Boschi e foreste in Francia si sprecano ma attorno a Parigi è tutto un cantiere. Svettano dal formicaio geometrico dell’estesa area metropolitana innumerevoli gru. Sembra che i sindaci dei vari distretti cittadini siano in bolletta (il mondo globale ha presentato il conto) e facciano cassa con gli oneri di urbanizzazione. E l’Italia, nel frattempo? Non è passato molto tempo da quando il Fondo Monetario Internazionale di Washington raccomandava ai governanti nostrani di aumentare le tasse sul risparmio, sulla casa, sui consumi, per alleggerire invece quelle su imprese e lavoro. Siamo sicuri che questa sia la strada giusta? Quando ci provò Bruxelles attraverso il governo Monti, imponendo le stesse regole nel 2011, ci fu il crollo del PIL, del mercato immobiliare e dei consumi. L’intero patrimonio immobiliare italiano subì un crollo repentino, svalutandosi di circa il 30%, ossia di oltre 2000 miliardi di euro. Non fu affatto un bell’affare.
Sul perché “da fuori” ci diano consigli suicidi ci sarebbe molto da dire. Senza farla troppo lunga è evidente che più tasse su risparmio, immobili e consumi comportano una riduzione della domanda interna assicurando una fuga dei grossi risparmi e degli investimenti in generale verso l’estero. In compenso, si potrebbe obiettare, c’è una riduzione delle tasse sui redditi di lavoro. Già, ma a chi giova? Cosa fa l’italiano benestante che si ritrova con più reddito disponibile? Avrà sempre un’IVA più alta, con tasse patrimoniali aggiuntive sulla casa e sugli investimenti immobiliari, e dunque sarà invogliato a mettere “al sicuro” il suo mini-gruzzoletto altrove, non aumentando i consumi interni né gli investimenti in loco. E qui, lo spirito del gioco viene smascherato.
Ma cerchiamo ancora una volta di non pensar male, per non fare peccato. L’amara ricetta del FMI, se non altro, ha fatto guadagnare a molti il mitico “posto fisso”. Cosa compra l’italiano medio con il magro salario che gli è stato concesso? I prodotti che costano poco venduti nei discount (con la tedesca Lidl in testa, seguita dalla Crai appena comprata dai francesi), ovvero la pasta fatta con il grano canadese o ucraino, lo yogurt greco, l’olio tunisino, i pomodori olandesi, eccetera. In questo modo i soldi finiscono di nuovo all’estero, come le rimesse degli immigrati (pochi) che lavorano. Tutto ciò contribuisce evidentemente a decapitalizzare l’Italia, porta a una minor domanda di beni e servizi locali, quindi a una recessione indotta dal calo della domanda interna e degli investimenti sul territorio.
Ultimamente si torna a parlare di “grandi opere” (gli appalti, si sa, sono golosi) mentre non si parla affatto di ciò che realmente potrebbe far ripartire l’economia, l’occupazione, i consumi e soprattutto la domanda di beni e servizi prodotti nel Paese: il mercato immobiliare inteso non come ulteriore consumo del suolo (non ce n’è bisogno!!!) ma come ristrutturazione dell’esistente, messa a norma degli impianti, rinnovo degli arredi, progettazione e riqualificazione con materiali innovativi. L’Italia ha avuto i suoi migliori periodi di espansione quando l’edilizia funzionava, quando era produttivo l’investimento nel mattone da parte delle famiglie e delle imprese, che poi usavano i beni immobili come garanzia accettata dalle banche per finanziare l’acquisto di beni di consumo e strumentali, l’apertura di nuove aziende, la crescita. Ma poi è stato detto che questo era un “capitale passivo”, e non c’è dubbio che per i Signori della finanza sia esattamente così.
Esageratamente tartassati dal fisco oggi gli immobili non sono più appetibili. Dobbiamo ringraziare la politica maliziosa del FMI che negli ultimi anni non ha fatto altro che sabotare la nostra economia nazionale, impoverire, trasformare radicalmente l’Italia in territorio decapitalizzato e indebitato, passivo serbatoio di manodopera mal pagata e sfruttata (alimentato da scadente immigrazione) a disposizione della grande industria straniera, soprattutto tedesca, che continua a trattenersi tutto il profitto della filiera.
Gli ultimi sei mesi hanno registrato una lievissima inversione di tendenza. E meno male, visto che l’Italia è l’unico Paese europeo in cui i prezzi degli immobili calano ininterrottamente dal 2012. Tasse, tasse e ancora tasse hanno fatto registrare al settore edile una crisi senza precedenti, con una perdita di oltre 720mila posti di lavoro. Riusciranno i giallo-verdi a ridurre l’imposizione fiscale e riordinare la fiscalità immobiliare? Non in pochi mesi, questo è certo, ma qualcosa a breve si dovrà pur fare per la rigenerazione urbana e la riqualificazione energetica del nostro patrimonio immobiliare, sempre più vetusto e pericolante. Parliamo tanto di ponti e viadotti dimenticandoci troppo spesso di milioni di case fatiscenti, soprattutto nei centri storici e nel meridione del Paese. Urge a questo punto uno scatto di orgoglio: siamo italiani e adesso facciamo quello che è meglio per noi, abbiamo obbedito fin troppo a lungo.
Commenti
Avevo già proposto l’argomento in un’altra forma, ma vorrei tornarci perché in precedenza non ci avevamo riflettuto abbastanza, nonostante (a mio avviso) l’argomento sia importante. Me lo ha riportato alla mente nei giorni scorsi la visuale della distesa sterminata di cantieri che circonda e s’insinua in ogni strada di Parigi. Un’enormità.
In città, dove tornando dal magico mare autunnale di Normandia mi sono fermata alcuni giorni per far visita ad alcuni cari amici, si costruisce dappertutto. Cosa farebbero i milioni di magrebini e africani naturalizzati se non ci fossero i cantieri? Come i nostri, sarebbero nelle strade a importunare il prossimo. Invece in tutta la Francia non c’è bivacco molesto, né spaccio a cielo aperto, anche perché con la polizia transalpina c’è poco da scherzare, quelli sono armati fino ai denti e menano senza problemi, altro che spray al peperoncino. Il risultato è che chiunque può uscire di casa la sera e persino le donne viaggiano in metrò. Un sogno, per noi italiane, che dopo il tramonto siamo costrette il coprifuoco.
E’ un invito a nozze, Rita: la mia “quadratura del cerchio” che ho aggiornata in questi giorni con alcune riflessioni sul Def è sulla stessa lunghezza d’onda del tuo post.
Allora vuol dire che Macron è bravo. Ma che mi interessa di più è il tema della sicurezza, perché io non dimentico le rivolte che periodicamente scoppiano nelle banlieue delle grandi città francesi. E spero Rita che il tuo giudizio, un po’ sommario, non si limiti ad un’ occhiata turistica dalle stuggenti spiagge di Trouville o dai tetti del Beaubourg.
I francesi, anche quelli che lo hanno votato, dicono di Macron peste e corna. Non è lui ad essere “bravo” ma è semmai la legislazione francese ad essere più permissiva. O meglio, meno restrittiva di quella italiana. Quando un sindaco di circoscrizione (un perimetro dentro il quale risiedono in media 80-100mila persone) decide di costruire una città dentro la sua città nessuno leva gli scudi poiché il verde c’è comunque e lo spazio non manca mai. In Eurasia, dopo la Russia e l’Ucraina, è la Francia a registrare la più grande estensione territoriale. Beati loro.
A differenza di noi, Ivano, i francesi fin dall’inizio hanno “confinato” gli immigrati, poi naturalizzati, in luoghi ben precisi e abbastanza circoscritti dell’area urbana, evitando accuratamente di sparpagliarli dappertutto. Accade così che chi a Parigi abita a sud, o ad ovest, nemmeno si accorge delle banlieue che stanno a nord, e quando ciclicamente scoppia una rivolta la repressione è mirata. Ne consegue che in generale le stazioni di treni e metrò sono “pulite”, mentre noi nelle nostre siamo arrivati al punto di chiudere a chiave le sale d’aspetto perché là dentro succedeva di tutto. E dire che quando paghi il biglietto del treno c’è compreso anche quel servizio. Che, però, non c’è. Quando racconto in giro per l’Europa che da noi ci sono i “vagoni rosa” per far viaggiare le donne in sicurezza, non mi crede nessuno.
Detto ciò, non è che la Francia non abbia il problema degli africani allo sbando, nessuno in Europa è privo di questa spina nel fianco. Tuttavia l’Italia, fino a ieri, è stato l’unico paese che permetteva qualsiasi cosa dentro i suoi confini in nome di un non meglio identificato umanitarismo da supermercato che, per fortuna, stiamo superando. Fosse che fosse la volta buona …….
Quando vado a godermi il mare della Manica, comunque, evito sempre con cura Trouville e Deauville che tanto mi fanno sentire a Rimini e Cesenatico, con tutto il rispetto per la costa adriatica, che non è nelle mie corde. La Côte Fleurie è piena di posticini deliziosi dove potersi godere il saliscendi delle maree in santa pace, via dalla pazza folla. A piedi nudi tra conchiglie e fossili per chilometri e chilometri. L’autunno è sempre la stagione migliore.