Crema sempre più in fermento: la nuova ricerca del Gruppo Antropologico Cremasco, che verrà presentata sabato 17 c.m. in sala Agello presso il Museo Civico di Crema, apre nuovi spiragli destinati a far luce sulla figura dell’uomo cremasco. Riprendendo il solco degli ultimi anni vengono messe a confronto le situazioni del passato con la realtà del presente .
Si aprono le porte di un futuro imminente, ancora alquanto indefinibile.
I saggi presentati affrontano diverse tematiche: Il mondo di ieri e di oggi (E. Edallo), la musica moderna (D. Ricci) e quella educativa scout ( M. Lunghi), il tempo libero (D. Ronchetti), l’evolversi dell’agricoltura (E. Benzi), la transizione urbanistica (L. Aloisi), i sussulti della scuola elementare (V. Dornetti), l’uomo futuro che è già tra noi (A. Tango), la difesa delle archeolingue (italiano, vernacolo) e un viaggio nei meandri del transumanesimo (W. Venchiarutti).
Vi aspettiamo tutti alle 16,30!
Commenti
Le pubblicazioni (ormai più di trenta) del Gruppo Antropologico Cremasco sono prodotti culturali particolarmente preziosi (preziosi anche dal punto di vista economico: vi sono numeri così rari che sulle bancarelle vengono venduti a prezzi astronomici).
Lo sarà indubbiamente anche quella che sarà presentata sabato: i titoli dei saggi sono già intriganti di per sé.
E la tua presenza e contributo al dibattito saranno preziosi!
Interessante l’idea di aprire spiragli tentando di far luce sull’uomo cremasco.
Da sempre restio a certe illuminazioni.
La stessa definizione di uomo cremasco e di “cremaschità” è stata a lungo discussa in passato. Mi pare di ricordare un simpatico dibattito (forse in miscellanea Braguti, qualche notaio letterato o canonico teologo, non so bene, per cui sarebbe oltre un secolo e mezzo fa) sul quando e perché tale definizione si possa considerare corretta, in presenza di determinati requisiti e attribuzioni.
A proposito, Adriano, ti prego di scusarmi ma non mi quadrano la sala Agello e l’orario di inizio alle 17. (Comunque, di solito viene messa la locandina dell’evento all’ingresso del Museo. Però sarebbe un peccato perdersi l’inizio).
Scusami, ho visto adesso l’orario giusto. Sulla sala, non so.
l’errore di partenza è mio trattasi della Sala Cremonesi
Grazie, Walter.
Sala Cremonesi e l’ora: 16,30.
Grazie amici delle precisazioni: per una volta on ero in errore io. Circa l’uomo cremasco, parlo da neofita essendo la prima volta che collaboro con il GAC, direi che i requisiti ci sono: ben poche etnie hanno avuto un periodo di segregazione così lungo nella storia moderna, come sappiamo dovuti a motivi greologici acentuati da quelli militar-politici. Nel carattere stesso, orgoglioso ma un po’ diffidente verso “l’extra”, se e portano le tracce. Anche questa caratterizzazione si dissolverà nellibridazione gentica e culturale. Di solito ne nasce qualcosa di meglio. Speriamo.
Tema molto difficile. Pochi dubbi (ma qualcuno c’è) sulle maggiori specificità storiche e culturali del territorio e della popolazione residente. Basta conoscerle direttamente. In termini etnici, la discussione è da sempre accesa e non sempre univoca tra città e contado. Sugli ultimi decenni di vita sociale, notevoli le contrapposizioni dovute, almeno in parte, ai diversi orientamenti ideologici. Sugli sviluppi futuri, poi, il campo delle opinioni è apertissimo, confondendosi spesso i fatti e i numeri con le pulsioni desideranti dei vari portatori di messaggi sociologici. Insomma, un tema arduo, spesso spinoso, che da un lato offre stimoli e occasioni di confronto di sicuro interesse, dall’altro può rivelarsi un terreno minato. Visti certi metabolismi locali, sono consigliabili buoni garretti.
Visti certi metabolismi locali, sono consigliabili buoni garretti. Questa mi piace Pietro!
Una bella presentazione e, tra l’altro, un po’ diversa da molte altre, con slide, un filmato con musica di sottofondo (sono intervenuti, oltre al presidente del Gruppo antropologico cremasco, Edoardo Edallo, Walter Venchiarutti, Vittorio Dornetti, Luigi Aloisi, Elena Benzi e il nostro Adriano Tango).
Una presentazione che, confesso, mi ha incuriosito. Da qui la, appena rientrato, la lettura del primo saggio, quello dell’arch. Edallo che confronta il mondo di ieri con quello di oggi: il mondo della liquidità, della babele in cui ci si crogiola guidati dalla moda, in cui “vince il processo di volgarizzazione delle conoscenze, contro lo strapotere degli esperti, scambiando affermazioni approssimate per democrazia, alla ricerca di slogan orecchiabili da applicare alle chiacchiere da bar”.
L’arch. Edallo, parlando dell’oggi, usa parole forti: il… bla-bla del blog, il blog concepito dagli spiriti ingenui come “la massima espressione della democrazia”, le nuove tecnologie che rischiano di vanificare “il senso della umanità stessa”.
Parole forti anche quando parla di… cose di casa nostra: quisquiglie commerciali spacciate per eventi culturali.
Parole che non possono che interrogarci perché mettono in guardia tutti noi che scriviamo su un blog (un blog del tutto esento dalle critiche di Edallo?), tutti gli spiriti ingenui che vedono nel blog la massima espressione della democrazia (hanno qualcosa da dire i pentastellati di casa nostra in proposito?), gli organizzatori di quisquiglie commerciali spacciate per eventi culturali (allusione ai… Mondi di carta?).
I libri servono per stimolare una riflessione.
E riflettere è utile.
Per tutti.
Eppure, paradossalmente, mi sembra che ,
proprio fra gli spiriti ingenui,girino botte e risposte di consapevolezza
che al tempo dei nostri genitori era rarissimo incontrare.
Giusto. Oltre tutto la Storia c’insegna che “i geni” degli spiriti ingenui risultano immancabilmente vincenti. Dopo le catastrofi ambientali che sommersero d’acqua e ghiaccio vaste aree del globo, tra i 15.000 e i 12.000 anni fa, ovvero al termine dell’ultima Era Glaciale, rimasero in vita le rozze popolazioni che abitavano nei deserti e sulle montagne, mentre delle avanzate civiltà rivierasche che commerciavano e costruivano città grandiose possiamo fotografare oggi le rovine affondate nelle acque del Pacifico. Bella consolazione.
Complimenti a Edallo che punta l’indice contro “lo strapotere degli esperti”, la “babele liquida” del cosmopolitismo imposto e “le mode in cui ci si crogiola” (quelle degli influencer, immagino). Sono perfettamente d’accordo con lui.
Il contesto – tutto ironico – dice tutto il contrario, tanto più che in un altro passo si parla di esperti che vengono visti ora con sospetto, “tanto da sostituirli con wikipedia, nuovo ipse dixit (che stranamente non passa per autoritario), ma soprattutto col bla-bla del blog.
Non avendo letto il libro, ho risposto al commento postato: “vince il processo di volgarizzazione delle conoscenze, contro lo strapotere degli esperti”. Estrapolare una frase dal suo contesto è sempre rischioso, si rischia di essere fraintesi. Ma se, come dici tu, Piero, l’autore voleva dargli il senso opposto (non vedo ironia in tutto ciò), mi piacerebbe chiedergli chi crede siano gli “esperti”. Confido in una risposta.
Quanto al “bla-bla contemporaneo”, mi auguro che nel suo lavoro l’autore non lo abbia limitato ai blog. Sarebbe estremamente riduttivo poiché il bla-bla-bla, tipico di una società che non sa tacere, avviene a molteplici livelli: social, giornali, talk-show, telegiornali, conferenze a pagamento e via dicendo.
Tutti vogliono esser-ci.
Siamo la civiltà del bla-bla-bla.
Quanto invece alle “quisquiglie commerciali spacciate per eventi culturali”, Cremascolta sta organizzando una tavola rotonda, prevista per il prossimo 30 marzo. Come trovare “il libro giusto” nella mole di volumi-spazzatura offerta dalle librerie, oppure “l’appuntamento culturale degno del nostro tempo” nella giostra di proposte che piovono ormai da ogni dove e quasi tutti i giorni? Bella domanda.
Un saggio tutto da godere: accattivante, leggero, frizzante.
Un vero e proprio pezzo letterario.
E’ un piacere leggere Donata Ricci: mi trasmette il… sapore della vita, un tocco di ironia e di autoironia che non può che essere salutare per chi vuole vivere “bene”, la memoria del vissuta che rivela l’intensità del vivere.
Un pezzo che invito tutti a leggere, anche a chi non è appassionato di musica. E’ proprio la musica, infatti, il tema, o meglio le trasformazioni dei supporti fonografici: dal vinile, ai cd, dagli mp3 (che hanno inondato il pianeta di file audio compressi e di download selvaggi) agli iPod fino a Spotify e alla… musica liquida.
“Un vero delirio tecnologico che ha costretto il musicofilo di lungo corso a sforzi di adeguamento tutt’altro che trascurabili, con il risultato ben poco edificante che la qualità del suono accusa una spiccata sofferenza ed il significato dell’ascoltare musica, derubricata a bene di consumo, ne esce stravolto”.
Tutto è perduto? Dobbiamo rassegnarci a una musica derubricata a banale intrattentimento, fastidioso per giunta?
Donata Ricci dà delle indicazioni: “Se cerchiamo musica di qualità, quella per fortuna esiste ancora, purché la cerchiamo fuori dal Simply. Esistono luoghi di resistenza culturale dove continuano ad essere realizzati progetti apprezzabili. Penso a quei sopravviventi, tenaci negozi di dischi indipendenti che, in un allargamento di prospettiva, promuovono iniziative musicali di ottimo livello; oppure ai cenacoli casalinghi di gruppi di appassionati (ne esistono anche a Crema) che si autogestiscono in appuntamenti legati a temi altrimenti introvabili nel circuito distributivo”.
Che dite, amici appassionati di musica di qualità, di questi suggerimenti?
E’ possibile far uscire dagli spazi casalinghi i cenacoli di cui parla Donata?
…..ghè pè religiù!
Padron Piero, filosofo prestato all’economia, nel ventaglio del bel decalogo offerto dall’ultima “fatica” del Gruppo Antropologico, si butta ….. a corpo morto sulla (bellissima) riflessione di Donata a tema musicale!
Oddio, il titolo scelto da Donata lo ha facilitato: “Eco, Kant e il rock’n’roll” gli offriva più di un aggancio e , comunque, dovendo scegliere tra la “Musica degli Scout” trattata dall’esimio Lunghi Marco Don e la “Musica dei Jethro Tull” della deliziosa Ricci Donata, neppure io avrei avuto dubbio veruno!
Tant’è che che l’entusiasmo di Piero, ad invadere ( e mai “invasione” mi fu più piacevole!) un campo che tanta parte ha avuto nel mio, di vissuto, ha dovuto subire la perfidia di un subconscio che gli ha fatto digitare ( con l’aggiunta di una “r” assassina) “prezzo” al posto di “pezzo”!
Cheffare?
La scelta è stata di avvalermi dei mie “poteri” di C/Redattore e, affascinato da questa “metamorfosi” di Padron Piero, con un tocco di “tastiera magica” riportare il termine (non voluto) alle intenzioni (volute) dal “Filosofo prestato all’economia”, ma anche alla …..musica Rock, da desso.
Benvenuto!
Si Piero, davvero un godibilissimo “pezzo letterario” il contributo di Donata Ricci all’ultima uscita del Gruppo Antropologico !
Scritto stupendamente, ineccepibile e documentatissimo nella ricerca storica sui “luoghi deputati” a rifornire gli amanti della musica in città (dischi/cassette/cd/dvd…..), ricco di approfonditi rimandi alla sociologia, alla filosofia, alla storia, il tutto in un “bagno” d’amore verso la musica, segnatamente il rock, i “concerti”, la musica dal vivo!
Un pezzo che consiglierei vivamente nella scuole superiori, come esempio di come si possa, in modo niete affatto paludato e per niente supponente, analizzare con intelligenza e approfondire nelle sue implicanze socio/educative, un tema già di per se tanto caro ai giovani, ma spesso mal_trattato e banalizzato.
Saper far dialogare tra loro con maestria “il mio parrucchiere” con Kant, Eco (facilitato dall’….assonanza!), Adorno, l'”horror vacui” e i “Jetro Tull”, rinunciando del tutto alla tentazione di ….”tirarsela”, non è dote diffusa!
Donata la possiede e la esercita con naturale leggerezza.
Brava !
….ho già toccato l’argomento in altra parte del Blog, ma lo sottolineo qui, nella rubrica di merito: la presentazione che mi ha lasciato davvero sconvolto (ma non solo me, considerato il livello di approvazioni che l’ha seguita!), tra i temi trattati da questa edizione 2018 del Gruppo Antropologico Cremasco, dallo stimolante titolo.”DALLE CONSUETUDINI ALLE PROSPETTIVE”, è stata quella, soprattutto fotografica di Luigi Aloisi dal titolo:” Transizioni urbanistiche nella città di Crema”.
Le fotografie davvero impietose dello stato di abbandono in cui versano quelle che erano state il “cuore pulsante” del lavoro in città: la Ferriera l’Everest/Olivetti/Pierina, “Canavese”.
Il richiamo/riflessione alla rozza, speculativa transizione all’abitativo/produttivo di due pilastri del lavoro a Crema quali il Linificio ed il Pastificio Zucchi.
L'”aborto” scuola di CL nell’area della Cascina Valcarenga/Scelfer Inox.
Le sbrecciature/abbattimenti, le inglobazioni, il mancato rispetto, egoistico miope utilizzo che si è permesso dovessere subire le mura venete.
Per non parlare dell’ex Tribunale ancora in attesa di una destinazione degna.
Ma non sarebbe tempo di mettere mano in modo organico ad uno studio di progetto urbanistico di ampio respiro che delinei con coraggio, con determinazione il futuro di questa citta?
Il 2020 è ….”dopodomani” e bisogna avere il coraggio, la responsabilità di guardare più lontano! La scelta epocale deve proprio essere: passare “DALLE CONSUETUDINI ALLE PROSPETTIVE”!
Ringraziato quindi il GAC (vero “pensatoio ” della Città!) di ….esistere, prima di tutto, e di aver dato questa sferzata ad uscire da una supinamente accettata “consuetudine di imbalsamazione” di questi “cadaveri eccellenti”, il percorso non può che essere affidato con serietà, con professionalità a chi dell’Urbanistica sa esercitare l’Arte e, fortunatamente, in città non mancano i “collegamenti giusti”!
Attiviamoli…..
Nel nuovo libro del gruppo Antropologico Cremasco “Dalle consuetudini alle prospettive – L’evoluzione antropologica dell’uomo cremasco” nel mio primo intervento “Dalle archeolingue alla neolingua” prendo in considerazione la necessaria salvaguardia delle lingue tradizionali ( italiano, dialetto). L’analisi riguarda le problematiche sopraggiunte con l’arrivo della neolingua: il globish, gergo anglofono, semplificato e programmato ai fini dell’addomesticamento culturale imposto dalla globalizzazione. Si tratta di un linguaggio articolato su mantra, prospettici, asettici e simbolici che si avvale di un discorsivo elementare, plaudente, con particolare riferimento a termini derivanti da situazioni economiche. Uno slang che blocca la libera espressione del pensiero altro, rendendo impossibile la formulazione di criticità, preliminari indispensabili alla complessità e alla comparazione. Con questo ho inteso fornire una varietà di ragioni, riassumendole in un decalogo, che dovrebbero spingere alla tutela di tale bagaglio identitario. Occorre tutelare la memoria del nostro patrimonio linguistico nazionale, che si caratterizza nella lingua ufficiale come in quelle regionali, entrambe dotate (al riguardo porto numerosi esempi) di ricchezza storica, sensibilità espressiva, peculiarità evocativa, spontaneità, singolarità e immediatezza.
Nel secondo intervento “Robot. Viaggio dal Cremasco ai futuri meandri del transumanesimo” passo in rassegna la tradizione storica cremasca partendo da Francesco Tensini ( architetto militare), Giacomo e Domenico Crespi (campanari), Simplicio Grilloni (monaco inventore) , Marius Stroppa ( scenografo), Gino Bonomi (romanziere), per arrivare fino a Enzo Mainardi e Agostino Arrivabene (entrambi pittori). Il denominatore che accomuna tutti questi personaggi locali è lo studio e la passione per una antropologia sia meccanicista che naturalista. Sono l’esempio di studiosi che hanno saputo rivolgere lo sguardo indagatore al transumanesimo. La loro capacità immaginativa li ha resi coraggiosi visionari del futuro. In vari modi hanno espresso prospettive e pronosticato l’avvento di un nuovo tipo umano di cui è già possibile pronosticare alcuni tratti specifici .
Agricoltura: ieri e oggi
Ė il secondo articolo che il Gruppo Antropologico Cremasco dedica all’argomento agricoltura, dopo quello presentato nel volume “Tradizione e modernità”. Se nel precedente si è posto l’accento sull’aspetto antropologico-sociale del mondo rurale, in questo si è inteso focalizzare l’attenzione sull’evoluzione tecnologica e metodologica nel confronto tra passato e presente. L’agricoltura resta infatti un ambito economico/produttivo conosciuto da “pochi” intorno al quale matura una sorta di delegittimazione immotivata.
Ancora troppo frequentemente la raffigurazione dell’ambiente rurale, con la sua imprenditoria , è quella di una realtà statica e desueta.
In realtà la nostra agricoltura si compiace di una molteplicità di aspetti e di una complessità gestionale, associate a interessanti cambiamenti sull’onda di processi evolutivi.
Elena Benzi
e siamo solo all’inizio! Per quanto ancora vedremo un uomo alla guida i un trattore? Quelli nuovi non hanno nemmeno volante e sedile! Comunque come dicevo alla presentazione la rivoluzione delle colture agricole, compresa dastica riduzione di speci dominanti, si tradutrà in una rivoluzione coltur/culturale, che dai campi plasmerà anche la città e il nuovo mdello antropico.
Su invito di membri storici del GAC (sono un neo-cooptato) posto anche io un estratto del mio contributo all’opera, selezionando la “parte Crema”. Anticipo che come Cemacolta veo orizzonti di maggior integrazione futura!
Crema e il cremasco: uno sguardo poco oltre l’orizzonte
Come abbiamo anticipato l’uomo vive e si evolve plasmato dal suo ambiente, che, anche se antropizzato, entro certi limiti è sotto il suo controllo, ma oltre sfugge, segue una propria storia, per leggi fisiche nuove, invalicabili, che rendono improduttivi gli sforzi per mantenerlo inalterato, fedele alla tradizione, o comunque rendono gli impegni in tal senso non consoni alle leggi di mercato.
Il nostro habitat padano era caratterizzato storicamente da clima relativamente mite rispetto alla media latitudinale, specie negli inverni freddi, grazie alle risorgive. In tempi di inizio primo millennio ciò aveva favorito una precisa connotazione agricola per la produzione su vasta scala della mela cotogna, da cui il nome del paese di Codogno: una mela rustica, più piccola, aspra e coriacea dell’attuale, ma apprezzata dai Romani, che la importavano in quantità, per mangiarla cotta o addolcita con miele. Le storiche marcite sono poi state millenariamente alla base della produzione foraggiera e d’altro, coltivazioni che dal tempo della globalizzazione euro-americana in gran parte hanno lasciato il posto alle monocolture di mais. Questo facile approvvigionamento di mangimi ha reso possibile l’insediarsi di una forte produzione zootecnico-lattearia, a ciclo quasi chiuso: raccolto pluriannuale, foraggiamento delle stalle, concimazione con stallatico del campo. Conseguente una cultura abitativa agricola prima della corte padronale a tre lati, plurifamiliare, poi dei nuclei monofamiliari del tipo casa padronale, stalle, capannoni per attrezzi e foraggio, silos per granaglie, che ha resistito anche alle disposizioni europee sulle note quote latte, ma ora rischiano di abbattersi su questa connotazione antropologica ben maggiori pericoli: siccità e surriscaldamento.
L’irrigazione per inondazione non sarà presto più praticabile, e nemmeno quella a pioggia e comunque la siccità di fine estate, termine temporale che tende a spostarsi sempre più verso l’autunno, metterà a rischio i raccolti, e l’allarme è già giunto, senza appelli salvo intervento di Giove pluvio, pietosamente intervenuto. E non ha mancato nessuno degli ultimi due anni; ma è andata comunque bene, e gli eventi estremi (trombe d’aria e grandinate) si sono riversati sul Cremasco solo in misura limitata. Le previsioni sulle nuove condizioni hanno dato vita a una nuova branca dell’agraria: l’aridocoltura. La lungimiranza e l’adattamento per la sopravvivenza dovranno guidare una riconversione delle colture verso i campi di orzo e avena, o bassi erbai stagionali di trifoglio alessandrino e veccia, specie di varietà invernali, che grazie all’aratura profonda e all’inversione stagionale di crescita e raccolto ancora potranno resistere. Sopravviveranno di certo le orticolture, specie quelle idroponiche, in impianti irrigati a gocciolamento sotto capannoni coperti, meglio quelle verticali, aggrappate a muri, per un ulteriore risparmio idrico (l’acqua passa per caduta da una filiera alla sottostante fino a suo totale esaurimento).
Ma la vita del contadino, come cambierà? Sarà molto più simile a quella di un informatico, con minor necessità di sopralluoghi diretti sui campi: ci penseranno i droni. Meno irrigazioni manuali: il sistema informatico guiderà la concessione d’acqua parsimoniosa e selettiva. Operazioni di aratura e raccolta potranno essere automatizzate, eseguite da veicoli senza conducente, ma forse questo passaggio, tecnicamente già attuabile, non è nell’ordine dei decenni.
E la zootecnia? Qui siamo alle note veramente dolenti, perché la produzione carneo-lattearia bovina andrà fortemente limitata. Mediamente una mucca beve tra i 60 e i 90 litri d’acqua al giorno ma con l’aumento del calore si arriva ai 130, e ancora un 10-20% in più nei periodi di lattazione [7]. Resta poi il problema del loro approvvigionamento alimentare, visto che sono anche delle gran divoratrici, una volta che si sarà dato il via alle aridocolture, meno produttive del fieno e mais. I maiali sono molto più frugali e riciclatori (scarti alimentari). Ancor più parchi i polli, che, anche se non arriveremo noi umani alla nutrizione con insetti approvati per tale uso, potranno usufruire di questa risorsa a bassa richiesta idrica in un circolo virtuoso, scarti umani, insetti, pennuto, alimentazione umana, scarti. Quando l’uso di antibiotici nelle produzioni zootecniche sarà finalmente vietato non sarà però più possibile l’allevamento intensivo. Fra gli animali allevati comunque i pennuti, notoriamente, sono i più temuti diffusori di zoonosi (aviaria e sue varianti annuali), cosa che potrebbe controindicare un allevamento in grande stile. Teniamo presente che tutte le esperienze fatte sulla valutazione delle misure antidiffusione di germi resistenti, o semplicemente di patogeni, hanno dimostrato l’impossibilità di un isolamento assoluto degli impianti produttivi. Consideriamo inoltre nella resa la prevista riduzione di taglia degli animali a causa del maggior calore [8].
Una disincentivazione della zootecnia non può comunque che andare a beneficio dell’ambiente nelle politiche di contrasto al surriscaldamento, visto che il 26% dei gas serra è prodotto proprio dagli animali da noi allevati [3]. Il problema che si pone è in cosa riconvertire, almeno in parte, le aziende esistenti? Sta tornando l’allevamento del visone, che però produce reddito ma non si mangia, timidamente compare lo struzzo, ma sarebbe auspicabile una svolta brusca con il lancio delle fattorie degli insetti. Repellente? Le cavallette non son poi così brutte e in Madagascar le ho viste mangiare appena atterrate, decapitate e deglutite. Che schifo? Nessuno ricorda i ragazzi di Crema della passata generazione che dopo il bagno nei canali gareggiavano ad acchiappare le libellule per mangiarne le grosse masse muscolari pettorali, che chiamavano tonno di fiume?
La città
L’effetto Deisyword, già discusso, porterà per migrazione verso il nord a un certo spopolamento, qualsiasi siano le risorse lavorative che si sapranno creare sul territorio. Per ora il fenomeno riguarda i lavoratori di fascia culturalmente elevata, ma si amplierà. Il surriscaldamento indurrà di certo direttamente nuove abitudini, incentivando la permanenza in microclimi antropizzati, protetti, e quindi il telelavoro. Questa tendenza all’isolamento sarà ulteriormente incentivata se si verificheranno le prime epidemie delle più svariate malattie. Crema è al sicuro come dimensioni, il nostro Sistema sanitario e quello veterinario sono d’eccellenza, proprio perché vigilano attentamente. Tuttavia ci sono punti di debolezza nel pendolarismo e nella vocazione zootecnica già citata. Ripensare l’uomo e la città significa semplicemente farli tornare alle proprie origini, per nulla lontane. Circa le città basterà rivederle nella loro indispensabile e storica strutturazione a blocchi (quartieri, condomini, già insulae dei romani) ma con un’ariosità interna tutta nuova, spazi verdi che possano servire da cordoni sanitari spegni contagio, ora che la difesa dagli agenti atmosferici e bellica non costituiscono più un motivo pressante di addossamento di edifici. Certo, nessuno pensa di creare nel bellissimo centro storico, definito a ragione una bomboniera, delle fasce libere anticontagio, ma qui si potrà lavorare sulla profilassi e contro la povertà, fattore di degrado e abbassamento delle difese, e sono proprio i centri storici attualmente a ospitare i nuclei familiari a maggior rischio [10].
Possiamo tirare le somme da ipotesi e non da fatti? Difficile, anche se alcuni elementi di previsione sono già dati di fatto incombenti. Il principio ispiratore che ci dovrà portare avanti è comunque quello della conservazione di tipologie e peculiarità, anche di fronte a mutate esigenze, che poi, come per l’urbanistica, può anche voler dire riscoperta di antiche radici, specie in agricoltura, attualizzando, tecnologicamente adeguati, gli espedienti dei tempi in cui l’acqua non usciva al rubinetto!
Evoluzione educativa dello scoutismo cattolico –
Il modello di educazione scout propone l’integralità di uno sviluppo nel quale è presente la formazione proveniente dalla musica. Indice della mentalità globale della cultura è la canzone divenuta espressione dei sentimenti a tutti i livelli di umanità. Il canto nella storia dell’uomo è all’origine delle più alte testimonianze della sua spiritualità razionale ed è in grado di svelare più delle parole la ricchezza della ragione e del sentimento. Il paesaggio “sonoro” è il coro delle cose che lo scout percepisce nella sua attività all’aperto.
Gli elementi di metodo confermano tale evoluzione:
1. la natura da piacere estetico diventa incontro con Dio creatore
2. l’amicizia da concezione di “genere” diventa condivisione delle differenze (co-educazione)
3. l’avventura diventa l’impegno a crescere in tutte le condizioni della vita umana
4. la festa è il premio per un impegno realizzato con gioia a favore degli altri
5. il campo non è il camping turistico ma la condivisione quotidiana della vita
6. la preghiera è tratta dall’esperienza diventando una esecuzione sempre nuova di uno stesso spartito
7. la strada è un cammino modello della progressione personale Verso il futuro il canto vola come aquilone nel cielo!
don Marco Lunghi
“Gli elementi di metodo confermano tale evoluzione: 1) la natura da piacere estetico diventa incontro con Dio creatore” Interessante questa affermazione, espressa come dato oggettivo, che meriterebbe un approfondimento se non fosse impossibile nella contrapposizione di ottiche diverse che escluderebbero il sentire individuale. L’impossibile dialettica senza pudore del credente. Mai un “secondo me”! Non si offenda Marco Lunghi, ma proprio non potevo non commentare.
“….canto nella storia dell’uomo è all’origine delle più alte testimonianze della sua spiritualità razionale ed è in grado di svelare più delle parole la ricchezza della ragione e del sentimento…..” questo gioco di ossimori, proposto da Don Mario Lunghi, raffinatissima mente cattolica, credo possa essere considerato emblematico della sfida che propone chi professa la sua “fede”!
Spiritualità/razionale , ragione/sentimento …. la conclusione: un omaggio all'”uomo” che può percorrere il suo cammino di consapevolezza cantando come aquilone che vola nel cielo (ma chi tiene il filo che trattiene a terra l’aquilone nel suo “volo guidato” ?).
Personalmente preferisco “un paio d’ali”!
Nota: temendo i dispetti dell’algoritmo, ciò che ho scritto è risposta a Mario Lunghi 21.11 ore 13:16
Il tuo commento al pezzo di Donata Ricci è un suo ulteriore arricchimento. So che si tratta del tuo mondo (io, purtroppo, avevo gusti molto meno raffinati e mi limitavo per lo più ai classici cantautori italiani) e vedo che ne parli con trasporto nonché con competenza.
Personalmente, sono rimasto stregato dallo stile di Donata Ricci e da un testo che mi ha incuriosito perché mi ha aperto una finestra a un genere di musica che ho per sfortuna perduto.
Ecco perché mi sono permesso di lanciare l’idea: perché non programmare una… uscita alla luce del sole dei tanti cenacoli musicali per ora casalinghi?
Sarebbe un’opportunità per molti e, magari, un’occasione per accedere alla “musica di qualità” di cui parla Donata che esiste ancora.
Credo Piero che la tua attenzione 21.11 ore 14:16 fosse rivolta a me (grazie), anche se la destinazione grafica destinata dal sistema (cinico e baro) non facilitava il collegamento commento/risposta. Never mind!
Una piccola (ma non ininfluente) aggiunta al tuo commento: credo siano tempi questi nei quali, invasi come siamo da un eccesso, una sovrabbondanza di pseudo_comunicazione tanto urlata, quanto volgarmente banalizzata, approssimativa, umorale e superficiale, alla persona intelligente, tollerante, attenta debba essere dato di proporre a suoi “simili” di condividere in “piccola comunità” quello che la “comunità allargata”, con la prepotenza della …. “maggioranza”, gli nega.
Quello che ne consegue può essere oggetto di ….ulteriori che, ovviamente travalicano assai la fattispecie!
Peace and love…..
Sottolineerei il punto 7 di don Marco.
Dovresti, Ivano, collocare l’espressione che citi nel contesto del saggio e nell’autore stesso del saggio: da decenni assistente spirituale degli scout, un movimento che, almeno in Italia – che mi risulta – è segnato dal cattolicesimo.
Vorrei ricordare che lo scoutismo a Crema è stato rifondato nel secondo dopoguerra dal segretario/prete del vescovo.
Piero, so bene chi sono gli scout. Ciò non toglie che l’espressione mi susciti perplessità. Del resto il mio pensiero sul tema l’ho sempre dichiarato. Non aggiungo niente di nuovo. E Marco Lunghi non lo conosco proprio. Quindi niente di personale verso l’autore e gli scout. Anche se l’associazione o movimento, non so, meriterebbe un discorso più approfondito. Leggerò il saggio.
A dire il vero, come sai, anche lo scoutismo di Crema è stato scosso dal vento della contestazione: si ricordi la clamorosa scissione del gruppo di Beppe Bettenzoli (una scissione mossa dal dissenso cattolico e che porterà Bettenzoli ad allontanarsi progressivamente dalla Chiesa e – credo – anche dalla fede cristiana.
Premesso che non ho ancora visto neppure fisicamente il libro del GAC, mi rifaro’ al mio ritorno a Crema, anche quest’anno, come gia’ gli anni passati, torno a pormi la stessa domanda: serve alla citta’ e ai cittadini un libro in piu’, o ci vorrebbe invece una riflessione in piu? Una presentazione che si consuma in 100 minuti puo’ considerarsi esaustiva? Non stiamo parlando di un romanzo che ognuno puo’ leggere tranquillamente in casa sua ma di una raccolta di articoli che avrebbe l’ambizione di approcciare argomenti enormi nella loro complessita’. “Il libro” dovrebbe essere l’inizio di un percorso fatto di tavoli aperti, conversazioni pubbliche, contraddittori e via dicendo, non certo un fine. Ecco qui la pubblicazione 2018, buon natale a tutti, ci si vede l’anno prossimo, arrivederci e grazie. Sono io che sbaglio a intendere la “militanza culturale” in modo diverso, o va bene cosi’?
Sorellina
il libro te lo regalo io appena rientrata dalle glorie letterarie genovesi (non sono certro ironico: credo in te).
Circa l’appumnto non dovrei essere io, ultimo cooptato dal Gac, a rispondere, ma l’obiezione è stata preceduta da un’affermazione di volontà del Presidente di sviluppare i temi dei vari capitoli in riunioni nella saletta Frate Agostino (si chiama così?). Inoltre la gente “comune” si è dimostrata interessata, visto il buon livello di vendite. Dopo aver letto rifletteranno. Del resto non l’abbiamo fatto anche noi di Cremascolta?
L’appunto, se cosi’ si puo’ chiamare, e’ … a fin di bene. Perche’ sbattersi tanto (immagino che ognuno dei coinvolti nel progetto abbia impiegato del tempo a scrivere il suo articolo) per finirla in un paio d’orette al museo? Non sarebbe piu’ utile prevedere sull’argomento una serie d’incontri e dibattiti? Perche’ non parlarne con i giovani, nelle scuole, che non sono abituati … a pensare? Perche’ non discuterne in sedi diverse, a Crema e fuori Crema, con un contradittorio non formato dagli amici di sempre? Il libro puo’ essere un buon mezzo di divulgazione (quando rivolto a soggetti gia’ lettori) ma possiede non pochi limiti. Molti libri, antologie in primis, si comprano e si mettono li’. Della serie: prima o poi ci daro’ un’occhiata. Diversa sarebbe la suonata se il libro fosse il coronamento di un dibattito diffuso. Intendiamoci, non e’ mia intenzione cambiare le abitudi di nessuno. Eppero’, ogni tanto, una scossetta, qualche piccolo restauro …. le cose cambiano.
….no, nn sbagli, Rita, puccioppo!
Per il main (storming) stream, va bene così!
Non si deve ….disturbare il manovratore!
E va purebbene che ci lascino provare…..
Le pagine scritte dal nostro Adriano Tango sono a dir poco… allarmanti.
Chi non vuole avere dei sogni di incubo, non le legga!
Le legga solo chi vuole aprire gli occhi e stare all’erta!
Coraggio
l’ultima proiezione ci darebbe dieci annoi in più di clima “decente” per effetto del rimescolamento delle calotte glaciali fuse. Inoltre l’emisfero boreale sarebbe quello più piovoso a spase di quello ausrtale. Ma questo tempo in pèiù lo useremo? Ultimo allarme la deforesgtazione costiera delle mangrovie, il cui copmplesso ecologico assorbe quattro volte la CO2 di un normale bosco. E perché le tagliano? Non per far case, ma vasche da itticoltura! E tornamop punto e a capo: bisogna essere di meno anche per mangiar di meno!
Viviamo ormai nell’Era di Nostradamus: proiezioni, statistiche, previsioni, supposizioni, indagini conoscitive, una teoria che contraddice l’altra e cosi’ via. Non conoscendo le sue origini e non essendo in grado di gestire il presente, l’uomo tecnologico impiega le sue energie a ipotizzare il futuro. Chi mai potra’ contraddirlo, se non un futuro fattosi presente?
” bisogna essere di meno anche per mangiar di meno!” Adriano, per paradosso, sarebbe più opportuno piantare un albero per ogni bambino non nato che non per uno nato.
Sai che remo per la salvezza di uno straccio di Umanità, o meglio, i morti ci saranno, ma per la salvaguardia della sua cultura. A ripopolare si fa presto, ma a rispolverare i saperi essenziali… ed è per questo che siamo al mondo, per l’essenza stessa della vita: il pensiero. In pratica un cavolfiore. A proposito, oggi l’ho mangiato con formaggio feta fuso e bresaola: ottima improvvisazione, ma la sua morte è con acciughe e sottaceti. Chi lo mangia diventa più autocosciente della propria realtà frattalica! Chiudo prima che arrivino gli infermieri della Psico-neuro.
Ho ripreso, dopo una lunga pausa, la lettura e sto scoprendo che il tuo primo saggio, Walter, è una bomba. Altro che un saggio pedante sulle archeolingue! Siamo di fronte a un vero pezzo… dinamitardo in buona compagnia di Diego Fusaro e di Preve!
Caro Piero, ho solo messo per iscritto quanto avevo già detto pubblicamente nella giornata dello scorso aprile, dedicata al dialetto. Mi hanno sempre interessato le cause perse e ho sempre cercato di capire più che condannare le voci fuori dal coro. Se fossi nato in altri tempi probabilmente avrei fatto una brutta fine, oggi mi permetto di sopravvivere.
E’ vero, Walter, ma è un fatto che negli ultimi tempi hai cambiato registro: da studioso… compassato a studioso… combattivo.
E’ il tempo, dopo una lunga assenza, di rilanciare il ruolo dell’intellettuale “engagée”?
Il registro non è cambiato, è cambiato il soggetto. Ieri i miei interessi erano rivolti alla civiltà contadina, oggi applico la stessa metodologia antropologica nell’esame della contemporaneità.
In merito alla romantica figura dell’intellettuale impegnato, penso che questa faccia ormai parte di un clichè superato, stento nel vederla riproporre ai nostri giorni. Chi in passato si è battuto, anche solo culturalmente e ha sofferto, per una ideologia, qualunque essa fosse (la classe, la nazione, la comunità), ha avuto modo di riscontrare come spesso gli ideali vengano obliterati proprio da coloro che più animatamente li avevano caldeggiati. Nel corso della storia le eccezioni confermano la regola. La natura umana non sembra in grado di corrispondere alle finalità che di volta in volta si propone di raggiungere.
Oggi mobilitarsi e stare all’erta non significa annullarsi in scelte soggette a una qualsiasi ideologia, ma esser in grado d’effettuare percorsi conformi alla propria coscienza critica, aldilà dei diktat delle singole scuderie. Diffido dei rituali imposti dall’opportunismo, mi sforzo di non giudicare mai in modo preconcetto. Ricordo che a scuola il Maestro ci invitava a seguire la strada del dovere, sforzarci d’agire indipendentemente dal risultato e dai consensi .
Nobili parole, Walter, che condivido totalmente.
Io, che tendo a volare molto basso, pur non avendo mai fatto studi di carattere antropologico (beato te che ne hai gli strumenti!), ritengo che la scomparsa del dialetto per me non è stata una “diminutio” in quanto mi sono inoltrato in un territorio fatto tutto di categorie astratte (che ha costituito il mio mestiere) per affrontare il quale il dialetto non mi serviva.
Con questo non dico che il dialetto non sia una “ricchezza” da preservare il più possibile: le nostre radici sono lì, lì sono i nostri modi di dire che spesso abbiamo travestito nella lingua nazionale.
Ma… la sua tendenziale scomparsa non credo sia da attribuire a qualche oscura cospirazione della finanza internazionale: più semplicemente, chi entra in un universo simbolico come la lingua nazionale, tende a usare tale lingua con i figli anche perché è questa che è più funzionale (che il dialetto) a una professione futura.
Dirai che sono le lingue nazionali che stanno subendo i Diktat del pensiero unico che è quello della finanza internazionale? Non vi è dubbio che le nostre lingue nazionali – non solo europee – siano state “anglicizzate” (o meglio americanizzate) e questo è accaduto per ragioni storiche: domani – che è molto prossimo – saranno i cinesi a dettare i loro Diktat (come nel passato sono stati i Romani a farlo, i francesi e gli inglesi nelle colonie…).
Un modo troppo semplice di lettura?
Io, ripeto, non ho alcuna dimestichezza con l’antropologia: e lo confesso.
Come tu sai, Piero, sono e voglio restare, un povero ragioniere di campagna, prestato all’antropologia. Non vanto titoli onorifici, non ho complessi e nutro stima per chi se ne può legalmente fregiare. La mia natura, fondamentalmente autarchica e propensa all’anarchia intellettuale mi ha sempre tenuto lontano dal sottopormi alle lunghe e spesso demotivanti trafile dei percorsi accademici. Ho avuto per contro l’insegnamento prezioso di Amici-Maestri ai quali devo tutto quel poco che so e che fino ad ora ho potuto fare.
Professionalmente, non per potermene vantare, obtorto collo, ho maturato invece qualche esperienza e dimestichezza nelle manovre che muovono il mondo dell’economia e della finanza. Benché lontano dalle auliche aule, dove si sente frequente il vociare nel gergo greco di Platone, il latino di Cicerone e l’italiano dantesco, ho cercato di darmi una risposta alla decadenza, ormai unanimemente accertata, in cui versano le nostre veterolingue (vernacolo e italiano). Volendo usare una metafora, nell’articolo citato , non mi sono accontentato dell’acqua limpida che, in pubblico e in pubblicità, ci viene quotidianamente somministrata. Con spirito critico ho effettuato qualche analisi. Non necessitano particolari propensioni alla paranoia per scorgere l’anomalia che affligge la linguistica nostrana. Un tempo la naturale trasformazione del lessico avveniva a causa di invasioni, migrazioni o commistioni tra etnie e popoli diversi. Oggi questo processo è diventato artificiale poiché si verifica attraverso l’esecuzione preordinata di un addomesticamento mediatico che, non casualmente, investe la terminologia legata a profitto e speculazione.
– Si tratta di un fattore solamente casuale oppure non ne sono esenti manovre atte a favorire l’ascesa del pensiero unico, divenuto sinonimo di mercato unico e omogeneizzazione delle masse, ormai ridotte a potenziali consumatori? – Il riduzionismo verbale del globish è indice di impoverimento culturale o nasconde una preordinata ortodossia che favorisce il non pensare? – Siamo liberi ideologicamente o virtualmente sorvegliati speciali? – Considerando problemi sociali (crisi economiche pilotate, guerre umanitarie, conflitti tra mercati globali e protezionisti) e fenomeni naturali derivati (catastrofi, surriscaldamento, impoverimento della biodiversità, deforestazione) godono maggior credito i fautori della cosiddetta crescita illimitata ( economisti rampanti) o quelli della decrescita felice (ecologisti intransigenti)?
Su tante problematiche ognuno, se davvero ha a cuore il destino dell’umanità, potrebbe iniziare ad andar d’accordo con i potenziali avversari e perlomeno rifletterci.
….”andare d’accordo con i potenziali avversari” ….: traduci ad un povero ingegnere con le mani unte di grasso?
In proposito rimando al libro del GAC p. 65. “lotte tra poveri e conflitti orizzontali……”
Grazie della subitanea, Walter!
Compulso…..