libertà del mercato è diventata presto la dittatura del mercato, dove gli unici che sperimentano una crescente libertà – dalle regole, dalle responsabilità e, alla fine, perfino dal corretto funzionamento di un’economia di mercato – sono i grandi operatori finanziari (quello che viene chiamato “turbo-capitalismo”)
– il mercato è un ottimo allocatore delle risorse, ma un pessimo gestore della redistribuzione: ovvero è un moltiplicatore di disuguaglianze
A lunedì 11 febbraio.
il video integrale per chi si fosse perso la serata:
Commenti
Non a caso una seria rivista scientifica come “le scienze” deica nel numero in circolazione ampio spazio al tema disuguaglianze, capaci di produe risvolti anche sul mondo fisico planetario.
Mi aspetto domani un intervento contro ogni mainstream, senza mezzi termini, contro il conformismo politico-economico e contro il conformismo dell’anti-conformismo.
Il tema delle disuguaglianze crescenti è centrale e di sicuro è uno dei motori del diffuso disagio (disagio che ritroviamo anche nei gilet gialli).
Non dimentichiamo che è stata la leva della Rivoluzione francese!
Così, come recall: il titolo che abbiamo dato alla SCUOLA DI EDUCAZIONE ALL’ECONOMIA – ANNO III “Governare i grandi processi che stanno sconvolgendo il mondo”, aveva come significativo sottotitolo: “IL PRIMATO DELLA POLITICA SULL’ECONOMIA”.
Questo mi sentirei di rivendicare con forza, a dispetto di ogni “automatismo/tecnicismo” dettato da PIL/SPREAD ed ….”equilibrismi” dettati da fantasiose “finanze creative”, tenendo comunque “al centro” il LAVORO dell’uomo, come “stella polare” del nostro cammino su questo pianeta.
Nel suo ultimo libro (Titanic. Il naufragio dell’ordine liberale, 2018) Parsi, tra l’altro, così scrive:
“Per i cittadini delle nostre affaticate democrazie, sempre più alla deriva, sballottate tra demagogia populista e tecnocrazia oligarchica – la sensazione per nulla sbagliata è quella che, forse o per davvero, il tramonto dell’Occidente […] sta mestamente compiendosi”.
Un incipit che è un vero e proprio shock!
Parsi Parla di un’ideologia liberale che che ha generato una “teologia economica” e di “un capitalismo della rendita, oligopolistico e finanziarizzato, che non ha alcun senso definire ancora ‘libero mercato'”.
Poche battute che scelgo a caso per dare l’idea del taglio che presumo darà il relatore di questa sera: sarà una relazione tutt’altro che soft!
Il microfono non è mai approdato fra le mie mani, ma la mia domanda sarebbe stata una e secca, la stessa che girava fra il pubblico in predenti sessioni: si ridarà olio alle ghigliottine? Per chi, governante, si è incartato, in gergo da giocatori di carte, niente di meglio di un evento traumatico, che sia una guerra o una sommossa non fa differenza, basta una via di fuga. La natura procede per cadute e rinascite, la storia umana idem, e alla stupidità, esclusivamente umana, non c’è limite, quindi nessuna eccezione!
Forse, Adriano, non ci sarà bisogno della ghigliottina (la storia non si ripete mai), ma “il grido di dolore” che proviene dagli ultimi della piramide (sempre più acuta) prima o poi – ripeto sempre le parole di Parsi – potrebbe “travolgere” le classi dirigenti (vecchie e nuove).
Le distanze tra i poveri e i ricchi si allungano a dismisura: non sono tanto i poveri che diventano più miserabili (Parsi ha parlato dei “lavoratori poveri”), ma sono i ricchi che diventano sempre più ricchi.
Dall’ottimo Parsi, ieri sera è emerso con prepotenza l’assunto contenuto nel sottotitolo del nostro Corso “IL PRIMATO DELLA POLITICA SULL’ECONOMIA”. (la ….. “bella politica, ovviamente!)
Primato che va esercitato e, perchè lo si possa esercitare con proficua cognizione di causa, la politica deve uniformare le sue scelte a dei VALORI: prima tra tutti “l’Equità”, la “Lotta alla diseguaglianza”!
Vittorio Parsi, professore, la dimostrazione vivente di quanto possa/debba essere determinante esercitare la tolleranza, la capacità di ascolto, l’esercizio della democrazia “praticata”, da persone intelligenti (e il nostro genere ha in se questa potenzialità!) per sconfiggere lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo!
Conclusione davvero ad alto livello quella di Parsi, tanto più interessante se la rileggiamo a ritroso nelle lezioni precedenti: ridare un baricentro al nesso stato-mercato, a partire dai mercati finanziari (avrebbe detto Cottarelli). Ecco il punto.
Forse Parsi ha sorvolato troppo sul come ridare ali alla politica. Per fortuna ci aveva detto qualcosa (non nuova, ma sempre da ripassare) De Biase, quando chiedeva di valorizzare l’intelligenza collettiva che orienta valorialmente i processi tecnologici ed economici, mi verrebbe da dire come come se Voltaire (aristocrazia della ragione) e Rousseau (partecipazione ai processi) potessero fare squadra per il bene più alto: quello di tutti. Io aggiungerei di non sottovalutare l’importanza di organizzare la partecipazione non solo dei consumatori [clamorosa la storia dell’olio di palma, sia pure in modo ambivalente – ne aveva giustamente parlato De Biase], ma anche di risparmiatori, azionisti, fondi pensione, società mutualistiche … essi potrebbero sì fare da sponda alla politica, rilegittimando ad es. politiche fiscali redistributive (ancora Cottarelli) almeno in Europa, oppure prosciugando le paludi in cui nuota l’evasione fiscale (cosa significherebbe ad es. avere un debito pubblico al 75%?). Senza ignorare le categorie economiche, gli ordini professionali, che potrebbero giocare un ruolo non di club chiuso, ma di stimolo a diffondere quell’economia della conoscenze che forse porterebbe non a versare il latte per strada, ma a consorziare la sua lavorazione, non a ritirare stock di pecorino per le mense dei poveri, ma a venderlo “griffato” agli americani (non è un problema di narrazione, diceva De Biase?). Naturalmente se si assicura a tutti, nella fase della transizione, la protezione sociale necessaria e una riqualificazione mirata (Ichino).
Grazie CremAscolta.
Bella la frase in cui il valore diventa il chiodo che tiene su il quadro degli interessi.
Davvero, Graziano, anch’io l’ho sottolineata col pennarello rosso!
Che poi la splendida immagine si arricchisce anche fantasiosamente del diverso significato che la lingua italiana permette di attribuire alle parole “valore” e “interessi”!!! [CDQ ©2017]
Il prof. Parsi ci ha offerto degli spunti preziosi.
Tra l’altro, mi ha intrigato il discorso sulla “invenzione” del ceto medio sia ai fine di allargare la platea dei “consumatori”, sia quella degli imprenditori (pensiamo ai tanti operai che sono stati incentivati e aiutati (con commesse) a mettersi in proprio.
Mi ha intrigato il discorso sul cambio di “senso comune”: mentre fino a pochi decenni fa sembrava logico a tutti che la tassazione dovesse essere progressiva (a metà degli anni ’50 l’aliquota max è arrivata negli Usa al 91%!), oggi ha… vinto il senso comune contrario e si continua a tagliare le imposte ai ricchi e ad impoverire i poveri.
Mi ha intrigato il discorso sulla “economia delle conoscenze”, non della “conoscenza” (come viene sbandierato): non è un caso che il top del top degli uomini più ricchi d’America lo sia per nessun “merito” proprio, ma grazie alle “conoscenze giuste”.
E poi… si predica la… meritocrazia!