La fisica è figlia della filosofia e i fisici sono anche un pò filosofi..
Dopo il collegamento in diretta con il CERN in occasione della Notte Europea dei Ricercatori, l’associazione Ipàzia riprende la serie di conferenze che propone al territorio cremasco con l’invito di ricercatori e studiosi del mondo della scienza.
Venerdì 5 ottobre, presso l’Aula Magna del polo universitario di Crema, il prof. Marco Maggiora, relatore dell’evento, offrirà alcuni spunti di riflessione utili per poter meglio cogliere la continua contaminazione, più che complementarietà, degli approcci filosofico e fisico nella storia del sapere umano.
Utilizzando le stesse parole del prof. Maggiora “il progresso del sapere scientifico si è sempre intrecciato con il mutare del pensiero filosofico, essendone frutto ed allo stesso tempo origine. Questo è vero in particolare, ma non solo, per le due grandi rivoluzioni scientifiche che hanno avuto come grandi protagonisti, tra gli altri, Galileo e Newton, Heisenberg e Schrödinger”.
Il prof. Maggiora è direttore dell’IHEP-INFN Joint Laboratory (Pechino, Roma) e Professore Associato, Dipartimento di Fisica, Università di Torino.
L’incontro si terrà venerdì 5 ottobre, ore 21, presso Aula Magna del Dipartimento di Informatica dell’Università degli Studi di Milano (Sede di Crema), Via Bramante 65.
L’invito a partecipare è aperto a tutti gli interessati.
Aspettiamo tutti, per un ricco dibattito..
Camilla Cervi
Presidente dell’associazione Ipazia
Commenti
Un’occasione unica, e non solo per me che ho i pallino della spiritualitànelle scienze tecniche.
Ricordiamo che la filosofia è la matrice di tutte le scienze tecniche. La cosa è stata presa tanto seriamente agli albri che in Medicina si sono dette e tramandate un sacco di castronerie purché non contradicessero la filosofia. Ora le scienze autonome tornano in seno alla mare per nutrirla. La filosofia è comprensione del reale con le uniche informazioni dei sensi. Ma moltiplicando i dati ed estendendo i sensi, come le scienze tecniche fanno, la filosofia può compiere enormi balzi avanti nel comprendere il significato del nostro essere e esserci.
Di sicuro le scienze sono nate nel solco della tradizione filosofica che ha elaborato “idee” che poi hanno ispirato lo sviluppo della scienza in generale e la fisica in particolare.
Andrebbero però evitate le forzature.
E’ forzato, ad esempio, dire che Parmenide, con la sua negazione del tempo, ha anticipato Einstein: siamo in presenza di due contesti molto diversi.
E’ forzato, poi, paragonare gli “atomi” degli atomisti (frutto di un ragionamento: la divisibilità all’infinito produce non pochi paradossi).
E’ forzato, inoltre, sostenere che il principio di indeterminazione di Heisenberg ha “giustificato” il libero arbitrio.
I confronti sono utili, ma è necessario definire bene i differenti contesti, la differente genesi.
Piero, succede qualche volta che siamo completamente d’accordo. Hai perfettamente centrato alcune delle più tipiche sciocchezze para-filosofiche che circolano tra coloro che la Fisica non la sanno.
Non è proprio una forzatura: concettualmente forse, ma tutto ciò che può farci sembrare dialogo corrente un’idea, un termine, ci è utile. I tempi galoppano, e per capire quella meravigliosa relazione di ieri bisogna essere abituati a nomi e termini, concetti, ribaltamento di presunte intangibili verità. Ciò è più necessario adesso dello scontato quotidiano, brutto o meno brutto che sia, altrimenti che calchiamo a fare questa terra, e prossimamente alte?
Ragazze, siete un trio d’oro!
Grati del paziente scomodarsi della natura a tirar su un pianeta vivente,
meglio condursi.
Abbiamo, Bruno, molte più cose che ci accomunano di quanto forse puoi immaginare: in primo luogo la passione per la ricerca.
Sul tema, possiamo dire che ci sono troppi filosofi che pretendono di parlare di fisica (perfino il mitico Popper – che pur di matematica e fisica non era digiuno – ha preso delle cantonate) come troppi fisici che pretendono di entrare nel campo (dalla metodologia completamente differente) dei filosofi.
La relazione, di sicuro, è stata stimolante. Se il relatore voleva suscitare interesse e curiosità, ci è riuscito. Il punto è più alto: quando si è messo ad affrontare le interazioni (deboli e forti).
Un unico limite: troppa carne al fuoco.
Per cogliere bene in che misura le intuizioni dei filosofi hanno gli scienziati, ci vorrebbe almeno una decina di lezione con due relatori: un filosofo e uno scienziato.
Lo dico perché è davvero difficile trovare uno scienziato che conosca la filosofia, come pure un filosofo che riesca ad addentrarsi nella sofisticatissima fisica quantistica.
Lo ripeto: un conto è il linguaggio (e il contesto) di una intuizione filosofica e un conto quello di uno scienziato.
Pensiamo, ad esempio, che l’idea di atomo è stata il risultato di una deduzione logica: se un corpo fosse divisibile all’infinito, avremmo di fronte una serie di paradossi.
Pensiamo, per fare un altro esempio, all’idea dei corpi di Cartesio: li ha concepiti non solo senza le qualità sensibili, ma anche senza peso (per Galileo, invece, i corpi conservavano il peso) e questo perché, con una sorta di esperimento ideale, si è messo nella mente di Dio.
I dialoghi sono affascinanti quando, rispettivamente, il filosofo spiega la genesi di una intuizione filosofica e lo scienziato lo specifico ambito scientifico (con la strumentazione e l’apparato logico di cui si alimenta la scienza: oggi pare che ci sia molta più… deduzione logica di decenni fa).
Il confronto, in senso dialettico, tra Fisica e Filosofia è uno dei più ricchi di intrecci, più stimolanti ma anche più difficili che possa essere proposto. Sapere di fisica non basta, sapere di filosofia non basta, maneggiare entrambe con sicurezza prevede comunque prendere posizioni su cosa si intende per realtà. La società ripone fiducia nelle capacità gnoseologiche della scienza, ma la fisica ci insegna che dobbiamo tener conto che misurare significa perturbare. Come fa quindi la scienza ad assicurare la possibilità di conoscere?
Dubbio e meraviglia muovono sia il pensiero del filosofo che del fisico ma lo sguardo sull’oggetto di studio è diverso, sarebbe quindi davvero bello riuscire ad organizzare un dibattito sul tema.
La scienza è…
Troppo lenta.
Di sicuro, Camilla, la difficoltà di conoscere come in realtà stanno le cose riguarda l’ambito dell’infinitamente piccolo.
E per il resto? Continuiamo a tenere buona la fisica classica e continuiamo a tenere buon il senso comune.
Del resto, tra senso comune e la stessa filosofia c’è sempre stato uno iato.
Per Parmenide un conto è la doxa e un conto è l’episteme (che va oltre le percezioni sensibili); un conto sono i corpi che dividiamo (secondo gli atomisti) e un conto gli “atomi” che per la “ragione” (che se non accettassimo, cadremmo in paradossi) non sono… tagliabili; un conto, per Kant, è il fenomeno e un conto è il noumeno.
E’ una costante nella storia della filosofia: andare oltre il mondo dei sensi alla ricerca di ciò che è “reale” al di là del “percepito”.
Ma… che cos’è questa “realtà” che è al di là dei sensi? Cos’è questo… essere sfuggente di cui parla Parmenide? Che cos’è quel corpo senza colore, senza sapore, senza… peso come è concepito da Cartesio? Cos’è quel “noumeno” di cui parla Kant? Non è… inconoscibile?
Già: Kant e Heisenberg sono sulla stessa lunghezza d’onda?
Il relatore ha associato giustamente Einstein a Spinoza: Einstein, infatti, era un ammiratore del filosofo olandese del ‘600 non in quanto appartenente allo stesso ceppo ebraico, ma perché Spinoza aveva elaborato la dottrina secondo cui l’universo è un “ordine geometrico” (governato, quindi, da leggi necessarie).
Lo stesso Newton era attonito di fronte a questo “ordine cosmico”, ma a differenza di Spinoza, considerava questo ordine come “creato” da un… Geometra divino.
Einstein, in sintonia (non del tutto, però) con Spinoza, riteneva che il divino fosse, appunto questo “ordine” (che il divino, cioè, fosse “immanente” e non “trascendente l’ordine cosmico).
Un ordine, ripeto, necessario: ecco perché Einstein credeva che Dio… non giocasse a dadi.
E se il “geometra” fosse invece un musicista? Oltre a fondere insieme i concetti di Spazio e di Tempo la Teoria della Relatività di Einstein ha dimostrato che la materia altro non è che una forma di energia; in seguito, la meccanica quantistica ha evidenziato che a livello subatomico tale forma di energia è composta da onde vibranti. Non potrebbe essere l’Universo la manifestazione di un «campo» d’intelligenza universale, in grado di dare origine, di far scaturire ogni forma della realtà? Gli Antichi ne erano convinti. Credevano che l’universo assomigliasse più a un Grande Pensiero che a una Grande Macchina, che fosse un tutto indivisibile, dinamico, le cui parti erano essenzialmente interconnesse e potevano essere intese solo come strutture di un processo cosmico. Questa concezione d’insieme, già appartenuta all’umanità dei primordi, non fa parte del nostro presente, ma chissà che non rappresenti invece il nostro futuro. Ci stiamo arrivando?
Prendo lo spunto, Rita, dal tuo commento per una considerazione analoga.
Mi viene da pensare, nell’ottica di un confronto tra fisica e filosofia, all’idea di “corpo” in Cartesio. Il filosofo francese lo svuota totalmente di ogni qualità sensibile (perfino – lo ripeto – del peso) trasformando in una semplice “estensione”, vale a dire “spazio geometrico”.
Nella meccanica quantistica (per quanto possano capire i poveri mortali come me che sono… di fronte al Tempio della scienza) accade qualcosa di analogo, mutatis mutandis: il corpo è… pieno di vuoto, in altre parole è… smaterializzato.
Certo, le differenze tra le due concezioni ci sono (eccome!): mentre Cartesio… geometrizza i corpi, la meccanica quantistica vede nel.lo… spazio vuoto dei corpi delle “forze”, energia.
…. ne consegue che la fisica quantistica e più vicina al pensiero dei Grandi Antichi di quanto non lo sia Cartesio. Se dovessimo rappresentare dio secondo il sapere dell’uomo primordiale, questi sarebbe essenzialmente suono o vibrazione in perfetta sincronicità creativa, nella giusta misura maschile o femminile e perciò androgino. Si tratterebbe di un dio che non possiede fattezze o colori umani ma che è puro pensiero, pura vibrazione, puro suono capace di elaborare con pochi intervalli diatonici un progetto DNA unico per tutto l’Universo. Se solo potessimo anche solo vagamente intuire tutto ciò (invece di dirlo e basta), se avessimo la consapevolezza che la Risonanza Morfica ingloba ogni cosa, e dunque il nostro ego come le nostre azioni, i nostri sogni come le nostre invenzioni, non ci sentiremmo più così soli e forse la paura della morte ci abbandonerebbe. Torneremmo noi stessi ad essere dio riconoscendo la divinità presente in ogni nostra cellula e cominceremmo ad agire nell’immenso teatro celeste in cui ci troviamo inseriti. Succederà, prima o poi. E’ già successo.
Ovvero.
“S’io mintuassi come tu t’inmii”
(Dante)…Paradiso.. Canto nono…vv 80-81
A proposito di “forze” (energia) che interagiscono n… vuoto dei corpi, mi viene spontaneo ancora pensare a Leibniz: è lui che, in seguito a un ragionamento matematico (analogo a quello degli atomisti con l’obiettivo di ovviare ai paradossi della divisibilità all’infinito di un corpo), ha concepito il mondo costituito da… monadi che non solo sono… immateriali, ma anche centri di forza, di energia.
Già: la sintonia con la meccanica quantistica (ripeto: per quello che può capire un profano come me)!
L’epistemologo Popper riteneva che il compito dello scienziato non è quello di cercare “conferme” alle teorie, ma quello di falsificarle (perché tot conferme non fanno mai una necessità, non riescono cioè a “veri-ficare”).
Ora, la relatività e la meccanica quantistica hanno alle spalle circa un secolo di vita. Che risulti a me (sempre più profano), in questo lungo lasso di tempo si sono cercate e trovate “conferme”.
Una domanda: vi sono scienziati che, al contrario, cercano di… falsificarle?
Spesso si accosta la scoperta (?) secondo cui l’infinitamente piccolo è insieme corpuscolo e onda a Hegel che aveva fatto della “sintesi degli opposti” il cuore della sua dialettica.
L’accostamento è indubbiamente suggestivo, ma è il caso di distinguere bene i due contesti che sono decisamente differenti.